ALTRA SENTENZA SULL’ARGOMENTO
8) COLPA IN CONCRETO E MORTE COME CONSEGUENZA DI ALTRO DELITTO
Traccia parere.
Mevio, noto spacciatore dei Vip romani, si procurava una cocaina molto pura che provvedeva lui stesso a tagliare prima di venderla.
Come consuetudine si rivolgeva a lui l’imprenditore Tizio che acquistava tre grammi della suddetta sostanza.
La sera stessa dell’acquisto, Tizio decedeva per "insufficienza cardiaca a seguito di intossicazione acuta da cocaina in soggetto assuntore abituale della predetta sostanza e sofferente di patologie cardiache".
Analizzata la droga trovata in suo possesso, veniva qualificata dagli inquirenti come “tossica e tagliata male”.
Individuato dalle forze dell’ordine come responsabile della cessione della cocaina, Mevio veniva indagato per il reato previsto e punito dall’art. 586 c.p..
Rivoltosi al vostro studio legale, Mevio vi rappresentava di non essere minimamente a conoscenza della pericolosità della sostanza, avendola già ceduta a molti altri clienti ed avendola provata egli stesso.
Il candidato rediga parere legale motivato sulla vicenda.
81 SOLUZIONE TRACCIA 8
Cassazione penale sez. VI, 19/09/2018, (ud. 19/09/2018, dep. 29/10/2018), n. 49573
Fatto
RITENUTO IN FATTO
1. Con il provvedimento impugnato, il Tribunale del riesame di Milano ha confermato l'ordinanza emessa dal G.i.p. presso il Tribunale di Varese che ha disposto nei confronti di B.M. la misura della custodia cautelare in carcere in relazione al reato di cessione, in concorso con M.F., di una dose di cocaina a C.G., nonchè al reato di cui agli artt. 113 e 586 c.p., perchè, in cooperazione con M., cagionava la morte di C., che avveniva per intossicazione acuta a seguito dell'assunzione della sostanza stupefacente a lui ceduta.
Il compendio indiziario è costituito dal contenuto delle conversazioni intercettate in altro procedimento dalle quali emerge - sulla base della ricostruzione dei fatti effettuata dal Collegio della cautela - che i due erano dediti a una continuativa attività di spaccio di stupefacenti, che avevano la disponibilità anche di sostanza da taglio e che il (OMISSIS) alle ore 21,26 cedevano una dose di cocaina a C.G..
Quest'ultimo decedeva quella stessa notte per "insufficienza cardiaca a seguito di intossicazione acuta da cocaina in soggetto assuntore abituale della predetta sostanza e sofferente di patologie cardiache".
Il Tribunale del riesame si è soffermato anche sulle intercettazioni successive al momento in cui gli indagati erano venuti a conoscenza del decesso di C. e ha dato atto che í predetti inizialmente si incontravano di persona e poi si telefonavano per parlare espressamente del decesso, tenendo una condotta che era finalizzata a non fare ricadere su di loro le responsabilità della morte dell'uomo.
Il Collegio della cautela ha poi richiamato le conversazioni intercorse circa quaranta giorni prima del decesso tra il ricorrente e la fidanzata nel corso delle quali quest'ultima si lamentava con B. del fatto che la droga non era tagliata bene e che, essendo troppo concentrata, "qualcuno poteva farsi male".
2. Avverso l'ordinanza del Tribunale del riesame ricorre per cassazione B., a mezzo del difensore di fiducia, deducendo i seguenti motivi in relazione al reato di cui all'art. 586 c.p.:
2.1. Vizio di motivazione e travisamento della prova circa la pericolosità della sostanza drogante ceduta al de cuius.
L'intercettazione nel corso della quale si parla di cocaina troppo potente da potere "fare scoppiare il cuore" risale a quaranta giorni prima il decesso della vittima. Se veramente si ritiene che B.
avesse un mercato di spaccio assai ampio, è impensabile che i dieci grammi di cui B. e la fidanzata stavano parlando siano rimasti tali per quaranta giorni e infine siano stati ceduti al C..
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2.2. Il mancato utilizzo di una prova decisiva derivante dalle intercettazioni.
Il Tribunale del riesame non ha valorizzato la conversazione nel corso della quale il ricorrente dichiarava che la vittima dopo avere fatto il giro di tutti i bar si era recato nel suo bar e aveva dapprima offerto una dose al correo il quale a sua volta aveva ricambiato offrendogli una dose. La morte di C. potrebbe anche essere stata conseguenza diretta dell'assunzione da parte dello stesso della sostanza già in suo possesso al momento dell'arrivo presso il bar del ricorrente.
La sostanza, qualificata dei giudici del riesame come tossica e tagliata male, non ha creato alcun problema a M. il quale ne aveva fatto medesimo utilizzo.
2.3. Vizio di motivazione e travisamento della prova circa la sussistenza del nesso causale.
La vittima risulta fosse un fumatore, con familiarità positiva per cardiopatia ischemica e soffriva di ipertensione arteriosa oltre a essere assuntore abituale di cocaina. Deve ritenersi verosimile che la morte del C. possa essere conseguenza di un lungo periodo di abuso da parte dello stesso di sostanze stupefacenti in concausalità con uno stato fisico già di per sè alterato.
2.4. Violazione di legge circa la qualificazione giuridica del fatto con conseguente inutilizzabilità delle intercettazioni.
La singola cessione potrebbe essere ricondotta alla sola ipotesi di cui al D.P.R. n. 309 del 1990, art. 73, comma 5, con conseguente inutilizzabilità di tutte le intercettazioni relative ad altri procedimenti stante quanto disposto dall'art. 270 c.p.p..
Diritto
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il ricorso è infondato e deve, conseguentemente, essere rigettato.
2. In generale, giova premettere che l'ordinamento non conferisce alla Corte di Cassazione alcun potere di revisione degli elementi materiali e fattuali delle vicende indagate, ivi compreso lo spessore degli indizi, nè alcun potere di riconsiderazione delle caratteristiche soggettive dell'indagato, ivi compreso l'apprezzamento delle esigenze cautelari e delle misure ritenute adeguate, trattandosi di apprezzamenti rientranti nel compito esclusivo e insindacabile del giudice cui è stata chiesta l'applicazione della misura cautelare, nonchè del tribunale del riesame. Il controllo di legittimità sui punti devoluti è, perciò, circoscritto all'esclusivo esame dell'atto impugnato al fine di verificare che il testo di esso sia rispondente a due requisiti, uno di carattere positivo e l'altro negativo, la cui presenza rende l'atto incensurabile in sede di legittimità: 1) l'esposizione delle ragioni giuridicamente significative che lo hanno determinato; 2) - l'assenza di illogicità evidenti, ossia la congruità delle argomentazioni rispetto al fine giustificativo del provvedimento (Sez. 2, n. 56 del 7/12/2011, Rv. 251760; Sez. 1 n. 1700 del 20.03.1998, Rv 210566; Sez. 6, n. 2146 del 25/05/1995 Rv 201840).
3. Ciò detto, osserva il Collegio come le doglianze sollevate dalla difesa dell'indagato nel primo e nel secondo motivo di doglianza siano tutte versate in fatto e dirette ad accreditare una lettura alternativa della vicenda fattuale oggi in esame, ponendosi pertanto le censure così sollevate dalla
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difesa al di là del perimetro di cognizione del giudizio di legittimità.
3.1. Con riferimento al provvedimento reso dal Tribunale occorre piuttosto verificare l'osservanza della diversa regula iuris secondo la quale, come in ogni giudizio impugnatorio, il giudice del gravame ha l'onere di dare adeguata risposta in ordine a tutte le censure mosse col ricorso, incorrendo altrimenti in un vizio di motivazione rilevabile dinanzi a questa Corte ai sensi dell'art.
606 c.p.p., comma 1, lett. e) (quale "mancanza" di motivazione).
3.2. A tali coordinate ermeneutiche si è perfettamente conformato il Tribunale di Milano, là dove, dopo avere richiamato la motivazione dell'ordinanza del primo giudice, ha comunque dato adeguata ed argomentata risposta ad ogni deduzione difensiva mossa nei ricorsi ex art. 309 c.p.p..
4. Quanto al terzo motivo di ricorso, va premesso che la giurisprudenza di questa Corte, con riferimento al reato di cui all'art. 586 c.p., ha da tempo delineato i parametri a cui ancorare la valutazione della presenza o meno della responsabilità.
Nel rispetto del principio di colpevolezza, escluso che la disposizione configuri una ipotesi di responsabilità oggettiva, si è affermato che "In tema di morte o lesioni come conseguenza di altro delitto, la morte dell'assuntore di sostanza stupefacente è imputabile alla responsabilità del cedente sempre che, oltre al nesso di causalità materiale, sussista la colpa in concreto per violazione di una regola precauzionale (diversa dalla norma che incrimina la condotta di cessione) e con prevedibilità ed evitabilità dell'evento, da valutarsi alla stregua dell'agente modello razionale, tenuto conto delle circostanze del caso concreto conosciute o conoscibili dall'agente reale" (Sez.
U, n. 22676 del 22/01/2009, Ronci, Rv. 243381; Sez. 4, Sentenza n. 8058 del 23/09/2016, dep.
20/02/2017, Malocaj, Rv. 269127; Sez. 3, n. 41462 del 02/10/2012, De Witt, Rv. 253606).
Ritiene il collegio che il Tribunale del riesame, nel caso de quo, abbia fatto buon governo dei principi elaborati in materia.
4.1. Ha osservato il Collegio della cautela che dagli accertamenti tecnici svolti era emerso con certezza che C. era deceduto (la notte del (OMISSIS)) per arresto cardiocircolatorio conseguente all'assunzione di droga poco tempo prima della morte. Nel sangue della vittima sono state trovate tracce di cocaina ed il consulente ha evidenziato che, considerando l'intervallo di tempo trascorso tra il decesso e la determinazione quantitativa delle molecole di cocaina presenti nel campione ematico, è da ritenere che, con ogni verosimiglianza, la concentrazione di cocaina del campione ematico al momento del decesso potesse essere significativamente superiore a quella effettivamente misurata.
Il Collegio della cautela ha riportato anche le considerazioni del consulente, laddove il predetto ha precisato che la tempistica del decesso, ove rapportata all'emivita della cocaina, doveva ritenersi fortemente suggestiva della concentrazione di cocaina e dunque di una intossicazione acuta nettamente superiore a quella misurata in sede analitica.
Correttamente, quindi, il Tribunale del riesame, in applicazione dei principi sopra richiamati, ha ritenuto sussistente il nesso causale tra il decesso di C. e la cessione, solo poche ore prima, di
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cocaina da parte di M. su consenso del B. poichè sulla base delle risultanze acquisite si poteva affermare che l'evento non si sarebbe ugualmente verificato eliminando l'azione dal contesto in cui è stata posta in essere.
Con motivazione strettamente ancorata alle risultanze investigative, il Tribunale del riesame ha ritenuto che l'azione dell'imputato ha innescato un meccanismo potenzialmente idoneo a provocare, alla luce delle concause preesistenti (la patologia cardiologica), il decesso della vittima.
Non risulta, invece, che sul decorso causale che ha condotto all'evento abbiano interferito fattori ulteriori e diversi che, ai sensi dell'art. 41 c.p., comma 2, possano aver determinato in modo autonomo l'evento spezzando il rapporto di causalità con l'azione del colpevole.
4.3. Quanto alla concreta prevedibilità dell'evento, soccorre il principio di diritto sopra ricordato, secondo cui in tema di morte o lesioni come conseguenza di altro delitto, la morte è imputabile alla responsabilità dell'autore della condotta sempre che, oltre al nesso di causalità materiale, sussista la colpa in concreto per violazione di una regola precauzionale (diversa dalla norma che incrimina la condotta delittuosa del reato-base) e con prevedibilità ed evitabilità dell'evento, da valutarsi alla stregua dell'agente modello razionale, tenuto conto delle circostanze del caso concreto conosciute o conoscibili dall'agente reale (Sez. U, n. 22676 del 22/01/2009, Ronci, Rv.
243381).
Come affermato da questa Corte, la responsabilità dell'autore del reato-base deve essere esclusa quando la morte risulti in concreto imprevedibile perchè intervenuta per effetto di fattori non noti o non rappresentabili dall'agente.
Nel caso in esame, come puntualmente evidenziato dal Tribunale, la morte del C.iotti era concretamente prevedibile da parte di B. alla luce di quanto è emerso dalle intercettazioni telefoniche.
Il Tribunale fa, in particolare, riferimento all'intercettazione ambientale tra B. e la G.F. nel corso della quale la seconda, che sta facendo uso di cocaina con l'indagato, esclama "che cazzo di sasso è questa roba...", dopodichè lo rimprovera dicendogli "no, non va bene, troppo no, te lo ho detto, rincala un pò la dose perchè qua qualcuno si fa male... mi scoppia il cuore".
E' vero che i fatti relativi al presente procedimento si verificano un mese dopo ed è ragionevole presumere che quella che venne spacciata a C. non era la stessa sostanza della quale avevano fatto uso B. e la G.F.; ciò posto, però, con motivazione esente da vizi logici rilevabili in questa Sede, il Collegio della cautela ha ritenuto che B. fosse solito rifornirsi sempre dello stesso tipo di droga, che poi provvedeva malamente a tagliare e che quindi fosse ben consapevole del fatto che fosse troppo concentrata.
E' lui stesso, nell'intercettazione sopra richiamata a sostenere "potente è". Ciò significa che era perfettamente consapevole che poteva causare gravi danni a chi la usava.
Il Collegio della cautela ha ritenuto la prevedibilità in concreto della condotta avuto riguardo anche al tenore delle conversazioni e all'atteggiamento tenuto successivamente alla notizia della morte
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della parte offesa da parte di due indagati i quali hanno dimostrato di aver agito nella consapevolezza della potenzialità lesiva della sostanza trattata e ceduta e, venuti a conoscenza della morte del C.iotti, hanno concordato una versione comune circa l'asserita condizione di ubriachezza del predetto (non risultante in sede autoptica) che hanno cercato di diffondere anche presso terzi.
4.4. Le censure del ricorrente si appuntano decisamente sui presupposti fattuali di tale conclusione (la cui sussistenza contesta) piuttosto che sulla tenuta logica e correttezza giuridica del ragionamento sui cui si fonda.
Ritiene, invece, il Collegio che non sia manifestamente illogico trarre dalla dinamica del fatto, dal contesto in cui si è verificato, dalle condizioni di tossicodipendente della vittima, la conclusione della prevedibilità in concreto dell'evento, e cioè che dall'uso della cocaina ceduta a C. dal B., per il tramite del M., potesse derivare la morte del primo.
5. E' inammissibile il quarto motivo di ricorso che censura l'utilizzabilità delle intercettazioni telefoniche effettuate in altro procedimento.
Come correttamente evidenziato nell'ordinanza genetica che si integra con quella impugnata, si tratta di intercettazioni utilizzabili perchè indispensabili all'accertamento di un delitto per il quale è obbligatorio l'arresto in flagranza (e cioè la violazione del D.P.R. n. 309 del 1990, art. 73, comma 1 da parte di B. che ha ceduto il (OMISSIS) a C. la dose di cocaina) e non ricorre l'ipotesi di cui al D.P.R. n. 309 del 1990, art. 73, comma 5 (che non contempla l'arresto obbligatorio in flagranza) in considerazione della costante attività di spaccio posta in essere dagli indagati dimostrativa di una significativa potenzialità offensiva e, dunque, di un elevato pericolo di diffusività della sostanza, inconciliabili con la fattispecie di cui al D.P.R. n. 309 del 1990, art. 73, comma 5 (Sez.
6, n. 14882 del 25/01/2017, Fonzo, Rv. 269457).
6. Il ricorso deve, pertanto, essere rigettato con condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.
PQM P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Manda alla cancelleria per gli adempimenti di cui all'art. 94 disp. att. c.p.p., comma 1 ter.
Così deciso in Roma, il 19 settembre 2018.
Depositato in Cancelleria il 29 ottobre 2018
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9) LA PREVISIONE DELL’EVENTO NELLA COLPA COSCIENTE: ELEMENTI