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ELEMENTO SOGGETTIVO E DISTINZIONE TRA CONCORSO E FAVOREGGIAMENTO

Traccia parere.

Mentre si trovava da sola a casa, Mevia vedeva dalla finestra il sopraggiungere di alcune pattuglie dei Carabinieri. Sapendo che il marito Tizio nascondeva dentro casa delle bustine di sostanze stupefacenti, iniziava a disfarsene, in parte gettandole dentro il water ed in parte dalla finestra.

Entrati nell’appartamento, i Carabinieri, che nel frattempo avevano visto la donna lanciare dalla finestra la sostanza stupefacente, trovavano nel water le altre buste, non ancora espulse nelle condutture.

Perquisendo le altre parti della casa, i militari trovavano un’ingente quantità di denaro nascosta nell’armadio della camera da letto.

Interrogata sul perché del suo atteggiamento, Mevia, che si dichiarava totalmente estranea all’attività di Tizio, riferiva di avere agito per impedire che il marito venisse arrestato.

Preoccupata dalle conseguenze penali della propria azione, Mevia si rivolge al vostro studio legale per ottenere parere legale motivato.

Il candidato, analizzate le differenze tra favoreggiamento e concorso di persone, rediga il richiesto parere.

35 SOLUZIONE TRACCIA 3

Cassazione penale sez. IV, 11/06/2019, (ud. 11/06/2019, dep. 03/07/2019), n. 28890

RITENUTO IN FATTO

1. M.G. e N.G. hanno proposto ricorso, a mezzo del comune difensore di fiducia, avverso la sentenza in epigrafe, con la quale ne è stata confermata l'affermazione di responsabilità per i reati:

a) p. e p. dal D.P.R. n. 309 del 1990, art. 73, comma 1, perchè, in concorso e previo accordo fra loro, senza l'autorizzazione di cui all'art. 17 fuori dalle ipotesi previste dall'art. 75 della stessa legge, illecitamente detenevano a fini di spaccio, occultandole sia all'interno della loro abitazione, sita in (OMISSIS) e sia nel relativo sottoscala della stessa nella loro disponibilità le seguenti sostanze:

- due involucri in cellophane contenti all'interno della sostanza stupefacente del tipo cocaina, nonchè quindici involucri trasparenti in cellophane, contenti all'interno della sostanza stupefacente del tipo cocaina, per un peso complessivo di gr. 6, caratterizzata da un principio attivo del 59,8%

equivalente a 13,5 dosi medie singole;

- un barattolo in vetro contente una busta per congelare alimenti ricolma di sostanza stupefacente vegetale di colore verde del tipo marijuana e n. 2 bustine di plastica trasparente a chiusura termostatica contenti sostanza del tipo marijuana, nonchè una busta per congelare alimenti ricolma di sostanza stupefacente vegetale di colore verde del tipo marijuana, del peso complessivo di gr.

56, caratterizzata da un principio attivo del 12% equivalente a complessive 371 dosi medie singole;

- un bicchiere di plastica contenente a sua volta n. 8 stecche di sostanza stupefacente del tipo hashish, del peso complessivo di gr. 53, caratterizzata da un principio attivo del 12,8% equivalente a 261 dosi medie singole;

sostanze stupefacenti, che, avuto riguardo alle modalità di presentazione confezionamento, unitamente alla disponibilità sia di materiale per la pesatura il confezionamento ed il frazionamento in dosi (bilancino di precisione, n. 12 bustine di plastica di piccole dimensioni a chiusura termostatica per confezionamento, vuote), sia della somma di danaro di Euro 4190,00, nonchè alle circostanze dell'azione, risultavano destinate ad un uso non esclusivamente personale.

In (OMISSIS). Con la recidiva per M.G..

Il GM del Tribunale di Napoli Nord, in primo grado aveva condannato il M. e la N., concesse loro le circostanze attenuanti generiche, riconosciute per il M. con giudizio di prevalenza rispetto alla contestata recidiva, unificati i reati sotto vincolo della continuazione ed applicata la diminuente per il rito, alla pena di anni quattro di reclusione ed Euro 15000,00 di multa ciascuno (ritenuto più grave il reato di detenzione a fine di spaccio di cocaina di cui al D.P.R. n. 309 del 1990, art. 73, comma 1 da una pena base di anni 8 di reclusione ed Euro 30.000 di multa, ridotta ex art. 62 bis c.p. alla pena di anni cinque e mesi quattro di reclusione ed Euro 15.000 di multa, aumentata ex

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art. 81 c.p. ad anni sei di reclusione ed Euro 20.000 di multa per la detenzione a fine di spaccio di hashish e marijuana di cui al D.P.R. n. 309 del 1990, art. 73, comma 4 ridotta come sopra per l'abbreviato condizionato richiesto in prima udienza e rigettato), oltre al pagamento delle spese processuali. Ai sensi dell'art. 29 c.p. il giudice di prime cure aveva anche dichiarato gli imputati interdetti dai pubblici uffici per la durata di anni cinque. E, ai sensi del D.P.R. n. 309 del 1990, art.

87, aveva altresì ordinato la confisca e la distruzione della sostanza stupefacente, nonchè la confisca e distruzione del bilancino di precisione e la confisca del danaro.

2. Il difensore ricorrente deduce i motivi di seguito enunciati nei limiti strettamente necessari per la motivazione, come disposto dall'art. 173 disp. att. c.p.p., comma 1:

- nell'interesse di M.G.:

a. Violazione dell'art. 192 c.p.p. e D.P.R. n. 309 del 1990, art. 73, nonchè manifesta illogicità della motivazione, non avendo i giudici di seconde cure, secondo il ricorrente, motivato adeguatamente in ordine alla ritenuta sussistenza dei presupposti affinchè venisse rilevato la mancanza della prova della attività di spaccio.

I giudici della Corte territoriale avrebbero, con motivazione apparente, superato le doglianze difensive in relazione alla ritenta sussistenza dei presupposti affinchè si ritenesse provato l'uso personale della sostanza stupefacente rinvenuta al prevenuto e caduta in sequestro.

b. Violazione del D.P.R. n. 309 del 1990, art. 73, comma 5 e vizio di motivazione in relazione al mancato riconoscimento dell'ipotesi di reato attenuata non essendo emerso che il ricorrente avesse predisposto una complessa struttura servente l'attività di spaccio.

c. Nullità della sentenza e vizio di motivzione in relazione alla mancata concessione delle circostanze attenuanti generiche ed al contenimento della pena nei minimi edittali.

- nell'interesse di N.G.:

a. Violazione del D.P.R. n. 309 del 1990, art. 73, manifesta illogicità della motivazione, non avendo i giudici di seconde cure, ad avviso del ricorrente, motivato adeguatamente in ordine alla ritenuta sussistenza della prova certa della partecipazione della imputata sia alla detenzione della sostanza stupefacente rinvenuta sia alla attività di spaccio ex D.P.R. n. 309 del 1990, art. 73.

In ricorso si ricorda che, con i motivi di gravame nel merito, in primo luogo, la difesa aveva evidenziato la mancanza di prova, in capo alla N., circa la conoscenza della sostanza detenuta dal marito sia, soprattutto, della volontà di concorrere con questi nella attività di cessione.

Ebbene, ci si duole che la Corte partenopea, con motivazione apparente, avrebbe rilevato la presenza di elementi (l'essersi chiusa in bagno e l'essersi disfatta della sostanza, la non presenza del marito al momento della perquisizione) che, unitamente alla somma di denaro ritrovata ed alla presenza del bilancino, sarebbero anche la prova del concorso nella attività di spaccio. Ma la contraddittorietà della motivazione, intesa quale travisamento degli atti, emergerebbe laddove si consideri che non è rimasto provato con assoluta certezza (attraverso l'esame dei testi di PG) che la N. sapesse dell'ingresso dei c.c. nel proprio appartamento, anzi i dati processuali avrebbero

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dimostrato l'esatto contrario. Ed ancora, nessuna valutazione vi sarebbe stata della dichiarazione confessoria resa sin dall'inizi dal M. che ebbe a riferire che "la sera prima aveva nascosto quei bussolotti dietro il mobiletto del bagno".

- dopo essersi ritirato nella notte - di tal che la asserzione che la N. sapesse perchè sicuramente si occupava della gestione dell'appartamento, sarebbe affermazione illogica e che non terrebbe conto affatto degli elementi emersi nel corso del processo. Quanto alle somme di denaro, poi, si ometterebbe di considerare anche la documentazione versata in atti che ne dimostrerebbe la lecita provenienza.

b. Violazione dell'art. 192 c.p.p., comma 1 e del D.P.R. n. 309 del 1990, art. 73, per erronea applicazione della legge penale e manifesta illogicità della motivazione, non avendo i giudici di seconde cure motivato adeguatamente in ordine alla ritenuta sussistenza della prova certa della partecipazione della imputata alla detenzione anche della sostanza stupefacente rinvenuta all'interno dei locali adibiti a falegnameria e di esclusivo uso del M..

c. Violazione dell'art. 378 c.p., per erronea applicazione della legge penale e manifesta illogicità della motivazione, non avendo i giudici di seconde cure motivato adeguatamente in ordine alla ritenuta insussistenza della diversa ipotesi di reato - favoreggiamento non punibile - in luogo del diverso e più grave delitto di cui al D.P.R. n. 309 del 1990, art. 73.

Il difensore ricorrente opera una premessa in punto teorico, richiamando ampia giurisprudenza di questa Corte di legittimità, circa i criteri di individuazione del concorso nel delitto di cui al D.P.R.

n. 309 del 1990, art. 73, in ipotesi in cui la condotta contestata si sia risoluta in un rapporto di fatto con la sostanza stupefacente instaurato dall'agente, in via del tutto transitoria, per ragioni diverse dall'interesse a detenere, ed in specie allo scopo di aiutare l'autore della condotta detentiva ad eludere le investigazioni dell'Autorità, giungendo alla conclusione che la pratica applicazione dei suesposti criteri al caso in esame, avrebbero rilevato che la carenza di elementi sintomatici di una partecipazione della N. al commercio di sostanza stupefacente.

Ciò in quanto la stessa, rinvenuto lo stupefacente di cui eventualmente sapeva la presenza conoscendo le problematiche del marito, avrebbe provveduto a disfarsene al solo scopo di evitare che l'operazione di polizia conducesse all'accertamento di responsabilità del marito: è infatti certo che la donna avesse chiaramente percepito l'illegalità della situazione in cui versava il marito.

Per il ricorrente, infatti, in base alla ricostruzione dei fatti offerta dalle testimonianze assunte, la N. sarebbe entrata in possesso della sostanza stupefacente in modo del tutto estemporaneo, e senza alcun interesse alla detenzione, nè per proprio nè per conto del marito, come dichiarato dallo stesso.

Si tratterebbe allora di elementi che escluderebbero la riferibilità soggettiva alla N. di una detenzione penalmente rilevante ai sensi del D.P.R. n. 309 del 1990, art. 73. Ricorrerebbero, invece, sia l'elemento materiale della fattispecie di cui all'art. 378 c.p. - ovvero l'agevolazione ad eludere le investigazioni degli inquirenti consistita nel tentare di distruggere la sostanza

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illegalmente posseduta dal marito - che la consapevolezza dell'avvenuta integrazione di un reato da parte del convivente è la volontà di sottrarre costui alle responsabilità penali derivanti dall'accertamento della condotta delittuosa.

d. Nullità della sentenza e vizio motivazionale in relazione al mancato contenimento della pena nei minimi edittali.

Chiede, pertanto, annullarsi la sentenza impugnata.

Diritto

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. I motivi sopra illustrati sono inammissibili. Ciò in quanto, il difensore ricorrente, non senza evocare in larga misura censure in fatto non proponibili in questa sede, si è nella sostanza limitato a riprodurre le stesse questioni già devolute in appello, e da quei giudici puntualmente esaminate e disattese con motivazione del tutto coerente e adeguata, senza in alcun modo sottoporle ad autonoma e argomentata confutazione. Ed è ormai pacifica acquisizione della giurisprudenza di questa Suprema Corte come debba essere ritenuto inammissibile il ricorso per cassazione fondato su motivi che riproducono le medesime ragioni già discusse e ritenute infondate dal giudice del gravame, dovendosi gli stessi considerare non specifici.

La mancanza di specificità del motivo, infatti, va valutata e ritenuta non solo per la sua genericità, intesa come indeterminatezza, ma anche per la mancanza di correlazione tra le ragioni argomentate dalla decisione impugnata e quelle poste a fondamento dell'impugnazione, dal momento che quest'ultima non può ignorare le esplicitazioni del giudice censurato senza cadere nel vizio di aspecificità che conduce, a norma dell'art. 591 c.p.p., comma 1, lett. c), alla inammissibilità della impugnazione (in tal senso Sez. 2, n. 29108 del 15/7/2011, Cannavacciuolo non mass.; conf. Sez.

5, n. 28011 del 15/2/2013, Sammarco, Rv. 255568; Sez. 4, n. 18826 del 9/2/2012, Pezzo, Rv.

253849; Sez. 2, n. 19951 del 15/5/2008, Lo Piccolo, Rv. 240109; Sez. 4, n. 34270 del 3/7/2007, Scicchitano, Rv. 236945; Sez. 1, n. 39598 del 30/9/2004, Burzotta, Rv. 230634; Sez. 4, n. 15497 del 22/2/2002, Palma, Rv. 221693).

E, ancora di recente, questa Corte di legittimità ha ribadito come sia inammissibile il ricorso per cassazione fondato sugli stessi motivi proposti con l'appello e motivatamente respinti in secondo grado, sia per l'insindacabilità delle valutazioni di merito adeguatamente e logicamente motivate, sia per la genericità delle doglianze che, così prospettate, solo apparentemente denunciano un errore logico o giuridico determinato (Sez. 3, n. 44882 del 18/7/2014, Cariolo e altri, Rv. 260608).

2. In ogni caso, i motivi in questione sono manifestamente infondati, in quanto tesi ad ottenere una rilettura degli elementi di prova che non è consentita in questa sede.

Le censure concernenti asserite carenze argomentative sui singoli passaggi della ricostruzione fattuale dell'episodio e dell'attribuzione dello stesso alla persona dell'imputato non sono, infatti, proponibili nel giudizio di legittimità, quando la struttura razionale della decisione sia sorretta, come nella specie, da logico e coerente apparato argomentativo, esteso a tutti gli elementi offerti

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dal processo, e il ricorrente si limiti sostanzialmente a sollecitare la rilettura del quadro probatorio, alla stregua di una diversa ricostruzione del fatto, e, con essa, il riesame nel merito della sentenza impugnata.

Il ricorso, in concreto, non si confronta adeguatamente con la motivazione della sentenza impugnata, che appare logica e congrua, nonchè corretta in punto di diritto, e pertanto immune da vizi di legittimità.

La Corte territoriale aveva già chiaramente confutato, nel provvedimento impugnato tutte le tesi oggi riproposte, ivi compresa quella della detenzione ad uso personale dello stupefacente da parte del M., evidenziando argomentatamente come finalità si evince, invero, univocamente, sia dal dato quantitativo non trascurabile, di stupefacente che dalle complessive modalità della condotta. Già, infatti, il solo dato ponderale, riferito, peraltro a sostanze stupefacenti di diversa tipologia-cocaina, marijuana ed hashish - e l'elevato numero di dosi ricavabili, consente per i giudici di appello di dubitare della destinazione al consumo personale.

Ulteriori elementi indicativi della finalità di spaccio sono state ritenute, poi, le modalità di custodia a e di rinvenimento delle sostanze.

Evidenziano in proposito i giudici del gravame del merito che le modalità di presentazione e confezionamento, unitamente alla disponibilità sia di materiale per la pesatura, il confezionamento ed il frazionamento in dosi (bilancino di precisione, n. 13 bustine di piccole dimensioni a chiusura termostatica per il confezionamento, vuote), sia della somma di denaro di Euro 4190,00, risultano elementi dimostrativi della destinazione ad un uso non esclusivamente personale.

In definitiva, una serie di univoci elementi probatori depone univocamente per la Corte territoriale nel far ritenere certa la destinazione delle sostanze stupefacenti detenute dal M. e dalla N. alla cessione a terzi. Militano, in tal senso, per i giudici del gravame del merito, la diversa tipologia della droga, circostanza dimostrativa della necessità di soddisfare le esigenze di una clientela variegata; le modalità di confezionamento della cocaina, già suddivisa in dosi; la presenza di materiale utilizzato per il confezionamento delle dosi (bilancino di precisione e bustine di platica), rivelatrice dell'attività di spaccio.

A fronte di tali granitici elementi indiziari a nulla rileva, secondo la logica motivazione dei giudici partenopei, che il M. fosse un assuntore abituale di sostanze stupefacenti, posto che tale condizione di per sè non esclude la finalità di spaccio della detenzione; in particolare, risultando del tutto inverosimile che un assuntore, anche di sostanze diverse, acquisti così tanto stupefacente quanto quello caduto in sequestro, dato che le caratteristiche della sostanza si deteriorano con il tempo, oltre al rischio di controllo da parte delle forze dell'ordine.

Infine, la somma di danaro trovata in casa costituisce, per i giudici napoletani, un ulteriore dato sintomatico dell'attività di spaccio.

La Corte territoriale ha già confutato argomentatamente, in proposito, la tesi difensiva oggi riproposta secondo cui la somma costituirebbe il provento dei lavori di falegnameria svolti

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dall'imputato, così come indicato da un teste nel corso del giudizio. Ciò sul rilievo che la genericità della ricostruzione, riferita ai termini dell'accordo stipulato con il M. ed agli importi effettivamente corrisposti per il pagamento dei lavori di falegnameria commissionati, fa ritenere fondatamente, che si tratti di una versione di comodo volta a favorire la versione resa dall'imputato all'udienza di convalida.

La sentenza impugnata, dunque, opera un buon governo della pluriennale giurisprudenza di questa Corte Suprema in materia di possesso di sostanze stupefacenti ad uso non esclusivamente personale.

Questa Corte di legittimità, infatti, ha costantemente affermato - e va qui ribadito- che in tema di sostanze stupefacenti, il solo dato ponderale dello stupefacente rinvenuto - e l'eventuale superamento dei limiti tabellari indicati dal D.P.R. n. 309 del 1990, art. 73 bis, comma 1, lett. a), - non determina alcuna presunzione di destinazione della droga ad un uso non personale, dovendo il giudice valutare globalmente, anche sulla base degli ulteriori parametri normativi, se, assieme al dato quantitativo (che acquista maggiore rilevanza indiziaria al crescere del numero delle dosi ricavabili), le modalità di presentazione e le altre circostanze dell'azione siano tali da escludere una finalità meramente personale della detenzione (cfr. ex multis, Sez. 3, n. 46610 del 9/10/2014, Salaman, Rv. 260991).

Tuttavia, va al contempo riaffermato che il possesso di un quantitativo di droga superiore al limite tabellare previsto dal D.P.R. n. 309 del 1990, art. 73, comma 1 bis, lett. a), se da solo non costituisce prova decisiva dell'effettiva destinazione della sostanza allo spaccio, può comunque legittimamente concorrere a fondare, unitamente ad altri elementi, tale conclusione (così Sez. 6, n.

11025 del 6/3/2013, De Rosa ed altro, rv. 255726, fattispecie in cui la Corte ha rigettato il ricorso avverso la decisione del giudice di merito che aveva ritenuto l'illiceità penale della detenzione dell'equivalente di 27,5 dosi di eroina anche in considerazione della accertata incapacità economica dell'imputato ai fini della costituzione di "scorte" per uso personale; conf. Sez. 6, n.

9723 del 17/1/2013, Serafino, Rv. 254695).

Conclusivamente sul punto, dunque, va ribadito che il considerevole numero di dosi ricavabili, dunque, ben può essere ritenuto un indizio della destinazione della droga ad un uso non esclusivamente personale (cfr. Sez. 3, n. 43496 del 2/10/2012, Romano, Rv. 253607) e, se come nel caso che ci occupa, è accompagnato da altri elementi costituire valida motivazione per escludere l'utilizzo dello stupefacente, in tutto o in parte, ad uso esclusivamente personale.

3. Analogamente, la Corte territoriale, quanto al mancato riconoscimento dell'ipotesi attenuata di cui al D.P.R. n. 309 del 1990, art. 73, comma 5, ha dato conto di avere valutato le circostanze concrete del fatto, con particolare riferimento al fatto che gli imputati venivano trovati in possesso di una scorta consistente di droga - sia di cocaina che hashish e marijuana - in parte occultata nell'abitazione, in parte occultata nel sottoscala, unitamente alla disponibilità sia di materiale per la pesatura, il confezionamento ed il frazionamento in dosi, circostanza che induce a ritenere che

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gli stessi fossero dediti ad un'attività di spaccio in maniera stabile e continuativa e capaci di soddisfare le esigenze di una clientela numerosa. A ciò occorre aggiungere che il quantitativo di stupefacente trovato in possesso degli imputati induce, anche a ritenere, che gli stessi avessero contatti qualificati per l'approvvigionamento all'ingrosso della sostanza stupefacente e percepissero ricavi adeguati a consentire loro di reinvestire some consistenti nell'acquisto di droga da rivendere.

La sentenza de quo, pertanto, appare pienamente conforme al costante dictum di questa Corte di legittimità secondo cui, in tema di stupefacenti, la fattispecie del fatto di lieve entità di cui al D.P.R.

n. 309 del 1990, art. 73, comma 5 - anche all'esito della formulazione normativa introdotta dal D.L. n. 146 del 2013, art. 2 (conv. in L. n. 10 del 2014) e della L. 16 maggio 2014, n. 79 che ha convertito con modificazioni il D.L. 20 marzo 2014, n. 36 - può essere riconosciuta solo nella ipotesi di minima offensività penale della condotta, desumibile sia dal dato qualitativo e quantitativo, sia dagli altri parametri richiamati espressamente dalla disposizione (mezzi, modalità e circostanze dell'azione), con la conseguenza che, ove uno degli indici previsti dalla legge risulti negativamente assorbente, ogni altra considerazione resta priva di incidenza sul giudizio (cfr. ex multis, sez. 3, n. 23945 del 29/4/2015, Xhihani, Rv. 263551, nel giudicare un caso in cui è stata ritenuta legittima l'esclusione dell'attenuante in esame per la protrazione nel tempo dell'attività di spaccio, per i quantitativi di droga acquistati e ceduti, per il possesso della strumentazione necessaria per il confezionamento delle dosi e per l'elevato numero di clienti; conf. Sez. 3, n. 32695 del 27/03/2015, Genco, Rv. 264491, in cui la Corte ha ritenuto ostativo al riconoscimento dell'attenuante la diversità qualitativa delle sostanze detenute per la vendita, indicativa dell'attitudine della condotta a rivolgersi ad un cospicuo e variegato numero di consumatori).

Va anche qui ribadito il dictum di questa Corte di legittimità secondo cui in materia di sostanze stupefacenti, la reiterazione nel tempo di una pluralità di condotte di cessione della droga, pur non precludendo automaticamente al giudice di ravvisare il fatto di lieve entità, entra in considerazione

Va anche qui ribadito il dictum di questa Corte di legittimità secondo cui in materia di sostanze stupefacenti, la reiterazione nel tempo di una pluralità di condotte di cessione della droga, pur non precludendo automaticamente al giudice di ravvisare il fatto di lieve entità, entra in considerazione