e responsabilità degli enti
6. LA COLPA DI ORGANIZZAZIONE
Nella costruzione del modello di responsabilità da reato degli enti, il punto più critico per il legislatore è stato certamente quello concernente l’imputazione sog-gettiva del reato all’ente.
Due erano i profili di criticità da affrontare, peraltro strettamente correlati l’uno all’altro: il primo riguardava la necessità di evitare un’imputazione automa-tica – non fondata, pertanto, quantomeno sulla colpa – suscettibile di assumere i connotati tipici della responsabilità oggettiva; il secondo profilo riguardava la
73 Così, A. Bassi – T. Epidendio, Enti e responsabilità da reato. Accertamento, sanzioni e misure cautelari, Milano, 2006, p. 159.
74 Cfr. G. De Simone, La responsabilità da reato degli enti: natura giuridica e criteri (oggettivi) d’imputazione, cit.
75 Cfr. A. Presutti – A. Bernasconi, Manuale della responsabilità degli enti, cit., p. 71, in cui si fa l’esempio degli informatori medico-scientifici collocati nell’industria farmaceutica e dei rapporti da essi intrattenuti per conto della stessa con i medici del servizio sanitario nazionale.
76 Così, Trib. Milano, (ord.) 27 aprile 2004, Siemens AG, in Foro it., 2004, c. 434 ss.
77 M. M. Scoletta, La responsabilità da reato delle società: principi generali e criteri imputativi nel d.lgs. n. 231/2001, cit., p. 899.
necessità di evitare un conflitto con il principio di cui all’art. 27, comma 1, Cost., in quanto, al di là del nomen juris attribuito alla responsabilità dell’ente, era ben chiaro per il legislatore che non si stesse parlando di una semplice responsabilità amministrativa78.
La soluzione adottata dal legislatore delegato è stata, dunque, quella di ri-chiedere, ai fini della responsabilità dell’ente, che il reato, non solo sia diretta-mente collegabile all’ente dal punto di vista oggettivo, ma che costituisca, altresì, espressione della politica aziendale o, quanto meno, che derivi da una “colpa di organizzazione”.
Il d.lgs. n. 231/2001 incardina, quindi, l’imputazione soggettiva del reato all’ente sul concetto di “colpa di organizzazione”.
La colpa di organizzazione nasce e si sviluppa principalmente per tipizzare i criteri di ascrizione della responsabilità nelle organizzazioni complesse e, dunque, per sopperire alle lacune che caratterizzano le categorie tradizionali della respon-sabilità “umana”79. L’obiettivo assegnato alla nuova categoria è, pertanto, quello di fondare una colpevolezza autonoma dell’ente e distinta da quella della persona fisica autrice dell’illecito.
Fra le obiezioni poste al superamento del dogma “societas delinquere non potest” spiccava quella legata all’incapacità di colpevolezza dell’ente, motivata dall’impos-sibilità di reperire nell’ente una volontà psicologica e, dunque, di muovere ad essa un rimprovero suscettibile di percezione.
Non è apparsa sufficiente ai più nemmeno la ricostruzione della colpevolezza in chiave normativa, presupponendo essa pur sempre la presenza di una persona fisica capace di agire con dolo o con colpa80.
La dottrina europea ha, pertanto, cercato di superare tali obiezioni, emanci-pando la colpevolezza da una dimensione esclusivamente ideologico-moralistica
78 Nella Relazione governativa al d.lgs. 8 giugno 2001, n. 231, cit., p. 18, si legge: «Si è prima ricordato come, in passato, la principale controindicazione all’ingresso di forme di responsabilità penale dell’ente fosse ravvisata nell’art. 27, comma 1, cost., inteso nella sua accezione di principio di colpevo-lezza in senso “psicologico”, e cioè come legame psichico tra fatto ed autore. Si è anche già detto che una rinnovata concezione della colpevolezza in senso normativo(riprovevolezza) consente oggi di adattare co-modamente tale categoria alle realtà collettive. Si aggiunga ora che, rispetto al passato, si sta consolidando unanimità di vedute su un altro aspetto. La Corte Europea dei diritti dell’uomo e la migliore dottrina concordano nel ritenere che le imprescindibili garanzie del diritto penale debbano essere estese anche ad altre forme di diritto sanzionatorio a contenuto punitivo, a prescindere dalle astratte “etichette” giuridi-che giuridi-che il legislatore vi apponga. A ciò l’esigenza, fortemente avvertita, di creare un sistema giuridi-che, per la sua evidente affinità con il diritto penale, di cui condivide la stessa caratterizzazione afflittiva, si dimostri rispettoso dei principi che informano il secondo; primo tra tutti, appunto, la colpevolezza».
79 Cfr. R. Borsari, Diritto penale, creatività e co-disciplinarietà. Banchi di prova dell’esperienza giudiziale, Padova, 2013, p. 269.
80 Cfr. A. Alessandri, Reati d’impresa e modelli sanzionatori, cit., p. 56, secondo il quale anche una concezione di colpevolezza di tipo normativo non prescinde totalmente dalla presenza di elementi psicologici che ne impregnano il concetto.
e, perciò, compatibile solo con l’atteggiamento psicologico manifestato dalla per-sona fisica autrice del reato. Si sono, quindi, tratteggiate le linee di una colpevo-lezza giuridica, incentrata sull’esistenza di una sfera di doveri di un soggetto verso la società, la cui violazione, anche da parte di un soggetto collettivo, consenti-rebbe di formulare un giudizio di disvalore. In tale contesto, verconsenti-rebbe, perciò, sanzionata l’inidoneità dell’apparato societario a prevenire il rischio-reato per un difetto di controllo81.
Tuttavia, è stato correttamente osservato che tale ricostruzione rischia di svi-lire la colpa di organizzazione in un oggettivo criterio formale di legittimazione, aprendo così il campo ad una sorta di colpevolezza in re ipsa, idonea a giustificare
tout court l’imputazione del fatto illecito individuale all’ente82.
Diversa è la definizione di colpa di organizzazione elaborata negli Stati Uniti: poiché il reato è visto come il sintomo di una disorganizzata gestione aziendale, è necessario che l’ente si attivi per promuovere comportamenti rispettosi della legge. In caso contrario, la colpevolezza viene integrata dalla mancata adozione di misure di prevenzione dei reati oppure dall’avere apprestato misure inadeguate. Ma, a differenza della nozione di colpa di organizzazione elaborata dalla dottrina europea, quella statunitense utilizza, come supporto materiale della categoria, i c.d. compliance programs, i quali rappresentano altrettanti criteri di commisura-zione del grado di diligenza organizzativa posta in essere dalla societas83.
Il merito del modello statunitense è, pertanto, proprio quello di incardinare immediatamente in capo all’ente un dovere di organizzazione, il cui mancato adempimento permette di rivolgere un rimprovero, di taglio squisitamente nor-mativo, alla societas, senza che sia necessario correlarlo alla colpevolezza indivi-duale del soggetto che ha agito nell’interesse o a vantaggio dell’ente stesso84.
Agli obblighi di garanzia in capo ai soggetti che operano all’interno delle or-ganizzazioni complesse si affianca, pertanto, un obbligo di organizzazione nei confronti dell’ente, idoneo a fondarne un giudizio di colpa.
Tale ricostruzione ha ricevuto copertura legislativa nel nostro ordinamento mediante il d.lgs. n. 231/2001. Il legislatore italiano, infatti, ha ritenuto di non ascrivere la responsabilità agli enti sulla base del solo rapporto di immedesimazio-ne organica fra la persona fisica autrice del reato e la persona giuridica – peraltro astrattamente idoneo a ricondurre a quest’ultima sia l’attività materiale che
l’at-81 R. Borsari, Diritto penale, creatività e co-disciplinarietà. Banchi di prova dell’esperienza giudi-ziale, cit., p. 270.
82 Così, C.E. Paliero – C. Piergallini, La colpa di organizzazione, in Resp. amm. soc. ed enti, 2006, n. 3, p. 169.
83 C. De Maglie, Sanzioni pecuniarie e tecniche di controllo dell’impresa. Crisi e innovazioni nel diritto penale statunitense, in Riv. it. dir. proc. pen., 1995, p. 88 ss.
teggiamento psicologico del primo – richiedendo, altresì, un rimprovero in ter-mini di colpevolezza distinto rispetto a quella dell’autore del reato-presupposto, individuato nel deficit di organizzazione rispetto a un modello di diligenza esigi-bile dalla persona giuridica nel suo complesso85.
Tale criterio di imputazione – il quale si articola in modo diverso a seconda che rilevino reati commessi da soggetti in posizione apicale oppure da persone sottoposte all’altrui direzione o vigilanza – configura una colpevolezza di tipo normativo, intesa cioè come giudizio di rimproverabilità per l’atteggiamento an-tidoveroso del soggetto che, per la persona giuridica, si può tradurre nel non aver previamente e diligentemente adottato un’organizzazione adeguata86.
La categoria della colpa di organizzazione ha ricevuto un importante ricono-scimento anche da parte della giurisprudenza di legittimità, che ha ritenuto di dover superare le eccezioni di illegittimità costituzionale avanzate in ordine alla presunta configurazione a carico dell’ente di un’inammissibile responsabilità og-gettiva, la quale non sarebbe configurabile «perché il sistema prevede la necessità che
sussista la cosiddetta colpa di organizzazione dell’ente, basata sul non aver predisposto un insieme di accorgimenti preventivi idonei a evitare la commissione di uno dei reati presupposti: è il riscontro di tale deficit organizzativo che, quindi, consente l’imputa-zione all’ente dell’illecito penale realizzato nel suo ambito operativo»87.
Per quanto riguarda la struttura dell’accertamento giudiziale della colpa di organizzazione dell’ente collettivo, l’imputazione soggettiva della responsabilità dell’ente richiede, innanzitutto, che si accerti la violazione di una regola di corret-ta organizzazione e gestione idonea a prevenire la commissione del reato. Occor-rerà, poi, riscontrare anche che il reato verificatosi rappresenti la concretizzazione del rischio che la regola cautelare intendeva contenere e, altresì, che l’adozione di modelli organizzativi corretti avrebbe impedito con ragionevole certezza il veri-ficarsi del reato o, quantomeno, ridotto entro certi limiti accettabili il rischio di commissione. Infatti, posto che l’ente crea, per il fatto stesso di operare, pericoli di realizzazione dei reati, le regole di corretta organizzazione prevenzionistica, per non causare una paralisi dell’operatività aziendale, quasi mai potranno azzerarli
85 Cfr. D. Pulitanò, La responsabilità da reato degli enti: i criteri di imputazione, cit., p. 427. 86 Cfr. R. Borsari, Diritto penale, creatività e co-disciplinarietà. Banchi di prova dell’esperienza giudiziale, cit., p. 274. Della stessa opinione anche Cass., sez. VI, 17 settembre 2009, Cavalieri Ottavia S.p.A e altri, in Cass. pen., 2010, n. 5, p. 1938 ss., la quale ha sostenuto che «in tale concetto di rimprove-rabilità è implicata una forma nuova, normativa, di colpevolezza per omissione organizzativa e gestionale, avendo il legislatore ragionevolmente tratto dalle concrete vicende occorse in questi decenni, in ambito economico e imprenditoriale, la legittima e fondata convinzione della necessità che qualsiasi complesso organizzativo, costituente un ente ai sensi del D.Lgs., art. 1, comma 2, adotti modelli organizzativi e ge-stionali idonei a prevenire la commissione di determinati reati, che l’esperienza ha dimostrato funzionali ad interessi strutturati e consistenti».
e si limiteranno, pertanto, a delimitare la sfera di “rischio consentito” entro cui l’ente può legittimamente svolgere la propria attività88.
7. LA RESPONSABILITÀ DELL’ENTE PER I REATI COMMESSI