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Commento a Eur Erech fr 362 Kann

Nel documento Studi sull'"Eretteo" di Euripide (pagine 63-92)

Come afferma Di Benedetto222, il discorso di Eretteo alτέκνον di fr. 362 Kann. ha

un'importanza chiave se si vuole comprendere “lo spirito che animava Euripide” nella scrittura della nostra tragedia. A prima vista il monologo del sovrano non appare altro che il commiato di un padre dal figlio, un brano di poesia parenetica (cfr.παραινέσαι, v. 3) tradizionale, consistente in una lunga sequenza diγνῶμαι (cfr. γνώμας, v. 3) derivate dalla poesia elegiaca arcaica; ma bisogna andare ben oltre questa lettura superficiale, quale opera, per esempio, Austin223. È innegabile che Euripide riprenda

219 Cfr. Meineke 1849. 220 Vd. p. 31 n. 109. 221 Cfr. Carrara 1977, p. 35. 222 Cfr. Di Benedetto 1968, p. 74. 223 Cfr. Austin 1967, p. 18.

Teognide, Focilide, Solone quando mette in bocca ad Eretteo certi precetti “on public conduct, decision-making, counsel, acquiring wealth, choosing friends and associates, and avoiding sexual hybris and inappropriate political promotions”224, così come non si

può negare che molti di questi consigli trovano la loro matrice nei poemi precettistici arcaici come Le Opere e i Giorni di Esiodo; tuttavia, questo sapere della tradizione acquista luce nuova se inserito, come è opportuno venga inserito, nel contesto politico, sociale ed economico dell'Atene democratica.

Innanzitutto, anche nellaῥῆσις di Eretteo, come in quella di Prassitea, si ritrovano principi propri dell'ideologia periclea225; la prima raccomandazione, infatti, che il re fa

all'erede designato è quella di dare pari diritti a ricchi e poveri (τῷ πλουσίῳ τε τῷ τε μὴ διδοὺς μέρος / ἴσον σεαυτὸν εὐσεβῆ πᾶσιν δίδου, vv. 7-8): si tratta dell'uguaglianza politica che secondo la propaganda periclea garantiva il regime democratico ateniese (cfr. Thuc. 2.37). Di come nellaπόλις di Atene il ricco e il povero fossero uguali parla anche Teseo nell'agone con l'Araldo tebano in Eur. Suppl. 406-408 (δῆμος δ' ἀνάσσει διαδοχαῖσιν ἐν μέρει / ἐνιαυσίαισιν, οὐχὶ τῷ πλούτῳ διδοὺς / τὸ πλεῖστον, ἀλλὰ χὠ πένης ἔχων ἴσον) e 433-434 (γέγραμμένων δὲ τῶν νόμων, ὅ τ' ἀσθενὴς / ὁ πλούσιός τε τὴν δίκην ἴσην ἔχει); Adrasto, poi, nel pronunciare ilλόγος ἐπιτάφιος per i caduti argivi nell'assalto a Tebe (cfr. Eur. Suppl. 860 ss.), loda prima il ricco Capaneo, che, completamente privo di superbia, aveva vissuto all'insegna della moderazione, comportandosi in maniera corretta tanto con i suoi concittadini quanto con i suoi servi, e poi il povero Eteocle, il quale, nonostante la sua misera condizione, non aveva mai accettato soldi dagli amici ed era comunque riuscito ad ottenere molti onori ad Argo. Di Benedetto evidenzia come l'ἰσότης fra i cittadini nelle Supplici sia strettamente connessa al programma politico di Euripide, espresso nei versi 238-245 di quella tragedia, che puntava alla valorizzazione della

224 Cfr. Cropp 1995, p. 181.

225 Cfr. soprattutto Di Benedetto 1968, pp. 76 s.; vd. anche Nagel 1842, p. 90 e Di Benedetto 1971, pp. 151, 155 s.

classe media226: τρεῖς γὰρ πολιτῶν μερίδες: οἳ μὲν ὄλβιοι ἀνωφελεῖς τε πλειόνων τ' ἐρῶσ' ἀεί: οἳ δ' οὐκ ἔχοντες καὶ σπανίζοντες βίου δεινοί, νέμοντες τῷ φθόνῳ πλέον μέρος, ἐς τοὺς ἔχοντας κέντρ' ἀφιᾶσιν κακά, γλώσσαις πονηρῶν προστατῶν φηλούμενοι: τριῶν δὲ μοιρῶν ἡ 'ν μέσῳ σῴζει πόλεις, κόσμον φυλάσσουσ' ὅντιν' ἂν τάξῃ πόλις.227

Questa teoria sembra essere presupposta anche nel fr. 362 Kann. dell'Eretteo, dove Euripide critica sia i ricchi che gli indigenti: se da una parte condanna l'ingordigia dei benestanti, esortando il figlio a non procurarsi ricchezze ingiustamente (ἀδίκως δὲ μὴ κτῶ χρήματ', ἢν βούλῃ πολὺν / χρόνον μελάθροις ἐμμένειν· τὰ γὰρ κακῶς / οἴκους ἐσελθόντ' οὐκ ἔχει σωτηρίαν, vv. 11-13), dall'altra disapprova la vita priva di dignità dei nullatenenti (ἔχειν δὲ πειρῶ· τοῦτο γὰρ τό τ' εὐγενὲς / καὶ τοὺς γάμους δίδωσι τοὺς πρώτους ἔχειν. / ἐν τῷ πένεσθαι δ' ἐστὶν ἥ τ' ἀδοξία, / κἂν ᾖ σοφός τις, ἥ τ' ἀτιμία βίου228, vv. 14-17). La contrapposizione tra ricchezza

giusta e ricchezza ingiusta si ha anche nel fr. 354 Kann. dell'Eretteo:τὰς οὐσίας γὰρ μᾶλλον ἢ τὰς ἁσπαγάς / τιμᾶν δίκαιον· οὔτε γὰρ πλοῦτός ποτε / βέβαιος

226 Cfr. Aristot. Pol. 1295b s. e il capitolo “La teoria della classe media” in Di Benedetto 1971, pp. 193- 211.

227 Parecchi studiosi hanno considerato questo passo un'interpolazione (cfr. soprattutto Parmentier - Grégoire 1950, p. 112 n. 1 e Goossens 1962, pp. 429-430, che ipotizzano l'aggiunta di questi versi dopo gli eventi del 411 a.C.), ma riteniamo con Di Benedetto 1971, pp. 197 s. che non ci siano motivi validi per l'espunzione: Euripide, dopo aver attaccato coloro che, spinti dall'interesse personale e senza preoccuparsi dei concittadini, vogliono la guerra a tutti i costi (cfr. Eur. Suppl. 232-237), indica ora chi, pensando al bene comune, può salvare la πόλις.

228 Fa notare Sonnino 2010, pp. 306 s. che Euripide non distingue la “ ʻbuonaʼ povertà (πενία)” dalla “vergognosa indigenza (πτωχεία)”, come invece fa Aristofane (cfr. Ar. Pl. 548 ss.)

ἄδικος, parole pronunciate molto probabilmente dal re ateniese durante l'agone con l'Araldo tracio229. La riflessione sulla ricchezza, del resto, ha tanta parte nella

produzione euripidea230, e concetti analoghi a quelli del nostro frammento sono espressi

da Euripide in più di un'opera: l'invito alla correttezza e alla misura nella ricerca del benessere, per esempio, si ritrova nel fr. 417 Kann. dell'Ino (κέκτησο δ' ὀρθῶς ἃν ἔχῃς ἄνευ ψόγου, / κἂν σμικρὰ σῴζου, τοὔνδικον σέβουσ' ἀεί, / μὴ δ' ὡς κακὸς ναύκληρος εὖ πράξας ποτὲ / ζητῶν τὰ πλείον', εἶτα πάντ' ἀπώλεσεν) e in Eur. Hel. 900-904 (συγγόνῳ δὲ σῷ / τὴν εὐσέβειαν μὴ προδῷς τὴν σήν ποτε, / χάριτας πονηρὰς κἀδίκους ὠνουμένη. / μισεῖ γὰρ ὁ θεὸς τὴν βίαν, τὰ κτητὰ δὲ / κτᾶσθαι κελεύει πάντας οὐκ ἐς ἁρπαγάς); che la nobiltà dipende dalla ricchezza si afferma anche in Eur. El. 37-38λαμπροὶ γὰρ ἐς γένος γε, χρημάτων δὲ δὴ / πένητες, ἔνθεν ηὑγένει᾿ ἀπόλλυται, Eur. Phoen. 439-442 τὰ χρήματ᾿ ἀνθρώποισι τιμιώτατα, / δύναμίν τε πλείστην τῶν ἐν ἀνθρώποις ἔχει. / ἁγὼ μεθήκω δεῦρο μυρίαν ἄγων / λόγχην· πένης γὰρ οὐδὲν εὐγενὴς ἀνήρ e Eur. Aeolus fr. 22 Kann.τὴν δ᾿ εὐγένειαν πρὸς θεῶν μή μοι λέγε, / ἐν χρήμασιν τόδ᾿ ἐστι; infine, anche in Eur. Thyestes fr. 395 Kann. (πλούτου δ᾿ ἀπορρύεντος ἀσθενεῖς γάμοι. / τὴν μὲν γὰρ εὐγένειαν αἰνοῦσιν βροτοὶ, / μᾶλλον δὲ κηδεύουσι τοῖς εὐδαίμοσιν) si dice che la prosperità economica dà l'opportunità di buoni matrimoni. Il principio secondo cui bisogna rifuggire dalle ricchezze ingiuste, che non hanno durata è tipico della poesia gnomica dell'età arcaica (cfr. in particolare Hes. Op. 320-326 e Theogn. 183-208), così come l'idea che è necessario perseguire il benessere perché dalla povertà deriva il disonore (cfr. per esempio Theogn. 173-182, 649-652, 1115-1118), ma nelle parole di Eretteo si ha il riecheggiamento soprattutto di Sol. fr. 13.7-8 West231 χρήματα δ' ἱμείρω μὲν ἔχειν, ἀδίκως δὲ πεπᾶσθαι / οὐκ

ἐθέλω:

229 Vd. p. 29.

230 Cfr. Di Benedetto 1971, pp. 194-211. 231 Cfr. West 1992.

l'azione politica di Solone poteva […] essere interpretata come quella di un mediatore dello scontro delle varie classi sociali e ciò collimava molto bene con quell'esigenza di equilibrio interno di tipo pericleo che Euripide sentiva fortemente in quegli anni232.

L'epoca di Solone, però, era lontana, e la situazione ad Atene negli anni 20 del V sec. a.C. era molto diversa da quella che si era venuta a creare dopo l'ostracismo di Tucidide di Melesia sotto la guida di Pericle233: siamo ben distanti da quell'immagine diπόλις

unitaria, in cui regna la concordia e l'armonia, che traspare da Medea ed Eraclidi234. La

Guerra del Peloponneso aveva mandato completamente in crisi la concezione periclea dellaπόλις, i cui conflitti interni di natura politica ed economica avevano reso ormai inattuabili la pace e l'equilibrio sociale promossi dallo statista. Tuttavia, Euripide, che già nell'Andromaca aveva preso coscienza della lacerazione interna ad Atene tra ʻradicaliʼ e ʻmoderatiʼ235, cerca, con l'elaborazione della teoria della classe media, di

proporre una soluzione che ponesse fine alle lotte, schierandosi contro quelle frange politiche estreme che secondo lui erano responsabili di averle scatenate. Per comprendere un po' meglio, però, quale fosse questo ceto di mezzo su cui puntava Euripide bisogna arrivare all'Elettra, e in particolare alla figura del contadino tratteggiata nei versi 367-400, nei quali Oreste afferma che gli uomini non vanno giudicati per la ricchezza, la povertà o il valore militare, perché la vera nobiltà (εὐγένεια) di una persona è dettata dalle sue azioni (τοῖς ἤθεσιν, v. 385) : nota Di Benedetto che

Oreste sembra quindi farsi portavoce di una posizione di assoluta imparzialità sia nei riguardi dei ricchi che dei poveri. Tuttavia l'accento batte sulla sottolineatura degli aspetti negativi della ricchezza. Nei vv. 371-72 Oreste indugia a ricordare che in un uomo ricco si può riscontrare mancanza di intelligenza e invece un povero può essere

232 Cfr. Di Benedetto 1971, p. 152. 233 Cfr. Plut. Per. 15.1.

234 Cfr. Di Benedetto 1971, pp. 105 ss. 235 Cfr. Di Benedetto 1971, pp. 124-129.

dotato di grande intelletto. […] E che tutto questo presupponesse un giudizio di carattere politico è dimostrato dai vv. 386-87 dove Oreste proclama che uomini come il contadino dell'Elettra sono in grado di amministrare bene sia la loro casa che la

polis.236

Conferma poi, secondo lo studioso, che Euripide facesse affidamento sui “lavoratori in proprio” come il marito di Elettra per salvare la città si ha nell'Oreste, il cui verso 920 Αὐτουργός, οἵπερ καὶ μόνοι σῴζουσι γῆν richiama il verso 244 delle Supplici Τριῶν δὲ μοιρῶν ἡ 'ν μέσῳ σῴζει πόλεις. “La classe media era quindi per Euripide costituita essenzialmente dai contadini che lavorano il fondo di loro proprietà”237, che

risultano i ʻmiglioriʼ (cfr. Eur. El. 382ἄριστος) per la loro φύσις priva di superbia, intelligente, sincera, coraggiosa, moralmente integra. Esaltare la nobiltà d'animo e non quella di sangue significava ovviamente prendere le distanze dagli aristocratici, portati dall'avidità ad una condotta morale tutt'altro che ineccepibile (cfr. Eur. Erech. fr. 362.11-12 Kann.Ἀδίκως […] / κακῶς), e nell'Elettra abbiamo visto che Euripide insiste sulla critica alla ricchezza. Nell'Eretteo e nelle Supplici, tuttavia, ci si muove più nella direzione antidemocratica dell'Oreste, dove la classe media è contrapposta non ai ceti più benestanti ma ai demagoghi d'estrazione popolare238: “dopo il 425 a.C., vale a

dire dopo Sfacteria, le preoccupazioni politiche di Euripide si polarizzarono intorno al successo di Cleone e dei democratici e di fatto egli veniva ad avere lo stesso obiettivo polemico dei ʻmoderatiʼ ”239. Probabilmente il primo attacco esplicito ai demagoghi da

parte di Euripide si ha nell'Ecuba240, nella cui parodo si parla dell'assemblea degli Achei

tenutasi per decidere la sorte di Polissena; nelle parole del Coro i Teseidi,ὄζω Ἀθηνῶν

236 Cfr. Di Benedetto 1971, pp. 207 s. 237 Cfr. Di Benedetto 1971, p. 208.

238 Cfr. Eur. Or. 902 ss. in cui all'ἀνήρ [...] ἀθυρόγλωσσος (v. 903), ignorante e sobillatore, con probabile allusione al demagogo Cleofonte, viene contrapposto il contadino, persona dimessa esteriormente, ma con doti interiori tali da essere un'ottima guida per la città.

239 Cfr. Di Benedetto 1971, p. 197. 240 Cfr. Di Benedetto 1971, pp. 140 ss.

(v. 123), sono iῥήτορες (v. 124) che con due discorsi diversi giungono alla stessa crudele conclusione della necessità del sacrificio della fanciulla sulla tomba di Achille, e ai loro seguono altri discorsi contrapposti (λόγων κατατεινομένων , v. 130): il riferimento è alle conferenze sofistiche che si tenevano ad Atene nel V secolo, nello specifico alle ʻantilogieʼ, “veri saggi di virtuosismo retorico nei quali l'oratore, facendo ricorso ad artifici logici e dialettici di ogni sorta, si proponeva di rendere persuasivi nella stessa misura una tesi e il suo contrario”241. Ai vv. 131-132, poi, le prigioniere

troiane definiscono Ulisse un “adulatore del popolo”, “astuto”, “imbroglione”, “dalla parola lusingatrice”; Di Benedetto242 pone l'attenzione sul termineδημοχαριστής,

probabilmente un neologismo di Euripide, che descrive un atteggiamento di Ulisse simile a quello degli uomini politici successivi a Pericle, i quali, secondo Tucidide243,

per primeggiare compiacevano il popolo, e lo storico, quando parla del rifiuto nel 425 a.C. della prima ambasceria spartana, definisceδημαγωγὸς Cleone244: il Gomme245

sostiene che il vocabolo veniva usato già allora, come dimostrato da Aristoph. Eq. 191- 193 (ἡ δημαγωγία γὰρ οὐ πρὸς μουσικοῦ / ἔτ' ἐστὶν ἀνδρὸς οὐδὲ χρηστοῦ τοὺς τρόπους, / ἀλλ' εἰς ἀμαθῆ καὶ βδελυρόν), anche se in un'accezione non dispregiativa. Euripide persevera nella caratterizzazione fortemente negativa di Ulisse i n Hec. 254 ss., dove la regina accusa l'eroe di appartenere a una razza di ingrati (Ἀχάριστον...σπέρμ', v. 254), che brama solo gli onori da demagogo (δημηγόρους / ζηλοῦτε τιμάς, vv. 254-255), ingannando anche gli amici, se necessario, pur di fare discorsi graditi alla massa (τοὺς φίλους βλάποντες οὐ φροντίζετε, / ἢν τοῖσι πολλοῖς πρὸς χάριν λέγητέ τι, vv. 256-257). Questa polemica con la demagogia è portata avanti da Euripide anche nelle Supplici, dove

241 Cfr. Albini - Faggi - Bevegni 2007, p. 13. 242 Cfr. Di Benedetto 1971, p. 141.

243 Cfr. Thuc. 2.65.10. 244 Cfr. Thuc. 4.21.3.

la critica contro i ʻdemagoghiʼ è particolarmente aspra e violenta e arriva a mettere in dubbio la capacità stessa del popolo di amministrare la polis. È vero che si tratta di osservazioni attribuite all'araldo tebano, ma è significativo il fatto che Teseo nella sua risposta, mentre difende i principî generali della democrazia e la libertà di parola, non controbatte l'araldo per quel che riguarda la critica ai ʻdemagoghiʼ. La cosa è ancora più sorprendente dal momento che la rhesis dell'araldo dei vv. 409-25 e quella di Teseo dei vv. 426-62 si susseguono secondo lo schema dei dibattiti tragici, secondo il quale gli argomenti di un interlocutore sono si regola controbattuti punto per punto dall'altro.246

Sempre nelle Supplici, poi, nei vv. 726-730, poi, si ha quello che Di Benedetto247

definisce “una specie di appello elettorale”, “un unicum [...] di tutta la tragedia greca”:

τοιόνδε τὸν στρατηγὸν αἱρεῖσθαι χρεών, ὃς ἔν τε τοῖς δεινοῖσίν ἐστιν ἄλκιμος

μισεῖ θ' ὑβριστὴν λαόν, ὃς πράσσων καλῶς ἐς ἄκρα βῆναι κλιμάκων ἐνήλατα

ζητῶν ἀπώλεσ' ὄλβον ᾧ χρῆσθαι παρῆν.

Euripide, esortando alla scelta di uno stratego “che odia la massa tracotante”, ha chiaramente l'intento di attaccare Cleone248, lo stratego di parte popolare che aveva

portato al disastro di Delio, e, come abbiamo già detto249, Treu individua un attacco a

Cleone anche neiπονηροί250 di Eur. Erech. fr. 362.28 Kann. Il termineπονηρός ebbe

come primo significato quello di “toiling, full of labours”, poi fu usato per cose “involving toil or hardship or pain”, dalla seconda metà del quinto secolo venne a

246 Cfr. Di Benedetto 1971, pp. 180 s. 247 Cfr. Di Benedetto 1971, p. 158.

248 Cfr. Parmentier - Grégoire 1950, pp. 97-98; Goossens 1962, pp. 440-442; Di Benedetto 1971, p. 159. 249 Vd. p. 12.

250 Lo stesso termine si ritrova in Eur. Suppl. 424 e stessa connotazione politico/morale ha la parola in Ar. Eq. 186.

significare “bad” ; d aπόνος, πένομαι come propri della “working-class”, principalmente tra il 430 e il 350 a.C.πονηρός venne impiegato in senso sociale e politico in opposizione aκαλὸς κἀγαθός o χρηστός: i πονηροί e i κακοί251 sono gli

appartenenti a ceti umili, le frange più estreme delδῆμος e i loro leaders ovvero i demagoghi, mentre i καλοί κἀγαθοί e i χρηστοί sono gli aristocratici252. Nei vv. 28-31

(καὶ τοὺς πονηροὺς μήποτ' αὔξαν' ἐν πόλει· / κακοὶ γὰρ ἐμπλησθέντες ἢ νομίσματος /ἢ πόλεος ἐμπεσόντες εἰς ἀρχήν τινα /σκιρτῶσιν, ἀδόκητ' εὐτυχησάντων δόμων) del nostro frammento, quindi, si ha “un netto giudizio classista”253, con la ferma condanna dei non-nobili che diventano

improvvisamente ricchi e perdono il senso della misura254.

Il fatto che questo attacco aiπονηροί, vale a dire agli elementi appartenenti ai ceti più bassi che cercavano di prendere in mano il reggimento della polis, costituisca l'ultima delle raccomandazioni messe in bocca ad Eretteo dimostra quanta importanza attribuisse ad esso Euripide.255

Criticare i demagoghi equivale a criticare il cattivo uso dell'eloquenza, e, nel frammento 362 Kann. dell'Eretteo, non manca certo la polemica contro ilλόγος mistificatorio: al v. 20 Euripide impiega sempre la parolaπονηροὺς256 per indicare le persone che parlano

solo per compiacere l'interlocutore (φίλους δὲ τοὺς μὲν μὴ χαλῶντας ἐν λόγοις / κέκτησο· τοὺς δὲ πρὸς χάριν σὺν ἡδονῇ / τῇ σῇ †πονηροὺς† κλῇθρον εἰργέτω

251 Cfr. κακοὶ in Eur. Erech. fr. 362.29 Kann. 252 Cfr. Neil 1901, pp. 206-208.

253 Cfr. Di Benedetto 1968, p. 77.

254 Di Benedetto 1971, p. 151 n. 13 fa notare come questi versi dell'Eretteo richiamino Eur. Suppl. 741- 743ὁ δ' αὖ τότ' εὐτυχής, / λαβὼν πένης ὣς ἀρτίπλουτα χρήματα, / ὕβριζ᾽, ὑβρίζων τ' αὖθις ἀνταπώλετο.

255 Cfr. Di Benedetto 1968, p. 77.

στέγης, vv. 18-20), individui molto diversi, nota Di Benedetto257, da Tideo, per

esempio, di cui si dice nei vv. 902 ss. delle Supplici che “non era brillante nei discorsi” e che puntava ai fatti non alle parole: affiora dunque la critica ai sofisti, evidente in particolare nei vv. 902-903ἐν ἀσπίδι / δεινὸς σοφιστὴς πολλά τ' ἐξευρεῖν σοφά. E in direzione antisofistica si muove anche il discorso di Eretteo nei vv. 9-10 (δυοῖν παρόντοιν πραγμάτοιν πρὸς θάτερον / γνώμην προσάπτων τὴν ἐναντίαν μέθες), in cui Euripide rifiuta la teoria protagorea dei doppi discorsi258: cfr. Prot. A 1

D . - K .καὶ πρῶτος ἔφη (scil. Protagora) δύο λόγους εἶναι περὶ παντὸς πράγματος ἀντικειμένους ἀλλήλοις; riferimento polemico ai due λόγοι contrapposti che secondo Protagora si possono formulare riguardo ad ogniπρᾶγμα si ha anche altrove nelle produzione euripidea: cfr., per esempio, Eur. Ant. fr. 189 Kann. ἐκ παντὸς ἄν τις πράγματος δισσῶν λόγων / ἀγῶνα θεῖτ' ἄν, εἰ λέγειν εἴη

257 Di Benedetto 1968, p. 75

258 In maniera completamente diversa sono stati interpretati questi versi da Treu 1971, pp. 129 s., secondo il quale Euripide sta qui invitando alla concentrazione su un obiettivo strategico alla volta: la polemica dunque sarebbe non con la sofistica ma con laπολυπραγμοσύνη ateniese, che Ehrenberg 1947, p. 46 prova a tradurre con ʻbusybodiednessʼ. Un'ampia descrizione di questa peculiarità degli Ateniesi viene fatta da Thuc. 1.70, che conclude con quella che in Gomme-Andrewes-Dover HCT, I, p. 232 è indicata come “the true definition of theπολυπράγμων, whether individual or State”: ὥστε εἴ τις αὐτοὺς [scil. gli Ateniesi] ξυνελὼν φαίη πεφυκέναι ἐπὶ τῷ μήτε αὐτοὺς ἔχειν ἡσυχίαν μήτε τοὺς ἄλλους ἀνθρώπους ἐᾶν, ὀρθῶς ἂν εἴποι; la πολυπραγμοσύνη quindi è concetto antitetico all'ἡσυχία ed è sostanzialmente lo “spirito d'iniziativa” (cfr. Di Benedetto 1971, p. 112) che porta gli Ateniesi a impegnarsi strenuamente, affrontando fatiche e pericoli, per avere sempre di più (cfr., in particolare Thuc. 1.70.8καὶ ταῦτα μετὰ πόνων πάντα καὶ κινδύνων δι' ὅλου τοῦ αἰῶνος μοχθοῦσι, καὶ ἀπολαύουσιν ἐλάχιστα τῶν ὑπαρχόντων διὰ τὸ αἰεὶ κτᾶσθαι καὶ μήτε ἑορτὴν ἄλλο τι ἡγεῖσθαι ἢ τὸ τὰ δέοντα πρᾶξαι ξυμφοράν τε οὐχ ἧσσον ἡσυχίαν ἀπράγμονα ἢ ἀσχολίαν ἐπίπονον). Tale attivismo, oltre che nel campo personale e privato, può trovare applicazione anche sul piano pubblico e politico: da qui la connessione con l'imperialismo di Atene, e, in tal senso, la πολυπραγμοσύνη è una caratteristica ʻdemocraticaʼ. Euripide fa riferimento più di una volta alla πολυπραγμοσύνη: cfr. per esempio Eur. Suppl. 576-577 (Κῆρυξ) πράσσειν σὺ πόλλ' εἴωθας ἥ τε σὴ πόλις. / (Θησεύς) τοιγὰρ πονοῦσα πολλὰ πόλλ' εὐδαιμονεῖ. Nello stesso Eretteo si veda il desiderio di ἡσυχία nell'ʻinno alla paceʼ di fr. 369 Kann. Tuttavia, l'interpretazione di Treu di Eur. Erech. fr. 362.9-10 Kann. non sembra condivisibile in quanto “is not consistent with the idea of an opposite

σοφός e Eur. Suppl. 486-487 καίτοι δυοῖν γε πάντες ἄνθρωποι λόγοιν / τὸν κρείσσον' ἴσμεν, καὶ τὰ χρηστὰ καὶ κακά. In Euripide, fa notare Di Benedetto259,

già nell'Ippolito I260 si trova la contrapposizione traτὰ πράγματα e il λέγειν , e si

accusano le “agili bocche” (εὐτρόχοισι στόμασι) di nascondere (κλέπτουσι) la verità, con il conseguente trionfo della δόξα sull'ἀλήθεια (cfr. ὥστε μὴ δοκεῖν ἃ χρὴ δοκεῖν, v. 4): il tragediografo dunque rigetta il relativismo protagoreo261, affermando

l'esistenza di una realtà oggettiva. Per Euripide ci sono cose buone e cose cattive e il discorso è migliore o peggiore per il suo contenuto, a seconda che esprima le prime o le seconde; per Protagora, invece, si hanno discorsi più forti e più deboli in base alle loro qualità formali e retoriche e al loro grado di capacità persuasiva. Proprio in quanto strumento retorico di persuasione ilλόγος permette, secondo la concezione sofistica, di modificare la realtà: un oratore che parla all'assemblea può, tramite discorsi convincenti, influenzare l'opinione dei cittadini, spingendoli a determinate scelte, incidendo così sul corso degli eventi. La parola acquista dunque potere politico, e, a partire dall'Ecuba, la critica euripidea alλόγος ha carattere prettamente politico, con la condanna della demagogia di cui abbiamo parlato supra. Nel frammento dell'Eretteo che stiamo analizzando i versi 18 ss. sicuramente hanno una sfumatura politica, dato il riferimento che abbiamo visto aiπονηροί, ma ci si muove anche sul piano morale: il re ateniese insegna al figlio come è giusto comportarsi e quali frequentazioni è bene avere. Vediamo più da vicino i versi. Eretteo indica come buoni amici τοὺς [...] μὴ χαλῶντας ἐν λόγοις (v. 18), ovvero le persone non accondiscendenti: il verbo χαλάω, che letteralmente significa ʻallentareʼ262, è qui impiegato nel significato metaforico di

ʻcedereʼ, ʻessere arrendevoleʼ263; come sostiene Sonnino264, la raccomandazione è quella

259 Di Benedetto 1971, pp. 83 ss. 260 Cfr. fr. 439 N2.

261 Per il pensiero di Protagora cfr. Plat. Theaet. 166a.2 ss. 262 Cfr. LSJ s. v. χαλάω, A I.

263 Cfr. LSJ s. v. χαλάω, II 2. 264 Sonnino 2010, p. 307.

di tenere alla larga i ruffiani, i “panderers”265, non i chiacchieroni in generale, come

invece suggerisce la traduzione di Carrara “[coloro] che non sciolgono la briglia al parlare”266. Del resto, a “quelli che non cedono nei discorsi” vengono contrapposti (si

notino le particelleμὲν […] / δὲ, vv. 18-19) proprio τοὺς δὲ πρὸς χάριν σὺν ἡδονῇ / τῇ σῇ †πονηροὺς† (vv. 19-20), vale a dire gli adulatori. Si tratta del passo del frammento 362 Kann. forse più problematico dal punto di vita testuale: a creare difficoltà è l'aggettivoπονηροὺς, probabilmente, come ipotizza Kannicht, all'origine una glossa, finita per sbaglio nel testo; da qui le numerose e variegate congetture da parte degli studiosi:λαλοῦντας Matthiae, λέγοντας van Herwerden, φλυάρους Maehly, λαλήθρους Busche, (τὴν σὴν) ὀκνήρους Collard, πονοῦντας Ferrari. Noi non ci siamo sentiti di accogliere nessuno di questi emendamenti, ma abbiamo preferito mantenere ilπονηροὺς della tradizione tra cruces, differentemente da quanto fanno Carrara267, Collard - Cropp268 e Sonnino269 per i quali il testo è sano; suggestiva la teoria

di Sonnino che alτοὺς δὲ del v. 19 sia da sottintendere il participio χαλῶντας del verso precedente, con il gioco di parole traχαλάω, ʻdisserrare le porteʼ270 eκλῇθρον

ʻchiavistelloʼ. I consigli di Eretteo al figlio riguardo alle persone da frequentare continuano con l'invito a ricercare la compagnia degli anziani (ὁμιλίας δὲ τὰς γεραιτέρων φίλει, v. 21), che l'esperienza ha reso sapienti (cfr. Eur. Beller. fr. 291 Kann.ὦ παῖ, νέων τοι δρᾶν μὲν ἔντονοι χέρες, / γνῶμαι δ᾿ ἀμείνους εἰσὶ τῶν γεραιτέρων· / ὁ γὰρ χρόνος δίδαγμα ποικιλώτατον); questo discorso ha a che fare con la linea antibellicista seguita da Euripide, come dimostra il confronto con le Supplici: in Eur. Suppl. 160 (νέων γὰρ ἀνδρῶν θόρυβος ἐξέπλησσέ με) Adrasto

265 Cfr. Cropp 1995, p. 182.

266 Cfr. Carrara 1977, p. 73. Interpretazione del verso analoga a quella di Carrara sembra dare anche Di Benedetto (cfr. Di Benedetto 1968, p. 75 e Di Benedetto 1971, p. 155).

267 Cfr. Carrara 1977, pp. 50, 73. 268 Cfr. Collard-Cropp 2008, p. 382. 269 Cfr. Sonnino 2010, p. 194 270 Cfr. LSJ s. v. χαλάω, I 5.

accusa i giovani di averlo spinto allo scontro con Tebe, e Teseo condanna i giovani che per brama di potere e sete di denaro erano stati favorevoli a quella guerra nei versi 232- 237 νέοις παραχθείς, οἵτινες τιμώμενοι χαίρουσι πολέμους τ' αὐξάνουσ' ἄνευ δίκης, φθείροντες ἀστούς, ὁ μὲν ὅπως στρατηλατῇ, ὁ δ' ὡς ὑβρίζῃ δύναμιν ἐς χεῖρας λαβών, ἄλλος δὲ κέρδους οὕνεκ᾽, οὐκ ἀποσκοπῶν τὸ πλῆθος εἴ τι βλάπτεται πάσχον τάδε.

Nota Di Benedetto271 che Tucidide 2.8.1 connette la Guerra del Peloponneso con la

numerosa gioventù, e lo storico in 6.13.1 critica il giovane Nicia e i giovani che gli siedono accanto nell'assemblea, alla cui audacia mossa da avidità viene contrapposta la giusta prudenza degli anziani. Tornando al nostro frammento, se è consigliata laφιλία con iγεραίτεροι (v. 21), è invece raccomandato il μῖσος per le compagnie simposiali all'insegna dei “comportamenti intemperanti” (ἀκόλαστ<α δ'> ἤθη λαμπρὰ συγγελᾶν μόνον / μίσει, v. 22): fa notare Sonnino272 che nell'Oreste Euripide definisce

ἀκόλαστον la γλῶσσαν di Tantalo a banchetto con gli dei, per cui gli atteggiamenti che Eretteo sta qui condannando sono quelli di chi non tiene a freno la lingua e fa battute sconvenienti solo per far divertire la comitiva; il verbo συγγελάω, infatti, indica il ʻridere insiemeʼ (σύν + γελάω) e rimanda al contesto del simposio (cfr. Callim. Ep. 35.2 Pfeiffer273). Il tema della misura nel parlare è tipico della precettistica tradizionale

(cfr., per esempio, Isocr. Ad Demon. 15) ed è più volte ripreso da Euripide, che esprime l'odio per iγελοίους nel frammento 492 Kann. della Μελανίππη δεσμῶτις ed esalta il parlare garbato di Capaneo in Suppl. 869-871εὐπροσήγορον στόμα, / ἄκραντον

271 Cfr. Di Benedetto 1971, p. 165. 272 Cfr. Sonnino 2010, p. 309. 273 Cfr. Pfeiffer 1921.

οὐδὲν οὔτ' ἐς οἰκέτας ἔχων / οὔτ' ἐς πολίτας. Nelle raccomandazioni che Eretteo fa alτέκνον nei vv. 24-31 del frammento 362 Kann. il piano etico si interseca ancora con quello politico; dalle parole del sovrano ateniese, infatti, traspare nuovamente la teoria della classe media: alla condanna del comportamento amorale degli aristocratici (ἐξουσίᾳ δὲ μήποτ' ἐντρυφῶν, τέκνον, / αἰσχροὺς ἔρωτας δημοτῶν διωκάθειν. / ὃ καὶ σίδηρον ἀγχόνας τ' ἐφέλκεται274, / χρηστῶν πενήτων ἤν τις αἰσχύνῃ

τέκνα, vv. 24-27) segue la critica della disonestà dei demagoghi d'estrazione popolare (καὶ τοὺς πονηροὺς μήποτ' αὔξαν' ἐν πόλει· / κακοὶ γὰρ ἐμπλησθέντες ἢ νομίσματος /ἢ πόλεος ἐμπεσόντες εἰς ἀρχήν τινα / σκιρτῶσιν, ἀδόκητ' εὐτυχησάντων δόμων, vv. 28-31). Nota Di Benedetto275 che laῥῆσις di

Eretteo continua ad avere una certa affinità con ilλόγος ἐπιτάφιος di Adrasto nelle Supplici; infatti, il monito dei vv. 24-27 “a non abusare delle proprie ricchezze e a non cercare amori illeciti corrisponde certo ad un atteggiamento moralistico e antiedonistico che Euripide rivela in altre tragedie, ma trova anche dei precisi punti di riferimento nelle lodi che Adrasto fa di Capaneo e di Partenopeo”: in Eur. Suppl. 861 ss. il re di Argo dice che Capaneo, nonostante le molte ricchezze, era una persona senza superbia e

Nel documento Studi sull'"Eretteo" di Euripide (pagine 63-92)

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