Le tre argomentazioni individuate nellaῥῆσις di Prassitea (vv. 5-37) sono topoi dei λόγοι ἐπιτάφιοι, le orazioni funebri pronunciate pubblicamente ad Atene per commemorare i soldati caduti in difesa della patria. Tra l'altro, nell'Eretteo Euripide sceglie di drammatizzare non un mito panellenico ma un episodio della saga attica, e tali leggende locali negli anni della Guerra del Peloponneso era costume rievocarle proprio nei λόγοι ἐπιτάφιοι118.
117 Cfr. Carrara 1977, p. 32. 118 Cfr. Sonnino 2010, pp. 36 ss.
1.2.1 Prima argomentazione
È tipico dell'ἔπαινος119, ampia sezione dei discorsi funebri incentrata sull'elogio
delle imprese degli antenati dei caduti, il richiamo all'autoctonia degli Ateniesi: cfr. Thuc. 2.36.1, Lys. Epitaph. 17, Plat. Menex. 237b-239a, Hyper. Epitaph. 7, Dem. Epitaph. 4-5.
Prassitea afferma che laπόλις ateniese è la “migliore” (βελτίω, v. 6) per l'origine autoctona dei suoi abitanti:αὐτόχθονες δ’ ἔφυμεν (v. 8). La parola αὐτόχθων significa “nato dal suolo (χθών) stesso (αὐτός) della patria”120 e, come già detto in
precedenza121, Euripide, nella sua gestione politica del mito, sceglie come protagonista
della guerra contro i Traci di Eumolpo quello che per gli Ateniesi è l'eroe autoctono per eccellenza, Eretteo, il re progenitore nato appunto dalla terra attica, la cui origine ctonia è insita nel nome: già Nagel122 assegna a ʻErittonio/Eretteoʼ il significato di
αὐτοχθονία, Ermatinger123 poi sottolinea come χθών sia elemento comune di
αὐτόχθονες e Ἐριχθόνιος ovvero Ἐρεχθεύς. Il concetto di autoctonia aveva un'importanza capitale nell'ideologia ateniese del V secolo a.C. “Autochthony offered a number of advantages”, scrive Hall124: 1. “the ʻethnically pureʼ Athenians” si
119 Cfr. Ziolkowski 1981, pp. 74-137.
120 Cfr. Loraux 1998, p. 23. Vd. anche LSJ s. v.αὐτόχθων: “sprung from the land itself”; ThLG s. v. Αὐτόχθων: “Ex ipsa terra ortus, Ex ipsa tellureoriundus”. Diverso è il parere di Rosivach 1987, pp. 294- 306: “structurally the word does not mean ʻborn from the earthʼ ” ma “probably ʻalways living in the same landʼ ” (e di questa stessa opinione è anche Hall 1997, p. 54); per cui, alla visione, per noi più condivisibile, di Loraux 1998, pp. 42-47, secondo la quale il significato originario diαὐτόχθων come “nato dalla stessa terra” fu successivamente razionalizzato dagli storici nel concetto dell'“occupazione permanente del loro suolo” da parte degli Ateniesi, si contrappone quella di Rosivach, che afferma che quello che all'origine era “vissuto da sempre nella stessa terra” si tramutò in “nato dalla terra” perché influirono sul modo di intendere il termine “the chthonic origins of Erechtheus as ʻancestorʼ of the Athenians”.
121 Vd. pp. 22 ss.
122 Cfr. Nagel 1842, p. 13. 123 Cfr. Ermatinger 1897. 124 Cfr. Hall 1997, pp. 54 s.
distinguono da tutti quei popoli che, “even if nominally Greek”, sono “ ʻbarbarianʼ by nature” perché discendono “da antenati come Pelope, Cadmo, Egitto o Danao”; 2. avendo avuto origine, “tramite Eretteo”, dalla “life-nourishing earth”, gli Ateniesi incarnano un ideale “di uguaglianza in cui l'esistenza sociale deriva dallo stesso identico territorio piuttosto che da distinti progenitori umani”; 3. “gli Ateniesi potevano immaginare se stessi come particolarmente amati dagli dei, poiché l'infante Eretteo era stato affidato alla tutela di Atena ed Efesto”. Il motivo dell'autoctonia è dunque impiegato per affermare la superiorità del popolo ateniese, giustificando così il ruolo egemonico assunto da Atene nell'ambito della Lega delio-attica. In quest'ottica si arriva a comprendere a pieno l'importanza degli Ateniesi come “τὴν [...] χώραν οἱ αὐτοὶ αἰεὶ οἰκοῦντες”125: come nota Rosivach126, abitare da sempre la stessa terra “può significare
che una polis è così antica che nessuno sa come o quando è stata fondata”, e in virtù di questa antichità risulta “automaticamente [...] migliore in una società che rispetta l'età”; inoltre, “mentre gli altri popoli stavano ancora vagando da un posto all'altro gli Ateniesi iniziarono, per così dire, dall'essere sistemati, e poterono perciò cominciare il processo di civilizzazione prima degli altri”. Di movimenti di popolazioni parla anche Prassitea, puntando molto sulla contrapposizione (si noti l'impiego delle particelleμὲν...δὲ) tra Atene da una parte eαἱ [...] ἄλλαι πόλεις (v. 8) dall'altra: contrariamente agli Ateniesi che nacquero autoctoni, le altre cittàπεσσῶν ὁμοίαις διαφοραῖς ἐκτισμέναι / ἄλλαι παρ’ ἄλλων εἰσὶν εἰσαγώγιμοι (vv. 9-10) e hanno perciò un λεὼς [...] ἐπακτὸς ἄλλοθεν (v. 7). Il termine ἐπακτός sta p e r “brought in from abroad, imported”127 e solitamente trova, come in questo caso, il proprio opposto in
αὐτόχθων128; inoltre, come evidenzia Sonnino129, “nel lessico giuridico attico posteriore
alla legislazione periclea del 451 a. C […]ἐπακτός è usato per qualificare gli stranieri
125 Cfr. Thuc. 2.36.1.
126 Cfr. Rosivach 1987, p. 302. 127 Cfr. LSJ s. v. ἐπακτὸς.
128 Cfr. Rosivach 1987, p. 301; Loraux 1998, pp. 93 ss. 129 Cfr. Sonnino 2010, p. 258.
sposati a cittadini di Atene” (per esempio, in Eur. Ion. 592 è definito così Xuto). Sinonimo diἐπακτός è l'aggettivo εἰσαγώγιμος: esso rimanda a εἰσάγειν, verbo tecnico del gioco da tavolo con iπεσσοί130 che descrive la mossa di “spingere una
pedina nel territorio dell'avversario”131; Prassitea dunque afferma che i popoli non
autoctoni, così come le pedine da gioco, sono “introdotti” da fuori in territori non loro. Allude allo spostamento delle pedine sul tavolo da gioco anche il termineδιαφοραῖς ovvero “moving hither and thither”132. Tali peregrinazioni hanno portato le altreπόλεις
ad avere delle popolazioni “ethnically mixed”, con “random assemblies of strangers who fit together poorly”133, ἁρμὸς πονηρὸς ὥσπερ ἐν ξύλῳ παγείς dice Prassitea al
verso 12. La regina chiude il discorso sull'autoctonia affermando che “chi popola una città provenendo da un'altra città” (ὅστις δ’ ἀπ’ ἄλλης πόλεος οἰκίζει πόλιν, v. 11) “è cittadino a parole, non nei fatti” (λόγῳ πολίτης ἐστί, τοῖς δ’ ἔργοισιν οὔ, v. 13): Ogden134 fa notare che questo stesso concetto si ritroverà in Eur. Ion. 673-675καθαρὰν
γὰρ ἤν τις ἐς πόλιν πέσῃ ξένος, / κἂν τοῖς λόγοισιν ἀστὸς ᾖ, τό γε στόμα / δοῦλον πέπαται κοὐκ ἔχει παρρησίαν, dove il protagonista esprime i propri timori riguardo alla vita che per lui si prospetta da “straniero” nella “pura” Atene. Alla fine dell'omonima tragedia, tuttavia, Ione scopre da Atena di essere figlio, come abbiamo già detto135, di Creusa ed Apollo, e dunque legittimo erede al trono ateniese; la dea
preannuncia anche che da Ione avrà origine la stirpe che sarà detta appunto ʻionicaʼ, mentre dai suoi fratellastri, ovvero i figli di Creusa e Xuto, nasceranno rispettivamente i Dori da Doro e gli Achei da Acheo: è chiaro qui l'intento da parte di Euripide di denigrare gli Spartani, discendenti, a differenza degli Ateniesi, da un mortale e per di più straniero, operando quello che Hall dice “a conscious act of propaganda which
130 Per un approfondimento sulle caratteristiche di tale passatempo cfr. Sonnino 2010, pp. 260 ss. 131 Cfr. Becq de Fouquières 1869, p. 400.
132 Cfr. LSJ s. v. διαφορά. 133 Cfr. Rosivach 1987, p. 302. 134 Cfr. Ogden 1996, p. 171. 135 Vd. p. 23 n. 74.
reflects the antagonistic relationship between Athens and Sparta in the closing stages of the Peloponnesian War”136. Dunque, “Lo sviluppo dell'arte tragica euripidea non si
intende senza la storia della guerra del Peloponneso”137, quando più che mai era
necessario esaltare gli Ateniesi e la loroἰσογονία, cui corrisponde l'ἰσονομία: essendo nati e avendo vissuto all'insegna dell'uguaglianza e della libertà, hanno giustamente ritenuto loro dovereὑπὲρ τῆς ἐλευθερίας καὶ Ἕλλησιν ὑπὲρ Ἑλλήνων μάχεσθαι καὶ βαρβάροις ὑπὲρ ἁπάντων Ἑλλήνων138.
1.2.2 Seconda argomentazione
La seconda argomentazione che Prassitea impiega per convincere il marito a sacrificare la figlia si rifà ad uno dei luoghi comuni della παραμυθία139, la parte del
λόγος ἐπιτάφιος in cui l'oratore consolava i parenti dei caduti: si tratta dell'idea che i figli si generano per servire la patria, per salvaguardare la sicurezza e la floridità della πόλις (cfr. in particolare Thuc. 2.44.3 e Lys. Epitaph. 70). La regina inizia proprio con il chiarire lo scopo della generazione dei figli, ossia la difesa degli altari degli dei e della patria (τέκνα τοῦδ’ ἕκατι τίκτομεν, / ὡς θεῶν τε βωμοὺς πατρίδα τε ῥυώμεθα, vv. 14-15): Di Benedetto140 nota che questa tematica si ritrova anche in Aesch. Pers.
402-405ὦ παῖδες Ἑλλήνων ἴτε / ἐλευθεροῦτε πατρίδ', ἐλευθεροῦτε δὲ / παῖδας, γυναῖκας θεῶν τε πατρῴων ἕδη / θήκας τε προγόνων; in Thuc. 7.69.2, poi, viene raccontato che Nicia esortava i soldati menzionandoγυναῖκας καὶ παῖδας καὶ θεοὺς πατρῴους: lo storico dunque conosce i versi eschilei, e definisce
136 Cfr. Hall 1997, p. 56.
137 Cfr. Di Benedetto 1971, p. 105. 138 Cfr. Plat. Menex. 239a-b.
139 Cfr. Ziolkowski 1981, pp. 138-163. 140 Cfr. Di Benedetto 1971, p. 146 n. 6.
ἀρχαιολογεῖν tale modo di incitare, il che dimostra secondo Di Benedetto che “da Salamina alla guerra di Sicilia si era dovuto avere un progressivo logoramento di queste formule di esortazione”. Bisogna aggiungere che anche nei Sette a Tebe di Eschilo (vv. 14 ss.) si parla diπόλει τ' ἀρήγειν καὶ θεῶν ἐγχωρίων / βωμοῖσι, τιμὰς μὴ 'ξαλειφθῆναί ποτε· / τέκνοις τε, Γῇ τε μητρί, φιλτάτῃ τροφῷ·; come evidenzia Sonnino141, non è un caso che qui la difesa della patria sia vista come atto dovuto alla
“terra-madre, carissima nutrice”: così come gli Ateniesi, discendenti da Eretteo, i Tebani, per la discendenza dagli Sparti142, erano, secondo il mito, nati dalla terra.
Prassitea passa quindi ad esporre il principio secondo cui nella πόλις, intesa come organismo unitario, il bene della maggioranza conta di più di quello del singolo. La sovrana afferma che la città è una sola, anche se gli abitanti sono molti (πόλεως δ’ἁπάσης τοὔνομ’ ἕν, πολλοὶ δέ νιν / ναίουσι, vv. 16-17): quello dell'unità della πόλις, entità complessivamente armonica nonostante la molteplicità delle sue singole parti, è un concetto chiave dei due discorsi che Tucidide mette in bocca a Pericle nel secondo libro143; in particolare, in Thuc. 2.60.2144-4 lo statista sostiene che la prosperità
della città è da preferire a quella del singolo cittadino perché, se lo stato perisce, va in rovina anche il singolo individuo, mentre uno stato fiorente offre opportunità di salvezza al cittadino sventurato: οὖνπόλις μὲν τὰς ἰδίας ξυμφορὰς οἵα τε φέρειν, εἷς δ' ἕκαστος τὰς ἐκείνης ἀδύνατος, e Prassitea dice proprio che “la casa di uno solo caduta in disgrazia non conta di più di un'intera città [caduta in disgrazia] né è uguale [a un'intera città caduta in disgrazia]” (οὑνὸς οἶκος οὐ πλέον σθένει / πταίσας ἁπάσης πόλεος οὐδ’ ἴσον φέρει, vv. 20-21), ribadendo poi ai vv. 39-40
141 Cfr. Sonnino 2010, p. 266.
142 GliΣπαρτοί ovvero ʻ[uomini] seminatiʼ (da σπείρω = ʻseminareʼ) erano gli uomini armati nati, secondo la leggenda, dai denti di drago seminati nella terra da Cadmo: cfr. Pind. I . 1.30, 7.10; Aesch.
Sept. 474 al.; Eur. Phoen. 939-940, Eur. Bacch. 1274; Hellan. FGrHist 4 F 1ab; Ps.-Apollod. Bibl. 3.23;
ecc.
143 Cfr. Di Benedetto 1971, pp. 113 s., 146.
144 Gomme-Andrewes-Dover HCT, II, p. 167 nel commentare questo passo rimanda a Soph. Ant. 178- 191.
che, una volta presa la città, non avranno senso nemmeno i figli (εἰ γὰρ αἱρεθήσεται / πόλις, τί παίδων τῶν ἐμῶν μέτεστί μοι;). Sempre per il concetto che la prosperità del singolo cittadino debba essere subordinata a quella dello stato, opportuni appaiono i rimandi di Cropp145 a Soph. Ant. 189-190ἥδ' ἐστὶν ἡ σῴζουσα καὶ ταύτης ἔπι /
πλέοντες ὀρθῆς τοὺς φίλους ποιούμεθα e Xen. Mem. 3.7.9 καὶ μὴ ἀμέλει τῶν τῆς πόλεως, εἴ τι δυνατόν ἐστι διὰ σὲ βέλτιον ἔχειν· τούτων γὰρ καλῶς ἐχόντων οὐ μόνον οἱ ἄλλοι πολῖται, ἀλλὰ καὶ οἱ σοὶ φίλοι καὶ αὐτὸς σὺ οὐκ ἐλάχιστα ὠφελήσῃ. Prassitea dunque ribadisce l'intenzione di immolare la figlia per la salvezza di tutto il popolo:τούτους πῶς διαφθεῖραί μ ε χρή, / ἐξὸν προπάντων μίαν ὕπερ δοῦναι θανεῖν; (vv. 17-18), e di sacrifici di singole fanciulle per il bene di più persone si tratta anche in Eur. Heracl. 579-580ὁρᾷς δὲ κἀμὲ τὴν ἐμὴν ὥραν γάμου / διδοῦσαν ἀντὶ τῶνδε κατθανουμένην, Eur. El. 1024-1026 κεἰ μὲν πόλεως ἅλωσιν ἐξιώμενος / ἢ δῶμ' ὀνήσων τἄλλα τ' ἐκσῴζων τέκνα / ἔκτεινε πολλῶν μίαν ὕπερ, συγγνώστ' ἂν ἦν e Eur. I A 1390 ἡ δ' ἐμὴ ψυχὴ μί' οὖσα πάντα κωλύσει τάδε.146 L'insistenza sul principio democratico secondo cui il bene
della maggioranza ha più peso di quello del singolo, con la reiterata contrapposizione ʻuno/moltiʼ, riscontrabile nei versi 16-21 della nostraῥῆσις, porta Austin147 a ritenere da
espungere quelli dal 19 al 21, giudicati dallo studioso “affettati e inopportuni”: crediamo tuttavia che questi versi non contengano una pura ripetizione, come dice Austin, ma piuttosto, come sostiene Carrara148, una spiegazione di ciò che era già stato
detto ai versi 16-18, il che è dimostrato dalla presenza delγὰρ esplicativo di v. 19. Inoltre, fa notare Cropp che la “mathematical pedantry” dei vv. 19-20εἴπερ γὰρ ἀριθμὸν οἶδα καὶ τοὐλάσσονος / τὸ μεῖζον è ravvisabile anche in Eur. Ion. 1137-
145 Cfr. Cropp 1995, p. 179. 146 Vd. ibid.
147 Cfr. Austin 1968, p. 26.
148 Cfr. Carrara 1977, p. 67. Opinioni analoghe sono quelle di Cropp 1995, p. 179 e Sonnino 2010, p. 269.
1139πλέθρου σταθμήσας μῆκος εἰς εὐγωνίαν, / μέτρημ' ἔχουσαν τοὐν μέσῳ γε μυρίων / ποδῶν ἀριθμόν, ὡς λέγουσιν οἱ σοφοί.
Proseguendo nella lettura del nostro frammento, è necessario soffermarsi sulla frase di Prassiteaεἰ δ’ ἦν ἐν οἴκοις ἀντὶ θηλειῶν στάχυς / ἄρσην, πόλιν δὲ πολεμία κατεῖχε φλόξ, / οὐκ ἄν νιν ἐξέπεμπον εἰς μάχην δορός, / θάνατον προταρβοῦσ’; (vv. 22-25): il periodo ipotetico dell'irrealtà è indice dell'assenza di “progenie maschile149 nel palazzo” reale, e conferma di ciò si avrà al v. 36, quando la
regina afferma che la figlia con la propria morte salveràκαὶ τὴν τεκοῦσαν καὶ σὲ δύο θ’ ὁμοσπόρω; non sembra perciò ammissibile l'ipotesi di Nagel150 e Schwartz151,
per i quali ci sarebbe sì un figlio maschio nato da Eretteo e Prassitea, ma troppo giovane per combattere. Bisogna evidenziare l'uso da parte di Prassitea del termineστάχυς; questa parola, che vuol dire “generally, scion, progeny”152, ha come primo significato
quello di ʻspigaʼ153: nota Sonnino154 che si tratta della “metafora agricola”, diffusa nella
letteratura greca tragica e a cui rimanda ancheὁμοσπόρω155 del v. 36, per cui la terra
rappresenta la donna, l'uomo è il coltivatore e le piante sono i figli. Tale metafora è quanto mai calzante se si pensa che gli Ateniesi consideravano la terra come la propria madre (vd. il concetto diαὐτοχθονία discusso supra); non a caso, poi, in Eur. HF 5, Eur. Phoen. 939 e Eur. Bacch. 264, si utilizza sempre στάχυς per ʻfigliʼ quando si parla degli Sparti, che, come gli Ateniesi, erano nati dalla terra156. Nei seguenti vv. 25-27 del
149 Bisogna precisare che a mancare sono figli maschi naturali; per la presenza di unτέκνον adottivo vd. p. 31. 150 Cfr. Nagel 1842, pp. 51 ss. 151 Cfr. Schwartz 1917, pp. 21-22. 152 Cfr. LSJ s. v. στάχυς I.2. 153 Cfr. LSJ s. v. στάχυς A “ear of corn”. 154 Cfr. Sonnino 2010, pp. 272 ss.
155 Cfr. LSJ s. v.ὁμόσπόρος A “sown together: hence, sprung from the same parents or ancestors,
kindred” (vd. per esempio, Aesch. Sept. 820, 932); “as Subst., brother” (Eur. IT 611) e “sister” (Soph. Tr.
212; Eur. IT 695). 156 Vd. n. 142.
frammentoἀλλ’ ἔμοιγ’ εἴη τέκνα / <ἃ> καὶ μάχοιτο καὶ μετ’ ἀνδράσιν πρέποι, / μὴ σχήματ’ ἄλλως ἐν πόλει πεφυκότα (come nei successivi 46 ss.) Carrara157 nota che Euripide vuole “elevare il tono del discorso ad altezze eroiche,
ricorrendo anche a stilemi epici”, e ad Omero infatti rimanda il verboμεταπρέπω = “distinguish oneself or be distinguished among”158 (cfr., per esempio,μετέπρεπεν
ἡρώεσσιν di Hom. Il. 2.579). Schwartz159 sostiene che Prassitea in questi versi stia
alludendo al fatto di non avere un figlio maschio adulto da mandare in guerra, contrapponendo iτέκνα / <ἃ> καὶ μάχοιτο καὶ μετ’ ἀνδράσιν πρέποι, che vorrebbe e non ha, ai figli maschi ancora bambini e quindiσχήματ’ ἄλλως ἐν πόλει πεφυκότα, che invece ha: lo studioso opera quella che con Carrara160 giudichiamo
un'interpretazione forzata del testo, cercando così di dare fondamento alla sua opinione riguardo la progenie di Eretteo e Prassitea che già supra abbiamo detto di non condividere. Acuta invece riteniamo l'osservazione di Sonnino161 che il significato di
σχῆμα ovvero “vuota parvenza” è lo stesso di quello di δόκημα, che è riferito ai figli adottati in fr. 359.2 Kann., un passo interpretato come allusivo nei confronti del τέκνον.162
La regina conclude questa sua seconda argomentazione con il principio per cui i sentimenti materni passano in secondo piano quando in gioco c'è l'onore, da dimostrare combattendo coraggiosamente in difesa dellaπόλις: τὰ μητέρων δὲ δάκρυ’ ὅταν πέμπῃ τέκνα, / πολλοὺς ἐθήλυν’ εἰς μάχην ὁρμωμένους. / μισῶ γυναῖκας αἵτινες πρὸ τοῦ καλοῦ / †ζῆν παῖδας εἵλοντο καὶ παρῄνεσαν κακά (vv. 28-31). Cropp163 richiama il frammento dell'Eretteo 360a Kann., in cui la regina afferma “amo i
157 Cfr. Carrara 1977, p. 68. 158 Cfr. LSJ s. v. μεταπρέπω A. 159 Cfr. Schwartz 1917, pp. 21-22. 160 Cfr. Carrara 1977, pp. 67 s. 161 Cfr. Sonnino 2010, p. 275. 162 Vd. p. 30. 163 Cfr. Cropp 1995, p. 179.
figli, ma amo di più la mia patria”, e indica altri due paralleli: Eur. HF 290-294 in cui Megara dice che, per rispetto anche nei confronti del marito, non intende mettere al primo posto la sopravvivenza dei figli a discapito del loro onore, e questo nonostante il proprio amore per essi (ἐγὼ φιλῶ μὲν τέκνα· πῶς γὰρ οὐ φιλῶ / ἅτικτον, ἁμόχθησα;, vv. 280-281) e la paura della morte (καὶ τὸ κατθανεῖν / δεινὸν νομίζω, vv. 281-282)164; Eur. Phoen. 1054-1061, in cui il coro si augura che ci sia abbondanza di
figli valorosi (γενοίμεθ' εὔτεκνοι, v. 1061) come Meneceo, che si sacrificò volontariamente per la salvezza di Tebe, nonostante il padre Creonte lo avesse esortato a salvarsi fuggendo. Cropp165 suggerisce inoltre altre due tragedie euripidee dove si può
notare un comportamento completamente diverso da parte delle madri: ad Etra che esorta al coraggio il figlio Teseo (cfr. Eur. Suppl. 320, 343-345) si contrappone Clitennestra in lacrime per l'imminente sacrificio della figlia Ifigenia (cfr. Eur. IA 1433- 1435). E a proposito di lacrime di donne Sonnino166 propone il confronto dei vv. 28-29
di Prassitea con Aesch. Sept. 181 ss., dove si ha un'aspra condanna della debolezza femminile durante la guerra: le giovani donne tebane del coro, definite da Eteocle θρέμματ' οὐκ ἀνασχετά (v. 181), sono accusate dal re di diffondere, con le loro fughe disordinate e il loro urlare, ignava viltà fra i cittadini (πολίταις τάσδε διαδρόμους φυγὰς / θεῖσαι διερροθήσατ' ἄψυχον κάκην, vv. 191-192). Da notare, poi, che in fr. 362.33-34 Kann.167 Eretteo, nel congedare ilτέκνον prima di
partire per la battaglia, afferma che l'eccessivo sentimentalismo nel momento dei saluti è un atteggiamento tipicamente femminile, non decoroso e sicuramente non degno di un uomo saggio:ὑπ' αἰδοῦς δ' οὐ λίαν ἀσπάζομαι. / γυναικόφρων γὰρ θυμὸς ἀνδρὸς οὐ σοφοῦ. Infine, la disapprovazione dei vv. 30-31 nei confronti di chi sceglie la vita piuttosto che ciò che è bene rimanda a quanto si affermerà in fr. 370.21-22
164 Da notare che anche Prassitea diceva di temere la morte al v. 25 (θάνατον προταρβοῦσα). 165 Cfr. Cropp 1995, p. 179.
166 Cfr. Sonnino 2010, p. 275.
Kann.168 ἐγὼ δὲ τοὺς̣ ˻καλῶς τεθνηκότας / ζῆν ˻φημὶ˼ µᾶλλον ˻†τοῦ βλέπειν
τοὺς μὴ καλῶς†: dunque, ad una vita senza onore è preferibile la morte, da cui un “rejection of ʻlife-lovingʼ (φιλοψυχία)”, che Cropp169 individua per esempio in Eur.
Heracl. 533-534 e Eur. Hec. 347-348, 377-378.
1.2.3 Terza argomentazione
È ripresa dallaπαραμυθία170 d e lλόγος ἐπιτάφιος anche la terza ed ultima
argomentazione di Prassitea: l'onore del funerale pubblico per i caduti in guerra: cfr. Lys. Epitaph. 79-80; Plat. Menex. 236d, 249b; Dem. Epitaph. 33, 36. Quando la regina afferma che i “morti in battaglia” (θανόντες […] ἐν μάχῃ, v. 32) hanno “tomba comune” (τύμβον [...] κοινὸν, v. 33) e “pari gloria” (εὔκλειάν […] ἴσην, v. 33) si riferisce proprio al rito funebre collettivo, descritto da Thuc. 2.34, che si svolgeva pubblicamente nell'Atene democratica per celebrare coloro che avevano perso la vita nella difesa della patria. Prassitea aggiunge però che la figlia “invece” (δὲ, v. 34) riceverà una gloria da non condividere con altri (στέφανος εἷς171, v. 34): Di
Benedetto172 fa notare che, se prima si ha il rimando ad una tradizione del V sec. a.C.,
qui si sta parlando di un'usanza più antica, quella della lode individuale, in uso fino all'epoca di Solone (cfr. Cic. Leg. 2.63), venendosi a creare così una contraddizione tra motivi che “rivelano chiaro lo stampo della propaganda politica propria dell'età periclea” e “considerazioni che […] si pongono piuttosto sulla linea di un'etica aristocratica”. E lodi individuali, invece dell'elogio collettivo dei caduti, si hanno anche
168 Cfr. Carrara 1977, p. 68. 169 Cfr. Cropp 1995, p. 180. 170 Vd. p. 42.
171 Da notare ancora la contrapposizione ‘uno/molti’ (πολλῶν, v. 32; εἷς μιᾷ μόνῃ, v. 34), vista già ai vv. 16-21.
nel discorso funebre di Adrasto nelle Supplici (cfr. Eur. Suppl. vv. 857-917), nonostante per tale discorso, come per quello di Prassitea, Euripide si rifacesse aiλόγοι ἐπιτάφιοι; inoltre, a differenza degli oratori funebri dell'epoca democratica, Adrasto dà poco rilievo al valore militare dei soldati morti in battaglia, puntando maggiormente sull'esaltazione delle loro virtù civili.173 Tutto ciò corrisponde ad una precisa intenzione
di Euripide, che “non riproduce mai acriticamente le strutture e i topoi del logos epitaphios, ma le utilizza in maniera scientemente critica per delineare la distanza esistente tra il nazionalismo ufficiale e quello problematico dei personaggi del suo teatro”174.
1.3 Νόμος e φύσις
Dopo aver ampiamente e variamente argomentato la propria intenzione in merito al sacrificio della figlia (intenzione che era già stata annunciata al v. 4:ἐγὼ δὲ δώσω τὴν ἐμὴν παῖδα κτανεῖν), Prassitea ai vv. 38-39 della sua ῥῆσις riafferma τὴν οὐκ ἐμὴν < > πλὴν φύσει δώσω κόρην / θῦσαι πρὸ γαίας: il legame biologico madre/figlia passa in secondo piano se in gioco c'è il destino del paese. “C'è, d'altra parte, in tutta la rhesis una svalutazione sistematica dei vincoli di carattere familiare a favore dei rapporti di carattere politico”, scrive Di Benedetto175. La regina subordina
dunque la φύσις ovvero la ‘legge naturale’ al νόμος, la ‘legge umana’ che prevede anche il sacrificio della vita dei figli in vista della salvezza dellaπόλις (τέκνα τοῦδ’ ἕκατι τίκτομεν, / ὡς θεῶν τε βωμοὺς πατρίδα τε ῥυώμεθα, diceva la sovrana ai vv. 14-15). Prassitea, tra l'altro, parla di un'immolazioneπρὸ γαίας:
173 Cfr. Di Benedetto 1971, pp. 168 s. 174 Cfr. Sonnino 2010, p. 113. 175 Cfr. Di Benedetto 1971, p. 147.
abbiamo già detto supra che la “terra” è la madre degli Ateniesi, che hanno il dovere di servirla fino a morire per essa, proprio in cambio del dono della vita che hanno ricevuto daγαῖα; fa notare Sonnino176 che pure a fr. 370.66 Kann., quando Atena, nell'ambito
del discorso ex machina che rivolge alla regina, parla del sacrificio della fanciulla, si trova ἣν τῆσδε χώρας σὸς προθύεται177 [πόσι]ς· Anche nel contesto di un'altra
immolazione, poi, quella dell'Ifigenia in Aulide, Euripide sminuisce il rapporto madre/figlia: la protagonista dice a Clitennestra di essere decisa a morire gloriosamente (κατθανεῖν μέν μοι δέδοκται […] εὐκλεῶς, vv. 1375 s.) perché gli occhi di tutta la Grecia sono puntati su di lei (εἰς ἔμ' Ἑλλὰς ἡ μεγίστη πᾶσα νῦν ἀποβλέπει, v. 1378) e al paese appartiene la sua vita:πᾶσι γάρ μ' Ἕλλησι κοινὸν ἔτεκες, οὐχὶ σοὶ μόνῃ (v. 1386). Prassitea punta perciò alla salvezza di tutte quante le cose (οὔκουν ἅπαντα τοὔν γ' ἐμοὶ σωθήσεται;, v. 41), non alla sopravvivenza della figlia: εἰ γὰρ αἱρεθήσεται / πόλις, τί παίδων τῶν ἐμῶν μέτεστί μοι; (vv. 39-40). La sovrana fa dunque da garante della continuità dellaπόλις, su cui ci sarà chi regnerà (ἄρξουσί τ’ ἄλλοι, v. 42, con una molto probabile allusione al τέκνον di cui abbiamo parlato più volte); Prassitea infatti afferma che provvederà alla salvaguardia delle leggi antiche degli avi, base fondante della comunità:ἐκεῖνο δ’ οὗ <τὸ> πλεῖστον ἐν κοινῷ μέρος, / οὐκ ἔσθ’ ἑκούσης τῆς ἐμῆς ψυχῆς ἄτερ / προγόνων παλαιὰ θέσμι’ ὅστις ἐκβαλεῖ· (vv. 43-45). Da notare che la celebrazione delle istituzioni ateniesi, in particolare l'elogio della costituzione democratica e della libertà che ne deriva è un motivo che si ritrova neiλόγοι ἐπιτάφιοι, ed è proprio un topos dei discorsi funebri l'idea che bisogna difendere in ogni modo possibile le leggi degli antenati: cfr. soprattutto Thuc. 2.36 e Lys. Epitaph. 18. Sull'esortazione dei cittadini alla vittoria, con l'invito a servirsi della figlia,ψυχῆς μιᾶς (v. 51)178 in cambio della
salvezza dellaπόλις, si chiude la ῥῆσις di Prassitea. “Le ragioni della physis sono
176 Cfr. Sonnino 2010, pp. 281, 378. 177 Grassetto mio.
178 Cropp 1995, p. 181 rimanda nuovamente a Eur. IA 1390, parallelo richiamato dallo studioso già nel commento al v. 18 (vd. supra).
dichiarate insufficienti di fronte a quelle del nomos”179 fino alla fine, come dimostra
l'impiego del termine λόχευμα (v. 50), propriamente ‘parto’, per indicare la figlia: la regina mette ancora una volta in secondo piano i legami naturali180. La lettura della
ῥῆσις di Prassitea, quindi, spinge a ritenere l'Eretteo di Euripide una tragedia ‘patriottica’; del resto, scrivere un dramma sulla vittoria di Eretteo su Eumolpo significava certamente esaltare Atene181. A incoraggiare un'interpretazione in chiave
nazionalistica dell'Eretteo sono anche le parole di Licurgo, che, parlando della vicenda drammatizzata da Euripide, prima di citare il nostro frammento, garantendone così la trasmissione182, afferma: Lyc. In Leocr. 100 διὸ καὶ δικαίως ἄν τις Εὐριπίδην ἐπαινέσειεν, ὅτι τά τ᾽ἄλλ' ἦν ἀγαθὸς ποιητὴς καὶ τοῦτον τὸν μῦθον προείλετο ποιῆσαι, ἡγούμενος κάλλιστον ἂν γενέσθαι τοῖς πολίταις παράδειγμα τὰς ἐκείνων πράξεις, πρὸς ἃς ἀποβλέποντας καὶ θεωροῦντας συνεθίζεσθαι ταῖς ψυχαῖς τὸ τὴν πατρίδα φιλεῖν. ἄξιον δ᾽, ὦ ἄνδρες δικασταί, καὶ τῶν ἰαμβείων ἀκοῦσαι, ἃ πεποίηκε λέγουσαν τὴν μητέρα τῆς παιδός. ὄψεσθε γὰρ ἐν αὐτοῖς μεγαλοψυχίαν καὶ γενναιότητα ἀξίαν καὶ τῆς πόλεως καὶ τοῦ γενέσθαι Κηφισοῦ θυγατέρα.183
Tuttavia, tale valutazione della nostra tragedia, basata esclusivamente sulla lettura del discorso di Prassitea, risulta fuorviante. È necessario tenere in considerazione
179 Cfr. Di Benedetto 1971, p. 147. 180 Cfr. Sonnino 2010, pp. 287 s. 181 Cfr. Di Benedetto 1971, p. 145. 182 Vd. p. 33.
183 Nota Di Benedetto 1971, p. 146 che fa riferimento al patriottismo dell'Eretteo anche Demostene: