U
NIVERSITÀ
DI
P
ISA
Dipartimento di Filologia, Letteratura e Linguistica
Corso di Laurea Specialistica in Scienze dell'Antichità
Curriculum di Filologia e Letterature dell'Antichità
TESI DI LAUREA
Studi sull'Eretteo di Euripide
CANDIDATO
Luana Stilo
RELATORE
Le papyrologie, mes ami(e)s, est un élixir, un élixir de vie, qui contrecarre à merveille les ravages du temps. Comme dans un rêve, sa magie nous transporte, à travers les siècles, dans un monde disparu, d'où sourgit une réalité nouvelle.
Colin Austin
Πρῶτον φρένας μὲν ἠπίους ἔχειν χρεών· τῷ πλουσίῳ τε τῷ τε μὴ διδοὺς μέρος ἴσον σεαυτὸν εὐσεβῆ πᾶσιν δίδου.
Eur. Erech., fr. 362.6-8 Kann.
ἐκ τῶν πόνων τοι τἀγάθ' αὔξεται βροτοῖς
INDICE
INTRODUZIONE...5
I Il P. Sorb. 2328...5
II Datazione dell'Eretteo di Euripide...10
II.1 Il terminus ante quem...10
II.2 Il terminus post quem...12
II.3 Il criterio metrico...14
II.4 423 a.C. o 422 a.C.?...16
III Il mito...18
III.1 Prima di Euripide...19
III.2 Eretteo...23
III.3 Eumolpo...24
III.4 Le Eretteidi-Iacintidi...26
IV Tentativo di ricostruzione della struttura dell'Eretteo euripideo...27
CAPITOLO 1 – La
ῥῆσις di Prassitea...33
1.1 Struttura del discorso...38
1.2 Le argomentazioni...38 1.2.1 Prima argomentazione...39 1.2.2 Seconda argomentazione...42 1.2.3 Terza argomentazione...48 1.3 Νόμος e φύσις...49
CAPITOLO 2 – La
ῥῆσις di Eretteo...57
2.1 L'identità del τέκνον...60
2.2 Commento a Eur. Erech. fr. 362 Kann...62
BIBLIOGRAFIA...79
Abbreviazioni...79
Edizioni dell'Eretteo...80
INTRODUZIONE
I Il P. Sorb. 2328
Tra il 1901 e il 1902 gli scavi effettuati sotto la direzione di Pierre Jouguet nella zona sud-occidentale dell'odierno Fayyum (Egitto) riportarono alla luce la necropoli di Medinet-Ghôran, stimata contenere dalle cinquemila alle seimila tombe1. I lavori di
scavo in tale sito condussero al ritrovamento di più di trecento pezzi di cartonnage2 per
mummia; uno di essi, proveniente dalla mummia classificata con il numero 243, si rivelò
particolarmente prezioso a seguito dell'opera di smontaggio compiuta nel 1962 da Andrè Bataille, allora direttore dell'Institut de Papyrologie della Sorbona, e dal suo team. La scomposizione di tale cartonnage, infatti, permise il recupero di quattro frammenti papiracei che, come si sarebbe scoperto di lì a poco, contenevano versi di una quasi del tutto perduta opera euripidea.
L'Istituto francese diede all'ancora giovane ma già celebre Colin Austin l'incarico di studiare i nuovi frustoli, che andarono a costituire il Papyrus Sorbonensis (sigla P. Sorb.) 2328, tuttora conservato a Parigi. Nel 1967 Austin pubblicò i risultati della sua analisi4: quei quattro pezzi di papiro appartenevano a un medesimo rotolo, un volumen
che si presumeva racchiudesse in principio l'Eretteo di Euripide nella sua interezza. La
1 Cfr. Jouguet 1901.
2 “Cartonnage is the term used for a type of mummy casing, made of gesso incorporating layers of papyrus or linen or both. The layers are glued and moulded together, the outermost layer of gesso being painted. The papyri used for this purpose were old documents, with a wide variety of texts on them; [...]” (Nicholson-Shaw 2000, p. 243)
3 La stessa mummia presentava anche il cartonnage fabbricato con frammenti dei Sicioni di Menandro, per la cui editio princeps cfr. Blanchard-Bataille 1964.
tesi secondo cui il testo in questione fosse l'Eretteo euripideo è supportata da Austin con tre argomentazioni: il Professor dell'Università di Cambridge afferma che Euripide “est le seul des tragiques grecs à avoir composé une pièce sur ce sujet”; inoltre a parere di Austin “Le style (notamment dans le discours d'Athéna) porte la marque indéniable du poète”; l'ultima conferma secondo lo studioso è data dal confronto di alcuni passi dei nostri frammenti con quelli pervenuti dall'Eretteo di Ennio5, cothurnata ritenuta essere
una rielaborazione dell'omonima tragedia euripidea. Jan Coenraad Kamerbeek6
convalidò poi la tesi di Austin facendo notare come i lacunosi versi 21-22 dell'editio princeps di P. Sorb. 2328 coincidessero con una citazione dell'Eretteo euripideo presente in Stobeo 4.53.16 ([= Eur. Erech. fr. 361 N.2 7= 52 A.8] Εὐριπίδης
Ἐρεχθέως· “ἐγὼ δὲ τοὺς καλῶς τεθνηκότας / ζῆν φημὶ μᾶλλον †τοῦ βλέπειν τοὺς μὴ καλῶς†”).
Prima del 1967 dell'Eretteo di Euripide erano noti per mezzo della tradizione indiretta all'incirca 125 versi9; il ritrovamento del nostro papiro ci ha fornito, seppur con
lacune di differenti dimensioni, circa un centinaio di nuovi versi collocabili nelle scene finali della tragedia. Le operazioni di smontamento10 del cartonnage hanno comportato
inevitabilmente danni di varia entità ai quattro lacerti sorboniani, la cui separazione non è stata esente da strappi più o meno leggeri. A rendere difficile il lavoro del team
5 Austin cita in particolare il verso 44 della sua editio princeps (ὡς ἄδ]α̣δακρύς τις ὠμόφρων ὃς κακοῖς ἐμοῖς οὐ στένει), considerandolo l'originale del frammento enniano n° 139 in Vahlen 1928 (lapideo sunt corde multi quos non miseret neminis).
6 Cfr. Kamerbeek 1970, p. 121. 7 Cfr. Nauck 18892.
8 Cfr. Austin 1968.
9 Cfr. Nauck 18892 e Nauck–Snell 1964.
10 Austin 1967, p. 12 n. 1, ci descrive dettagliatamente il procedimento di smontaggio del cartonnage: esso viene prima bagnato con un getto continuo di acqua calda (70°) in soluzione (al 13%) con acido cloridrico, poi sfregato con una piccola spazzola, in modo da far rapidamente sciogliere il rivestimento in stucco dipinto; successivamente i frammenti di papiro, ormai portati alla luce, vengono immersi in un bagno di acqua tiepida mista a glicerina (10%), così da ridonare alle fibre la loro flessibilità e ostacolare l'azione corrosiva dell'acido; infine, una volta estratti dall'acqua e dopo un'ulteriore delicata pulitura con appositi strumenti, i papiri sono messi ad asciugare sopra un graticcio.
parigino fu la disposizione dei frammenti, denominati da Austin A B C D, nel cartonnage: i recti11 dei frammenti A e C come quelli di B e D erano stati tra loro
incollati, in particolare A e C tête-bêche l'uno rispetto all'altro; le parti prominenti dei frammenti C e D erano state quindi sovrapposte tête-bêche sempre sul lato della scrittura. La figura seguente riproduce l'illustrazione schematica12 che Austin realizza
per dare una quanto più possibile efficace resa visiva di quella che doveva essere la collocazione dei frammenti nel cartonnage:
11 Altrimenti detto ‘faccia perfibrale’, il recto è la superficie interna del rotolo, quella che, avendo le fibre disposte in senso orizzontale, era destinata in primo luogo alla scrittura (cfr. Montevecchi 1988, p. 15).
Le sovrapposizioni hanno generato quella che Sonnino definisce “un'impressione ʻa specchioʼ della scrittura del papiro da una superficie all'altra delle facciate in precedenza incollate”13, senza contare che, una volta assemblati, i frammenti erano stati
ritagliati per modellare il cartonnage, danneggiandosi così in maniera irreparabile la parte superiore del frammento A e quella inferiore dei frammenti B, C e D.
Austin individua nel P. Sorb. 2328 complessivamente i resti di otto colonne di scrittura, di cui solo la settima integra e completamente leggibile; il rotolo originario doveva essere alto 16-17 cm con margini di testo di ben 2 cm circa sopra e sotto, per cui il numero di righi per ciascuna colonna è piuttosto esiguo: nei calcoli di Austin si va dai 18 ai 21 versi al massimo. Osservando le connessioni testuali lo studioso apprende che le sei colonne contenute dai frammenti B, C e D sono consecutive, potendo in tal modo stabilire con buona approssimazione il numero dei righi di ognuna, nonostante quelli andati persi14. Decisamente più problematica è la collocazione del frammento A, le cui
due colonne sono prive della parte ima15. Austin deduce che A precede gli altri tre
frammenti in base al contenuto dei suoi righi: A contiene la scena che vede sopraggiungere il nunzio, mentre il frammento B riprende nel mezzo del lamento di Prassitea, cronologicamente posteriore all'arrivo del messaggero. Lo studioso aggiunge che ad A però non fa seguito direttamente B poiché il contesto suggerisce la lacuna di più colonne tra l'ultima di A e la prima di B. Nella drammaturgia euripidea, infatti, il momento dell'arrivo dei messaggeri che hanno il compito di riferire fatti avvenuti extra scaenam è rappresentato secondo uno schema fisso: si ha prima il ʻdiscorso introduttivoʼ, ossia un rapido scambio di battute di 10-20 versi tra l'ἄγγελος e un
13 Cfr. Sonnino 2010, p. 317.
14 A mancare sono i primi 11 versi della colonna III e i primi 10 della colonna IV: Austin è abbastanza sicuro di questo numero di righi non pervenuti perché i versi 23 e 34, che costituiscono l'inizio di quanto rimane delle colonne rispettivamente III e IV, si trovano grosso modo sulla stessa linea del verso 55, che è il dodicesimo rigo della colonna V. Secondo il Professor complessivamente erano presenti 21 vv. nella col. III (fr. B), 21 vv. nella col. IV (fr. B), 20 vv. nella col. V (frr. B+C) , 19 vv. nella col. VI (frr. C+D), 18 vv. nella col. VII (fr. D), 19 vv. nella col. VIII (fr. D).
15 In A sono sopravvissuti solo i versi 1-11, parte superiore della colonna I, e 12-22, parte superiore della colonna II.
personaggio già presente sulla scena; segue poi laῥῆσις, vale a dire un ampio discorso in forma monologica, che può superare anche i cento versi di lunghezza, in cui il messaggero narra in maniera dettagliata la vicenda avvenuta extra-scenicamente16.
Austin, reputando assai improbabile in una tragedia di Euripide l'assenza delλόγος ἀγγελικός, ritiene i versi 11-22 parte sopravvissuta del dialogo preliminare e postula tra il verso 22 e il verso 23 la lacuna di un centinaio di righi contenenti appunto la ῥῆσις ἀγγελική17. Il Professor trae queste conclusioni avvalendosi del confronto dell'Eretteo
con altre due tragedie di Euripide. Austin mette infatti in evidenza che anche nell'Elettra (vv. 769-770) come nell'Eretteo (vv. 20-21) Euripide concludeva il dialogo introduttivo facendo pronunciare al personaggio le parole “τί φῄς; τέθνηκε […];”, alle quali il nunzio rispondeva “τέθνηκε”. Il raffronto con il finale dell'Andromaca poi, simile a quello dell'Eretteo nella struttura18, lascerebbe ipotizzare che siano andate perse
quattro colonne intere (80 versi all'incirca) tra il frammento A e il frammento B, oltre alla decina di righi mancanti sia alla base della colonna II (fr. A) che nella parte superiore della colonna III (fr. B).
La scrittura del papiro è una maiuscola libraria19 che Austin definisce “assez
épaisse”, “anguleuse” e “rigide”. Alla non eccezionale cura calligrafica si affianca la fattura alquanto ordinaria del volumen: le giunture dei fogli (κολλήματα) sono state realizzate in maniera grossolana e il papiro tradisce la sua natura di palinsesto. Sulla base di queste osservazioni è più che condivisibile la conclusione di Carrara20 che si
tratti di una copia dell'Eretteo di Euripide per una biblioteca privata. Secondo l'analisi paleografica di Austin il P. Sorb. 2328 fu vergato intorno al 250 a.C.; questo
16 Per le scene dei messaggeri in Euripide cfr. de Jong 1991.
17 La necessità drammaturgica di affrontare in qualche modo anche l’argomento del suicidio delle due Eretteidi spinge Sonnino 2010, pp. 320 s., a immaginare una lacuna di maggior portata rispetto a quella ipotizzata da Austin.
18 Nella parte compresa tra l'arrivo del nunzio e l'apparizione della divinità, l'Andromaca, come l'Eretteo, si compone di: a) ʻdialogo preliminareʼ (16 vv.), b) ῥῆσις del messaggero (81 vv.) e c) lamento (65 vv.). 19 Cfr. Cavallo 2005; Cavallo 2008.
inquadramento temporale si basa soprattutto sull'esame degli altri papiri conservati dalla ventiquattresima mummia di Ghôran: i Sicioni, databili secondo Bataille alla seconda metà del III sec. a.C., e alcuni pezzi documentari21 che possono essere collocati con
precisione nel 220 a.C.
II Datazione dell'Eretteo di Euripide
II.1 Il terminus ante quem
“È inutile sottolineare che la datazione della tragedia è molto importante per un'esatta valutazione dei frammenti che ci sono pervenuti”, come scrive Di Benedetto22
a proposito del Cresfonte di Euripide, e, così come per il Cresfonte, anche per l'Eretteo il processo di datazione non è né semplice né immune da incertezze. Tuttavia, per l'Eretteo disponiamo di un sicuro terminus ante quem: nel 411 a.C. Aristofane parodiò due passi della tragedia nelle sue commedie Lisistrata e Tesmoforiazuse. Nell'ambito della Lisistrata il riferimento parodistico all'Eretteo è costituito dal verso 1135 (εἷς μὲν λόγος μοι δεῦρ' ἀεὶ περαίνεται), che coincide perfettamente con il frammento 363 Kann.23 del dramma euripideo. Tale frammento ci è giunto per tradizione indiretta: a
riportare integralmente il verso, assegnandolo a Euripide, è l'anonimo grammatico degli Anecdota Graeca24, senza però indicare a quale opera specifica del tragediografo
appartenga. L'attribuzione del verso all'Eretteo si trova già in Meineke25 e viene poi
21 Cfr. i papiri n° 44, 48, 49 e 55 di Cadell 1966. 22 Cfr. Di Benedetto 1971, p. 131.
23 Da qui in avanti per indicare i frammenti superstiti dell'Eretteo si prenderà come edizione di riferimento Kannicht TrGF.
24 Cfr. Bachmann 1828, vol. I, p. 191.24 ss. 25 Cfr. Meineke 1843, p. 293.
ulteriormente avvalorata dalla felice intuizione di Nauck26 che schol. R Ar. Lys. 1131
ὅλος ὁ ἴαμβος λέλεκται ἐξ Ἐρεχθέως27 (= “l'intero verso giambico è tratto
dall'Eretteo”) fosse da riferire al verso 1135 della Lisistrata anziché al verso 1131, come si era erroneamente creduto fino ad allora. A informarci invece della presenza di una parodia dell'Eretteo nelle Tesmoforiazuse è una nota dell'Etymologicum Magnum: Ἀσιάδος κρούματα· τῆς κιθάρας. οὕτως Ἀριστοφάνης [Ar. Thesm. 120 s.] εἶπε παρῳδῶν τὸ ἐξ Ἐρεχθέως Εὐριπίδου28. Il lemmaἈσιάδος κρούματα ha dato
origine al frammento 369d Kann., essendo comune opinione degli studiosi29 che questa
espressione lemmatizzata dal lessico bizantino fosse una citazione dall'Eretteo e che la parodia si realizzasse nell'impiego caricaturale da parte di Aristofane delle medesime parole nel menzionato passo delle Tesmoforiazuse (Λατώ τε κρούματά τ' Ἀσιάδος30 /ποδὶ παράρυθμ' εὔρυθμα Φρυγίων / διὰ νεύματα Χαρίτων). Da
mettere in risalto è la differente ipotesi di Sonnino31: egli ritiene che il passaggio
dell'Eretteo a cui fa cenno l'Etymologicum Magnum sia la lacuna di fr. 370.8-9 Kann. ([λω]τοῦ, κιθαρίδος βοαῖς ca. 13 litt. / [..].ι τροχαλὸς ἑπομέναις; ἆ̣ρα νέα γέροντι); esaminando le vestigia di testo, infatti, tra la fine del verso 8 e l'inizio del verso 9 Sonnino legge le paroleἈσιάδος / ποδὶ di Ar. Thesm. 120 s. e considera quindi proprio l'espressioneἈσιάδος ποδὶ (e non Ἀσιάδος κρούματα) quella adoperata in chiave parodistica da Aristofane.
Ai due casi di parodia fin qui illustrati se ne deve aggiungere poi un terzo: secondo la testimonianza di Hesych. ζ 125 Latte32, infatti, c'è un'allusione satirica all'illogicità
26 Cfr. Nauck 1889, p. 472.
27 Cfr. Rutherford 1896, vol. II, p. 237, dove lo scolio risulta correttamente assegnato al verso 1135. 28 Cfr. Gaisford 1848, p. 153.31 ss.
29 Cfr. per es. Nagel 1842, p. 74; Austin 1968, p. 32; Carrara 1977, pp. 58, 90; Cropp 1995 , pp. 166-167, 186-186; Kannicht TrGF V.1, p. 409.
30 Grassetto mio.
31 Cfr. Sonnino 2010, p. 27 n. 20 e poi pp. 326 ss. 32 Cfr. Latte 1966, vol. II, p. 260.
del nesso euripideo ζεῦγος τριπάρθενον (alla lettera “coppia di tre vergini”), che costituisce il frammento 357 Kann., in ζεῦγος τρίδουλον (letteralmente “coppia di tre schiavi”) di un'altra opera aristofanea, purtroppo perduta, le Horae (fr. 580 K.-A.); sfortunatamente, però, non si conosce la data esatta della commedia e quindi non si possono ricavare altre informazioni per la collocazione temporale della nostra tragedia.
Non sono mancati ulteriori tentativi da parte degli studiosi di rintracciare indicazioni utili al fine di stabilire un definitivo terminus ante quem per l'Eretteo. Calder33, per
esempio, avanza l'ipotesi che in Ar. Pac. 437-38 e 1127 ss. si faccia una parodia di quello che per i commentatori moderni è l'ʻinno alla paceʼ dell'Eretteo ovvero il frammento 369 Kann.: il terminus ante quem indietreggerebbe così nel tempo fino al 421 a.C., anno della messa in scena della Pace. Treu34, invece, vede neiπονηροί di fr.
362.28 Kann. un attacco diretto a Cleone e alla sua politica demagogica: il dramma euripideo quindi sarebbe stato composto prima della morte del demagogo, avvenuta nell'autunno del 422 a.C. nella battaglia di Anfipoli. Congetture come quelle di Calder e Treu non hanno comunque trovato sufficienti riscontri, per cui allo stato attuale si può affermare solo che l'Eretteo è stato rappresentato sicuramente prima del 411 a.C.
II.2 Il terminus post quem
Maggior fondamento si riscontra nell'individuazione da parte di Calder35 del
terminus post quem, offerto secondo lo studioso dalla menzione della “Gorgone aurea” in due passi dell'Eretteo:
fr. 351 Kann. ὀλολύζετ', ὦ γυναῖκες, ὡς ἔλθῃ θεά χρυσῆν ἔχουσα Γοργόν' ἐπίκουρος πόλει
33 Cfr. Calder 1969, p. 150. 34 Cfr. Treu 1971, pp. 130-131. 35 Cfr. Calder 1969, pp. 152-153.
fr. 360.46-49 Kann. οὐδ' ἀντ' ἐλαίας χρυσέας τε Γοργόνος36
τρίαιναν ὀρθὴν στᾶσαν ἐν πόλεως βάθροις Εὔμολπος οὐδὲ Θρῇξ ἀναστέψει λεώς στεφάνοισι, Παλλὰς δ' οὐδαμοῦ τιμήσεται.
Come affermò per primo Osann37, si tratterebbe della statua di Atena Parthenos di Fidia;
l aχρυσῆ Γοργῶν, in particolare, non è altro che il Γοργόνειον, ovvero l'immagine della testa della Gorgone Medusa, fabbricato in argento dorato e posto al centro dello scudo appoggiato al fianco sinistro dell'Atena fidiana38. Filocoro39 ci informa che l'opera
scultorea fu collocata nel Partenone nel 438/437 a.C., di conseguenza l'Eretteo deve essere stato composto dopo tale data.
Un ulteriore passo su cui si è concentrata l'attenzione degli studiosi impegnati nella datazione della nostra tragedia è il fr. 370.90-94 Kann.:
πόσει δὲ τῶι σῶι σηκὸν ἐν μέσηι πόλει τεῦξαι κελεύω περιβόλοισι λαΐνοις, κεκλήσεται δὲ τοῦ κτανόντος οὕνεκα σεμνὸς Ποσειδῶν ὄνομ' ἐπωνομασμένος ἀστοῖς Ἐρεχθεὺς ἐν φοναῖσι βουθύτοις.
Atena in questi versi del suo discorso ex machina ordina l'edificazione “al centro dell'Acropoli” (ἐν μέσῃ πόλει) di un “santuario” (σηκὸν) “con un recinto in pietra” (περιβόλοισι λαΐνοις), dedicato a Poseidone-Eretteo. Gli studiosi40 hanno ritenuto che
36 Grassetto mio.
37 Cfr. Osann 1821, p. 105.
38 Cfr. IG II2 1388.52-53; Calder 1969, pp. 152 s.
39 Cfr. Philoch. FGrHist 328 F 121.
40 Cfr., per esempio: Austin 1967, p. 58; Calder 1969, pp. 154-156; Treu 1971, p. 125; Clairmont 1971, pp. 486-488.
Euripide facesse qui riferimento ai lavori allora in corso per la costruzione del tempio situato sull'Acropoli di Atene, a nord del Partenone, noto oggi come ʻErettèoʼ (Ἐρέχθειον)41. Una lunga iscrizione registra che un certo Epigene nel 410/409 a.C.
nominò una commissione di cinque uomini, tra cui gli architetti Filocle e Archiloco, per esaminare lo stato dell'edificio ancora incompiuto42; sappiamo, inoltre, che il tempio
risultava ultimato da poco nel 406 a.C., anno in cui fu danneggiato da un incendio (cfr. Xen. Hell. 1.6.1)43. Purtroppo, però, non abbiamo notizie certe sulla data di inizio dei
lavori: Dörpfeld, per esempio, propone di datare l'opera “before the outbreak of the Peloponnesian War in 432 B.C.”44; Paton45, invece, seguito da Calder46, ritiene che
l'edificazione dell'Erettèo sia cominciata durante il breve intervallo di prosperità ateniese dopo la Pace di Nicia (421 a.C.), probabilmente non più tardi del 419 o 418 a.C. Anche ammettendo poi il riferimento di Atena alla costruzione dell'Erettèo, risulta impossibile stabilire se la dea stia sollecitando il proseguimento dell'opera (a seguito di un rallentamento o addirittura di un'interruzione per la Guerra del Peloponneso), o se invece stia esortando con autorevolezza all'inizio dei lavori. Bisogna quindi concludere che nei versi di Atena di certo c'è solo un cenno di tipo eziologico a un antico e celebre luogo di culto dell'eroe Eretteo sull'Acropoli, a prescindere dallo stato in cui si trovasse in quel momento il tempio denominato Erettèo; il passo non è dunque di aiuto per una più precisa datazione della nostra tragedia.
II.3 Il criterio metrico
Un più ristretto arco di tempo in cui collocare l'Eretteo viene individuato tramite la
41 Per la storia del tempio cfr. soprattutto Paton 1927, pp. 452-492. 42 Cfr. IG I2 372.
43 Cfr. Hurwit 2004, p. 275 n. 26. 44 Apud Paton 1927, p. 454. 45 Cfr. Paton 1927, p. 453. 46 Cfr. Calder 1969, pp. 154 ss.
metodologia di ricerca sviluppata da Tadeusz Zieliński a partire dalle osservazioni di Gottfried Hermann47. Tale metodo rappresenta un criterio piuttosto affidabile per
l'elaborazione della cronologia relativa delle tragedie di Euripide: lo studioso polacco, infatti, operando un calcolo statistico, ha dimostrato che la frequenza delle soluzioni metriche nel trimetro giambico euripideo aumenta passando dalle opere più antiche alle più recenti. Nel caso dell'Eretteo, in particolare, Zieliński conta 19 soluzioni (16.6%) nei 114 trimetri a sua disposizione, ponendo la tragedia nel suo II gruppo di classificazione, quello delle opere dallo “stile semi-severo”, datate tra il 425 e il 416 a.C.48
Nel 1985 Cropp e Fick, rielaborando il metodo di Zieliński, pubblicano il loro studio sulla datazione delle tragedie frammentarie di Euripide. Alla luce dei nuovi ritrovamenti papiracei, indicano il 416 a.C. come “the ʻmost likelyʼ date” dell'Eretteo, situando il nostro dramma tra Elettra da una parte ed Elena e Fenicie dall'altra49.
Più che condivisibile è l'obiezione di Sonnino50 sull'applicazione del criterio di
Zieliński e delle sue successive rielaborazioni a un'opera frammentaria come l'Eretteo, di cui si pensa di avere a disposizione solo un quinto dei trimetri totali.
47 Già nel 1807 Hermann parlava di una certa “negligentia” nella versificazione di Sofocle ed Euripide, osservando che questa “mutatio” si era manifestata tra la XC e la XCI olimpiade: da qui la deduzione dello studioso che “Patet vero, vicissim e diligentia poetae vel negligentia aetatem fabulae elucescere” (cfr. Hermann 1807, p. ix). Approfondendo tali studi Hermann noterà a livello metrico un progressivo aumento degli anapesti e dei tribrachi nell'ambito del trimetro giambico tragico (cfr. Hermann 1818, pp. 58-59), ribadendo che “antiquior tragoedia [...] ab Olympiade LXXXIX magis magisque a veteri severitate coepit recedere” (cfr. Hermann 1823, pp. xl-xli).
48 Cfr. Zieliński 1925, p. 223.
49 Cfr. Cropp-Fick 1985, pp. 11, 78-80. 50 Cfr. Sonnino 2010, p. 33.
II.4 423 a.C. o 422 a.C.?
A rivelarsi decisivo per una più puntuale collocazione temporale dell'Eretteo di Euripide è un brano della vita di Nicia di Plutarco:
Plut. Nic. 9 ἦσαν οὖν πρότερον πεποιημένοι τινὰ πρὸς ἀλλήλους ἐκεχειρίαν ἐνιαύσιον, ἐν ᾗ συνιόντες εἰς ταὐτὸ καὶ γευόμενοι πάλιν ἀδείας καὶ σχολῆς καὶ πρὸς ξένους καὶ οἰκείους ἐπιμειξίας, ἐπόθουν τὸν ἀμίαντον καὶ ἀπόλεμον βίον, ἡδέως μὲν ᾀδόντων τὰ τοιαῦτα χορῶν ἀκούοντες (Eur. Erech. fr. 369.1 Kann.)· “κείσθω δόρυ μοι μίτον ἀμφιπλέκειν ἀράχναις”· ἡδέως δὲ μεμνημένοι τοῦ εἰπόντος, ὅτι τοὺς ἐν εἰρήνῃ καθεύδοντας οὐ σάλπιγγες, ἀλλ' ἀλεκτρυόνες ἀφυπνίξουσι.
Parlando dell'impegno profuso da Nicia in campo diplomatico durante la Guerra del Peloponneso, Plutarco racconta che gli Spartani e gli Ateniesi già in precedenza (πρότερον) avevano pattuito una tregua annuale (ἐκεχειρίαν ἐνιαύσιον), nel corso della quale, riuniti, ascoltavano con piacere cori che cantavano“κείσθω δόρυ μοι μίτον ἀμφιπλέκειν ἀράχναις”. Il verso citato è il primo del frammento dell'Eretteo 369 Kann., frammento tramandatoci da Stobeo 4.14.4, per cui lo scrittore di Cheronea sta facendo riferimento agli spettacoli teatrali in cui era stata rappresentata la nostra tragedia.
Come osservò Geissler51 per primo, l'ἐκεχειρίαν ἐνιαύσιον menzionata da Plutarco
è la stessa tregua annuale di cui parla Tucidide52 (ἔδοξεν τῷ δήμῳ [...] τήν <δ'>
ἐκεχειρίαν εἶναι ἐνιαυτόν), fissandone l'inizio il 14 Elafebolione (ἀρχεῖν δὲ τήνδε τὴν ἡμέραν, τετράδα καὶ δέκα τοῦ Ἐλαφηβολιῶνος μηνός) del 423 a.C.; parecchi studiosi53, però, hanno invece confuso l'armistizio della durata di un anno a cui
51 Cfr. Geissler 1925, p. 29. 52 Cfr. Thuc. 4.118.
fa cenno Plutarco con la pace di Nicia, stabilendo così erroneamente come data della messa in scena dell'Eretteo non il 423, ma il 421 a.C.
Calder54 afferma giustamente che dal passo plutarcheo si ricava inoltre che la
rappresentazione dell'Eretteo avvenne nel corso delle Grandi Dionisie: Plutarco parla infatti diπρὸς ξένους καὶ οἰκείους ἐπιμειξίας e i soli agoni tragici non riservati esclusivamente agli Ateniesi ma aperti anche agli stranieri erano appunto le Dionisie Urbane55. Non rimane dunque che stabilire se si tratti delle Dionisie del 423 a.C. o di
quelle del 422 a.C.: gli studiosi hanno preso posizioni diverse. Calder è a favore del 422: le Dionisie del 423, infatti, sarebbero terminate, come afferma Gomme56, il giorno
precedente il 14 Elafebolione, per cui solo le Dionisie del 422 potevano cadere in tempo di ἐκεχειρία; inoltre, secondo Calder, l'utilizzo del piuccheperfetto ἦσαν πεποιημένοι è indice del fatto che la tregua risultava ratificata da tempo nel momento in cui si assisteva alla messa in scena dell'Eretteo. Di Benedetto57, invece, prendendo in
considerazione le Supplici di Euripide, sostiene che l'Eretteo è stato rappresentato nel 423. Il ragionamento di Di Benedetto parte dal notare che le due tragedie euripidee presentano somiglianze su numerosi livelli58: ciò tradisce la loro vicinanza temporale; i
due drammi, però, non possono essere stati rappresentati lo stesso giorno poiché Euripide esprime in essi opinioni contrastanti riguardo l'inserimento di cittadini non autoctoni nella comunità59; infine, le Supplici risentono del disastro di Delio, avvenuto
nell'Ol. 89.2, invece che nell'Ol. 89.4, offrendo così una datazione alla fine corretta dell'Eretteo!); Nauck 18892, p. 465; Austin 1967, p. 17 (lo sbaglio tuttavia non si ripete in Austin 1968, pp. 22, 30); Treu 1971,
pp. 115-116, p. 125 n. 40. 54 Cfr. Calder 1969, pp. 147-149.
55 Cfr. Pickard-Cambridge 1968, pp. 58-59.
56 Cfr. Gomme-Andrewes-Dover HCT, III, pp. 603, 678-679. 57 Cfr. Di Benedetto 1968, pp. 77-79.
58 Di Benedetto 1968 fa una particolareggiata analisi di questi punti di contatto nelle pp. 70-77. La grande affinità di Eretteo e Supplici era stata notata fin d a Wilamowitz 1875, pp. 173-174, il quale si spingeva fino al punto di racchiudere le due tragedie nella stessa tetralogia. D'altra parte proprio la forte similarità dei due drammi portava Schmitt 1921, p. 64, ad escludere la loro messa in scena nella stessa giornata.
nel novembre del 424 a.C., e non sarebbero bastati ad Euripide i pochi mesi che aveva a disposizione per la messa in scena del dramma nell'Elafebolione del 42360. Di Benedetto
quindi conclude che le Supplici sono state rappresentate nel 422 a.C. e l'Eretteo nel 423. Ulteriore conferma di questa datazione del nostro dramma Di Benedetto individua nel fatto che le parole di Plutarco mal si adatterebbero alle Dionisie del 422, cioè alla vigilia della scadenza della tregua61; Carrara62 tuttavia obietta che: in primo luogo, il 14
Elafebolione non è certo sia il giorno dopo la conclusione delle Dionisie e, per di più, la tregua secondo Tucidide 5.1.1 fu prolungata di qualche mese; in secondo luogo, nell'ἐπόθουν plutarcheo si può leggere il rimpianto di quella pace che Ateniesi e Spartani avevano vissuto per un anno e che, nonostante il prolungamento, stava per terminare. Come si vede, allo stato attuale non si ha modo di pronunciarsi in maniera definitiva a favore dell'una o dell'altra datazione. Mi associo a Sonnino nel credere, sulla base dell'ἐκεχειρίαν ἐνιαύσιον di cui parla Plutarco, che l'Eretteo sia stato rappresentato nel 423/422 a.C.63, ritenendo che ogni altra elucubrazione in merito sia da
lasciare nel campo delle ipotesi.
III Il mito
La serie di eventi messi in scena da Euripide nell'Eretteo è da collocare durante e
60 Al contrario Collard 1975, p. 13, vista la marcata impronta che la sconfitta di Delio vi ha lasciato, propone per le Supplici la data del 423, più vicina all'episodio in questione.
61 Cfr. Di Benedetto 1971, pp. 154 ss. 62 Cfr. Carrara 1977, pp. 16-17.
63 Lo studioso romano dimostra l'attendibilità di tale datazione individuando nell'ἀκριβής (cfr. Polyb. 12.10.4) Timeo di Tauromenion la fonte di Plutarco (cfr. Sonnino 2010, pp. 28-33). Completamente diversa è l'opinione di Cropp e Fick: per i due studiosi Plutarco è in “literary mood” e quando riporta le parole dell'Eretteo sta semplicemente citando, senza alcun riguardo per la data nella quale si collocava, un noto verso lirico, che ben sintetizzava il clima che egli voleva rappresentare (cfr. Cropp-Fick 1985, pp. 79-80).
dopo lo scontro tra Eretteo, re di Atene generato dalla terra e allevato da Atena, e l'invasore Eumolpo, re dei Traci e figlio di Poseidone; tale conflitto rappresenta dunque in qualche modo la continuazione della leggendaria lotta tra Atena e Poseidone per il controllo dell'Attica64. Il sovrano ateniese, prima della battaglia, si rivolge all'oracolo di
Delfi per chiedere come avrebbe dovuto agire per sconfiggere Eumolpo; il responso oracolare gli assicura la vittoria se egli offrirà in sacrificio a Persefone la maggiore delle sue tre figlie. Eretteo, convinto dalla moglie Prassitea, procede all'immolazione, ignaro che le figlie avevano in precedenza stretto un accordo secondo cui alla morte di una di esse le altre si sarebbero suicidate. Lo scontro tra Eretteo ed Eumolpo vede quest'ultimo alfine soccombere, ma Poseidone, mosso dall'ira per la morte del figlio, uccide Eretteo facendolo inghiottire dalla terra. Il dio scatena quindi la sua rabbia su Atene causando un terremoto che rischia di distruggere la città; solo l'intervento ex machina di Atena eviterà quest'ultimo disastro. Nel suo discorso finale, la dea consola la sola sopravvissuta Prassitea istituendo il culto delle figlie come ʻIacintidiʼ a seguito del catasterismo di esse nelle ʻIadiʼ e prescrivendo l'adorazione del marito con il nome di ʻPoseidone-Eretteoʼ nel futuro tempio dell'ʻErettèoʼ; infine investe Prassitea del ruolo di sacerdotessa di Atena Poliade e predice la fondazione dei Misteri Eleusini da parte di un discendente di Eumolpo.
III.1 Prima di Euripide
Come detto in precedenza, Euripide, per quanto ne sappiamo, è il solo nell'ambito della letteratura tragica greca a scegliere come soggetto la saga in questione. Bisogna sottolineare, inoltre, che la vicenda dello scontro tra Eretteo e i Traci guidati da Eumolpo, insieme agli altri episodi dei miti locali dell'Attica, sarà poi tipica del genere attidografico nel IV secolo a.C., mentre la tradizione letteraria pre-euripidea sembra non
64 Per la contesa περὶ χώρας cfr. soprattutto Hdt. 8.55; Paus. 1.24.5, 1.26.4, 1.27.3, 8.10.4; Ps.-Apollod.
presentarne traccia. Tuttavia, se gli studiosi65 hanno sempre sostenuto che la più antica
testimonianza della spedizione di Eumolpo e dei Traci contro Atene è costituita dall'Eretteo euripideo, Sonnino66 ritiene invece che un brano straboniano fornisca la
prova dell'esistenza di tale mito prima di Euripide:
Strab. 7.7.1 (= Hecat. Mil. FGrHist 1 F 119) ῾Εκαταῖος μὲν οὖν ὁ Μιλήσιος περὶ τῆς Πελοποννήσου φησὶν διότι πρὸ τῶν ῾Ελλήνων ᾤκησαν αὐτὴν βάρβαροι. σχεδὸν δέ τι καὶ ἡ σύμπασα ῾Ελλὰς κατοικία βαρβάρων ὑπῆρξε τὸ παλαιόν, ἀπ' αὐτῶν λογιζομένοις τῶν μνημονευομένων· Πέλοπος μὲν ἐκ τῆς Φρυγίας ἐπαγαγομένου λαὸν εἰς τὴν ἀπ' αὐτοῦ κληθεῖσαν Πελοπόννησον, Δαναοῦ δὲ ἐξ Αἰγύπτου, Δρυόπων τε καὶ Καυκώνων καὶ Πελασγῶν καὶ Λελέγων καὶ ἄλλων τοιούτων κατανειμαμένων τὰ ἐντὸς ᾿Ισθμοῦ καὶ τὰ ἐκτὸς δέ· τὴν μὲν γὰρ ᾿Αττικὴν οἱ μετὰ Εὐμόλπου Θρᾷκες ἔσχον, τῆς δὲ Φωκίδος τὴν Δαυλίδα Τηρεύς, τὴν δὲ Καδμείαν οἱ μετὰ Κάδμου Φοίνικες, αὐτὴν δὲ τὴν Βοιωτίαν ῎Αονες καὶ Τέμμικες καὶ ῞Υαντες.
A differenza di Carrara67, Sonnino infatti concorda con Jacoby68 sull'attribuzione
dell'intero passo riportato da Strabone a Ecateo di Mileto: sarebbe dunque di provenienza ecataica anche l'informazione secondo cui “i Traci al seguito di Eumolpo occuparono l'Attica”; poiché l'attività di Ecateo va datata non oltre la Seconda Guerra Persiana, per Sonnino non c'è dubbio che il mito dell'impresa di Eumolpo fosse diffuso in epoca anteriore alla nostra tragedia. Lo studioso romano a sostegno di questa sua teoria cita un secondo passo della Geografia in cui Strabone torna a menzionareτοὺς μετ' Εὐμόλπου [...] Θρᾷκας:
Strab. 8.7.1 ταύτης δὲ τῆς χώρας τὸ μὲν παλαιὸν ῎Ιωνες ἐκράτουν, ἐξ
65 Cfr., per esempio, Harrison 1890, p. LVIII; Carrara 1977, p. 18; Parker 1987, pp. 202-203. 66 Cfr. Sonnino 2010, pp. 45 ss.
67 Cfr. Carrara 1975, pp. 127-129. 68 Cfr. FGrHist I.B, p. 342.
᾿Αθηναίων τὸ γένος ὄντες, ἐκαλεῖτο δὲ τὸ μὲν παλαιὸν Αἰγιάλεια καὶ οἱ ἐνοικοῦντες Αἰγιαλεῖς, ὕστερον δ' ἀπ' ἐκείνων ᾿Ιωνία, καθάπερ καὶ ἡ ᾿Αττική, ἀπὸ ῎Ιωνος τοῦ Ξούθου. φασὶ δὲ Δευκαλίωνος μὲν ῞Ελληνα εἶναι, τοῦτον δὲ περὶ τὴν Φθίαν τῶν μεταξὺ Πηνειοῦ καὶ ᾿Ασωποῦ δυναστεύοντα τῷ πρεσβυτάτῳ τῶν παίδων παραδοῦναι τὴν ἀρχήν, τοὺς δ' ἄλλους ἔξω διαπέμψαι ζητήσοντας ἵδρυσιν ἕκαστον αὑτῷ· ὧν Δῶρος μὲν τοὺς περὶ Παρνασσὸν Δωριέας συνοικίσας κατέλιπεν ἐπωνύμους αὑτοῦ, Ξοῦθος δὲ τὴν ᾿Ερεχθέως θυγατέρα γήμας ᾤκισε τὴν τετράπολιν τῆς ᾿Αττικῆς, Οἰνόην Μαραθῶνα Προβάλινθον καὶ Τρικόρυνθον. τῶν δὲ τούτου παίδων ᾿Αχαιὸς μὲν φόνον ἀκούσιον πράξας ἔφυγεν εἰς Λακεδαίμονα καὶ ᾿Αχαιοὺς τοὺς ἐκεῖ κληθῆναι παρεσκεύασεν, ῎Ιων δὲ τοὺς μετ' Εὐμόλπου νικήσας Θρᾷκας οὕτως ηὐδοκίμησεν ὥστ' ἐπέτρεψαν αὐτῷ τὴν πολιτείαν ᾿Αθηναῖοι.
Strabone questa volta non esplicita la propria fonte, ma a parere di Sonnino deve essere la stessa di Conone, considerata la grandissima somiglianza di questo brano della Geografia con un passo delle Diegeseis cononiane:
Conon. FGrHist 26 F 1.XXVII Δευκαλίων. ἡ κζ' τὰ περὶ Δευκαλίωνος ἀπαγγέλλει, ὃς ἐβασίλευσε τῆς Φθιώτιδος, καὶ τοῦ κατ' αὐτὸν τῆς Ἑλλάδος κατακλυσμοῦ. καὶ περὶ Ἕλληνος τοῦ παιδὸς αὐτοῦ, ὃν ἔνιοι τοῦ Διὸς παῖδα εἶναί φασιν· ὃς καὶ διεδέξατο τὴν βασιλείαν τελευτήσαντος Δευκαλίωνος, καὶ τίκτει παῖδας τρεῖς. ὧν Αἴολον μὲν τὸν πρῶτον βασιλεύειν ἐδικαίωσεν ἧς ἦρχε γῆς, Ἀσωπῷ καὶ Ἐνιπεῖ δυσὶ ποταμοῖς τὴν ἀρχὴν διορισάμενος, ἐξ οὗ τὸ Αἰολικὸν κατάγεται γένος. Δῶρος δ' ὁδεύτερος μοῖραν τοῦ λαοῦ λαβὼν παρὰ τοῦ πατρὸς ἀποικίζεται καὶ ὑπὸ Παρνασσὸν τὸ ὅρος κτίζει πόλεις Βοιόν, Κυτίνιον, Ἐρινέον· ἐξ οὗ Δωριεῖς. ὁ δὲ νεώτατος Ἀθήναζε ἀφικόμενος κτίζει τετράπολιν καλουμένην τῆς Ἀττικῆς καὶ γαμεῖ Κρέουσαν τὴν Ἐρεχθέως καὶ τίκτει ἐξ αὐτῆς Ἀχαιὸν καὶ Ἴωνα. καὶ ὁ μὲν Ἀχαιὸς ἀκούσιον φόνον ἐργασάμενος ἠλάθη, καὶ εἰς Πελοπόννησον ἐλθὼν Ἀχαίαν κτίζει τετράπολιν· ἐξ οὗ Ἀχαιοί. Ἴων δὲ θανόντος τοῦ μητροπάτορος διά τε τὴν ἀρετὴν καὶ τὴν ἄλλην ἀξίωσιν
αἱρηθεὶς βασιλεύει Ἀθηναίων· ἐξ οὗ Ἴωνες οἵ τε Ἀθηναῖοι ἤρξαντο καλεῖσθαι καὶ τὸ ἄλλο πᾶν Ἰωνικόν.
Sonnino dà molto credito alla teoria di Wilamowitz69 che la fonte di entrambi i passaggi
sia Eforo, aggiungendo però che è anche possibile e non in contraddizione con tale ipotesi che si possa pensare ad Ecateo come fonte comune di Strabone e Conone: “Poiché, infatti, Ecateo era una delle fonti di Eforo; e Eforo, a sua volta, era stato certamente utilizzato da Conone; nulla esclude che si abbia a che fare con una tradizione: ʻEcateo > Eforo > Strabone-Cononeʼ ”70. Il racconto dell'impresa di
Eumolpo risalirebbe quindi al VI secolo a.C., anche se in una versione diversa da quella fornita da Euripide: in Strabone e Conone, infatti, a difendere Atene dall'invasione tracia non è Eretteo ma il nipote Ione, figlio di Creusa, a sua volta figlia di Eretteo71. Per
Sonnino questo dovrebbe essere il mito originario, un racconto che non a caso ben si adatta all'atmosfera del VI secolo a.C.: Ione, essendo figlio di Xuto e Creusa, risulta ateniese per parte di madre ma ʻstranieroʼ per parte di padre; ora, la sua incoronazione a re di Atene per il valore dimostrato contro Eumolpo e il suo diventare il capostipite degli Ioni riflette a pieno l'atteggiamento xenofilo di Atene e in particolare deiγένη nobiliari in età pisistratea. All'epoca della tirannia di Ippia risalirebbe poi il cosiddetto ʻdecreto di Filocoroʼ72, in cui si dava ordine alle fratrie di riconoscere la cittadinanza ai
figli nati da matrimoni tra Ateniesi e donne straniere. Nel V secolo a.C., invece, con la sconfitta della tirannide e il trionfo della democrazia mutò profondamente l'ideologia; nella propaganda politica venne meno il filoionismo e si passò ad un atteggiamento di chiusura nei confronti degli stranieri e del loro stile di vita poco austero. Nel 451 a.C. la legge di Pericle73 dichiarò cittadini legittimi solo i figli di padre e madre ateniesi,
69 Cfr. Wilamowitz 1893 II, p. 137 n. 24; Wilamowitz 1926, pp. 5-6. 70 Cfr. Sonnino 2010, p. 51.
71 Il mito dello scontro tra Ione ed Eumolpo è presente anche in Ferecide (cfr. Pherecyd. Ath. FGrHist 3 F 176).
72 Cfr. Philoch. FGrHist 328 F 35 a.
definendoνόθοι ovvero “bastardi” quelli con un genitore non ateniese. È questo il periodo in cui produce Euripide, che, non potendo fare di uno straniero il salvatore dell'Attica, nell'Eretteo sostituirebbe Ione con l'Ateniese autoctono Eretteo74.
III.2 Eretteo
La figura di Eretteo compare già in Omero: il secondo libro dell'Iliade (vv. 546 ss.) afferma che, nato dalla “terra feconda”, ilμεγαλήτωρ Eretteo venne allevato da Atena, che “lo insediò nel proprio ricco tempio ad Atene” (ἐν Ἀθήνῃς εἷσεν ἑῷ ἐνὶ πιόνι νηῷ75); di un “tempio di Eretteo” (᾿Ερεχθῆος […] δόμον76) si parla poi in Odissea
7.80-81, quando si dice che Atena vi fa ritorno dopo aver lasciato l'isola dei Feaci alla volta di Atene. Anche se per noi meno importante, un'altra menzione di Eretteo precedente rispetto a Euripide è presente in Esiodo77, che, come riferisce Pausania 2.6.5,
ne faceva il padre di Sicione.
Nel V secolo a.C., in un momento in cui Atene è la città “migliore” poiché, come dice Prassitea, ha unλεὼς οὐκ ἐπακτὸς ἄλλοθεν bensì autoctono78, la scelta
euripidea dell'eroe combattente in difesa dell'Attica contro i barbari invasori non poteva non ricadere su᾿Ερεχθεύς ovvero ᾿Εριχθόνιος79. Nella tradizione, infatti,
74 Nello Ione, invece, Euripide annulla la discendenza biologica del protagonista da Xuto, rendendolo figlio di Apollo e Creusa.
75 Di un νηὸς di Eretteo sull'Acropoli scrive anche Erodoto: cfr. Hdt. 8.44.
76 Cfr. LSJ s. v. δόμος: “Ἐρεχθῆος πυκινὸν δόμον the building of Erechtheus, i.e. the temple of Athena”. In entrambi i passi omerici si fa dunque riferimento a quel tempio sull'Acropoli di Atene oggi conosciuto come ʻErettèoʼ di cui abbiamo detto nelle pp. 9 s.
77 Cfr. Hes. fr. 224 in Merkelbach - West 1967. 78 Cfr. Eur. Erech. fr. 360 Kann., vv. 5-13.
79 Engelmann in Roscher 1884 s. v. Erechtheus sostiene che “originariamente” Eretteo coincideva con Erittonio, cosa del resto chiara agli antichi: cfr. schol. Hom. Il. 2.547 e EtM 371.29 in Gaisford 1848. Successivamente avvenne uno sdoppiamento del personaggio: nello Ione di Euripide (vv. 267-268), per esempio, Eretteo risulta figlio di Erittonio, mentre nella Biblioteca dello Pseudo-Apollodoro (3.187-191)
Erittonio/Eretteo rappresenta l'autoctono per eccellenza, il cui legame con la terra (χθών) è esplicitato già dal nome: secondo il mito, Erittonio/Eretteo nacque dalla ζείδωρος ἄρουρα iliadica (e γηγενής lo definirà anche Erodoto 8.44) che aveva ricevuto lo sperma eiaculato da Efesto durante un vano tentativo di violentare Atena, per cui è la massima espressione della cittadinanza ateniese per nascita, per ius soli nel senso in cui intende Prassitea (αὐτόχθονες [...] ἔφυμεν). Inoltre, come sottolinea Sonnino80, Euripide, scegliendo di mettere in scena una guerra tra l'ateniese Eretteo e il
barbaro Eumolpo, richiamava alla mente del suo pubblico il ricordo delle Guerre Persiane e dunque l'immagine propagandistica di Atene baluardo dell'Ellade: in tale senso va letto l'agone presente nell'Eretteo tra il sovrano ateniese e l'araldo tracio (cfr. Eur. Erech. frr. 352, 353, 355, 356 Kann.).
III.3 Eumolpo
Ben più controversa appare la questione relativa all'avversario di Eretteo, Eumolpo. Il nome di Eumolpo è presente in numerose testimonianze81; la tradizione, tuttavia, non
fornisce una caratterizzazione univoca di questo personaggio, da essa bensì emergono principalmente due figure contrastanti: Eumolpo ci viene descritto sia come guerriero di origine tracia che come il sacerdote di Eleusi fondatore dei Misteri. Anche all'interno di queste due raffigurazioni si hanno molteplici versioni. Per quanto riguarda l'Eumolpo ierofante, alcune testimonianze lo descrivono come autoctono eleusino nato dalla terra (cfr. soprattutto H. Hom. Cer. 149-156, 473-476), in altre egli risulta ateniese (cfr. Ovid. Met. 11.90-94 e Plin. Sen. N H 7.199-200), in ulteriori fonti è invece un poeta tracio
è il nipote; tuttavia è evidente che si tratti di un'unica persona, come evidenzia Sonnino 2010 a p. 60, dal fatto che entrambi hanno una moglie di nome Prassitea (cfr. Ps.-Apollod. Bibl. 190,196).
80 Cfr. Sonnino 2010, pp. 89-90.
figlio o padre di Museo (cfr., per esempio, Suid. ε 3584, 3586 Adler82; Philoch. FGrHist
328 F 209). L'Eumolpo combattente, nato da Poseidone e Chione, può invece comparire come alleato di Eleusi (cfr. per esempio Ps.-Apollod. Bibl. 3.201-205) o come unico nemico di Atene (cfr. ad esempio Isoc. Paneg. 68 e Panath. 193), eventualmente affiancato da un figlio di nome Ismaro/Ismarado/Immarado (chiaro riferimento alla città tracia di Ismaro) quando l'avversario è Eretteo (cfr. Paus. 1.38.2-4). Comunque, ai nostri fini, ciò che più è importante è che il sacerdote non viene mai rappresentato nell'atto bellico di tentare una conquista dell'Attica; bisogna invece approfondire la questione della presenza o meno degli Eleusini nell'impresa dell'Eumolpo guerriero. Tucidide 2.15.1 scrive che prima del sinecismo compiuto da Teseo si erano verificati degli scontri tra i villaggi dell'Attica e porta come esempio paradigmatico l'attacco degliἘλευσίνιοι μετ' Εὐμόλπου πρὸς Ἐρεχθέα. Possiamo però affermare, in accordo con Schwartz83
e con la cautela dovuta nei casi di opere frammentarie, che nell'Eretteo di Euripide i nemici di Atene sono esclusivamente i Traci “popolo di Eumolpo” (cfr. Eur. Erech. fr. 360.46-49 Kann.); così del resto afferma Lyc. In Leocr. 98-101, richiamando esplicitamente la nostra tragedia. Il ritrovamento del P. Sorb. 2328 ha poi permesso, sebbene solo in parte, la lettura del discorso ex machina di Atena, in cui si parla di “un Eumolpo della stirpe dell'Eumolpo ucciso” (cfr. Eur. Erech. fr. 370.100 ss. Kann.) in connessione con i Misteri Eleusini. Tutto ciò ci spinge a ritenere che Euripide operi quella che Sonnino definisce una “gestione politica del mito”84: il tragediografo,
conoscendo le difficoltà che sarebbero potute nascere nel mettere in scena il conflitto Atene vs Eleusi in un'epoca in cui le due città erano alleate e gli Eleusini erano parte attiva dellaπόλις ateniese, trasforma quella che sarebbe apparsa come una guerra civile nella lotta di Atene contro i barbari; inoltre, poiché in seguito al sinecismo i Misteri Eleusini erano diventati una parte fondamentale della religiosità ateniese e secondo la tradizione era da attribuire ad un Eumolpo la fondazione di essi, Euripide, per evitare di
82 Cfr. Adler 1928-1938. 83 Cfr. Schwartz 1917, pp. 13 ss. 84 Cfr. Sonnino 2010, p. 62.
far risalire il culto ad un tracio nemico di Atene, conferisce il ruolo di fondatore ad un omonimo discendente dell'Eumolpo sconfitto85.
Infine, è il caso di sottolineare che l'Eumolpo guerriero in quanto figlio di Chione risulta tracio per parte del nonno materno Borea, ma anche pronipote di Eretteo per parte della nonna materna Orizia: si può dunque concludere con Sonnino che
la versione democratica del mito, seguita da Euripide, con l'illogica guerra tra l'avo Eretteo e il pronipote Eumolpo era il risultato di una grossolana alterazione di una precedente e coerente versione, che contemplava lo scontro tra due cugini (Eumolpo tracio, Ione), per il controllo del regno lasciato dal comune avo morto (Eretteo).86
III.4 Le Eretteidi-Iacintidi
Altri personaggi importanti della saga messa in scena nell'Eretteo sui quali è necessario fare delle precisazioni sono le figlie del re ateniese. Nell'oratio ex machina di Atena, che doveva concludere la nostra tragedia, si parla della divinizzazione delle Eretteidi con il nome di “Iacintidi” (cfr. Eur. Erech. fr. 370.74 Kann.); questo epiteto, però, è evidentemente da associare a Iacinto e non a Eretteo. In origine Iacinto era una divinità dell'Ellade pregreca (come suggerisce il suffisso -ινθος)87, il cui culto, associato
a quello di Apollo e osservato ad Amicle fino in età storica, si era perso nel resto della Grecia. Nello Ps.-Apollodoro88 Iacinto infatti è semplicemente uno spartano, le cui figlie
furono immolate per salvare Atene in guerra contro Minosse da pestilenza e carestia.89 È
85 Sulla genealogia degli Eumolpidi si veda lo schol. Soph. OC 1053. 86 Cfr. Sonnino 2010, p. 74.
87 Cfr. Schwartz 1917, p. 30. 88 Cfr. Ps.-Apollod. Bibl. 3.212-213.
89 Meno affidabile appare la spiegazione etimologica fornita da Fanodemo (cfr. Phanod. FGrHist 325 F 4), secondo cui l'epiteto “Iacintidi” sarebbe da collegare al colle Iacinto, sul quale furono immolate le
facile ipotizzare che successivamente, con il degradarsi dei rapporti con Sparta che culminerà nella Guerra del Peloponneso, ad Atene l'origine spartana delle Iacintidi divenne non più accettabile e si sostituì Iacinto con Eretteo, ateniese autoctono.
L'immolazione di vergini sorelle per la salvezza di una città non è una novità nella tradizione90, ma, in contrasto con questo topos ricorrente del sacrificio collettivo di
vergini, nell'Eretteo di Euripide viene immolata solo una fanciulla e le due sue sorelle si suicideranno. Da far notare, infine, la differente versione del mito esposta da Euripide nello Ione (vv. 277 ss.), in cui Creusa racconta di come fosse sfuggita all'immolazione quando era infante e conferma la morte collettiva per sacrificio delle sue sorelle. Tutto ciò trova una spiegazione nel fatto che “non c'è mai stata un'unica, autoritativa, canonica versione delle storie tradizionali”91: Sommerstein92 sottolinea come tale
“flessibilità del mito fosse una risorsa inestimabile per il tragediografo”, che aveva così una certa libertà “nella costruzione delle trame e nella modellazione dei personaggi”, e poteva quindi “giocare con le aspettative e le emozioni del pubblico”.
IV Tentativo di ricostruzione della struttura dell'Eretteo euripideo
Nel corso di questo lavoro ci soffermeremo sui due frammenti più corposi dell'Eretteo pervenutici per tradizione indiretta, ovvero laῥῆσις di Prassitea (fr. 360 Kann.) e quella di Eretteo (fr. 362 Kann.). Si ritiene tuttavia opportuno proporre a questo punto una ricostruzione della struttura dell'intero dramma.
L'azione si svolge sull'Acropoli di Atene e il Coro è formato da vecchi Ateniesi.
figlie di Eretteo.
90 Si vedano per esempio i miti delle Leocoridi (cfr. Ael. VH 12.29) e delle Orionidi (cfr. Ant. Lib. Met. 25).
91 Cfr. Sommerstein 2005, p. 164. 92 Cfr. Sommerstein 2005, p. 169.
Prologo
Entra in scena Poseidone, che nel suo monologo d'apertura espone gli antefatti della tragedia. Il dio informa il pubblico delle vicende occorse al figlio Eumolpo: fr. 349 Kann., che si riferisce al salvataggio di Eumolpo in Etiopia93. Come sostenuto da
Carrara94 e Jouan95, è da collocarsi nel prologo e prima del fr. 349 anche il frammento
369a Kann., relativo all'unione illegittima di Poseidone e Chione che avrebbe portato al concepimento del guerriero tracio96.
Parodo
Di questa sezione, che vedeva l'entrata in scena del Coro, non è rimasto nulla. Webster97 collegava all'ingresso del Coro il riferimento ai ritmi asiatici presente nel
frammento che Kannicht classificherà come 369d, ma è maggiormente plausibile l'ipotesi di Sonnino di collocarlo nella lacuna di fr. 370.8-9 Kann.98
I Episodio
Eretteo, sopraggiunto sulla scena, parla delle popolazioni barbare connesse ad Eumolpo: frr. 366, 367 e 368 Kann.99 I “barbari che non mangiano pesce” del fr. 366
potrebbero essere, secondo Nagel100, i Geti, dei quali scrive Strabone 7.3.5τὸ τῶν
ἐμψύχων ἀπέχεσθαι δι' εὐσέβειαν. Nel frammento 367, invece, si parla dei Selli che “dormono su nuda terra e non bagnano in acque i piedi” (cfr. Hom. Il. 16.234-235).
93 Cfr. Ps.-Apollod. 3.201-205. 94 Cfr. Carrara 1977, pp. 28, 59.
95 Cfr. Jouan-van Looy 2000, pp. 101, 116.
96 Sonnino 2010, p. 418, pur ammettendo che il frammento possa trovarsi nel racconto iniziale del dio, non esclude che esso appartenga ad una sezione lirica che rievocava gli avvenimenti passati.
97 Cfr. Webster 1967, p. 128 n. 19. 98 Si veda a p. 7.
99 Carrara 1977, pp. 29-30, 60-61, pensa che questi ultimi due frammenti siano da inserire nel monologo di Poseidone o comunque nel prologo, poiché il loro contenuto non è ascrivibile alla vicenda drammatizzata nell'Eretteo ma ne rappresenterebbe un antefatto. Non fornisce invece alcuna collocazione del fr. 366.
I Selli erano un'antica famiglia di interpreti divini stanziati a Dodona, sede dell'oracolo di Zeus che verteva sull'interpretazione del fruscio delle foglie di una quercia ritenuta sacra (cfr. Hom. Od. 14.327-328, 19.296-297). A tale quercia si riferisce il frammento 368, che è tramandato da Append. Provv. 3.97 L.-S.101 e parla della sua “profanazione”:
l'Appendix spiega che tale misfatto fu perpetuato dai Beoti con l'uccisione di una delle Peleiadi, sacerdotesse che seguirono ai Selli nella custodia dell'oracolo (cfr. Hdt. 2.55, Soph. T r . 172, Strab. 7.239, Paus. 10.12.10).102 Eretteo passa quindi a riferire
dell'oracolo di Delfi, che in cambio della vittoria pretende il sacrificio della figlia maggiore a Persefone. Segue un agone dialettico con un sopraggiunto araldo tracio: al concetto di guerra giusta dell'esercito greco, piccolo ma sostenuto dagli dei, si contrappone l'ideologia della forza dell'esercito barbaro, numeroso ma indifferente alla volontà divina. In questo contesto vanno collocati, in quest'ordine, i frr. 352, 353, 355, 356, 354 Kann. A tale agone è da riferire anche il frammento 363 Kann.εἷς μὲν λόγος μοι δεῦρ' ἀεὶ περαίνεται che, come nota Sonnino103, segna la fine di
un'argomentazione similmente a Eur. Suppl. 456 καὶ ταῦτα μὲν δὴ πρὸς τὰ σ᾿ ἐξηκόντισα.
I Stasimo
Non appare possibile associare con sufficiente convinzione alcun frammento a questo come agli stasimi successivi.
II Episodio
Eretteo, in dubbio sul da farsi (fr. 365 Kann.104), torna da Prassitea con il responso
101 Cfr. Leutsch-Schneidewin 1839.
102 Alcuni studiosi (tra cui Robert 1885, p. 377; Ermatinger 1897, pp. 93-94, van Looy 1970, pp. 120-121; Carrara 1977, pp. 30, 60-61) ipotizzano che nei frr. 367 e 368 Euripide menzionasse l'indovino Sciro, proveniente da Dodona secondo Pausania 1.36.4-5. Ermatinger e van Looy ritengono che Sciro, intraprendendo un agone dialettico con Eretteo (collocabile nel I episodio, vd. infra), abbia la funzione di messo inviato da Eumolpo, simile a quella dell'araldo di Euristeo negli Eraclidi e di quello tebano nelle
Supplici.
103 Cfr. Sonnino 2010, pp. 232 s.
dell'oracolo: ne consegue una discussione tra i due coniugi che culmina nellaῥῆσις di Prassitea (frr. 360, 360a Kann.), con cui la regina persuade il re a immolare la figlia. Collocabile in tale contesto è anche il fr. 359 Kann. sulla superiorità del vincolo con i figli naturali rispetto a quelli adottivi, sebbene sia difficile stabilire chi parli e cosa intenda: per Carrara105 è Prassitea che giustifica così il proprio rifiuto della proposta del
marito di sacrificare una persona adottata, Sonnino106 invece pensa che qui come a fr.
360.42 Kann. la regina alluda criticamente al τέκνον (a cui sarà poi indirizzato il lungo discorso di Eretteo, vd. infra) oppure che a parlare sia qualcuno, certo non Eretteo, contrario a un successore al trono estraneo al γένος degli Eretteidi.
II Stasimo
III Episodio
Arriva il momento del sacrificio, ai cui preparativi si riferisce il fr. 350 Kann.: la figlia immolanda vi assiste ignara del suo destino e chiede ragione del trambusto107.
III Stasimo
l'azzardare una collocazione successiva alle ultime parole di Eretteo prima di morire, leggendolo come un commento del Coro o delτέκνον (per cui si rimanda alla n. 108) “che, pur rendendosi conto dell'inopportunità di protrarre il colloquio, vorrebbe ancora intrattenersi con Eretteo”.
105 Cfr. Carrara 1977, pp. 32, 62. 106 Cfr. Sonnino 2010, p. 410.
107 Per Carrara 1977, pp. 32, 70, non è la fanciulla a parlare ma il Coro. Lo studioso colloca a questo punto il fr. 351 Kann.: si tratterebbe delle parole di addio rivolte alla madre, alle sorelle o ad altre donne del seguito da parte dell'immolanda e riferite al pubblico da unἄγγελος nell'ambito della narrazione del sacrificio, avvenuto extra scaenam (cfr. Carrara 1977, pp. 33, 71). Ritengo maggiormente fondata l'ipotesi di Sonnino 2010, p. 408, secondo cui il frammento in questione troverebbe collocazione nel racconto dei preparativi della battaglia andato perduto dopo fr. 370.22 Kann.: il messaggero riporterebbe l'esortazione di Eretteo alle donne a invocare l'aiuto di Atena elevando il grido rituale.
IV Episodio
Eretteo, prima di partire per la battaglia, congedandosi dalla moglie e dalle figlie, esorta queste ultime ad amare la propria madre nonostante la decisione di sacrificare la sorella (fr. 358 Kann.108). Il re si rivolge poi alτέκνον109lasciandogli il suo testamento
ideologico, nel quale elenca le virtù che, se non tornasse vivo dalla battaglia, il figlio, nuovo regnante, dovrà far proprie: fr. 362 Kann.
IV Stasimo
È collocabile a questo punto il fr. 369 Kann., in cui il Coro pronuncia l'ʻinno alla paceʼ nella speranza che la battaglia termini presto.
Esodo
Si colloca in questa sezione il lungo frammento 370 Kann. Il Coro si domanda quale sia l'esito dello scontro, quando dal campo di battaglia sopraggiunge un messaggero: dallo scambio dialettico tra il nunzio e Prassitea si apprende che sì Eumolpo è stato sconfitto da Eretteo, ma che entrambi hanno perso la vita. Dopo la perdutaῥῆσις del nunzio, segue il lamento di Prassitea che ha saputo, presumibilmente da un secondo messaggero, anche della morte per suicidio delle altre due figlie, i cui corpi erano stati
108 Carrara 1977, pp. 33, 71, propone l'alternativa di leggere tale passo come parole pronunciate nell'episodio precedente dalla figlia maggiore condotta all'ara.
109 Non è semplice stabilire l'identità di questoτέκνον ovvero “figlio” destinatario della ῥῆσις di Eretteo. Euripide, al contrario di quanto fa ampiamente e variamente la tradizione (cfr. Hes. apud Paus. 2.6.5; Paus. 7.1.2; Ps.-Apollod. Bibl. 3.196, 204; Ovid. Met. 6.697), non attribuisce in questa tragedia al re alcun figlio maschio (vd. fr. 360.22-25, 34-37); si è giunti perciò alla conclusione che si tratti di un figlio adottivo, e di figli adottati del resto si parla, come è stato già detto, nel fr. 359 Kann. Certo, non si può fare a meno di notare che Atena nel suo discorso ex machina nel predire il futuro di tutti i personaggi non menziona minimamente taleτέκνον; credo tuttavia colga nel vero Carrara 1977, pp. 33 s., quando afferma che questo “figlio” non ha alcuna “funzionalità drammatica” ma solo quella ideologica di “personaggio-simbolo […] della continuità dinastica e, quindi, della stabilità interna della città” ; scrive giustamente Carrara “La morte di Eretteo in battaglia, infatti, doveva un poco offuscare i fausti effetti della vittoria: un'Atene vincitrice, ma priva del suo capo, non s'accordava con la tesi patriottica del dramma.” Carrara 1977, pp. 34 s., finisce col sostenere, in accordo con Nagel 1842, pp. 85 s., che il τέκνον sia Ione, ma molto più fondata appare l'ipotesi argomentata da Sonnino 2010, pp. 125 ss., che tale erede di Eretteo, al quale alluderebbero anche le parole di Prassitea di fr. 360.41-42, sia Pandione.
in qualche modo portati sulla scena110. A questo punto Poseidone si scatena su Atene,
provocando un terremoto. A fermare l'ira del dio è l'intervento di Atena ex machina: la dea rivela a Prassitea la divinizzazione delle figlie come dee Iacintidi e ordina la costruzione al centro dell'acropoli di un santuario dedicato ad Eretteo-Poseidone; per aver contribuito alla salvezza della città, Atena nomina propria sacerdotessa la regina; infine la dea preannuncia la fondazione dei Misteri Eleusini da parte di un omonimo discendente dall'Eumolpo ucciso. Sulla risposta di Prassitea si interrompe il testo del papiro.
110 Secondo Jouan-van Looy 2000, p. 108, nel corso delκομμός tra Prassitea e il Coro potrebbe trovare collocazione il fr. 357 Kann.
CAPITOLO 1 – La
ῥῆσις di Prassitea
Il frammento 360 Kann. è il passo più lungo che la tradizione indiretta ci ha conservato dell'Eretteo euripideo: si tratta della celebreῥῆσις di Prassitea, citata per intero da Licurgo nella sua Contro Leocrate (In Leocr. 100)111. La regina nel suo ampio
discorso, rivolto ad Eretteo di ritorno da Delfi, esorta il marito a compiere l’immolazione della figlia, sacrificio rituale richiesto dall'oracolo in cambio della vittoria di Atene sui Traci. Di seguito il testo112 del frammento e la corrispondente
traduzione. ΠΡΑΞΙΘΕΑ τὰς χάριτας ὅστις εὐγενῶς χαρίζεται, ἥδιον ἐν βροτοῖσιν· οἳ δὲ δρῶσι μέν, χρόνῳ δὲ δρῶσι, δυσγενέστερον < >. ἐγὼ δὲ δώσω τὴν ἐμὴν παῖδα113 κτανεῖν. λογίζομαι δὲ πολλά· πρῶτα μὲν πόλιν οὐκ ἄν τιν’ ἄλλην τῆσδε βελτίω λαβεῖν· 4
111 I versi 7-10 del monologo di Prassitea sono citati anche da Plutarco (cfr. Plut. De exilio 604d-e), insieme ad altri cinque trimetri di cui Licurgo non fa menzione (cfr. Eur. Inc. Sed. fr. 981 Kann.): sulla minore affidabilità della testimonianza plutarchea rispetto a quella della Contro Leocrate vd. Sonnino 2010, pp. 248 s.
112 Il testo è quello di Kannicht TrGF, salvo i casi segnalati in nota.
113 Si è preferito mantenere la lezione dei codici di Licurgoτὴν ἐμὴν παῖδα piuttosto che accogliere, come fa Kannicht, la trasposizione di Taylorπαῖδα τὴν ἐμὴν, dato che, come nota Sonnino 2010, p. 254, si ha l'ordine pronome + sostantivo anche in Eur. Hec. 1207ἔκτεινε τὸν ἐμὸν παῖδα καὶ κὲρδη τὰ σά.
ᾗ πρῶτα μὲν λεὼς οὐκ ἐπακτὸς ἄλλοθεν, αὐτόχθονες δ’ ἔφυμεν· αἱ δ’ ἄλλαι πόλεις πεσσῶν ὁμοίαις114 διαφοραῖς ἐκτισμέναι ἄλλαι παρ’ ἄλλων εἰσὶν εἰσαγώγιμοι. ὅστις δ’ ἀπ’ ἄλλης πόλεος οἰκίζει115 πόλιν, ἁρμὸς πονηρὸς ὥσπερ ἐν ξύλῳ παγείς, λόγῳ πολίτης ἐστί, τοῖς δ’ ἔργοισιν οὔ. ἔπειτα τέκνα τοῦδ’ ἕκατι τίκτομεν, ὡς θεῶν τε βωμοὺς πατρίδα τε ῥυώμεθα. πόλεως δ’ ἁπάσης τοὔνομ’ ἕν, πολλοὶ δέ νιν ναίουσι· τούτους πῶς διαφθεῖραί με χρή, ἐξὸν προπάντων μίαν ὕπερ δοῦναι θανεῖν; εἴπερ γὰρ ἀριθμὸν οἶδα καὶ τοὐλάσσονος τὸ μεῖζον, οὑνὸς116 οἶκος οὐ πλέον σθένει πταίσας ἁπάσης πόλεος οὐδ’ ἴσον φέρει. εἰ δ’ ἦν ἐν οἴκοις ἀντὶ θηλειῶν στάχυς ἄρσην, πόλιν δὲ πολεμία κατεῖχε φλόξ, 8 12 16 20
114 Con Sonnino scriviamoὁμοίαις anziché ὁμοίως, conservando così quanto tramandato dai manoscritti di Licurgo ed evitando la contaminazione del testo della Contro Leocrate con quello di Plutarco: “Non ha senso, infatti, dire che le città ʻsono popolate in maniera analoga (ὁμοίως) agli spostamenti delle pedineʼ; mentre è chiaro che sono gli spostamenti (διαφοραῖς) [scil. delle popolazioni] a essere assimilati a quelli delle pedine”, con la comparatio compendiaria con ὅμοίος per cui vd. LSJ s.
v. ὅμοίος, B.2 (cfr. Sonnino 2010, pp. 262 s.).
115 Non riteniamo ci sia la necessità di correggere il traditoοἰκίζει con l'οἰκήσῃ di Meineke, accolto da Kannicht:οἰκίζω qui non ha il significato di ʻfondareʼ una nuova città ma quello di ʻpopolareʼ una città già esistente, e l'indicativo descrive perfettamente “la stabile e duratura occupazione di una terra altrui”, per cui non c'è alcun bisogno di ricorrere al congiuntivo aoristo di οἰκέω (cfr. Sonnino 2010, pp. 263 s.). 116 Kannicht stampa †ἑνὸς†, lezione dei codici, ma la congettura di Emperius οὑνὸς, accolta da Carrara, Jouan-van Looy e Sonnino, risolve il problema metrico, senza distanziarsi molto dal testo della tradizione e conservando la contrapposizione ʻuno/moltiʼ su cui sono incentrati i versi in questione (cfr. Carrara 1977, p. 67 e Sonnino 2010, p. 270).