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IL NOME «STESICORO»: FORMA ED ETIMOLOGIA (TTa1-3)

In età tardo-antica e bizantina la manualistica grammaticale e la trattatistica metrica impiegarono il nome «Stesicoro» per esemplificare norme ortografiche o schemi metrici. Si tratta, come è facile comprendere, di una prassi legata all’insegnamento, finalizzata ad una facile memorizzazione di alcune ‘regole’ – e delle relative ‘eccezioni’ – da parte dei discenti; una prassi che ci aiuta a compredere la familiarità che gli studenti dovevano avere con questo nome, e forse anche con la figura del Nostro e con gli aneddoti a lui legati1: basti pensare alle celebri Epistole pseudofalaridee (Ta43(i-xxv)) – lettere fittizie basate sull’esercizio retorico dell’etopea e a lungo circolate nell’ambito delle scuole retoriche, dall’età imperiale a quella bizantina – nelle quali si raccontavano le alterne vicende del rapporto personale di Stesicoro con Falaride2.

Dal punto di vista linguistico, Sthsivcoro~ è «un composto nominale a dipendenza verbale» – per usare la definizione impiegata da Calame (1988, 180) – ovvero un composto nel quale l’elemento verbale (sthsi- < i{sthmi)3 regge quello nominale: il significato, dunque, è quello tecnico di «istitutore/ordinatore del coro». Si tratta di un idionimo del tutto analogo a quello di ≠Aghsicovra («colei che conduce il coro») che compare nel Grande Partenio di Alcmane (PMGF 1, 53,57,77,79,90) per designare la corega4. Il composto ricorre come nome proprio della Musa della poesia corale (Sthsicovrh, al posto di Teryicovrh) nel celebre Vaso François (ca. 570-560 a.C.)5 e come attributo dell’inno nella scena di scuola sulla coppa di Duride (Oxford G 138, 3, 5, 11, ascrivibile alla metà del V sec. a.C.)6, dove un giovane studente regge in mano un rotolo con su scritto sthsivcoron u{mnon a[goisai (Mel. adesp. PMG 938c). Come nome proprio, esso è anche bene attestato per l’età classica ed ellenistica: di un poeta giunto in Grecia nel 486/485 o 485/484 a.C. si ha notizia dal Marmor Parium (FGrHist 239 A 50 = °Ta35), da cui si apprende pure dell’esistenza di un ditirambografo del IV sec. a.C. chiamato Sthsivcoro~ oJ ïImerai`o~ oJ deuvtero~ (FGrHist 239 A 73); all’età classica o ellenistica potrebbe attribuirsi forse anche il citarodo menzionato nella Suda (e 2681 A. = °Ta36) ed in un’orazione di Psello (Or.

min. 37,257-262 = °Ta37); sicuramente all’età ellenistica appartengono gli altri sette

omonimi registrati da iscrizioni provenienti da tutto il mondo greco, ma in particolare da Atene e dalla Magna Grecia (Sicilia inclusa): tra questi vi è un tragiko;~ corodi-

davskalo~ (ateniese) del I sec. a.C. attivo ad Argo (SEG XXXIII 290B,25 = Stephanis

1 Non sarà del tutto casuale il fatto che numerosi esempi, in àmbito sia grammaticale che metrico, siano costituiti dai nomi di celebri autori greci: una familiarità con queste figure doveva pure esservi, per quanto superficiale (si pensi ad es. alla succinta rassegna dei lirici offerta dall’epigramma anonimo conservato presso gli scolî a Pindaro – su cui cf. Gallo (1974); vd. comm. ad Tb5 – databile alla prima età imperiale). Altri nomi importanti che compaiono negli jEpimerismoiv erodianei (ma sull’authorship

dell’opera cf. n. 13) sono – oltre a quelli degli autori ancora letti (Aristofane, Demostene, Euripide, Omero, Pindaro, Tucidide) – Arione, Focilide, Ibico, Saffo, Simonide. Nella antica lista dei piedi metrici attribuibile al IV sec. d.C. (cf. ad Ta3(a-d)), invece, troviamo i nomi di Solone, Omero, Anacreonte, Aristide, Archimede, Demostene.

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Sulla questione, cf. introd. ad Ta43(i-xxv), §§ 3 e 4. 3

Il verbo ha valore transitivo, come nel composto corostavth~ (cf. Calame [1977, I 95s.]).

4 Per altre formazioni analogiche (Teryicovrh, Coronivkh) e le loro attestazioni, cf. Rizzo (1895, 38 n. 4). 5 Sul vaso ed il suo rapporto con la poesia stesicorea, cf. comm. ad Tb63. Sul rapporto con lo Scutum pseudo-esiodeo, cf. Russo (1965, 32 e n. 32).

6 Sulla coppa e le raffigurazioni in essa presenti, cf. Beazley (1948, 337s.), Immerwahr (1964, 19), Pavese (1972, 245) e De la Genière-Zancani Montuoro (1980, 74).

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1988, 404 nr. 2297 = PAA XV 372 nr. 832460)7. In più di un caso, come si può notare, all’antroponimo corrisponde l’effettivo svolgimento della professione di compositore lirico o maestro di coro da parte del soggetto portatore del nome. Non è tuttavia facile stabilire, caso per caso, se Sthsivcoro~ sia un sobriquet artistico o il nome vero della persona. La prima evenienza pare accertata nel caso del ditirambografo del IV sec. a.C., che volle intenzionalmente richiamarsi al Nostro assumendo financo l’indicazione della patria del lirico arcaico, allora non più esistente (sulla distruzione di Imera nel 409 a.C., cf. comm. ad Ta42). La seconda evenienza si riscontra in tutti quei casi in cui al nome non corrisponde alcuna attività poetica o musicale svolta dal soggetto portatore (cf. ad es. l’Ateniese del III sec. a.C. menzionato in SEG XVI 80 [PAA nr. 835420]). Per quanto concerne il Nostro, la Suda (s 1095 A. = Tb2) fornisce un’importante indicazione: ejklhvqh de; Sthsivcoro", o{ti prw'to" kiqarw/diva/ coro;n e[sthsen: ejpeiv

toi provteron Tisiva" ejkalei'to. La notizia, sostanzialmente accettata dalla

maggioranza degli studiosi8, è stata messa in dubbio da Vürtheim (1919, 109s.), Maas (1929, 2460 § 3), Lloyd-Jones (1980, 12), Lefkowitz (1981, 32) e Davies, nel suo (ad ora inedito) commentario alle testimonianze di Stesicoro (cf. Lloyd-Jones 1980, 9). Secondo il primo studioso, Tisiva" sarebbe un nome arbitrariamente attribuito al lirico da un erudito che avrebbe ritenuto Sthsivcoro" fittizio (fingiert): «wenn man dann unter den sizilischen berühmten Namen nach einem suchte, der einem Stesichoros keine Unehre brachte, so stellte sich leicht derjenige des Altmeisters in der Rhetorik dar: Tisias» (o.c. 110)9. Più plausibile appare la posizione di Maas, seguita da Davies e Lloyd-Jones: la persona che avrebbe mutato il proprio nome da Tisia a Stesicoro sarebbe stato il summenzionato ditirambografo del IV sec. a.C., che poi i compilatori della Suda avrebbero confuso con il primo celebre lirico. Per Lefkowitz, infine,

Sthsivcoro" potrebbe essere un semplice nome proprio privo di implicazioni poetiche e

orchestiche, al pari degli antroponimi Stesilao, Stesandro o Stesinbroto. La studiosa, tuttavia, non fornisce alcuna spiegazione per la presenza del nome Tisia nella Suda. Invero, non si vede perché la notizia del lessico, così circostanziata, debba essere rigettata: anzitutto, l’antroponimo Tisiva" appare del tutto plausibile per un Greco occidentale, né vi è motivo di ritenerlo un’invenzione erudita o l’indebita attribuzione al lirico arcaico del nome originario dello Stesicoro ditirambografo vissuto nel IV sec. a.C.; in secondo luogo, la spiegazione dell’attribuzione al Nostro del ben noto sobriquet artistico non appare generica e meramente tautologica, dal momento che la sua innovativa attività orchestica è circoscritta ad un genere performativo ben preciso

(kiqarw/diva/). Anche se l’ipotesi di Maas risulta plausibile ed attraente, dunque, non vi è

alcun motivo decisivo per screditare l’informazione della Suda. Si consideri, del resto, che l’esistenza di soprannomi ‘artistici’ in età arcaica ed in àmbito lirico è attestata anche per Simonide, denominato Melicerte (cf. Suda s 439,2s. A. ejpeklhvqh

Melikevrth~ dia; to; hJduv). Anche Tevrpandro~ potrebbe rientrare in questa casistica (cf.

Gostoli 1991, XII)10. Nessun soprannome, tuttavia, indica specificamente il ruolo

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Per le attestazioni, vd. LGPN I 412 (attestazione unica in area egea), II 405 (due in Atene), IIIa 402 (una proveniente dalla Campania e una da Imera), IIIb 384 (dalla zona di Oropo). Per le occorrenze del nome ad Atene, dati aggiornati sono reperibili in PAA 372 (nr. 832460) e 400 (nrr. 835420s.).

8 Cf. Müller (1841, 358s.), Bergk (1883, 289), Flach (1883, 317), Sittl (1884, 303) – che tuttavia definiva la spiegazione del cambiamento del nome originario in quello artistico come «un singulier mélange de choses vraies et de choses absurdes» – Croiset (1890, 311 n. 2), Rizzo (1895, 38), Smyth (1900, 255), Mancuso (1912, 168s.), Arrighetti (1980a, 131), De Martino (1984, 7), Segal (1989, 333), Lesky (1996, 205), Robbins (1997, 231) e Neri (2004, 231).

9 Così già Welcker (1844, 166-169), il quale riteneva il nome Sthsivcoro~ «der wirkliche Name einer Familie von Chordichtern» (168).

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professionale del poeta cui è attribuito, ma per lo più descrive le qualità del poeta o gli effetti della sua poesia (cf. ad es. gli aedi odissiaci Femio e Demodoco, l’auleta arcaico Politerpe o il rapsodo d’età classica Terpsicle)11. Il caso più vicino – anche cronologica- mente – a quello di Stesicoro rimane quello della corega nominata da Alcmane nel

Grande Partenio (PMGF 1, 53,57,77,79,90), Agesicora: trattasi infatti di un nome che

esprime un’attività professionale precisa, peraltro relativa allo stesso campo della lirica corale. Non è noto, però, se la ragazza recasse il nome sin dalla nascita o se le sia stato attribuito come sobriquet cultuale e insieme poetico in occasione della performance del

Partenio, in quanto corega12.

Per quanto concerne l’idionimo Tisia, ben attestato nell’onomastica siceliota – si ricordi, tra tutti, il celebre maestro di retorica di Gorgia, Lisia ed Isocrate – alcuni studiosi (Kleine 1828, 10; Oldfather 1930, 2181; Mosino 1997) hanno sottolineato la sua connessione con il Bruttium osco, dove si trovava la roccaforte di Taisias, nei pressi di Reggio. Da questa connessione, tuttavia, non può dedursi sic et simpliciter l’origine osca del Nostro: cf. in proposito introd. ad TTa 10-15.

Ta1(i-ii)

Gli jEpimerismoiv (Partitiones) attribuiti ad Erodiano (II sec. d.C.)13

costituisco- no un prontuario per la corretta ortografia, con funzione anche di glossario: oltre a fornire la corretta grafìa di termini le cui sillabe (o epimerismi) iniziali, mediane o finali presentino elementi vocalici ajntivstoica («corrispondenti»; ad es. e/ai, i/h/ei, u/oi), infatti, l’opera spiega per lo più anche la valenza dei medesimi termini.

Non risalendo ad Erodiano stesso, l’opera non ci fornisce purtorppo alcuna notizia interessante sulla pronuncia del greco nei primi secoli dell’era cristiana (l’unica indicazione utile risiede nella distinzione tra i suoni i/h/ei e u/oi, presente anche nel lessico della Suda [X sec. d.C.] e perdutasi in seguito): «ex interpolatis» – come rileva il Boissonade (1919, ix) – «nihil discimus».

Le due testimonianze (Ta1(i) e (ii)14), oltre ad attestare la pronuncia iotacistica del nome «Stesicoro» e la la sua natura composita (stavsi" + corov"), mostrano come (1991, XII) e De Martino (1996, 232).

11 I quattro esempi sono tratti da Gostoli (1991, XII).

12 Si veda, tuttavia, quanto sostiene in proposito Calame (1977a, II 140s. e 1988, 185s.). Secondo lo studioso il nome della ragazza sarebbe quello conferitole una settimana circa dopo la nascita e non un

sobriquet assunto o attribuito in un secondo tempo: Alcmane avrebbe fatto corrispondere a posteriori al

nome la qualifica da esso espressa. Ma non può essere esclusa l’ipotesi del soprannome assunto in occasione del canto e della connessa cerimonia sacra. Nagy (1989, 55) ritiene, ad esempio, che Agesicora – come pure Stesicoro – rappresenti «a substitute on the level of ritual for a corresponding cult-figure who exists on the level of myth» (si intenda Apollo o le Muse, spesso raffigurati come leaders di esecuzioni corali). Si ricordi, del resto, che proprio dallo stretto legame tra culto e poesia corale (molphv) hanno tratto il nome due celebri corporazioni misteriche: gli Eumolpidi di Eleusi ed i Molpoiv di Mileto (cf. ora Di

Donato [2006, 11]).

13 Erodiano scrisse sicuramente degli jEpimerismoiv (cf. Boissonade [1819, viiis.]), come ci confermano alcuni testimoni antichi (cf. e.g. Orion a 8,12s., b 34,5s., m 105,11s. etc.; Theognost. Can. [An. Gr. II 64,5, 71,7, 83,31, 133,17, 158,14, 161,25, 272,33 Cr.]; Et. G. a 484 [309,14 Lasserre-Livadaras], etc.); ciò non toglie, però, che l’opera a noi giunta sotto il suo nome conservi ben poco della forma originaria, a causa di interpolazioni, epitomazioni e vari aggiustamenti prodotti da mediocri grammatici seriori. Ne sono chiara prova i termini tardi che ricorrono, i nomi propri usati come esempi, la pronuncia iotacistica ed altri elementi; ma anche le testimonianze di Eustazio (ad Il. IV 66, 445,32s. [I 703,13s. V.]), dell’Etymologicum Magnum (779,32) e dello scoliasta ad Hom. Il. IV 66d (458,12s. Erbse).

14 Ta1(i) proviene dalla prima parte degli jEpimerismoiv (1-156 Boiss.), dove si tratta degli ajntivstoica in sillaba iniziale di parola; Ta1(ii), invece, è tratta dalla seconda parte dell’opera (157-282 Boiss.), dove si parla degli ajntivstoica in sillaba mediana o finale di parola. In entrambe si intenda il nesso diav +

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questo fosse un esempio ricorrente nella manualistica grammaticale (per la sua ricorrenza nella manualistica metrica si veda il commento a T2).

Per l’etimologia del nome fornita da Ta1(ii), si veda pure Suda s 1095 A. (Tb2), dove – probabilmente sulla scorta di Esichio Milesio (cf. comm. ad l.) – si sostiene che il Kunstlername deriva dal fatto che il Nostro per primo istituì un coro per una esecuzione citarodica.

Ta2

Nel De syllabis, uno dei tre carmi didascalici composti da Terenziano Mauro (II- III sec. d.C.)15 in età avanzata, il nome «Stesicoro» compare all’interno di un exemplum

fictum volto a dimostrare il comportamento prosodico della sibilante ‘impura’ (cioè

seguita da altra consonante)16. Il brano risulta interessante poiché la teoria qui esposta da Terenziano non «rientra a pieno titolo nei canoni della trattatistica grammaticale» e non ha altra attestazione nella tradizione della manualistica antica, ma pare piuttosto condizionata «dalla pronuncia abituale [del II sec. d.C.] e della necessità tecniche di chi compone poesia» (Cignolo 2002, rispettivamente XLIII e XLIV). Il nome del lirico, dunque, aveva una sua diffusione anche al di fuori dell’àmbito scolastico vero e proprio.

Per la puntuale interpretazione del brano, cf. Cingolo (2002, 404s.). Ta3(a)

L’antico supplemento metrico alla Tevcnh grammatikhv di Dionisio Trace, edito

dall’Uhlig come terzo (GG I/1 117,4-124,5)17, contiene – a mo’ di premessa – una schematica enumerazione di piedi metrici (Fussliste), dove ogni voce presenta la denominazione, la composizione e la durata di un piede, corredate di relativo esempio – per lo più nomi propri come, per appunto, «Stesicoro» (lkkk). Si tratta, come ha rilevato lo Holtz (1981, 63 e n. 22), di esempi tradizionali ed antichi, sedimenti di una lunga pratica di insegnamento che li ha trasmessi di generazione in generazione, imponendoli agli autori dei manuali – tanto in ambiente greco quanto in ambiente latino (cf. ad es. Ta3(b)) – come modelli ormai ‘canonizzati’18. Questo è vero soprattutto per i nomi propri di ascendenza omerica (come Diomhvdh", ≠Alevxandro", ïHrakleivdh") o, più in generale, di àmbito letterario (come ≠Anakrevwn, Dhmosqevnh", Sovlwn, Sthsivcoro")19.

Per quanto riguarda le origini del supplemento, esse paiono recenti: il terminus

ante quem è costituito dal fatto che esso era già nota noto al traduttore armeno della Techne dionisiana (fine V sec. d.C.; cf. Merx ap. GG I/1 LXXIIs.), almeno per quanto

riguarda la parte relativa ai piedi bi- e trisillabici20. La trattazione dei piedi

15 Sulla cronologia di Terenziano Mauro, cf. Cignolo (2002, XXVs.)

16 I tre carmi didascalici sono il De litteris, il De syllabis ed il De metris. Si tratta di opere originariamente autonome, solo in séguito accorpate a formare un unico libro (cf. Cignolo [2002, XXXVII-XXIX]). Per quanto concerne la questione della cronologia relativa dei tre trattati, cf. ancora Cignolo (2002, XXXIX- XLI).

17 Su questo supplemento cf. Uhlig ap. GG I/1 LIIs., Di Benedetto 1959 (in part. 117s.) e 1973 (in part. 810). Due, sostanzialmente, sono i codici che tramandano il supplemento all’Ars grammatica: M, il

Monacensis Victorianus 310 (ff. 19 e 21; cf. Uhlig [in GG I/1 XVIs.]), che reca solo la prima parte del

testo (= GG I/1 117,4-122,7), ed il suo apografo L, ovvero il Leidensis Vossianus gr. 76 (ff. 71 col. II-77 med.; cf. Uhlig [in GG I/1 XXIV]). A questi vanno aggiunti il Chisianus misc. R IV 11 [C] ed il

Vaticanus Palatinus 23 [P], di cui l’Uhlig ha annotato alcune varianti relative alla sezione di testo qui

riportata.

18 Cf. Holtz (1981, 109s.). 19

Per quel che concerne i lirici, si pensi alle liste dei cosiddetti prattovmenoi (cf. TTb3-14), che hanno veicolato il nome di questi autori dalla tarda età ellenistica (AP IX 184 [= Tb3] e 571 [= Tb4]) sino alla piena età bizantina (Tzetze [cf. TTb11-14]).

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quadrisillabici – in cui si trova la citazione del nome di Stesicoro – venne aggiunta dopo il V sec. d.C., in un periodo non meglio precisabile (cf. Uhlig, Prolegomena ad GG I/1 LII; Hoerschelmann 1888, 17 e Di Benedetto 1973, 810 n. 1).

Ben poco si può dire sull’authorship del passo. Nel codice Leidensis (L) il supplemento viene attribuito allo stesso Dionisio Trace21 – come d’altronde accade anche per gli altri tre supplementi (I de prosodiis, II definitio artis, IV tabula flexionum

verbi tuvptw); ma la struttura schematica del brano e la sua costante tendenza

all’esemplificazione inducono a pensare, piuttosto, ad una aggiunta «funzionalizzata, almeno parzialmente, alla lettura dei poeti come parte del compito del grammatico»22.

Un grammatikov" intenzionato ad integrare la Techne con nozioni basilari di metrica e ad

apprestare, così, un manuale scolastico agevole e completo rappresenta il candidato più naturale per l’authorship del supplemento23.

Nella prima età bizantina la Fussliste confluì in un compendio metrico anonimo, composto non prima di Giorgio di Pisidia (morto nel 631/634 d.C.)24, costituito essenzialmente dall’enumerazione dei piedi e da una trattazione dei metri principalmente noti in età bizantina (il metro eroico, quello giambico, l’elegiaco e gli anacreontei), con l’aggiunta di alcuni altri brevi capitoli dedicati alla sinizesi e ad altri fenomeni metrici (procefalia, acefalia, etc.)25.

Le redazioni in cui il compendio è pervenuto sono tre: quella presente nel quinto libro degli scoli B ad Efestione (la c.d. Appendix Hephaestionea), ampiamente rielaborata dal suo redattore, quasi sicuramente un maestro di scuola; quella dell’Appendix Dionysiana (307-334 Consbr.), la più vicina alla forma originaria dell’opera – soprattutto nella stesura contenuta nel Saibantianus Bodleianus T IV 9 (S)26; infine, quella dell’Appendix Rhetorica, tramandata dal Parisinus gr. 1983 (B)27, papiraceo del V sec. d.C. (PSI I 18).

21 GG I/1 124 a[xio" aijnei'sqai Dionuvsio" o}" tavd’ e[grayen.

22 De Nonno 1990, 462. Sull’introduzione di brevi sezioni de pedibus all’interno di opere grammaticali, cf. – oltre a De Nonno (1990, in part. 461-464) – Holtz (1981, 63). Quest’ultimo rileva come il terzo supplemento a Dionisio Trace costituisca un interessante parallelo greco della tendenza, propria di alcuni artigrafi latini del III e IV sec. d.C., di premettere alle loro trattazioni grammaticali uno schematico elenco di piedi metrici (cf. ad es. Donato [GL IV 369,16-370] ed i suoi commentatori; Aspro [GL V 548,31- 549,17] ed il perduto de pedibus che Sacerdote aveva premesso al primo libro delle Artes grammaticae). Ma mentre in àmbito greco lo scopo di una simile aggiunta è quello di fornire uno strumento utile alla lettura dei poeti, in àmbito latino «ce ne pas la poésie qui interesse le grammairien, mais la désignation de divers schémas quantitatifs: connaître ce type de terminologie sera utile au futur élève du rhetor, lorsqu’il abordera la théorie des clausules». Sull’argomento cf. inoltre Moreno (1989, 82-90).

23 Cf. Uhlig (in GG I/1 LII) e Moreno (1989, 83s.). Sul ruolo e la funzione del grammatikov", cf. Marrou (1950, 219s., 227-230).

24 È la tesi di Consbruch (1906, XX). Una datazione più bassa proponeva Krumbacher (1897, 594), secondo cui l’opera fu composta dopo il IX sec. d.C., «da Konstantinos der Sizilier darin benutzt ist». La data che lo studioso (l. c.) propone è il X sec. d.C., «der Zeit der Enzyklopädien und Sammelwerke». 25

«Diese [i. e. i capitoli sui quattro metri principali in età bizantina] bilden überhaupt neben der Fussliste den Grundstock des Compendiums, an welcher sich bald mehr bald weniger anschliesst» (Hoerschelmann [1888, 7]).

26 Occorre tuttavia notare come nella recensio Saibantiana manchi l’antica lista dei piedi che apriva il compendio bizantino (cf. Hoerschelmann [1888, 16]), mentre si trovano ancora – nella parte finale (cf. 331,5-334 Consbr.) – gli scolî che a questa si riferiscono (così Hoerschelmann [1888, 23 e 71]). La lista compare, nondimeno, nell’antigrafo di S, in K (Venetus Marcianus 483), benchè in posizione separata dal resto del trattato metrico (ff. 151v-152r ; cf. Studemund [1886, 188]). Così pure in M, dove il compendio occupava originariamente i primi dieci quaternioni del codice (oggi perduti), mentre il III Supplementum alla Techne (con la Fussliste) si trova ai ff. 19 e 21; nel suo apografo (L), invece, il compendio bizantino è collocato subito dopo il Supplementum dionisiano, ai ff. 78-84. Sugli ultimi due codici, cf. Uhlig (in GG I/1 XII-XXX).

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all’interno di un corpus di retori greci (in part. tra gli scolî al Peri; ijdew'n di Ermogene;

cf. Rhet. Gr. VII 988-990 Walz)28. Tra queste diverse redazioni soltanto le ultime due – più fedeli al testo originario – tramandano la lista dei piedi che compare nel

supplementum dionisiano, con minime variazioni, relative per lo più all’ordinamento dei

piedi quadrisillabici29.

Una volta inglobata nel compendio metrico bizantino, la lista ha avuto grande influsso sulla tradizione metricologica successiva (cf. Krumbacher 1897, 595, Consbruch 1906, XXIV). In molti trattati – anonimi o pseudepigrafi – essa compare con numerose varianti di poco conto (cf. Hoerschelmann 1888, 73), consistenti per lo più nell’ordinamento dei piedi o nei nomi addotti come esempi. L’elenco di loci paralleli presente in apparato rende conto di tutte le redazioni della lista in cui compare il nome del Nostro come esempio di peone primo. Si tratta, in particolare di quattro opere:

(1) il breve trattato Peri; mevtrwn falsamente attribuito a Manuele Moscopulo (fine

XIII sec. d.C.), discepolo di Massimo Planude, noto soprattutto per gli ≠Erwthvmata grammatikav, che grande influsso ebbero sulla manualistica successiva (Wilson 1990, 369-

373; Bossi 1992, 31);

(2) le due consecutive liste di piedi metrici che si trovano presso gli scolî al Peri; ijdew'n di Ermogene, tràdite dalla famiglia dei codici Parisini (gr.1983 [X sec. d.C.], gr.

2977 [X sec. d.C.] e gr. 2916 [XIV sec. d.C.], dipendente dai primi due). Questi manoscritti – ed in particolare il Parisinus gr. 198330 – ci restituiscono una redazione di quel corpus dei retori greci in cui venne inserito, ad un certo punto, il compendio bizantino (cf. p. 112 e Hoerschelmann [1888, 4s.]);

(3) l’anonimo Tractatus Harleianus (§ 2 [9,21 Studemund]), così denominato dal Gaisford (1855, 317-334), che lo editò sulla base del codice Harleianus 563531. Si tratta di una compilazione redatta o da Demetrio Triclinio (XIII-XIV sec. d.C.) – come voleva il Westphal (in Rossbach-Westphal 1867, 136s.) – o da un grammatico a lui posteriore – come sosteneva lo Studemund (1887, 8)32;

(4) il Tractatus de pedibus (122-124 Koster), tramandato dal codice

Laurentianus plut. 56,1633, scritto nel 1451 d.C. L’opera rappresenta il capitolo iniziale dell’anonimo manuale bizantino (su cui cf. p. 112), con minime variazioni rispetto alla con i relativi scolî, cf. Walz (in Rhet. Gr. VII/1 III-V).

28 Sulle tre redazioni dell’antico manuale metrico e sui loro reciproci rapporti, cf. Hoerschelmann (1888, in part. 3-11, 68-73).

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Il redattore dell’Appendix Hephaestionea, invece, ha preferito sostituire l’antica Fussliste con una più ampia descrizione dei piedi metrici desunta dagli antichi commentatori dell’Enchiridion di Efestione (cf. Hoerschelmann [1888, 69]).

30

Sulle qualità e sul contenuto di questo codice cf. Waltz (in Rhet. Gr. VII/1 IV-VI).

31 L’unica edizione critica del Tractatus è quella curata dallo Studemund nel 1887. Essa si fonda – oltre che sull’Harleianus (H) – su altri quattro codici: il Venetus Marcianus (M), del XV sec. d.C.; il Parisinus 2757 (K), del XVI sec. d.C., ed il Parisinus 2677 (P), anch’esso del XVI sec. d.C. Cf. Studemund (1887, 3-7).

32 A favore dell’attribuzione al Triclinio vi è anzitutto il fatto che i segni adottati per notare la sillaba

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