Riccardo Ricotta
Tra gli argomenti oggetto di analisi e di-scussioni in tema di costo della vita, quello della quota del differenziale d'inflazione dell'Italia rispetto ai partners comunitari o OCSE è sembrato ricevere attenzioni ricor-renti, con riferimento alla necessità di una razionalizzazione del sistema distributivo. Questo, è fra l'altro accusato di essere ca-ratterizzato da connotati diffusi di fram-mentazione che ne sviliscono l'efficienza a motivo, appunto, della presenza di nume-rosi microoperatori di tipo marginale. Da qui deriverebbe una eccessiva tensione sui prezzi al consumo e, così, le strozzature del processo economico tenderebbero ad aumentare la spirale inflattiva, con riflessi sulla competitività del sistema Italia. Effettivamente, secondo quanto general-mente viene dato per scontato, nonché in base a talune interpretazioni sulle varie ri-levazioni effettuate, notizie e dati disponi-bili sembrano confermare una netta pro-pensione del sistema distributivo italiano alla polverizzazione1.
Ulteriore elemento ricorrente, è dato dai più o meno velati attacchi condotti da chi accusa la disarticolazione nel commercio di essere fonte non trascurabile d'inflazio-ne. Ciò, anche perché si erano verificati in-crementi fino a due punti percentuali (in media annua 1983) fra prezzi al minuto e prezzi all'ingrosso1. Su questo dettaglio, per inciso, è stato anche eccepito che non sarebbe forse oggettivamente corretto par-lare di differenziale d'inflazione, e quindi di inflazione commerciale, intendendo con tale espressione la differenza fra i tassi di variazione di prezzi all'ingrosso ed al con-sumo, poiché gli indici che misurano le due variabili sono considerati eterogenei, in quanto espressione di panieri merceolo-gici diversi e differenti ponderazioni. Al ri-guardo, anzi, il Centro Studi sul Commer-cio della Università Bocconi ha diffuso, proprio di recente, uno studio volto alla costruzione di indici omogenei, mediante adeguati ricalcoli dei dati precedenti2.
Tut-tavia, la prassi a numerosi livelli continua a misurare il tasso d'inflazione medio an-nuo in base all'andamento dei prezzi al consumo e, in questo ambito, si concentra-no le analisi delle supposte contraddizioni del sistema distributivo e della eccessiva presenza di piccoli operatori.
Si propone a questo punto, con riferimento al Commercio estero, di simulare in sintesi un caso di ricerca di mercato, per verifica-re l'importanza della dimensione azienda-le. Schematicamente, si ipotizza una picco-la azienda-fabbricante che cerchi di impo-stare un progetto di marketing-mix per vendere all'estero, sviluppando tutte o al-cune delle componenti classiche, quali il prodotto, i prezzi, i canali distributivi e la promozione. Probabilmente l'azienda ha in precedenza destinato una quota del bud-get ad uno studio di ricerche di mercato, per una corretta analisi ed una proficua utilizzazione delle varie informazioni ne-cessarie alla penetrazione commerciale3. Si sottolinea a questo punto una considera-zione. In genere i costi da fronteggiare sono piuttosto elevati per le possibilità finanzia-rie delle piccole imprese. Tuttavia questo ostacolo può essere superato, ed oggi lo è con soddisfacente frequenza, attraverso l'organizzazione di ricerche in comune da parte di consorzi export e di associazioni di categoria, che consentano un vantaggio-so frazionamento dei costi. Forte rilievo, inoltre, è venuta assumendo, nell'ultimo quinquennio, la messa a disposizione an-che «personalizzata» da parte delle Came-re di Commercio per il tramite dei servizi-estero della Cerved, la società di informati-ca di questi Enti, di pacchetti di servizi che, a condizioni estremamente agevolate, consentono di acquisire approcci significa-tivi ad un ben articolato marketing inter-nazionale. E quindi, in questo caso, la me-diocrità fisico-economica della dimensione aziendale può essere superata. Tornando all'esempio di marketing-mix ci si può sof-fermare — tralasciando per brevità gli altri
Tabella 1 - Prezzi nei Paesi industrializzati (var. annue % del deflattore del PNL).
Paesi 1980 1981 1982 1983 Canada 11,1 10,1 10,6 8,3 USA 9,3 9,4 6,0 4,1 Giappone 2,8 2,6 2,0 1,7 Francia 11,8 12,0 12,1 9,8 Germania 4,4 4,2 4,8 4,0 Italia 20,7 18,4 17,5 15,1 Gran Bretagna 19,2 12,2 8,0 6,0
fattori — sulla componente prezzo e, in quest'ambito, sulla sub-componente prez-zo praticato da operatori concorrenziali su quel mercato e su quei prodotti o loro equivalenti. Nell'ipotesi considerata, l'a-zienda di piccole dimensioni finisce per adottare un atteggiamento sostanzialmente passivo, orientando le sue decisioni in modo da adeguare soltanto il prezzo alla differenza di qualità fra prodotti, e collo-candolo sotto la soglia dei prezzi guida sta-biliti dalle imprese di maggior dimensione anche organizzativa.
Se l'impresa esportatrice non fosse produt-trice ma commerciale, non avrebbe da considerare costi di produzione e margina-li, ma si suppone che potrebbe limitarsi a fissare il prezzo di vendita, aumentando del margine commerciale lordo il prezzo d'acquisto della merce. Su quest'ultimo, l'azienda avrebbe potuto incidere soltanto con una capacità contrattuale adeguata. Nel caso in parola, inoltre, il piccolo ope-ratore può essere in grado di calcolare al-cuni costi (spese generali, energia, lavoro, trasporti, oneri fiscali ecc.) per stabilire il noto coefficiente di ricarico, ma gli manca-no le sofisticazioni di una dimensione e di una gestione che sono spesso, purtroppo, negati a questo tipo di azienda.
Si tratta quindi, nelle due facce dell'ipotesi citata, di situazioni in cui giocano i conno-tati dimensionali dell'azienda e con i quali possono coesistere o meno (ma non è certo una connessione categorica) fattori di ra-zionalizzazione ed efficienza. Per cui, con riferimento al commercio interno, si può presumere come negativa la frammentazio-ne commerciale in microstrutture indifese su tanti fronti, e tendenti a riversare sul consumatore finale talune distorsioni. Come spunto di riflessione, si può ricorda-re, secondo «Notizie FAID-Milano N. 3 9 / 8 4 » che, in una classificazione di 105 società di distribuzione in base al fatturato 1982, la Rinascente e la Standa occupava-no rispettivamente la 33" e la 35" posizio-ne, precedute (nel solo ambito europeo), da quattro società tedesche, tre britanniche, due svizzere, una olandese, una belga e ben dieci francesi.
In via speculare, può apparire presumibile che il ritiro dal mercato di operatori com-merciali marginali e la razionalizzazione della rete distributiva, nell'ambito specifi-co di questo settore rifugio, influiscano be-neficamente sui prezzi al consumo. Ciò
Tabella 2 - Esercizi di commercio al dettaglio.
Esercizi 1971 1 9 8 1
Alimentari 409.396 353.777 Non alimentari 397.587 500.471
Fonte: ISTAT: Censimento dell'Industria e del Commercio 1981.
Tabella 3 - Numero Unità
A n n i ingrosso dettaglio 1979 123.005 8 3 4 4 6 2 1980 130.616 848.553 1981 135.038 854.165 198 2 143.891 877.377
Fonte: Ministero dell'Industria del Commercio e dell'Artigianato, Caratteri strutturali del sistema distributivo in Italia al 1 1.1983.
Le immagini di questa pagina e delia successi-va sono tratte dal volume di recente pubblicato dall'istituto camerale torinese con il titolo « Centri commerciali integrati ai dettaglio».
GRANDE SURFACE
Il lay-out di un Centro commerciale con galleria dovrà essere studiato in modo tale che il posizionamento dei singoli punti vendita solleciti di conti-nuo l'utente e non dia luogo a posizio-ni preferenziali; le posizioposizio-ni strategiche devono essere occupate dagli operato-ri chiave, supermercato e/o grande magazzino
TOULOUSE
perché, in assenza di sfoltimento, si affer-ma da alcune fonti un'incidenza dei costi di distribuzione e, quindi, di prezzi finali al consumo, più elevati in Italia che in altri Paesi. Altrettanto presumibile può, quindi, forse ritenersi, pur con le riserve già espresse sulla insoddisfacente attendibilità di comparazioni fra indici non omogenei, una certa relazione fra quel differenziale e il valore dell'inflazione, con riflesso ultimo sul differenziale dell'inflazione nazionale nei confronti degli stessi Paesi.
Sul piano interno, inoltre, dai dati ISTAT fino ad aprile 84, si è notato che resta una certa attesa d'inflazione, perché i prezzi al-l'ingrosso sono cresciuti più di quelli al consumo e quindi questi ultimi dovrebbero tendere a recuperare, anche se i prezzi al-l'ingrosso erano stati a lungo penalizzati in precedenza per cause endogene (crisi inter-na) ed esogene (materie prime, petrolio, dollaro).
Se l'azienda del dettaglio non potesse avva-lersi di economie di scala e di organizza-zione, potrebbe essere inevitabilmente in-dotta a recuperare il margine con rapidi-tà maggiore rispetto ad una struttura di
dimensione e possibilità gestionali ade-guate.
Rimangono infatti caratteristici di questo settore i connotati di settore rifugio, con stagnazione della occupazione dipendente e ritmi vivaci di quella indipendente. Que-sti fattori, in termini di politica sociale in periodi di depressione, possono assumere, in fondo, significato anche positivo in quanto contribuiscono ad attenuare nume-rose tensioni. Nel complesso può apparire ipotizzabile che, nel settore in esame, l'an-damento negativo della produttività, dovu-to ad una certa flessione del valore aggiun-to e all'aumenaggiun-to dell'occupazione, si riper-cuota in qualche modo sul saggio d'infla-zione. Ciò anche in considerazione del fat-to che, tra i parametri ispirafat-tori dell'indi-catore del clima economico (o di fiducia) CEE nell'industria manifatturiera, potreb-bero rientrare anche talune valutazioni sul-le prospettive generali, assegnando al com-mercio un ruolo di forte spicco. Si sottoli-nea, inoltre, che si tratta di sensazioni, sen-za che si possano trarre considerazioni conclusive in funzione di un rapporto di-retto, da causa ad effetto, tra le
manchevo-L'area di gravitazione è quell'area nella quale sono re-sidenti i consumatori che vengono attratti dalle struttu-re del Centro commerciale e che danno un costante ap-porto all'andamento regolare delle vendite
lezze della distribuzione del nostro Paese ed i valori dell'inflazione.
Al riguardo, giova ancora ricordare che gli esperti hanno accolto con notevole favore il superamento della fase di affinamento e verifica di un modello econometrico speci-fico, DISMOD, concepito come modello aggregato dell'economia italiana, incentra-to sul setincentra-tore commerciale ma attenincentra-to alle interazioni tra settori diversi4.
In sintesi, dai dati e dalle proiezioni dispo-nibili, sembra emergere la tendenza a rea-lizzare tecniche gestionali avanzate a sup-porto di una strutturazione più razionale ed efficiente del settore distributivo, nella convinzione di assicurare un soddisfacente riequilibrio delle varie disfunzioni e l'as-sorbimento di quella quota di inflazione che potrebbe scaturire dalle pieghe e dalle zone d'ombra, dove sono presenti aziende obsolete anche in un'ottica organizzativa. Poiché, senza per questo accentuare indi-scriminatamente il peso dei vari difetti, è indubbio che le inefficienze costano; come pure quelle della pubblica amministrazio-ne o di parte del sistema produttivo hanno certamente un costo in termini di unità di prodotto, e non solo rispetto ai Paesi CEE, laddove, talvolta pur in presenza di un rapporto solo indiretto con l'estero, esse incidono sui prezzi interni e, di riflesso, sul costo del lavoro, con tendenza inevitabile ad intaccare la competitività internaziona-le del sistema.
NOTE
1 Confronta anche Statistical Yearbook 1981 del-l'ONU e Ministero Industria: CARATTERI STRUT-TURALI DEL SISTEMA DISTRIBUTIVO ITALIA-NO All'I.1.83
2 CESCOM - Centro Studi sul Commercio Università L. Bocconi - Note di Ricerca n. 1: L'inflazione sui mer-cati all'ingrosso ed al consumo. Costruzione di un indi-ce omogeneo con dati mensili 1971-1980.
3 Luigi Lombardi: Guida pratica per l'Esportatore. Ed. Franco Angeli 1982.
4 ISCOM-CONFCOMMERCIO: Quaderni di politica commerciale e turistica - Gennaio 1984.