Il primo step consiste nella definizione di micro-azioni da compiere in spazi, definiti come “spazi innesco”, ovvero luoghi materiali e non, in cui si concentra l’energia sociale. Sono degli spazi che svolgono il ruolo di laboratori di coprogettazione e, allo stesso tempo, di produzione di servizi, dei Community Hub, con ricadute urbane rilevanti, che fungono da acceleratori nella cura dei beni pubblici. Nel ripensamento di un’area urbana questi spazi diventano luoghi di analisi e co-progettazione, dove lo spazio va ridefinendosi quando l’azione è ancora in corso.
Il centro storico di Taranto si costella sempre più di spazi inutilizzati, numerosi sono infatti i locali/edifici vuoti o in avanzato stato di abbandono e la maggior parte di questi sono di proprietà comunale. Questi spazi, che rappresentano solo un costo per il Comune, potrebbero rientrare in una strategia dove protagonista sarebbe la collettività. Il compito di un cultural planner è quello di attivare una comunità e in questo step lo fa partendo da un primo nucleo. A rientrare in questo nucleo sono soggetti singoli o riuniti in organizzazioni, che sono attive nel territorio e che hanno una buona rete di conoscenze. Questi spazi possono quindi essere affidati a questa comunità di riferimento, che contribuisce alla produzione di risorse della città e che, in maniera del tutto spontanea e volontaria, si occupa della cura dei beni comuni. Dalle interviste agli enti del terzo settore, è risultato come il problema dello spazio associativo o di comunità, a Taranto, sia più attuale che mai. A meno che non si disponga di particolari fondi, è impossibile pensare di poter mantenere una sede a proprie spese. Perché quindi non approfittare di questi spazi vuoti ormai da tempo, che, anche se compromessi, appartengono al patrimonio storico artistico di Taranto? Inoltre, sono spazi che si collocano nella parte storica della città, che probabilmente per conformazione o forse per cultura, si contraddistingue per l’elevato senso di comunità e vicinanza. Se questi spazi venissero messi a disposizione delle realtà dal basso, che rappresentano un’innovazione e una risorsa per la città, non solo si contribuirebbe alla rinascita del centro storico, ma si contribuirebbe ad un’ulteriore coesione del tessuto sociale e in particolare di quello associazionistico locale, che attualmente vive un’importante frammentazione.
Tutto questo avverrebbe in un clima di collaborazione con le istituzioni, orizzontale e non più verticale, dove la strategia viene costruita insieme e dove l’obiettivo principale della cura della città è condiviso.
Da non sottovalutare è però la risorsa economica necessaria per l’attivazione di questo processo. Il Comune, per i bassi fondi a disposizione non sarebbe in grado di sostenere una simile spesa ed un attore che potrebbe venire incontro è la Fondazione con il Sud. Si tratta di una Fondazione di Comunità, un ente non profit nato dall’alleanza di fondazioni di origine bancaria e il mondo del terzo settore del volontariato, con l’obiettivo di promuovere l’infrastrutturazione sociale del Mezzogiorno, favorendone lo sviluppo. Le Fondazioni di Comunità, infatti, attraverso bandi e iniziative, sostengono interventi di natura sociale nelle regioni meridionali. La presenza di questo attore oltre che finanziare l’intervento, potrebbe semplificare la collaborazione.
Parlare di durata in questo step risulterebbe riduttivo, perché si tratta di un processo di attivazione che, sperimentando delle tattiche, è poco prevedibile.
STEP 1
ATTIVAZIONE
Una volta che gli attori iniziano a riconoscersi grazie all’attivazione di spazi innesco, può avere inizio la fase di collaborazione. Perché questo processo sia un mutuo apprendimento fra società e istituzioni, è necessario che ci siano i presupposti per una collaborazione fra i due. La spinta dal basso diventa davvero innovativa quando contribuisce all’inclusione sociale, portando a cambiamenti nell’agire non solo della società, ma anche delle istituzioni. L’innovazione sociale cerca infatti di istituzionalizzarsi per essere più duratura nel tempo e sostenibile.
Una collaborazione fra gli stessi enti del terzo settore coinvolti e le istituzioni diventa quindi fondamentale. In questi casi, si parla di apprendimento istituzionale in cui: «le istituzioni diventano attori che hanno la possibilità di apprendere e accumulare capacità istituzionale attraverso continui mutamenti e adattamenti, prove diverse di combinazioni fra problemi e soluzioni e influenze esterne, non solo attraverso correzioni normative».
Importante è capire come le istituzioni si pongono nei confronti di queste pratiche, la loro “intelligenza”, ovvero la loro capacità di accogliere il cambiamento, renderlo pubblico e trasformarlo in un percorso normato rivolto a tutti. In questo modo, queste piccole progettualità hanno l’
occasione di essere riconosciute anche da attori più potenti. La centralità dell’attore pubblico è importante in questo tipo di processo anche perché garante di trasparenza, universalismo e durata, non ci si limita alla sua efficacia ed efficienza.
Perché i processi siano ben radicati nel contesto urbano, non vengono trattati come oggetti, viene lasciato piuttosto spazio alle dinamiche e alle risorse presenti sul territorio. È a questo punto che un ruolo centrale lo gioca il settore della Ricerca, che contribuisce alla definizione di una strategia innovativa e sperimentale.
L’obiettivo che questo step si pone è quello di arrivare alla definizione di un Patto di Collaborazione sottoscritto dagli attori che hanno deciso di investire lavoro in questo processo. Questo patto ha l’obiettivo di definire le azioni di co-progettazione e cerca di definire anche i rispettivi ruoli e responsabilità, mettendo sempreal centro il bene comune.
Anche nel caso di questa fase, la definizione di una durata di 3 anni è indicativa, perché dipendente dagli attori in campo e da altri fattori esterni.