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COMPETENZA SOCIALE E STATUS SOCIOMETRICO

Capitolo 2: ACCETTAZIONE E RIFIUTO IN CLASSE

2.4 COMPETENZA SOCIALE E STATUS SOCIOMETRICO

Altra dimensione emergente nella valutazione delle variabili che discriminano l’appartenenza a questo o quello status sociometrico è naturalmente la capacità di

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relazionarsi, che in qualche modo rappresenta il versante positivo rispetto alla dimensione “ritiro” precedentemente trattata. Per competenza sociale non si intende solo la spinta a legare con gli altri, ma anche le capacità a fare in modo che tale legame avvenga efficacemente.

L’analisi di questa dimensione ha però la problematicità delle differenti accezioni con cui ci si può riferire ad essa. Waters e Sroufe (1983) sottolineano la difficoltà a definire il costrutti di competenza sociale. Marryat, Tomphson et al. (2014) spiegano tale difficoltà nella multi problematicità del fenomeno, vi sono più prospettive nella stessa nella definizione, nelle sfaccettature del fenomeno, la varietà degli strumenti e la complessità del soggetto in età evolutiva, il quale ha diverse modalità di relazione sociale e diverse reazioni alle frustrazioni sociali a seconda dell’età.

Le capacità sociali venivano spesso misurate proponendo delle liste di comportamenti in cui i pari attribuivano ai compagni determinate caratteristiche, come nella ricerca di Coie e colleghi 1983, oppure venivano utilizzate delle griglie di osservazione per i docenti. In seguito sono sorti numerosi strumenti self report, realizzati in sintonia con lo sviluppo delle conoscenze e filoni teorici che dagli anni 80 ad oggi sono stati proposti.

Dalle iniziali teorie di Piaget e alla Psicoanalisi dell’Io interpersonale e del Se’ di A. Freud, Horney, Sullivan e Winnicott, si è aggiunta la prospettiva dell’approccio cognitivista, che ha condotto al costrutto dell’ “intelligenza emotiva” (Gardner 1983; Goleman 1995) e di una” teoria della mente” che sta alla base della nostra capacità di rappresentarci l’altro e della nostra regolazione dell’agire sociale. Una teoria della mente ha numerose funzioni: una è senza dubbio quella sociale, potere attribuire complesse funzioni mentali all’altro consente di spiegare, spiegarsi, e soprattutto predire le azioni di questi. Di qui è possibile fare una distinzione tra una teoria della mente fredda adoperata a fini manipolatori e antisociali, come avviene con l’inganno (Howlin, Baron Cohen, Hadwin 1999) e una teoria della mente

calda, con finalità prosociali. In questo caso l’interpretazione dei sentimenti e delle

emozioni altrui conduce ad empatia e in generale maggiore vicinanza psicologica nei confronti degli altri. (Reboul 2006). Questo aspetto è strettamente connesso alla comunicazione nel rapporto madre bambino.

Il risultato di questa molteplicità di approcci è che non vi è omogeneità rispetto ai vari modelli esplicativi, per esempio le diverse accezioni di “competenza sociale”, chi pone l’accento sul comportamento, chi sul Sé, chi sui tratti di personalità o su abilità cognitive, ecc. (Schneider et al. 1989; Bilello, Lo Coco e Miceli 1995). Ad esempio molte ricerche

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recenti individuano nel costrutto di intelligenza emotiva (EI) un importante predittore di molti fenomeni legati alla salute, alle relazioni positive tra pari e a una migliore regolazione scolastica durante lo sviluppo. (Zavala, Valadez, Vargas, 2008; Andrei, Mancini et al. 2015). Lo studio delle competenze emotive va quindi ad aggiungersi alle sfaccettature del grande capitolo della socialità.

Il grado in cui i ragazzi riescono a padroneggiare la propria emotività, sia positiva che negativa, ha evidentemente una ricaduta sul successo o meno nelle loro relazioni amicali. Nella rewiew del 1993 Bukosky e collaboratori terminano sottolineando questo aspetto della competenza emotiva (che evidentemente era stata poco considerata fino agli anni 90) come un possibile ed auspicabile sviluppo dello studio delle caratteristiche di personalità degli status sociometrici, cosa che sembra essersi verificata.

L’invito alla ricerca sulle relazioni tra competenza emotiva e peer rejection è stato senza dubbio raccolto nelle ultime decadi. La regolazione emotiva è senza dubbio considerata oggi come un prerequisito dell’agire in modo socialmente competente e anche la lettura dell’emotività altrui ha la sua importanza. Oggi sappiamo quanto è importante la lettura delle emozioni del volto dell’altro nell’evoluzione delle capacità di “mentalizzare” l’altro (Fonagy et al 2005), (Gergely e Watson 2013). Ma già da metà degli anni 80 erano comparse le prime ricerche sul riconoscimento dei volti in relazione al rifiuto tra pari. Le espressioni facciali nelle relazioni di gruppo rappresentano una modalità efficace di “negoziazione”, ad esempio una faccia aggrottata minacciosamente può essere un segnale utile a comunicare uno stato di rabbia. La capacità dell’arrabbiato ad assumere tale espressione e la competenza dell’altro a leggerla può evitare una aggressione, (Attili 1984, 2001). I bambini con un alti punteggi sociometrici hanno ottenuto punteggi di riconoscimento emotivo di espressioni facciali significativamente più alti (Edwards, Manstead e Macdonald 1984). Bambini prescolari impopolari avevano minori abilità sociali e difficoltà a livello di competenze emotive, Marryat, Tomphson et al. (2014). In una ricerca svolta recentemente in Italia su bambini di scuola materna e delle elementari la capacità di predizione della “comprensione delle emozioni” sullo status sociometrico è risultata crescente con l’età (DeStasio et al. 2013). E’ alle elementari che la maggior empatia nei confronti dei pari inizia a mettere in moto comportamenti pro sociali, mentre al contrario la scarsa capacità di comprendere le proprie e le altrui emozioni si associa a comportamenti aggressivi e si correla con minore accettazione da parte dei pari. Analogamente, negli adolescenti che risultano “rifiutati” al

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test sociometrico emerge una scarsa capacità di regolazione emotiva. (Petrides et al 2004; Mancini et al 2017).

A tal proposito vale probabilmente la pena sottolineare come uno dei compiti evolutivi dell’adolescenza è proprio quello di imparare a regolare la propria emotività. Se la cronaca tende a enfatizzare la mancanza di autoregolazione emotiva che conduce ad episodi estremi, come risse, incidenti stradali, ed altro, è meno enfatizzato dai media il tema della sofferenza che proviene dalla difficoltà che un adolescente può avere nell’incapacità di esprimere le proprie emozioni (Laghi, Baiocco et al. 2005).