1. I Disturbi correlati a sostanze e disturbi da addiction
Fino alla precedente edizione del DSM la categoria diagnostica di riferimento era “Disturbi correlati a sostanze”, che includeva i disturbi derivanti dall’assunzione di una sostanza, dagli effetti collaterali di un farmaco e dall’esposizione di tossine. Con la pubblicazione del DSM-5, i “Disturbi correlati a sostanze” sono stati sostituiti dai “Disturbi correlati a sostanze e disturbi da addiction”. Questa nuova categoria comprende sia i Disturbi correlati a sostanze che i Disturbi non correlati a sostanze (APA, 2013).
1.1. Disturbi correlati a sostanze
I Disturbi correlati a sostanze includono dieci classi di sostanze: alcol, caffeina, cannabis, allucinogeni, inalanti, oppiacei, sedativi, ipnotici e ansiolitici, stimolanti, tabacco e altre sostanze. Tali disturbi si dividono in Disturbi da uso di sostanze e Disturbi indotti da sostanze. I soggetti con disturbo da uso di sostanze presentano un quadro comportamentale legato all’uso della sostanza, che si manifesta con la compromissione del controllo dell’uso della sostanza e con la compromissione sociale. La compromissione del controllo si può manifestare con l’assunzione della sostanza in quantità maggiori o per periodi più lunghi rispetto alle intenzioni del soggetto, con l’impiego di un lungo periodo di tempo per ottenere la sostanza o per usarla e con il
34
craving, ovvero il desiderio intenso e irresistibile nei confronti della sostanza. La compromissione sociale, invece, si può manifestare con l’uso ricorrente che può portare a trascurare la scuola, il lavoro o la famiglia. Altre caratteristiche cliniche del disturbo sono il piacere e il sollievo dati dall’assunzione, la dominanza (ovvero il pensiero costante di assumere la sostanza), l’instabilità dell’umore generata dalla sostanza, la tolleranza (il bisogno di aumentare l’uso della sostanza per ottenere piacere e sollievo), l’astinenza (ovvero un intenso disagio psichico e fisico causato dall’interruzione dell’assunzione) (Marazziti, Presta, Picchetti, & Dell’Osso, 2015).
Tratti riscontrati in soggetti con disturbo da uso di sostanze sono l’impulsività, la sensation seeking e la disregolazione emotiva (deCastro, Fong, Rosenthal, & Tavares, 2007). In questi soggetti la ricerca della sostanza è un modo per ridurre ansia e indurre un umore più positivo (Grant, Potenza, Weinstein, & Gorelick, 2010).
Da un punto di vista neurobiologico qualsiasi sostanza assunta in dosi eccessive ha un effetto a livello cerebrale, agendo con l’attivazione del sistema della ricompensa, producendo un effetto di gratificazione e quindi rinforzando il comportamento. L’attivazione generata da queste sostanze e il successivo senso di gratificazione sono così intense che le attività quotidiane possono venir trascurate in favore di una costante ricerca della sostanza per rigenerare il senso di gratificazione (APA, 2013). I dati epidemiologici più recenti hanno attestato un incremento notevole del numero di soggetti con dipendenza da sostanze. Infatti i dati a livello internazionale hanno rilevato che, dal 2006 al 2014, c’è stato un incremento, dal 4.9% al 5.2%, nell’uso di sostanze in soggetti di età compresa tra i 15 e i 64 anni (United Nations Office on Drugs and Crime, World Drug Report, 2016). Anche i risultati di una ricerca condotta nel corso del 2016, a livello nazionale, hanno mostrato che il 33% della popolazione fra i 15 e i 64 anni ha provato almeno una sostanza illegale nel corso della propria vita e, nel range di età tra 15 e 34 anni, la percentuale diventa del 44%. La
35
cannabis è risultata essere la sostanza più utilizzata ed è stato rilevato un aumento della diffusione rispetto ai dati risalenti al 2014; infatti il 33% degli studenti italiani ha riferito di aver assunto almeno una sostanza illegale e, di questi, il 32% ha utilizzato la Cannabis. Il 23% degli studenti consumatori di cannabis ha un consumo problematico (Relazione annuale al Parlamento sullo stato delle tossicodipendenze in Italia, 2017,<http://www.politicheantidroga.it/media/2153/relazione-alparlamento_2017.pdf>). La categoria dei Disturbi indotti da sostanze, invece, comprende l’intossicazione, l’astinenza e altri disturbi mentali indotti da sostanze/farmaci, quali, ad esempio, il disturbo psicotico indotto da sostanze o il disturbo depressivo indotto da sostanze (APA, 2013). Per quanto riguarda l’intossicazione, la caratteristica principale è lo sviluppo di una sindrome reversibile specifica per una sostanza, dovuta all’assunzione recente di quest’ultima. Durante un’intossicazione possono generalmente riscontrarsi alterazioni della percezione, della vigilanza, dell’attenzione, del pensiero, della capacità critica, del comportamento psicomotorio e interpersonale (APA, 2013). Per quanto riguarda l’astinenza, invece, le caratteristiche centrali sono: lo sviluppo di un’alterazione comportamentale dovuta alla riduzione o all’interruzione dell’assunzione prolungata della specifica sostanza, e il desiderio intenso e irrefrenabile di assumere nuovamente la sostanza al fine di ridurre il disagio causato dall’interruzione dell’assunzione di questa (APA, 2013).
1.1.1. ADHD e Disturbi correlati a sostanze
Le prime indagini che hanno messo in relazione l’ADHD con i Disturbi correlati a sostanze erano studi longitudinali che avevano l’obiettivo di indagare i fattori di rischio alla base della genesi del Disturbo da uso di sostanze. Gli studi sono stati condotti su soggetti privi di diagnosi e seguiti dall’infanzia all’età adulta. I risultati
36
hanno riscontrato che i comportamenti precoci sovrapponibili alla sintomatologia dell’ADHD potevano predire lo sviluppo successivo del Disturbo da uso di sostanze. Uno studio condotto da Block, Block, e Keyes (1988) ha riscontrato che comportamenti predittivi dell’uso di sostanze erano individuabili in difficoltà nell’autoregolazione comportamentale, emotiva e nel rispetto sociale. Gli studi sull’argomento sono giunti a delineare una serie di tratti identificabili in soggetti con dipendenza, come la disinibizione (Iacono, Malone, & McGue, 2008). Poiché tali tratti erano identificabili anche in soggetti con ADHD, gli studi si sono poi indirizzati verso l’analisi della relazione tra ADHD e dipendenza da sostanze.
Tali studi hanno confermato che, in confronto alla popolazione generale, i soggetti con dipendenza da sostanze hanno un rischio maggiore di avere l’ADHD (Wilens & Spencer, 2010). Ad esempio, in uno studio sull’uso patologico di cannabis, il 38% degli adolescenti, indistintamente dal genere, riportava la sintomatologia dell’ADHD (Dennis et al., 2004). Si è osservato che tra i soggetti con sintomi di ADHD il rischio di sviluppare un disturbo da sostanze è il doppio rispetto alla popolazione generale (Wilens et al., 2011). Tali dati sono stati confermati da ulteriori studi che ne hanno dimostrato la relazione in modo indiretto, infatti sono stati rilevati alti tassi di disturbi da uso di sostanze tra i genitori di bambini con ADHD (Biederman et al., 2008); altri studi hanno analizzato il rapporto genitore-figlio e hanno ipotizzato che i soggetti con figli con ADHD usassero l’alcol per mediare e ridurre lo stress generato dai sintomi del bambino (Pelham et al., 1997).
La ricerca si è interrogata a lungo su quali fossero le cause alla base della relazione tra ADHD e disturbo da uso di sostanze. Dal punto di vista neurobiologico, ADHD e disturbo da sostanze condividono anomalie strutturali cerebrali, quali una riduzione del volume frontale, cerebellare, e a livello sottocorticale (Wilens & Spencer, 2010) e alterazioni del sistema dopaminergico (Frodl, 2010). Inoltre, così come nei casi
37
di ADHD, in soggetti con disturbo da uso di sostanze che manifestano il craving, cioè la sensazione di crescente tensione che precede l’inizio dell’assunzione della sostanza si sono riscontrate alterazioni a livello fronto-striatale (Frodl, 2010).
Altri studi si sono concentrati sull’aspetto comportamentale, sull’analisi degli stili di coping messi in atto da soggetti con disturbo da sostanze e soggetti con ADHD. Il termine coping indica lo sforzo, cognitivo e comportamentale, da parte degli individui, per organizzare le proprie risorse, interne ed esterne, nel momento in cui le richieste ambientali sono percepite come eccessive (Folkman & Lazarus, 1984). Si è riscontrato che i soggetti con ADHD sono attratti dall’assunzione delle sostanze e ne diventano dipendenti perché sono costantemente in cerca di emozioni intense oppure perché, assumendo la sostanza, alleviavano i sintomi dell’ADHD (Kronenberg et al., 2015; van Emmerick et al., 2012).
Per quanto riguarda le condizioni di comorbidità, si è riscontrato che l’associazione dell’ADHD con un’altra diagnosi prevedeva un’insorgenza precoce e un decorso più grave del disturbo da uso di sostanze (Arias et al., 2008). In particolare, nell’ambito della dipendenza da sostanze, la comorbidità con il Disturbo della condotta (DC) è stata quella più a lungo studiata. Uno studio ha riscontrato che in soggetti con co-presenza di ADHD e DC la probabilità di sviluppare un disturbo da uso di sostanze era quattro volte superiore rispetto alla popolazione generale; il rischio risultava quindi essere maggiore rispetto anche ai soggetti con ADHD (Zulauf, Sprich, Safren, & Wilens, 2014). Questi dati confermano le evidenze riportate da altri studi secondo cui i soggetti con ADHD tendono a sviluppare difficoltà comportamentali (Barkley, 2008). Un altro ambito di analisi è quello delle difficoltà scolastiche. Molti studi si sono interrogati circa il ruolo svolto e il contributo apportato dai problemi scolastici, all’interno della relazione tra ADHD e uso patologico di sostanze. Ad esempio, durante la scuola elementare, i bambini con ADHD tendono a star fuori dalla classe molto più
38
tempo rispetto ai coetanei, falliscono nei tentativi di portare a termine i compiti a casa, tendenzialmente non riescono a raggiungere gli obiettivi, violano le regole della classe, disobbediscono frequentemente, e infastidiscono i compagni di classe più degli altri bambini della stessa età. Nel corso della scuola media ricevono molte note per il cattivo comportamento e persistono i fallimenti nel portare a termine i compiti. Questo pattern persiste anche nel corso delle scuole superiori, dove risulta molto alto il rischio di abbandonare la scuola.
Le difficoltà scolastiche renderebbero i bambini con ADHD più vulnerabili all’uso di sostanze (Molina & Pelham, 2014). Diversi studi hanno infatti indagato la relazione tra difficoltà scolastiche e uso di sostanze mettendo in evidenza che i fallimenti accademici nel corso dell’infanzia e dell’adolescenza risultano predire l’uso di sostanze in età avanzata (Brook, Whiteman, Cohen, Shapiro, & Balka, 1995). E’ emerso infatti che il ridotto impegno scolastico, manifestato ad esempio con un elevato numero di assenze, era un predittore dell’abbandono del percorso scolastico durante l’età adolescenziale e, nel corso dell’età adulta, risultava predittivo del comportamento delinquenziale e dell’utilizzo patologico di sostanze (Henry, Knight, & Thornberry, 2012).
Inoltre studi longitudinali hanno evidenziato che bambini con difficoltà relazionali sovrapponibili a quelle riscontrate in bambini con ADHD, quali cattiva gestione del conflitto e bassi livelli di accettazione dai pari (Hops, Davis, & Lewin, 1999), aggressività, e timidezza (Kellam, Ensminger, & Simon, 1980) risultavano fattori predittivi dell’uso di sostanze in età adolescenziale (Molina & Pelham, 2014).
39 1.2. Disturbi non correlati a sostanze
L’idea che la dipendenza possa esistere anche in assenza di sostanze psicotrope è stata diffusa da Peele (1979), secondo cui i soggetti con comportamento dipendente sono dipendenti da un particolare set di esperienze piuttosto che dalle sostanze (Peele & Brosky, 1975). Le dipendenze comportamentali fanno riferimento a una vasta gamma di comportamenti caratterizzati da forti componenti impulsive e compulsive, tra cui rientrano il Disturbo da gioco d’azzardo (Gambling Disorder) (APA, 2013), la new technlogies addiction, che include la dipendenza da TV, da Internet, dai social network, dai videogiochi, lo shopping compulsivo, la dipendenza dal lavoro, la dipendenza dal sesso e la dipendenza affettiva, anche se queste sindromi non sono state incluse nell’apposita sezione del DSM-5. La caratteristica centrale di tali dipendenze è l’incapacità della persona di resistere all’impulso o di controllare la tentazione di mettere in atto il comportamento pericoloso per sé o per gli altri (Grant et al., 2010). La caratteristica delle dipendenze comportamentali consiste quindi nella messa in atto ripetitiva del pattern comportamentale specifico ed è la reiterazione ricorrente di tale comportamento a determinare la compromissione del funzionamento del soggetto.
Le dipendenze comportamentali hanno molti aspetti in comune con le dipendenze da sostanze: in entrambi i casi, infatti, l’esordio è nel corso dell’adolescenza e della prima età adulta, si riportano alti livelli di arousal prima di eseguire il comportamento e alti livello di piacere e gratificazione dopo averlo eseguito (APA, 2000). Da ciò ne deriva la natura egosintonica dei disturbi, nelle prime fasi, in entrambe le forme di dipendenza, che, con il tempo, assumono sempre più un aspetto egodistonico, in cui diminuisce il piacere legato alla sostanza e aumenta la componente compulsiva (Grant et al., 2010). Anche su un piano comportamentale si possono riscontrare manifestazioni sovrapponibili nelle dipendenze comportamentali e in quelle da sostanze, quali il
40
craving, la tolleranza, l’astinenza, la persistenza, la compromissione del controllo e la compromissione sociale (Marazziti et al., 2015). Altri aspetti condivisi sono l’impulsività, la sensation seeking e la disregolazione emotiva. Anche dal punto di vista neurobiologico la dipendenza comportamentale e quella da sostanze agiscono allo stesso modo attivando il sistema della ricompensa che rinforza e rafforza il comportamento generando un intenso piacere e un’intensa gratificazione (APA, 2013).
Il Disturbo da gioco d’azzardo è presente nel DSM-5, all’interno della categoria dei “Disturbi correlati a sostanze e disturbi da addiction” e si caratterizza per la persistente incapacità di controllare e di resistere all’impulso di mettere in atto comportamenti finalizzati al gioco d’azzardo (Marazziti et al., 2015), con cui si intende rischiare qualcosa nella speranza di ottenere qualcosa con un valore superiore. La persistenza di tale comportamento rischioso, insieme all’intensificazione di esso, può condurre alla compromissione del funzionamento lavorativo, familiare e sociale della persona (APA, 2013).
Le attività che rientrano nella categoria dei giochi d’azzardo sono accomunate dalla tendenza del giocatore ad affidarsi al caso, piuttosto che alle capacità personali. E’ stata stilata una classificazione dei giochi d’azzardo, i quali vengono distinti sulla base di quanto l’affidamento al caso prevalga sulla possibilità di utilizzare le proprie abilità (Callois, 1981), che distingue i giochi in cui il caso prevale sulle abilità del giocatore, per cui quest’ultimo non ha alcuna possibilità di influenzarne l’esito (bingo, tombola, scommesse sul lancio di dadi, slot machine, lotterie tradizionali e istantanee) e i giochi in cui predominano le abilità personali, in cui quindi il giocatore ha il potere di controllare l’esito del gioco (giochi con le carte, scommesse sulle gare sportive e scommesse sui giochi di abilità). Un’altra classificazione può esser fatta sulla base del tempo che intercorre tra la giocata e il venire a conoscenza dell’esito del gioco, per cui si distinguono i giochi dall’esito immediato (giochi con le carte, scommesse sui giochi
41
di abilità, bingo, tombola, giochi con i dadi, slot machine, lotterie istantanee) e giochi dall’esito posticipato (lotterie tradizionali, scommesse su gare sportive, scommesse su gare di animali, ad es. corse dei cavalli). Vi è, inoltre, un’ulteriore distinzione che prevede i giochi regolarizzati, che fanno riferimento ad attività praticabili solo i luoghi pubblici adibiti per queste (ad es. lotterie e slot machine), e giochi non regolarizzati, che al contrario possono essere svolti ovunque (ad es. giochi di soldi con carte). I giochi vengono distinti anche sulla base del numero dei giocatori previsto: vi sono giochi che possono essere svolti da un unico giocatore (come le slot machine) e giochi che necessitano un’interazione (ad es. alcuni giochi di carte).
Alcuni studi hanno indagato le attività di gioco d’azzardo più praticate dagli adolescenti, riportando che i giochi preferiti sembrano essere quelli con le carte e le scommesse sulle gare sportive (Delfabbro, Lahn, Grabosky, 2005), le lotterie istantanee (Donati, Chiesi, & Primi, 2013), le lotterie tradizionali (Moore & Ohtsuka, 1997), e le scommesse sui giochi di abilità (Ladouceur, Ferland, Poulin, Vitaro & Wiebe, 2005).
Dati internazionali hanno riscontrato che il 2% e il 9% degli adolescenti era classificabile come problem gamblers mentre il 10-18% manifestava un comportamento a rischio (Derevensky, Gupta, & Winters, 2003; Splevins, Mireskandari, Clayton, & Blaszczynski, 2010). Tali dati sono conformi a quelli nazionali (Canale et al., 2017; Donati, Chiesi, Izzo, & Primi, 2017; Donati et al., 2013; Nigro, Cosenza, & Ciccarelli, 2017).
Per quanto riguarda la dipendenza da videogiochi, con il termine videogiochi si fa riferimento a un gruppo ampio di giochi che si distingue in giochi su console (PlayStation, Xbox, Nintendo e altri) e giochi su computer, tablet o smartphone. La prima categoria comprende giochi in cui vi è la possibilità di giocare con altre persone, sebbene questi siano principalmente rivolti ad un uso solitario, sono economici e i contenuti vertono su sport, azione, strategia, famiglia, puzzle, giochi di ruolo e
42
simulazioni; la seconda, invece, include giochi progettati per il gioco con più persone, fisicamente distanti, sono meno economici e propongono soprattutto giochi di azione e strategia.
L’assessment diagnostico della dipendenza dai videogames risulta ancora una questione controversa e problematica (Weinstein & Weitzman, 2012), infatti, a differenza del Disturbo da gioco d’azzardo, che è stato inserito all’interno dei “Disturbi correlati a sostanze e disturbi di addiction”, la dipendenza dai videogiochi non è stata inclusa in questa categoria ma all’interno della sezione 3 del DSM-5 con l’etichetta “Internet Gaming Disorder” (IGD, “Disturbo da gioco su Internet”), rientrando tra quei disturbi che necessitano di ulteriori studi. Tale dipendenza condivide le stesse caratteristiche delle altre dipendenze comportamentali quali salienza, tolleranza, alterazioni del tono dell’umore, conflitti (con il lavoro, la famiglia e le altre relazioni sociali), isolamento sociale e ricadute, che conducono alla compromissione del funzionamento lavorativo o scolastico, familiare e sociale (Gentile, 2009). I videogiochi sono oggi tra i passatempi più diffusi tra gli adolescenti, come testimoniato da molteplici studi: da uno studio condotto negli Stati Uniti, è emerso che il 51% di questi giocava ai videogiochi (Desai, Krishnan-Sarin, Cavallo, & Potenza, 2010); a livello europeo, da uno studio condotto in Spagna, si è rilevato che il 93% di questi aveva giocato ai videogiochi nell’anno precedente, mentre il 75% continuava a giocare almeno una volta alla settimana (Tejero Salguero & Moran, 2002); mentre uno studio più recente, condotto in Finlandia, ha riportato che il 60% degli adolescenti era costituito da videogiocatori (Wallenius, Rimpela, Punamaki, & Lintonen, 2009); a livello nazionale, uno studio condotto con adolescenti ha evidenziato che il 67% di questi era un giocatore (Patriarca, Di Giuseppe, Albano, Marinelli, & Angelillo, 2009).
43
1.2.1. ADHD e Disturbi non correlati a sostanze
Negli ultimi anni si è riscontrato un aumento della prevalenza delle dipendenze comportamentali, in particolare del disturbo da gioco d’azzardo e della dipendenza dai videogiochi. Risultati nazionali (Canale et al., 2016) e internazionali (Calado, Alexandre, & Griffith, 2016; Gentile, 2009) hanno infatti mostrato che l’età adolescenziale è un’età a rischio per lo sviluppo di tali dipendenze.
Per quanto riguarda il gioco d’azzardo, si è registrato un incremento delle opportunità di mettere in atto tale comportamento, e questo è stato messo in relazione con l’aumento del numero degli adolescenti che giocano d’azzardo e che manifestano disturbi ad esso correlati (Derevensky & Gilbeau, 2015). I risultati delle ricerche condotte a livello internazionale hanno evidenziato che il 77-83% degli adolescenti è coinvolto in qualche forma di gioco d’azzardo (Blinn-Pike, Worthy, & Jonkman, 2010), che il 60-99% di soggetti con età compresa tra dodici e venti anni ha giocato d’azzardo almeno una volta (Splevins et al., 2010). I risultati ottenuti da studi condotti a livello nazionale rispecchiano questo quadro, come dimostrato da uno studio condotto in Toscana (Donati et al., 2013), da cui emerge che il 91% degli adolescenti aveva giocato d’azzardo almeno una volta nell’ultimo anno e il 46% era un giocatore regolare (cioè giocava d’azzardo almeno una volta al giorno o una volta alla settimana). La diffusione del gioco d’azzardo patologico tra gli adolescenti sembra essere compresa tra il 2% e il 9%, mentre i giocatori a rischio sono collocabili tra il 10% e 18%, come riportato da dati internazionali (Chalmers & Willoughby, 2006; Delfabbro & Thrupp, 2003; Derevensky et al., 2003; Nower, Derevensky, & Gupta, 2004; Shaffer & Hall, 1996; Spelvins et al., 2010). A livello nazionale, invece, uno studio condotto dall’IFC-CNR ha attestato che il 4% degli adolescenti italiani è un giocatore d’azzardo patologico, mentre il 7% è un giocatore a rischio (2015).
44
Per quanto riguarda l’uso patologico dei videogiochi tra gli adolescenti, dati internazionali hanno riportato che la prevalenza è collocabile intorno al 6% (Ferguson, Coulson, Barnett, 2011), sebbene vi sia una certa variabilità sulla base dei criteri adottati. Gli studi che hanno utilizzato l’adattamento dei criteri per il gioco d’azzardo patologico hanno riscontrato stime più elevate di videogiocatori patologici (8.5%, Gentile, 2009); al contrario, studi condotti in Europa utilizzando i criteri dell’Internet Gaming Disorder (Disturbo da gioco su Internet) proposti dal DSM, hanno riscontrato stime inferiori (5.4%; Lemmens, Valkenburg, & Gentile, 2015;1.2%; Rehbein et al., 2015).
A partire dal fatto che le dipendenze da sostanze e quelle comportamentali hanno aspetti comuni, sia clinici che neurobiologici (APA, 2013; Grant et al., 2010; Marazziti et al., 2015), numerosi studi si sono interrogati sulla correlazione tra i sintomi di ADHD e le dipendenze comportamentali. Nell’insieme questi studi hanno indicato che i sintomi ADHD sono associati a alti livelli di impulsività, bassi livelli di autostima, alti livelli di disregolazione emotiva e una qualità di vita bassa; questo quadro, a sua volta, è stato messo in relazione alle dipendenze comportamentali (Chamberlain et al., 2017). Si è inoltre riscontrata un’alta prevalenza di diagnosi di ADHD tra soggetti che presentavano dipendenze comportamentali, quali il disturbo da gioco d’azzardo, la dipendenza dai videogiochi, dipendenza da Internet, dipendenza dal sesso e disturbi del comportamento alimentare (Bernardi & Pallanti, 2009; Breyer et al., 2009; Fatseas et al., 2016; Odlaug et al., 2013; Weinstein & Weizman, 2012)
1.2.1.1. ADHD e Disturbo da gioco d’azzardo
Poiché il profilo del giocatore d’azzardo si caratterizza per impulsività, bassa resistenza allo stress, discontrollo, bassa autostima, deficit d’attenzione e sentimenti di