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Negli ultimi anni si è registrato un incremento del numero degli adolescenti che giocano d’azzardo e che utilizzano videogiochi e che manifestano disturbi ad essi correlati, come testimoniato da studi nazionali (Donati et al., 2013; Patriarca et al., 2009) e internazionali (Gentile, 2009; Messerlian et al., 2015). E’ inoltre emersa una relazione tra tali comportamenti e l’ADHD, come riportato da studi che hanno indagato il ruolo dei sintomi core del disturbo (disattenzione e iperattività/impulsività) nell’insorgenza sia del disturbo da gioco d’azzardo (Dussault et al., 2011; Faregh & Derevensky, 2011) che dell’uso patologico dei videogiochi (Bioulac et al., 2008; Tolchinsky & Jefferson, 2011). Sebbene i risultati di questi studi si siano rivelati discordanti, vi è un generale accordo sull’esistenza di un’associazione tra ADHD e iperattività/impulsività, piuttosto che disattenzione (Canu & Schatz, 2011; Clarke et al., 2013); al contrario, l’uso patologico dei videogiochi è risultato essere associato e/o predetto da quest’ultima (Chan & Rabinowitz, 2006; Mazurek & Engelhard, 2013).

Gli studi condotti fino ad ora si sono focalizzati esclusivamente sul contributo apportato dalle componenti principali del disturbo, senza prendere in considerazione il contributo delle difficoltà correlate all’ADHD quali problemi di apprendimento, comportamenti aggressivi fisici e/o verbali e relazioni familiari conflittuali. A questo proposito, invece, è stato dimostrato che i sintomi core dell’ADHD si manifestano frequentemente insieme ad altre difficoltà come i problemi di apprendimento, comportamenti aggressivi fisici e verbali e relazioni familiari conflittuali (Capano et al., 2008; Jensen & Steinhausen, 2015; Spencer et al., 2007). Si è riscontrato che tali difficoltà risultano essere associate anche al disturbo da gioco d’azzardo e all’uso

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patologico dei videogiochi (Adachi & Willoughby, 2013; Anand, 2007; Del Miglio et al. 2005; Dickson et al., 2008; Gupta & Derevensky, 2000; Hardoon et al., 2004; Parke & Griffiths, 2004; Shaed et al., 2010).

Inoltre attualmente in letteratura non vi sono studi che abbiano indagato il ruolo della disattenzione e dell’iperattività-impulsività nell’insorgenza del disturbo da gioco d’azzardo e dell’uso patologico dei videogiochi, considerando entrambe le condotte insieme, attraverso l’adozione di un’ottica integrata, sebbene questa prospettiva sia indispensabile al fine di individuare i fattori comuni ad entrambe le dipendenze (Parker et al., 2008; Walther et al., 2012).

Pertanto l’obiettivo del presente studio era indagare la relazione tra i sintomi core dell’ADHD e il disturbo da gioco d’azzardo e l’uso patologico dei videogiochi, adottando un’ottica integrata, al fine di comprendere se le due componenti fossero dei fattori di rischio e di rilevare le differenze tra le due condotte a livello di predittori; inoltre, sulla base dell’associazione riscontrata da molteplici studi tra le difficoltà correlate all’ADHD (problemi di apprendimento, aggressività, relazioni familiari conflittuali) e il disturbo da gioco d’azzardo e l’uso patologico dei videogiochi (Anand, 2007; Adachi & Willoughby, 2013; Del Miglio et al., 2005; Dickson et al., 2008; Gupta & Derevensky, 2000; Gupta & Derevensky, 1997; Hardoon et al., 2004; Johansson et al., 2009; Parke & Griffiths, 2004; Shead et al., 2010), è stato esaminato anche il ruolo di tali criticità associate all’ADHD in relazione alle condotte patologiche qui prese in esame, considerando l’assenza di studi a questo riguardo in letteratura.

Innanzitutto, per quanto riguarda il comportamento di gioco d’azzardo, il 65% degli adolescenti ha dichiarato di aver giocato d’azzardo almeno una volta negli ultimi dodici mesi e il 43% di questi è risultato un giocatore regolare; rispetto al comportamento patologico è emerso che l’87% dei giocatori non manifestava un comportamento problematico, mentre il 10% risultava essere un giocatore a rischio e il

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3% un giocatore patologico. Per quanto riguarda l’uso dei videogiochi, il 96% degli adolescenti ha dichiarato di aver giocato almeno una volta negli ultimi dodici mesi ad almeno un videogioco e, rispetto al comportamento patologico, i risultati hanno evidenziato che il 68% di coloro che giocavano non presentavano un comportamento problematico, mentre il 27% e il 6% dei partecipanti erano rispettivamente giocatori a rischio e giocatori dipendenti. Questi risultati sono in linea con studi nazionali (Canale et al., 2017; Donati et al., 2013; Donati et al., 2017; Nigro et al., 2017; Patriarca et al., 2009; Primi et al., 2017) e internazionali (Blinn-Pike et al., 2010; Desai et al., 2010; Spelvins et al., 2010; Turner et al., 2012; Wallenius et al., 2009).

Per quanto riguarda le relazioni con le variabili prese in esame, le correlazioni hanno evidenziato l’esistenza di relazioni positive e significative tra inattenzione, iperattività/impulsività, problemi di apprendimento, aggressività, relazioni familiari conflittuali e sia la frequenza di gioco d’azzardo che il comportamento patologico legato al gioco d’azzardo, ad eccezione della dimensione dei problemi di apprendimento che non è risultata correlare con la frequenza del comportamento di gioco d’azzardo. Inoltre sono emerse relazioni positive e significative tra le cinque dimensioni associate all’ADHD e le variabili legate all’uso dei videogiochi (tempo impiegato nell’utilizzo dei videogiochi, frequenza d’uso e comportamento patologico legato all’uso dei videogiochi), a eccezione dell’aggressività e delle relazioni familiari conflittuali che non correlavano con il tempo impiegato nell’uso dei videogiochi. Dal momento che si trattava di un campione di adolescenti, è stata presa in considerazione anche la relazione tra la variabile età e le dimensioni associate all’ADHD, il gioco d’azzardo e l’uso dei videogiochi. L’età è risultata correlare con l’inattenzione, il tempo impiegato nell’utilizzo dei videogiochi e la frequenza d’uso.

Nell’insieme, quindi, tali analisi hanno evidenziato che entrambi i comportamenti patologici erano significativamente e positivamente associati alla disattenzione,

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all’iperattività/impulsività, all’aggressività, alle difficoltà e alle relazioni negative con i familiari, confermando i risultati precedenti sulle caratteristiche tipiche di coloro che hanno una dipendenza da gioco d’azzardo (Faregh & Derevensky, 2011; Hardoon et al., 2004; Marazziti et al., 2015) e da videogiochi (Gentile et al., 2012; Lemmens et al., 2009; Mazurek & Engelhardt, 2013; Turner et al., 2012).

Inoltre, si sono riscontrate relazioni lineari positive e significative tra i comportamenti di gioco d’azzardo e l’uso dei videogiochi. Più in dettaglio, la frequenza di gioco d’azzardo è risultata correlare positivamente e significativamente con il tempo impiegato nell’utilizzo dei videogiochi, con la frequenza d’uso di questi ultimi, e con il comportamento patologico legato all’uso dei videogiochi. Infine, è emersa l’esistenza di una correlazione positiva e significativa tra il comportamento patologico di gioco d’azzardo e l’uso patologico dei videogiochi.

Infine, le analisi di regressione gerarchica hanno contribuito ad individuare i fattori di rischio specifici e comuni tra le condotte patologiche, prendendo in considerazione anche il genere, poiché si è riscontrata una certa variabilità, sia nel disturbo da gioco d’azzardo che nell’uso patologico dei videogiochi, dipendente dal genere, come riportato da studi che hanno evidenziato che il sesso maschile è maggiormente a rischio (Chumbley & Griffiths, 2006; Desai et al., 2011; Chou & Tsai, 2007).

Per quanto riguarda i fattori di rischio specifici del disturbo da gioco d’azzardo, i risultati hanno evidenziato che i problemi di apprendimento sono un predittore significativo solamente di tale dipendenza, in linea con quanto emerso da studi precedenti che non solo hanno riportato l’associazione tra scarso rendimento scolastico e gambling (Gupta & Derevensky, 2000), ma che hanno individuato nelle difficoltà nell’apprendimento un fattore di rischio per lo sviluppo della dipendenza dal gioco d’azzardo (Dickson et al., 2008; Johansson et al., 2009). In base a tali risultati, è quindi

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possibile ipotizzare che il gioco d’azzardo venga utilizzato dagli adolescenti come una strategia di coping per fronteggiare lo stress generato dalle difficoltà nell’apprendimento che conducono ad imparare più lentamente, ad un rendimento scolastico più basso e all’essere indietro con lo studio, rispetto ai coetanei.

Inoltre, anche il genere è risultato essere un predittore del disturbo da gioco d’azzardo, anche se marginalmente significativo (p=.09). Per quanto riguarda i fattori di rischio specifici dell’uso patologico dei videogiochi, è emerso che le relazioni familiari conflittuali erano un predittore significativo solamente per tale dipendenza, in linea con quanto riscontrato da studi precedenti secondo cui i problemi nelle relazioni familiari non solo sono associati alla dipendenza dai videogiochi ma ne costituiscono un fattore di rischio (Kim et al., 2008; McConnell, 2011). Rispetto a tale dato è possibile ipotizzare che la dipendenza dai videogiochi sia una modalità di gestione dello stress derivante da tali relazioni problematiche, che conduce ad un circolo vizioso per cui l’utilizzo patologico dei videogiochi riduce lo stress generato dalle relazioni ma allo stesso tempo amplifica le difficoltà relazionali con i genitori, riducendo le capacità comunicative e aumentando i livelli di isolamento sociale. Inoltre, è emerso che tale dipendenza è predetta significativamente dal genere, in linea con studi presenti in letteratura (Chou & Tsai, 2007; Tejero et al., 2002). Secondo Griffiths e Davies (2005) il sesso maschile impiega più tempo nell’uso dei videogiochi per tre ragioni principali: la prima riguarda le abilità spaziali e percettive, in particolare la percezione di profondità (Maccoby & Jacklin, 1974) e la coordinazione mano-occhio (Keisler, Sproull, & Eccles, 1985), che sembrano essere più sviluppate nei maschi; la seconda ragione riguarda aspetti sociali, in quanto la società non sembra incoraggiare il sesso femminile ad esprimere pubblicamente la propria aggressività, per cui le ragazze sembrerebbero inibite nel giocare con videogiochi con contenuti di scontro o combattimento (Greenberg, Sherry, Lachlan, Lucas & Holmstrom, 2010). La terza

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ragione riguarda appunto il contenuto dei videogiochi, ovvero, la maggior parte dei videogiochi sono creati principalmente da ragazzi e si rivolgono a ragazzi, per cui presentano tematiche più gradevoli per questi ultimi (Beasley & Standley, 2002; Griffiths & Devies, 2005). Per quanto riguarda i fattori di rischio comuni, i risultati hanno messo in evidenza che l’inattenzione e l’aggressività erano predittori significativi di entrambe le condotte patologiche. Rispetto al ruolo predittivo dell’inattenzione nei confronti del disturbo da gioco d’azzardo, tale risultato disconferma quanto sostenuto dalla maggior parte degli studi (Canu & Schatz, 2011; Dussault et al., 2011; Pagani et al., 2009) secondo cui tale dipendenza è predetta dall’impulsività e non dalla disattenzione. Tale risultato può essere spiegato sulla base del fatto che gli item contenuti nella scala Conners 3 S-F indaganti la dimensione dell’impulsività fanno riferimento non solo a tale dimensione ma anche a comportamenti di iperattività. Secondariamente, a sostegno di questo risultato vi è il modello di Blaszczynski e Nower (2002) i quali hanno incluso i sintomi tipici dell’ADHD tra i meccanismi eziopatogenetici del disturbo da gioco d’azzardo, evidenziando che il deficit attentivo predispone all’insorgenza di tale dipendenza. Infine, tale dato rientra all’interno del profilo del giocatore d’azzardo, il quale si caratterizza per impulsività, bassa resistenza allo stress, discontrollo, bassa autostima, deficit d’attenzione e sentimenti di solitudine (Marazziti et al., 2015).

Prendendo invece in considerazione l’aggressività come predittore del gioco d’azzardo patologico, i dati presenti in letteratura hanno riportato l’esistenza di un’associazione tra gambling patologico e comportamenti aggressivi fisici e/o verbali, legati ad un’instabilità emotiva e all’incapacità di gestire i sentimenti di frustrazione (Parke & Griffiths, 2004). Rispetto all’uso patologico dei videogiochi, il ruolo predittivo dell’inattenzione è concorde con i risultati degli studi presenti in letteratura (Chan & Rabinowitz, 2006; Mazurek & Engelhardt, 2013). E’ quindi possibile

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ipotizzare che l’incapacità di mantenere l’attenzione su uno specifico stimolo conduca i ragazzi a preferire l’uso dei videogiochi piuttosto che altre attività che richiedono livelli di concentrazione maggiori e per un periodo di tempo più prolungato, dal momento che una delle caratteristiche dei videogiochi è l’alternanza di scenari differenti.

Rispetto invece all’aggressività come predittore dell’uso patologico dei videogiochi, questo dato risulta essere in linea con lo studio condotto da Adachi e Willoughby (2013) che hanno disconfermato disconfermato i risultati di studi precedenti secondo cui l’aggressività è una conseguenza dell’uso dei videogiochi, mettendo in luce in luce che è l’aspetto della competizione (es. videogiochi sportivi), e non della violenza, ad incrementare il livello di aggressività, e che questo aspetto è molto più frequente in questo genere di videogiochi, rispetto ad altri piuttosto che un fattore di rischio (Gentile, 2009; Griffiths & Hunt, 1998). Si è ipotizzato che alcuni tipi di videogiochi creino situazioni competitive in cui il giocatore viene spinto a sconfiggere l’avversario e a reagire con aggressività. Dunque, poiché i contesti competitivi favoriscono le reazioni aggressive, gli individui con livelli di aggressività più elevati saranno maggiormente attratti da questo tipo di contesti, come da questa tipologia di videogiochi.

Alla luce di tali risultati, il contributo del presente studio consiste nell’aver messo in luce che il disturbo da gioco d’azzardo e l’uso patologico dei videogiochi sono caratterizzati da fattori di rischio specifici, rispettivamente problemi di apprendimento e relazioni familiari conflittuali, e da fattori comuni, ovvero inattenzione e aggressività. Questo dato è di particolare interesse soprattutto in un’ottica di prevenzione dal momento che consente di comprendere meglio l’eziologia dei comportamenti problematici oggetto di studio sia in un’ottica integrata che specifica. Sono tuttavia necessari ulteriori studi longitudinali al fine di seguire lo sviluppo e il decorso dei tali dipendenze e la relazione con le dimensioni ad esse associate. Infine, poiché il

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campione era costituito da studenti della popolazione scolastica generale, sarebbe auspicabile che ricerche future utilizzassero un campione clinico per esaminare la relazione tra l’ADHD e tali dipendenze.

Al di là di tali limiti, i risultati di questo studio sono utili in un’ottica di prevenzione, in quanto consentono di ipotizzare l’eventuale sviluppo di una precisa dipendenza e quindi permettono di agire prevenendo l’insorgenza di questa. Ad esempio, si potrebbe agire preliminarmente sui fattori di rischio comuni al disturbo da gioco d’azzardo e all’uso patologico dei videogiochi, ovvero la disattenzione e l’aggressività. Per quanto riguarda la disattenzione, gli interventi terapeutici utilizzati con i bambini comprendono strategie basate sulla modificazione cognitiva e comportamentale, attraverso il rinforzo del comportamento corretto. E’ importante sottolineare che quando si applicano queste strategie i bambini con deficit d’attenzione rispondono in modo diverso rispetto ai bambini con sviluppo tipico, dando più importanza alla stimolazione intensa e meno importanza al rinforzo positivo o negativo (Lee & Zentall, 2002). Inoltre, vi sono diverse strategie educative volte a incrementare l’attenzione selettiva di studenti con deficit d’attenzione; in generale, queste si basano sul mettere in evidenza la struttura globale di un compito, focalizzandosi sugli elementi centrali o sui dettagli più rilevanti (ad esempio parti di problemi, parole, frasi o istruzioni), sull’incrementare la capacità di focalizzare l’attenzione sui propri comportamenti, intenzioni, sentimenti attraverso l’uso di domande e/o dell’automonitoraggio, e sull’impiego di compiti pratici aggiuntivi (Zentall, 2005).

Inoltre, in letteratura sono presenti studi che hanno riportato che lo Yoga può essere un’alternativa di intervento per difficoltà scolastiche e comportamentali (Nardò & Reynolds, 2002). Uno dei primi studi, condotto da Redfering e Bowman (1981), ha impiegato lo Yoga nel trattamento dell’ADHD e del comportamento oppositivo, determinando un netto miglioramento dei sintomi di disattenzione, di impulsività e una

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riduzione del comportamento oppositivo. Un altro studio più recente ha confermato questo dato, riportando che la pratica dello Yoga che include la meditazione riduce i sintomi di iperattività, disattenzione e ansia, nei bambini, e determina un miglioramento delle relazioni con i coetanei (Harrison, Manocha, & Rubia, 2004).

Per quanto riguarda il comportamento aggressivo nei bambini, si è riscontrato che la terapia Cognitivo-Comportamentale, attraverso l’adozione di interventi multimodali e training di abilità improntate sulla gestione della rabbia, determina una riduzione dell’aggressività (Smeets et al., 2014). Le linee guida per il trattamento deel comportamento aggressivo nei bambini raccomandano gli interventi psicosociali come prima opzione, sottolineando i ruoli centrali del Parent Management Training (PMT) e degli interventi individuali basati sullo sviluppo di abilità sociali, tecniche di problem solving e strategie di gestione della rabbia. (Buitelaar et al., 2013), i quali conducono ad un’effettiva riduzione dell’aggressività, del comportamento oppositivo e non compliante. Il PMT è un programma che mira ad educare i genitori nella gestione dell’aggressività dei bambini, monitorando questi ultimi attraverso feedback positivi (Buitelaar et al., 2013).

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