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La letteratura è fitta di studi incentrati sulla qualità della corporate governance e si basano sull’utilizzo di indicatori chiave che vanno ad analizzare la struttura del board.

Fama e Jensen (1983) affermano che il board of directors (Consiglio di Ammini- strazione - CdA) è il più alto organo di controllo interno e occupa un ruolo centrale

nel monitoraggio del comportamento del top management, ricevendo direttamen- te dagli stakeholders l’autorità e il potere di controllo al fine di tutelarne i loro interessi. Gli investitori ripongono la loro fiducia nel CdA per quanto riguarda la redazione di rilevanti e credibili financials statements. Il board, infatti, ha la responsabilità primaria di supervisionare tutto il processo di financial reporting aziendale coadiuvato dallo staff interno e dai revisori esterni (Klein 2002).

La composizione del board è un fattore importante per la creazione di un efficace controllo delle azioni del management ed include parte dei managers interni proprio per le maggiori e specifiche informazioni che riescono a reperire all’interno dei confini aziendali. Un board formato per la maggioranza da interni potrebbe ledere gli interessi degli stakeholders attraverso strumenti di management inappropriati. La presenza di membri esterni (independent directors) si dimostra un indispensabile garante per tutti gli investitori (Fama, 1980; Fama e Jensen, 1983). L’inclusione degli independents o non-executive directors nel board aziendale ha ricevuto una maggiore e crescente attenzione attorno agli anni ottanta proprio perché l’attività del manager necessitava per l’appunto di essere monitorata per limitare il sorgere di opportunismi manageriali ed evitare così abusi di potere (Roe, 1991).

A supportare ciò vi sono alcuni studi dai quali emerge una significativa e positiva relazione tra il livello di disclosure e il numero di independent directors (Leftwich et al., 1981; Chen e Jaggi, 2000; Leung e Horowitz, 2004; Ajinkya et al., 2005). Nello specifico l’inclusione di membri esterni nel board migliora la compliance aziendale e la necessità di una maggiore informativa, generando maggiore completezza e qualità nelle comunicazioni (Chen e Jaggi, 2000; Forker, 1992). Il miglioramento della disclosure fornisce agli investitori maggiori conoscenze delle politiche e pratiche aziendali che consentono loro di prendere decisioni di investimento con maggior consapevolezza. Ovviamente il miglioramento della disclusure dipende molto dalla struttura della governance aziendale, e nello specifico dalla maggior o minor ownership concentration. Secondo gli studi di Mok et al.

(1992) e Lam et al. (1994), l’efficacia dei controlli da parte degli independent directors è collegata alla struttura proprietaria. L’indipendenza e l’efficacia dei controlli vengono per l’appunto compromesse nelle aziende fortemente concentrate e sotto il controllo familiare con la conseguente incapacità di mettere in atto le giuste tutele nei confronti degli investitori.

Secondo gli studi di Irshad et al. (2015) una percentuale importante di non- executive directors ha un effetto positivo sulla performance economico-finanziaria dell’azienda perché riduce la probabilità di prendere delle decisioni sbagliate, fornisce consigli sulle decisioni strategiche da prendere e migliora la trasparenza delle operazioni interne. Per l’appunto, Beasley (1996) ha rilevato attraverso i suoi studi che in presenza di un più elevato numero di non-esecutive directors si verificano meno casi di frodi contabili.

L’efficacia del board oltre che dall’indipendenza è influenzata anche da altre variabili chiave quali la ceo duality, la board size e i board meeting.

La ceo duality si verifica quando l’amministratore delegato è anche presidente dell’azienda ed ovviamente questa situazione lo porta ad avere un elevato potere con effetti negativi sull’abilità del board nel mettere in pratica un effettivo potere di controllo. Questa concentrazione di potere potrebbe comportare potenziali conflitti di interesse e la conseguente riduzione del livello di controllo interno (Beasley, 1996).

Riguardo la dimensione del board, gli studi di Jensen (1993) e Lipton e Lorsch (1992) hanno evidenziato una relazione consistente tra la board size e l’abilità di monitorare e controllare l’operato dei managers e nello specifico una significatività positiva tra il numero di directors e il board monitoring. Un board di dimensioni maggiori ha, infatti, competenze più specifiche, fra cui maggior capacità di monito- raggio del management (Williams et al., 2005). Di contro, altri studi dimostrano che boards di dimensioni minori sono più efficienti nell’adempiere alle proprie re- sponsabilità. Nello specifico alcuni ricercatori hanno evidenziato che un board di maggiori dimensioni ha un impatto negativo sui piani strategici, sui controlli interni

e sulla qualità dei report finanziari (Jensen, 1993; Lipton e Lorsch, 1992, Beasley, 1996).

Il board of directors deve predisporre inoltre, durante l’arco dell’anno, degli incontri (board meeting) per far fede ai propri impegni di governance e per assicurare alta qualità e trasparenza all’interno degli annual reports. Secondo gli studi di Yatim et al. (2006) e Lipton e Lorsch (1992) i boards che si incontrano più frequentemente sono quelli che riescono con maggior diligenza ed efficienza ad eseguire le proprie mansioni. Ciò consente di potenziare il livello di controllo sul processo di financial reporting direttamente e indirettamente grazie alla scelta dei revisori esterni e al comitato per il controllo interno.

Alcuni recenti studi hanno evidenziato come una buona governance e un co- mitato per il controllo con un forte impatto siano associati ad una contabilità più conservativa che predilige la valutazione dei beni al costo storico (Caskey e Laux, 2016; Garcìa Lara et al., 2007). Il loro modello è basato sull’idea che in questo contesto il board of directors riesca a sorvegliare al meglio le strategie di investimento aziendali attraverso un controllo serrato sul financial reporting che limita l’opportunismo manageriale e in particolare possibili manipolazioni dei conti. La scelta di questo metodo contabile consente un allineamento tra gli interessi dei managers e quelli degli stakeholders in quanto va a ridurre le asimmetrie informative e i problemi di moral hazard derivanti dai conflitti di agenzia. Il conservative ac- counting protegge i diritti degli stakeholders imponendo alti standard di verifica che riconoscono tempestivamente tutte le perdite contabili prendendo in considerazione gli utili solo se effettivi (Basu, 1997). E sono proprio gli studi di Basu (1997) e Ball e Shivakumar (2006) a definire che le aziende che presentano meccanismi di governance più strong sono più propensi ad essere conservativi.

Contrariamente, gli studi di Aminu Isa (2014) e Waweru et al. (2011) affermano che le aziende che contengono al loro interno un board con una considerevole presenza di independent directors sono più propense all’adozione del fair value

accounting. La preferenza per questo metodo contabile serve per l’appunto a proteggere gli interessi degli azionisti soprattutto nel momento in cui si verificano situazioni con elevata asimmetria informativa riuscendo ad offrire loro una maggior trasparenza finanziaria.

Da qui l’affermazione che:

H3: Aziende con una elevata percentuale di independent directors sono orientate ad utilizzare il fair value nella valutazione dei non-financial assets.

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