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Abbiamo visto finora, dall’analisi dei principi che regolano i non-current assets, come i concetti di fair value e di costo storico possano andare ad influenzare le condizioni finanziarie aziendali. Di seguito verranno riportate le specifiche definite dai principi contabili per i due modelli.

Risale al 1980 la storia della concezione e dell’applicazione del metodo del fair value. La fair value accounting sin dalla sua nascita è stata concepita per assicurare che i bilanci aziendali siano pertinenti e affidabili soprattutto nel prevenire future crisi economiche. Il passaggio dal metodo del costo storico al metodo del fair vale è, infatti, storia recente e spinta soprattutto dallo IASB affinché sia possibile raggiungere una globalizzazione negli accounting standards.

Il fair value viene definito in economia come una stima razionale e imparziale del prezzo potenziale di un prodotto, servizio o asset. Anche gli IFRS si occupano

di darne una precisa definizione all’interno di un principio ad esso dedicato, nello specifico nell’IFRS 13 si enuncia che:

"Il fair value è il prezzo che si percepirebbe per la vendita di un’attività o che si pagherebbe per il trasferimento di una passività in una regolare operazione tra operatori di mercato alla data di valutazione."

Analizzando la definizione appena data si può notare come questa sia ancorata ad un’ipotetica transazione basata su un prezzo stimato e non documentato. Inoltre, si da enfasi al fatto che il fair value sia una misura market-based e non una misura su una specifica entità. Pertanto se per la determinazione del fair value si usano i prezzi di mercato, la fair value accounting è anche chiamata mark-to-market accounting (Serakibi, 2013).

La fair value accounting richiede di iscrivere nei bilanci attività e passività al fair value e riportare eventuali variazioni di valore all’interno del conto economico. Di seguito verranno esplicati i possibili vantaggi e svantaggi che derivano dell’appli- cazione di questo metodo.

Il fair value è rilevante perché riflette le condizioni economiche attuali e aiuta gli users del bilancio a prendere decisioni in modo consapevole. I prezzi di mercato, infatti, riflettono tutte le informazioni più significative; per questo motivo se tutte le attività e le passività sono iscritte al fair value non è necessario effettuare nessuna stima sulle voci di bilancio in quanto già rapportate a valori di mercato (Whittington, 2008). Inoltre, l’utilizzo del fair value consente la creazione di una fedele rappresentazione delle attività e delle passività attraverso la proiezione del rischio ad essi associato e dei futuri flussi di cassa attesi (Krumwiede et al., 2008). Consente la tempestività delle comunicazioni in quanto riflette i cambiamenti economici proprio nel momento in cui essi avvengono.

L’aumento di trasparenza, accuratezza e rilevanza sono alcuni dei vantaggi che ne derivano, oltre al fatto che l’utilizzo del fair value aiuta gli investitori a comprendere e rivelare le "azioni nascoste" di un’azienda.

Le attività e le passività misurate al fair value possono essere facilmente compa- rabili favorendo la consistency e la rivelazione dello stesso tipo di informazione in un medesimo periodo (Shipper, 2005).

Inoltre, secondo gli studi di Serakibi, il metodo del fair value è da preferire a quello del costo storico per la sua capacità nell’andare a risolvere i problemi di agenzia. Nello specifico il metodo dell’historical cost accounting nasconde i veri valori economici causando ingenti danni agli shareholders. Il fair value riesce, invece, a rivelare i valori correnti degli elementi del bilancio e a diminuire i conflitti tra agente e principale e di conseguenza l’information asymmetry che si crea tra management e gli stakeholders (Muller et al., 2011). Tramite la rivalutazione degli assets infatti un’impresa può fornire agli investitori informazioni aggiuntive sul reale valore dei beni e di conseguenza la reale situazione finanziaria (Brown et al., 1992).

Tra gli svantaggi derivanti dall’utilizzo del fair value troviamo un’aumento della volatilità e la soggettività dei risultati presentati, portando peraltro le istituzioni ad essere orientate maggiormente al breve piuttosto che al lungo periodo. I market prices potrebbero, inoltre, essere distorti dalle inefficienze presenti e dovute alla mancanza di un mercato perfetto (Plantin et al, 2008).

Anche i managers molte volte potrebbero commettere degli errori nella valuta- zione delle stime al fair value dovuti ad una difficoltà nella determinazione del vero valore degli assets (Ronen, 2008). Il fair value potrebbe essere, infatti, maggiormente soggetto a manipolazioni da parte del management che agisce per aggiustare gli utili se per esempio sono troppo bassi o negativi. L’esistenza di un mercato attivo è una condizione necessaria per una corretta stima del fair value, e non sempre per i non-financial assets questo esiste (Watts, 2006; Jung et al., 2013).

Dopotutto, comunque, i vantaggi portati dal fair value potrebbero risultare maggiori rispetto agli svantaggi. Nello specifico il punto più esplicativo della fair value accounting risulta essere la valutazione delle attività e delle passività in modo tale da fornire informazioni utili agli external users.

Il metodo del costo storico è invece appoggiato, ma molte volte è anche criticato per il fatto di riportare nei bilanci valori "vecchi e datati" basati principalmente sulle transazioni passate piuttosto che sui valori correnti (Penman, 2007).

Oggi, le aziende nel valutare le voci di bilancio utilizzano sia il metodo del fair value sia quello del costo storico, preferendo la valutazione di alcuni elementi con uno o con l’altro modello e dal mix l’azienda cerca di compensare gli svantaggi di uno con i vantaggi dell’altro. Molte volte, inoltre, il valore al fair value viene indicato in nota integrativa come informazione ulteriore quando l’azienda iscrive un elemento al suo costo storico per dare un’ulteriore e aggiuntiva informazione all’utilizzatore del bilancio.

Se da un lato il fair value produce informazioni più rilevanti per financial users, dall’altro il metodo del costo storico viene considerato più affidabile; questo trade-off viene per l’appunto illustrato nella figura 1.2.

Figura 1.2: Trade-off Fair value accounting e Historical Cost Accounting.

Nella figura 1.3, ripresa dagli IFRS conceptual framework, verranno illustrate le principali caratteristiche che deve possedere un’informazione affinché sia considerata utile per l’investitore; esse verranno poi analizzate mettendo a confronto l’historical cost model con il fair value model.

Figura 1.3: Le caratteristiche di un’informazione

La figura illustra le principali caratteristiche che deve possedere un’informazione affinché sia considerata utile per l’investitore.

• completa, se consente di comprendere a pieno il fenomeno considerato incluse descrizioni ed esplicazioni (CF, par. QC13);

• neutrale, se è imparziale, se non viene manipolata o distorta a tal punto da non riuscire a fornire una reale rappresentazione della situazione aziendale (CF, par. QC 14);

• senza errori, se non vengono fatte omissioni sull’informazione fornita e se non vi è un elevato margine di errore nelle stime e nelle valutazioni degli assets (CF, par. QC 15).

All’interno del framework vengono inoltre fornite le caratteristiche qualitative che deve possedere un’informazione finanziaria:

• la comparabilità, ossia la possibilità da parte degli users di riuscire ad identi- ficare e capire le similarità e le differenze tra i vari elementi di bilancio (CF, par. QC 21);

• la verificabilità, la quale assicura che le informazioni siano una fedele rap- presentazione delle condizioni economiche aziendali (CF, par. QC27, QC 28);

• la tempestività, la quale riesce a far si che le informazioni siano disponibili nel più veloce tempo possibile ai decision-makers, generalmente le informazioni più vecchie sono quelle meno utili (CF, par. QC 29);

• e la comprensibilità, che riguarda la classificazione e la presentazione delle informazioni in modo chiaro e conciso, relativa nello specifico ai differenti metodi di valutazione utilizzati (CF, par. QC 30).

Tutte le definizioni appena fornite verrano riassunte nella tabella 1.12 e analizzate a seconda che il metodo di valutazione scelto dall’azienda sia il metodo del costo storico piuttosto che il metodo del fair value.

Tabella 1.12: Cost model vs Fair value model Caratteristiche Cost model Fair value model

Fedele Rappresentazione Completezza Fornisce informazioni incom-

plete in quanto non riflette l’attuale situazione finanzia- ria, ma piuttosto valori del passato.

Fornisce il valore corrente per ciascun elemento valutato al fair value.

Neutralità La tendenza conservatrice ha un effetto distorsivo dell’infor- mazione, in cui vengono ricono- sciute le svalutazioni ma non le rivalutazioni degli assets.

Le informazioni sono imparzia- li.

Senza errori Il costo fornisce un’informa- zione veritiera con un piccolo margine di errore.

Elevata possibilità di commet- tere errori nel momento della stima di valore dell’asset. Caratteristiche qualitative

Comparabilità Limita la comparabilità fra due assets acquistati in mo- menti differenti.

Favorisce la comparabilità fra gli assets in qualsiasi momento. Verificabilità Il costo di acquisizione è

facilmente verificabile. Le stime sul fair value sono dipiù difficile verifica. Tempestività Le "vecchie" informazioni so-

no inutili in quanto basate su transazioni passate e non for- niscono una reale e tempestiva informativa.

Fornisce informazioni aggiorna- te e reali, molto utilizzate dai decision-makers.

Comprensibilità E’ più semplice la comprensi- bilità del financial statement se si usa un unico metodo di valutazione.

Differenti metodi di trattamen- to contabile possono ostacolare la comprensibilità.

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Hypothesis Development

A guidare lo studio nel tema dell’accounting choice saranno cinque variabili fonda- mentali che esplicano l’impatto, in sede di IFRS first time adoption, per la voce dei non-current assets. Lo sviluppo delle ipotesi consentirà di verificare l’influenza sulle scelte contabili della ownership structure, dell’information asymmetry, della strut- tura del board, del livello di financial leverage e dell’accounting tradition. La ricerca verrà condotta per verificare il metodo di valutazione utilizzato per i non-financial assets da aziende appartenenti sia al contesto europeo sia a quello anglosassone.

2.1 Ownership structure e information asymmetry

Con il termine ownership structure si intende la struttura proprietaria aziendale creata sulla base della suddivisione delle quote di partecipazione dirette o indirette al capitale di una società. Risulta, peraltro, essere di grande importanza nei meccanismi di corporate governance in quanto determina l’efficienza economica dell’azienda stessa. La struttura proprietaria può essere di due tipi, rispettivamente concentrata o diluita.

Se si parla di ownership concentration si intende una proprietà aziendale il cui pacchetto azionario di controllo è detenuto da uno o pochi individui. Questi ultimi, nelle aziende quotate, sono coloro che detengono almeno il 5% delle quote societarie (blockholders) e si presentano prevalentemente nella forma di institutional investors

come banche, compagnie di assicurazione, fondi pensionistici e mutualistici. Secondo Lean et al. (2015) l’ownership concentration è definita come un mec- canismo interno di governance che aiuta a ridurre le possibilità di opportunismo manageriale in favore dei piccoli investitori. Il più ampio potere degli institutional investors può infatti influenzare l’operato dei managers e del consiglio di ammini- strazione a scapito degli investitori minori i quali, al fine di salvaguardare i loro investimenti, dovranno esercitare un maggior controllo sulle strategie aziendali. Infatti, il possesso di piccole percentuali azionarie, nel caso in cui la proprietà risulti più diffusa, determina per gli investitori uno scarso potere di governance. Poco coinvolti nelle dinamiche interne della società potrebbero essere meno motivati ad uno stretto controllo del top management. Il verificarsi di quest’ultima situazione è definita con il termine ownership dilution.

A suscitare una maggior fiducia agli occhi degli investitori sono le aziende a proprietà familiare, caratterizzate da elevati livelli di ownership concentration, molto più diffuse nel contesto europeo rispetto a quello anglosassone. In questo tipo di aziende il monitoraggio è più scrupoloso e determinato per l’appunto dal ruolo della famiglia e le cui attività manageriali sono condotte in modo più semplice e diretto (Barth et al., 2003; Chung et al., 2002).

Sulla ownership structure sono stati condotti molteplici studi, fra i più autorevoli quelli di Lemmon e Lins (2003) e di Fan e Wong (2002) dai quali emerge una correlazione fra le strutture di potere e il grado di asimmetria informativa.

Con il termine information asymmetry si intende un’informazione dissimile o non condivisa integralmente fra gli individui di un processo economico. Una parte di questi, risulteranno dunque in una posizione di vantaggio rispetto ai rimanenti proprio per le maggiori informazioni a loro disposizione. Per questo motivo all’interno di aziende con una forte presenza di institutional investors si potrebbero creare dei conflitti tra gli external investors e gli inside investors dovuti proprio al vantaggio informativo posseduto da questi ultimi. Essi, infatti, hanno

a loro disposizione tutte le informazioni aziendali, anche quelle più importanti e strategiche, cosa non sempre possibile per gli investitori esterni.

In relazione con l’information asymmetry vi è il livello di disclosure, vale a dire il grado di divulgazione delle informazioni e più in generale la comunicazione aziendale rivolta agli stakeholders. Nello specifico gli investitori devono poter disporre di tutti gli elementi informativi necessari per i loro processi di decision making, di investimento e di allocazione delle risorse finanziarie.

La correlazione negativa tra ownership concentration e disclosure aziendale, emersa dagli studi di Cormier et al. (2010), fa capire come sia necessario andare a ridurre il grado di asimmetria informativa per permettere a tutti gli investitori di avere a disposizione le medesime informazioni.

Una prima soluzione al problema viene ipotizzata da Kanagaretnam et al. (2007), il quale sostiene che la riduzione dell’asimmetria informativa è resa possibile da una buona corporate governance, caratterizzata dalla separazione tra proprietà e controllo. Nello specifico l’efficienza e il governo del board riesce a far sì che l’informazione divulgata sia di maggior qualità, tale da incrementare la fiducia dell’investitore nei confronti dell’azienda e del mercato.

Una seconda soluzione è proposta invece dagli studi di Muller et al. (2011) in cui si sottolinea come l’adozione degli IAS-IFRS e la contabilizzazione al fair value per alcune poste di bilancio1, possa consentire un miglioramento dell’accounting

disclosure e la conseguente riduzione dell’asimmetria informativa. Gli standards internazionali (IAS-IFRS) incrementano la rilevanza, la trasparenza e la qualità dei report aziendali, consentendo la comparabilità dei bilanci tra aziende apparte- nenti anche a differenti giurisdizioni. Gli stakeholders, con le informazioni a loro disposizione, potranno migliorare la qualità delle loro analisi e usufruire di maggiori opportunità di diversificazione degli investimenti anche a livello internazionale (Kao

1Nello specifico nell’articolo viene sviluppato il tema della mandatory fair value adoption nel

settore degli investimenti proprietari (IAS 40 - Investment property) e di come l’utilizzo del fair value possa ridurre il grado di asimmetria informativa.

e Wei 2014).

Chiaramente deve essere fatta una distinzione tra coloro che decidono volonta- riamente di adottare gli IFRS, i voluntary adopters da coloro che ne sono invece obbligati, i mandatory adopters.

A seconda dei casi infatti il grado di information asymmetry sarà diverso. Se l’azienda non manifesta una spontanea volontà nell’adottare gli standards, l’asimmetria sarà maggiore e l’obbligo di adozione si tramuterà in stime contabili meno accurate. Proprio per questo motivo Muller et al. (2011) afferma che la IFRS adoption può andare a ridurre, anche se non totalmente, l’asimmetria informativa che si crea tra azienda e stakeholders.

La decisione di adottare gli IAS comporta, infatti, per le aziende effetti differenti a seconda che esse scelgano o meno di utilizzare volontariamente gli standards internazionali. Munteanu (2011) nella sua ricerca arriva alla conclusione che la correlazione negativa che si crea tra qualità dell’informazione (disclosure) e asimmetria informativa porta ad una riduzione del costo del capitale. Ciò confermato anche dagli studi empirici di Daske et al. (2008) e di Siqi Li (2010) i quali suggeriscono che un’adozione volontaria degli IFRS comporta ingenti benefici per le aziende che oltre alla riduzione del costo del capitale vedono incrementare la liquidità di mercato. Preiato et al. (2015) aggiunge che l’importanza di questi benefici è dovuta perlopiù al sistema legale di appartenenza delle aziende, che può essere più o meno coercitivo.

A conferma di quanto appena detto vi è anche lo studio di Daske et al. (2008) il quale sottolinea come l’adozione degli IFRS e del fair value comporti una riduzione del costo del capitale anche per i mandatory adopters, anche se la riduzione non è così significativa come nei volountary adopters.

Possiamo quindi supporre che i manager saranno più propensi a fare scelte contabili che rendono i bilanci aziendali più informativi per gli investitori. Secondo Bartov e Bodnar (1996) aziende con un elevato grado di asimmetria informativa è

più probabile che scelgano un nuovo metodo contabile rispetto ad aziende in cui l’information asymmetry non rappresenta un vero e proprio problema.

Da qui l’affermazione che:

H1: La fair value adoption ha un impatto rilevante sul grado di information asymmetry.

Numerosi studi aiutano, inoltre, a comprendere quali sono le variabili che influenzano la scelta del metodo contabile nella valutazione dei non-current assets, e nello specifico la presenza degli institutional investors.

Gli IAS-IFRS per la valutazione dei non-current assets danno facoltà alle aziende di decidere, per alcune categorie di beni (come spiegato nel capitolo 1), se privilegiare come scelta contabile il fair value piuttosto che il costo storico.

Sulla base degli studi di Aminu Isa (2014), le aziende che decidono di utilizzare il fair value sono caratterizzate da una forte presenza di institutional investors. Si può quindi arrivare ad affermare l’ipotesi che differenze nella ownership structure an- dranno ad impattare significativamente sulle decisioni finanziarie, sulla performance aziendale e di conseguenza su quella che è definita come accounting choice.

Da qui l’affermazione:

H2: La scelta dell’applicazione del fair value nei non-financial assets dipende dalla ownership structure.

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