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E LA COMUNICAZIONE UMANA

Nel documento Lineamenti di Psicologia Generale (pagine 129-195)

di Eugenia Treglia

8.1 Che cos’è il linguaggio

Sebbene il linguaggio sia l’insieme dei fenomeni di comunicazione e di espressione che si manifestano sia nel mondo umano sia fuori di esso (oltre al linguaggio verbale dell’uomo esistono infatti linguaggi artificiali creati dall’uomo stesso e linguaggi animali: vedi ad esempio la danza delle api o i messaggi di pericolo lanciati da un individuo di un gruppo animale agli altri esemplari della stessa specie) esso costi- tuisce la capacità che più di altre caratterizza la specie umana, anche in virtù del fatto che si è concretamente e storicamente manifestata nelle lingue. Il linguaggio è la capacità di utilizzare un codice per esprimere, comprendere, comunicare e rappresentare le idee sul mondo attraverso un sistema convenzionale di segni arbitrari. L’aspetto fondamentale, quello che attribuisce produttività al sistema linguistico, è la natura generativa del codice che consente di produrre e di interpretare un nu- mero infinito di costruzioni atte ad esprimere significati, con un nu- mero limitato di elementi e attraverso l’applicazione di un numero ristretto di regole.

8.1.2 Le basi del linguaggio

A livello neurobiologico il linguaggio è precipuamente regolato dall’area di Broca adiacente alla parte inferiore dell’area motoria del- l’emisfero sinistro e dall’area di Wernicke localizzata nella regione

postero-superiore del lobo temporale sinistro. La prima è prioritaria per la produzione del linguaggio e controlla i movimenti implicati nell’articolazione della parola (fonazione). La seconda presiede ai pro- cessi di comprensione del linguaggio. Le due aree sono interdipen- denti e strettamente connesse fra loro da un fascio di fibre nervose chiamato “fascicolo arcuato”. Grazie alla struttura delle corde vocali e alle fini capacità di comando a livello nervoso, l’articolazione della voce umana potrebbe produrre circa cinquecento tipi diversi di suoni. Malgrado ciò i suoni utilizzati in tutte le settemila lingue note sono poco oltre duecento e ogni singola lingua usa in media una trentina di fonemi in tutto. I fonemi sono le minime unità di linguaggio che distinguono un significato; sono quindi fonemi anche le inflessioni (interrogativa, enfatica, ironica ecc.) e alcune combinazioni di emis- sione (come il raddoppiamento, l’accorciamento, la scansione, l’eli- sione ecc.). Solo alcuni fonemi sono comuni a tutte le lingue ed hanno un carattere di universalità. I fonemi della lingua materna tendono ad “automatizzarsi” e ad agire come filtro percettivo, nel senso che il soggetto si abitua a essi e tende a non saper correttamente distin- guere né correttamente riprodurre fonemi che appartengono solo ad altre lingue. I morfemi sono invece le più piccole unità linguistiche dotate di significato. È un morfema sia una parola intera (nome, ag- gettivo, ecc.) che un elemento che modifica il significato se viene pre- fisso o suffisso ad una parola. Il primo tipo si chiama morfema libero, mentre il secondo si chiama morfema legato. Il lessico è l’insieme di morfemi e loro varianti che vengono utilizzati da una lingua o da un codice linguistico dato. Esso risulta tanto più ricco quanto più una struttura linguistica è aperta, ovvero capace di inglobare e assimilare strutture e morfemi allogeni.

8.1.3 Le funzioni del linguaggio

Il linguista russo Roman Jakobson (1961) elaborò una teoria delle funzioni del linguaggio verbale, in cui egli eredita e sistematizza una preesistente tradizione di studi in ambito linguistico. In tale teoria, Ja-

kobson assegna a ciascun elemento del processo comunicativo una par- ticolare funzione comunicativa, che si manifesta nelle forme e nei con- tenuti del messaggio. Più precisamente, il rapporto tra elementi comunicativi e funzioni si articola secondo questo schema:

MITTENTE FUNZIONEEMOTIVA

CONTESTO FUNZIONEREFERENZIALE

MESSAGGIO FUNZIONEPOETICA

CONTATTO FUNZIONEFÀTICA

CODICE FUNZIONEMETALINGUISTICA

DESTINATARIO FUNZIONECONATIVA

Funzione emotiva: è la funzione che si concentra sull’emittente del

messaggio (colui che parla) che esprime attraverso il linguaggio la propria emotività, il proprio mondo interiore e il proprio modo di sentire le cose. La lingua diventa così uno strumento di esterioriz- zazione di sentimenti e stati d’animo.

Funzione conativa (o persuasiva): è la funzione che si concentra sul

destinatario. Si verifica quando l’emittente utilizza il linguaggio per cercare di convincere l’altro delle proprie idee, per persuaderlo a fare ciò che vuole. La funzione conativa (dal latino conari, “ten- tare”, “far di tutto per...”) può essere espressa come una supplica, una minaccia, un suggerimento o anche solo un’osservazione.

Funzione referenziale o informativa: è la funzione che si concentra

sul contesto. L’emittente parlando dà delle informazioni al rice- vente che vanno spesso al di là del semplice significato delle parole che utilizza, e che derivano da un insieme di fattori sociali, econo- mici, politici, ecc. che riguardano lo stesso emittente. Per esempio, un accento particolare può indicare la provenienza geografica di chi sta parlando, oppure l’uso di una terminologia particolare può dare delle informazioni sul suo status sociale e culturale (emittente più o meno giovane, più o meno colto, ecc.).

Funzione poetica: è la funzione che si concentra sul codice. Deriva dalla

scelta particolare che l’emittente compie nel curare la forma con la quale esprimere il proprio messaggio. Questa scelta può andare dal genere letterario (problema dello scrittore: scrivo un romanzo? una poesia? uso endecasillabi? stile libero? ecc.), alla collocazione sin- tattica delle parole (“io amo te”, “amo te, io”, io ti amo”, ecc.), al- l’attenzione rivolta per gli effetti sonori (ripetizioni, assonanze, ecc.).

Funzione metalinguistica: è la funzione che si concentra sul messag-

gio. Si attua quando emittente e ricevente si concentrano sul si- gnificato e la forma del messaggio e, in generale, del linguaggio. Qualche esempio si ha quando si chiede a qualcuno di ripetere quello che ha detto, oppure quando si chiede il significato di una parola, ecc.

Funzione fatica: è la funzione che si concentra sul contatto. Essa si

rende esplicita, la maggior parte delle volte, quando c’è un disturbo nella trasmissione del messaggio, e comunque quando, in un modo o nell’altro, si presenta il problema del canale comunicativo. Qual- che esempio: quando rispondiamo al telefono dicendo “pronto” diamo un segnale fàtico all’emittente che ci vuol parlare, che cor- risponde pressoché al seguente: “la trasmissione funziona e sono pronto a ricevere il messaggio”; quando qualcuno ci parla e noi ascoltiamo, spesso usiamo intercalari come “sì... già... ehm... certo!” che hanno la funzione fàtica di assicurare l’emittente che ci siamo e lo stiamo ascoltando; ad un livello più complesso, un saggio di fi- lologia si compone di riflessioni, informazioni, ecc. quasi tutte di carattere fàtico, cioè concentrate sul problema della trasmissione dei testi nel corso dei secoli.

In senso più generale si può affermare che il linguaggio serva in modo precipuo a elaborare, organizzare e trasmettere conoscenze fra i partecipanti all’interno di una data comunità. Esso assume, quindi, una funzione proposizionale, poiché le conoscenze non rimangono ad

uno stato indeterminato e vago ma sono raccolte, organizzate e veico- late sotto forma di preposizioni comprensibili da parte degli altri.

8.1.4 Principali proprietà del linguaggio

1) Ogni lingua è un sistema simbolico che consiste nella corrispon- denza regolare fra un sistema di differenze di suoni e un sistema di differenze di significati. Grazie a questa capacità simbolica (astrat- tiva) del linguaggio, l’uomo è in grado di padroneggiare una quan- tità enorme di informazioni non solo presenti e reali ma anche astratte con un dispendio minimo di energia, cioè con un rendi- mento molto elevato.

2) I simboli utilizzati (le parole) sono arbitrari. Non vi è, in altri ter- mini, una relazione logica, funzionale o percettiva tra ciascuna pa- rola e il proprio significato.

3) La lingua è un sistema convenzionale, prodotto all’interno di una certa comunità di parlanti, che sono d’accordo sul significato da at- tribuire alle parole.

4) Ogni segnale linguistico varia molto nelle singole esecuzioni ma, nonostante ciò, viene percepito come invariato.

5) In qualsiasi lingua è possibile produrre un numero infinito di frasi a partire da un numero limitato di elementi (generatività). 6) Il sistema di una lingua presenta un carattere di sistematicità e

composizionalità, poiché ogni lingua ha una struttura gerarchica e

ricorsiva, ossia è costituita da unità tra loro componibili in modo li- neare (disposte in successione nel tempo e nello spazio).

8.2 Le dimensioni del sistema linguistico

Lo studio del linguaggio verbale ha tratto grande impulso dalle ri- cerche condotte in ambito psicolinguistico che hanno evidenziato la complessità del sistema e la necessità di scomporlo in sottosistemi sia sull’asse della sua realizzazione (distinzione fra aspetti espressivi e

aspetti recettivi) sia sull’asse delle sue componenti di elaborazione (fo- netica, semantica, sintattica e pragmatica) per specificare di volta in volta quale dimensione è implicata e in quale misura.

8.2.1 La fonologia

La fonologia viene descritta come l’insieme delle regole che danno tutte le combinazioni tra i suoni per produrre le parole di una lingua. La moderna linguistica distingue la fonetica dalla fonologia:

a) la fonetica analizza e classifica i suoni prodotti dalla voce umana (i foni) nel loro aspetto fisico. Essa fornisce una descrizione detta- gliata delle caratteristiche articolatorie, acustiche ed uditive dei foni. b) la fonologia studia l’organizzazione e la funzione dei foni nella struttura di una determinata lingua, la loro categorizzazione e stan- dardizzazione da parte del parlante. In altri termini essa si interessa dei suoni distintivi di una lingua, i fonemi, ossia di quei suoni al cui cambiamento corrisponde un cambiamento di significato (ad esem-

pio, pane,cane,tane).

8.2.2 La semantica ed il lessico

La semantica è la branca della linguistica che descrive i processi implicati nella determinazione del significato. Tale ambito è molto complesso, sia perché da un lato vi è un dibattito ancora acceso sul- l’indipendenza o sulla dipendenza della semantica dalla sintassi, sia perché i processi di determinazione del significato di una parola sono molto complessi. Data la complessità delle relazioni semantiche, li- miteremo la nostra attenzione al lessico, che peraltro è uno degli am- biti principali in cui si esplica la semantica. Il lessico è l’insieme delle parole per mezzo delle quali i membri di una comunità linguistica co- municano fra loro. È un insieme aperto, nel senso che può continua- mente svilupparsi, nella misura in cui si trovano nuovi modi per esprimere i significati. Inoltre, bisogna ricordare che, al contrario delle regole di produzione fonologica che sono in numero finito e vengono

apprese in un tempo relativamente breve, lo sviluppo del lessico non termina mai in un individuo. Nell’ambito della psicologia cognitiva il lessico viene definito come un insieme di rappresentazioni, cioè di og- getti mentali che corrispondono ad elementi della realtà di cui riflet- tono certe caratteristiche rilevanti, e di processi che si applicano a queste rappresentazioni operando su di esse, trasformandole e met- tendole in relazione fra loro [Laudanna e Burani, 1993].

8.2.3 La grammatica

La grammatica viene in genere intesa come l’insieme finito di re- gole che danno tutte e solo le combinazioni possibili fra le parole per produrre le frasi di una lingua. È anch’esso un sistema prescrittivo nel senso che determina vincoli ai quali è necessario sottostare per par- lare correttamente una lingua. All’interno della grammatica possiamo individuare due componenti i sottosistemi: la sintassi e la morfologia grammaticale. La sintassi è quella parte della grammatica che studia le funzioni delle parole nella frase e le regole in base alle quali le parole si combinano in frasi. La morfologia grammaticale è lo studio della forma che le parole, distinte in categorie o parti del discorso (verbo, nome, aggettivo) assumono nella flessione (coniugazione per il verbo, declinazione per il nome e l’aggettivo). Poiché lo studio delle forme è collegato allo studio delle funzioni che le parole hanno nella frase, la morfologia interagisce spesso con la sintassi; in questo caso si parla di

morfosintassi.

8.2.4 La pragmatica

Rappresenta l’insieme degli elementi che rendono il linguaggio verbale interpretabile in un contesto. La pragmatica studia i mecca- nismi e le rappresentazioni mentali che permettono a parlanti e ascol- tatori di risolvere le ambiguità, e di interpretare il linguaggio nel contesto verbale e non verbale. La conoscenza e l’uso del linguaggio

implicano che i bambini non debbano solo conoscere e scoprire le re- gole sintattiche e le relazioni semantiche ma debbano imparare anche a utilizzarlo nel contesto sociale e in funzione di differenti interlocu- tori. Questa competenza comprende due aspetti principali: lo sviluppo di competenze conversazionali e lo sviluppo della capacità di consi- derare il punto di vista dell’ascoltatore e le sue necessità comunicative. Numerose ricerche hanno dimostrato che le competenze conversa- zionali dei bambini in età prescolare (4-5 anni) sono già piuttosto ar- ticolate. In generale possiamo affermare che lo sviluppo della pragmatica e la sua padronanza comportano un elevato numero di in- formazioni socioculturali: informazioni circa i sentimenti e gli stati emotivi, la relazione di autorità o di familiarità con il parlante, la co- noscenza delle impressioni che l’ascoltatore possiede. La pragmatica può essere considerata un sottosistema a classe aperta in quanto la sua acquisizione non termina mai, ma si arricchisce di volta in volta degli usi e delle consuetudini dei diversi ambienti in cui il linguaggio viene utilizzato.

In sintesi, sono stati presentati i livelli di organizzazione del si- stema linguistico: due di questi (fonologia e sintassi) sono sistemi chiusi in quanto definiti da un numero delimitato di elementi e di re- gole di combinazione, e sono prescrittivi, cioè determinano vincoli obbligatori a cui il parlante deve sottostare. La semantica e la prag- matica sono sottosistemi a classe aperta, poiché il numero di elementi che ne fanno parte è variabile e cambia non solo da individuo a in- dividuo, ma anche nelle varie fasi della vita di un individuo, o a se- conda dei domini nei quali si esplicano. La competenza lessicale e quella pragmatica non raggiungono mai la saturazione e vengono quindi valutate lungo un continuum. Al contrario in ambito fonolo- gico e in ambito sintattico il soggetto raggiunge la competenza ma- tura in tempi abbastanza rapidi e quindi la valutazione della padronanza di questi livelli può essere condotta in modo più accurato e oggettivo.

8.3 Teorie dello sviluppo linguistico

Dato che il linguaggio è una capacità straordinariamente complessa, il fatto che il bambino impari a parlare in un tempo relativamente breve – entro i primi tre-quattro anni di vita – rappresenta per gli stu- diosi una fonte inesauribile di stupore e di interesse. Lo studio scien- tifico dello sviluppo del linguaggio – che si afferma negli anni ’50 contestualmente alla nascita della psicolinguistica come disciplina – genera fin dall’inizio un vivace dibattito teorico che in gran parte per- dura fino ai giorni nostri. La domanda di fondo può essere posta in questi termini: il linguaggio è una facoltà innata, universale e geneti- camente determinata oppure è il prodotto storico di una comunità di parlanti caratterizzati da una certa cultura? La fase storica di questo di- battito è ben rappresentata dalla diatriba che ha contrapposto Chom- sky a Skinner, dal dibattito tra Chomsky e Piaget circa i rapporti tra linguaggio e cognizione e dal dibattito circa i rapporti tra linguaggio e interazione sociale.

8.3.1 Teoria dell’imitazione

La teoria dell’imitazione, o dell’apprendimento ecoico e passivo, è in- validata da molte osservazioni. Il bambino difatti costruisce un lessico a partire dalle proprie esigenze di comunicazione, quindi non imita ciò che ascolta ma seleziona gli elementi da riprodurre e da ordinare nel lessico d’uso. La differenza tra lessico d’uso e lessico compreso (l’insieme di pa- role alle quali il bambino reagisce in modo congruo ma che non adopera) è un’ulteriore prova dell’inconsistenza della teoria dell’imitazione.

8.3.2 Teoria del rinforzo versus teoria innatista o maturativa: il di- battito Skinner - Chomsky

Secondo l’approccio comportamentista, ben rappresentato da Skin- ner nel volume Il comportamento verbale del 1957, l’apprendimento

del linguaggio si spiega con gli stessi principi di condizionamento ope- rante utilizzati per analizzare l’apprendimento degli animali in labo- ratorio. I bambini imparano a parlare in seguito ai rinforzi forniti dai genitori, che intervengono a plasmare le loro risposte inizialmente scorrette finché esse diventano simili alle espressioni utilizzate dagli adulti. Poiché il ruolo del bambino nell’apprendimento del linguag- gio è passivo, vengono analizzate le influenze ambientali più che il funzionamento cognitivo del bambino stesso. Nella sua stringente critica del punto di vista di Skinner, Chomsky (1959) rovescia com- pletamente la visione di come e perché il linguaggio si sviluppa, so- stenendo che si tratta di un processo attivo e creativo piuttosto che di una maldestra approssimazione al linguaggio adulto. Secondo Chom- sky, Skinner non ha tenuto conto di due aspetti in particolare. In primo luogo, il bambino è capace di produrre e comprendere espres- sioni nuove, che non ha mai incontrato in precedenza. Inoltre, egli è in grado di padroneggiare un sistema linguistico complesso a partire da una base di informazioni incomplete e spesso scorrette. Infatti i discorsi degli adulti che ascolta contengono frequentemente errori, omissioni, frasi incomplete, esitazioni e ripetizioni. In sintesi, l’ac- quisizione del linguaggio è un processo attivo di scoperta di regole e verifica di ipotesi; sia le regole che le ipotesi derivano da una cono- scenza innata della natura del linguaggio e del suo funzionamento, la quale non può che essere iscritta nel patrimonio genetico della specie umana. Chomsky [1965] ipotizza l’esistenza di un dispositivo innato per l’acquisizione del linguaggio (chiamato LAD, Language Acquisi-

tion Device), che corrisponde ad una grammatica universale, la quale

contiene la descrizione degli aspetti strutturali condivisi di tutte le lingue naturali. La sua posizione innatista, pur non essendo esente da critiche, ha esercitato una forte influenza sugli studi successivi in- troducendo una sorta di rivoluzione copernicana: il linguaggio in- fantile non viene più visto come una rozza imitazione del linguaggio adulto bensì come un processo attivo, creativo e guidato da regole che ne assicurano la coerenza interna.

8.3.3 Linguaggio e cognizione: il dibattito Chomsky - Piaget

Secondo Chomsky, il linguaggio nasce e si sviluppa come un sistema autonomo, ed è indipendente dal contemporaneo sviluppo di altre ca- pacità dell’individuo, sia cognitive (attenzione, memoria, pensiero) sia sociali. Chomsky sostiene inoltre che la competenza linguistica, intesa come la padronanza delle regole grammaticali e la capacità di analiz- zare/segmentare il materiale linguistico, preceda l’esecuzione, cioè l’ef- fettivo uso di queste regole e procedure da parte del bambino. Piaget propone una posizione in gran parte antitetica sostenendo l’interdi- pendenza tra linguaggio e cognizione. Il linguaggio in quest’ottica non sarebbe il risultato della maturazione di un dispositivo innato, né tanto meno il prodotto di una catena di condizionamenti (Skinner), ma nasce e si sviluppa come il naturale completamento dei processi cognitivi che caratterizzano lo sviluppo senso motorio (Piaget, 1970). Nel suo vo- lume sulla formazione del simbolo (1945) egli ha sostenuto che il lin- guaggio è un aspetto di una più ampia capacità simbolica, che compare nel sesto stadio senso motorio e segna il passaggio dall’intelligenza senso motoria all’intelligenza rappresentativa. Secondo questa tesi, lo sviluppo cognitivo precede sia logicamente che ontogenicamente la comparsa del linguaggio ed è autonomo rispetto ad esso, mentre lo svi- luppo linguistico deriva e dipende dallo sviluppo cognitivo. Un altro studioso che sostiene l’interdipendenza tra linguaggio e pensiero è Vy- gotskij. Diversamente da Piaget, Vygotskij non attribuisce però al pen- siero una priorità (logica e ontogenetica) rispetto al linguaggio. Tra lo sviluppo linguistico e lo sviluppo cognitivo le interazioni sono continue, cosicché il pensiero non è autonomo dal linguaggio né lo precede, anzi l’uso di un sistema di segni come il linguaggio è necessario per lo svi- luppo delle funzioni mentali superiori (Vygotskij 1934).

8.3.4 Linguaggio e interazione sociale

Le teorie di Piaget e Vygotskij assegnano un ruolo assai diverso al- l’interazione sociale in rapporto allo sviluppo linguistico e cognitivo.

Piaget vede lo sviluppo cognitivo come relativamente autonomo e in- dipendente non solo dal linguaggio, ma anche dall’interazione sociale. Per Vygotskij invece la partecipazione del bambino ad un’ampia rete di interazioni sociali, sia con adulti che con coetanei, rappresenta un fattore primario dello sviluppo cognitivo e linguistico. Lo sviluppo del singolo bambino dipenderebbe, in altre parole, in ampia misura dal

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