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PENSIERO, RAGIONAMENTO E SOLUZIONE DEI PROBLEM

Nel documento Lineamenti di Psicologia Generale (pagine 107-129)

di Rosella Tomassoni

6.1 Introduzione

Il pensiero può essere definito come l’attività mentale in grado di ma- nipolare, elaborare e sviluppare le relazioni fra le informazioni codificate in memoria. I contenuti del pensiero sono le rappresentazioni mentali che possono avere forma linguistica, immaginativa (visiva, uditiva, mo- toria) oppure astratta. Mentre il pensiero verbale o linguistico è sequen- ziale (in sintonia con la natura del linguaggio), quello che fa ricorso alle immagini mentali può essere sia sequenziale che connessionistico. Il pen- siero astratto tratta concetti e relazioni in un linguaggio universale e amodale, il mentalese (Fodor, 1975), costituito da proposizioni, strutture formali che presiedono alla codifica e alla rappresentazione semantica dell’informazione e che sono passibili di essere tradotte in forme verbali. La forma logica in cui sono espresse può essere accostata al calcolo dei

predicati (dove i nessi e le relazioni sono rappresentati come predicati e

gli oggetti-entità come argomenti di questi predicati).

La psicologia del pensiero si occupa specificamente dei seguenti aspetti: il ragionamento, la valutazione della probabilità degli eventi, la decisione, la soluzione dei problemi.

6.2 Processi di ragionamento

Il ragionamento può essere definito come l’insieme dei processi mentali attraverso i quali vengono elaborate nuove conoscenze a par-

tire da conoscenze date. L’operazione mentale che consente, a partire da una serie di premesse, di trarre una conclusione mediante l’appli- cazione di un insieme di regole viene chiamata inferenza. Ciò significa che per eseguire un ragionamento è necessario disporre di adeguate competenze logiche che rimandano, almeno in parte, alle regole della logica formale. È possibile distinguere almeno due principali categorie di ragionamento logico: il ragionamento deduttivo e il ragionamento induttivo.

Il ragionamento deduttivo consente di stabilire se e quale conclu- sione consegue necessariamente dalle premesse date.

Una conclusione è validamente dedotta da certe premesse, cioè è una loro conseguenza logica, se non può essere falsa dato che le pre- messe siano vere. La conclusione non aggiunge ulteriori informazioni a quelle contenute nelle premesse ma le esplicita. Esempio:

Premessa: Tutti i cigni sono bianchi

Conclusione: I cigni del lago di Garda sono bianchi

Una forma particolare di ragionamento deduttivo è il sillogismo. La struttura del sillogismo è costituita da due premesse e una con- clusione, legata alle prime da un rapporto di necessità logica. Le pre- messe possono essere costituite da proposizioni universali affermative (tutti gli x sono y), universali negative (nessun x è y), particolari af-

fermative (qualche x è y), particolari negative (qualche x non è y).

Un esempio tipico di sillogismo è il seguente:

Premessa 1: Tutti gli uomini sono mortali Premessa 2: Tutti i greci sono uomini Conclusione: Tutti i greci sono mortali

I numerosi errori che le persone compiono quando devono effet- tuare un ragionamento deduttivo in forma astratta e la maggiore fa- cilità con cui arrivano a conclusioni corrette quando esso è espresso in termini concreti o quando contempla affermazioni che non contrad- dicono l’esperienza personale o la verità fattuale, hanno portato a in-

terrogarsi sulla natura delle procedure messe effettivamente in atto nell’esecuzione del ragionamento deduttivo. Tra le principali teorie proposte dagli psicologi per descrivere e spiegare gli errori nei pro- cessi deduttivi vanno annoverate: le teorie della logica mentale, la teo- ria delle regole concrete, la teoria dei modelli mentali (che saranno spiegate nel paragrafo successivo).

Nel ragionamento induttivo si parte invece da osservazioni parti- colari per trarne un principio generale. Per esempio:

Premessa (basata su osservazioni particolari):

Tutti gli universitari che ho conosciuto hanno conseguito la laurea Conclusione (principio generale):

Tutti gli universitari conseguono la laurea.

Il ragionamento induttivo non fornisce certezze. Dato che le pre- messe si basano su casi specifici, in certe circostanze la conclusione può rivelarsi falsa (infatti, alcuni universitari non si laureano). Le conclu- sioni quindi non sono necessariamente vere; esse possono essere solo plausibili o implausibili. La plausibilità dipende, da una parte, dalla ve- ridicità, rappresentatività e generalizzabilità delle premesse; dall’altra, dalle conoscenze che chi compie l’inferenza ha relativamente alla si- tuazione su cui sta ragionando. Dire che una conclusione è plausibile equivale a dire che è probabilmente vera. Riprendendo la conclusione circa gli universitari, essa dovrebbe quindi essere enunciata non come certa ma come probabile. In questo senso, il ragionamento induttivo ha natura probabilistica.

Nonostante l’incertezza insita nel ragionamento induttivo, esso è il tipo di ragionamento più usato nella vita di tutti i giorni dal mo- mento che consente di fare generalizzazioni sia rispetto a fenomeni naturali che a comportamenti sociali. In particolare, consente di creare descrizioni di stati di cose e, sulla base di queste, di formulare spiega- zioni (perché succede una certa cosa? qual è la sua causa?), giudizi (so- prattutto nel valutare comportamenti sociali), previsioni. È inoltre alla base della formazione di categorie.

6.2.1 Teorie sul ragionamento

Nel panorama contemporaneo è possibile individuare alcune prin- cipali correnti teoriche che propongono spiegazioni diverse circa il modo in cui le persone passano da un insieme di premesse ad una con- clusione.

Le teorie della logica mentale o delle regole astratte (Braine, 1978; Piaget, 1959; Rips, 1983; Sperber e Wilson, 1986) si basano sull’assunto che le persone possiedono un insieme di regole, simili a quelle della lo- gica proposizionale, che usano per trarre inferenze deduttive valide e che possono essere applicate ad ogni dominio di conoscenza. Quando ci troviamo di fronte alle premesse di un’argomentazione, la regola per- tinente si attiva, viene applicata alle premesse in questione così che pos- siamo trarne una conclusione valida. Le regole della nostra mente sono astratte nel senso che non tengono conto del contenuto delle premesse bensì si limitano a manipolare le premesse in modo sintattico. Si pone però un problema: perché le persone traggono spesso conclusioni sba- gliate se nella loro mente ci sono set di regole logiche che dovrebbero condurre ad inferenze valide? La risposta dei sostenitori delle teorie delle regole formali è che gli errori sarebbero dovuti a una non com- prensione delle premesse, a difficoltà nel gestire molteplici schemi di ra- gionamento e ai limiti di ritenzione della memoria di lavoro. In particolare, la non comprensione delle premesse sarebbe dovuta al- l’azione delle norme che regolano la conversazione, cioè all’azione della

pragmatica del linguaggio comune, la quale porterebbe a interpretare

le premesse in modo tale da cambiare le rappresentazioni cognitive. Nelle teorie della logica mentale può essere fatta rientrare anche la teo-

ria del conflitto fra logica e sistema del linguaggio comune (Politzer,

1986): mentre lo sviluppo logico precoce è contemporaneo allo sviluppo della componente pragmatica del linguaggio, la successiva acquisizione della logica formale avviene spesso in contrasto con i principi pragma- tici già consolidati. I due sistemi tendono ad entrare in conflitto nel controllo del processo di ragionamento e gli errori sarebbero causati dall’impiego del sistema del linguaggio quando bisognerebbe usare quello logico-formale. Anche secondo Cheng e Holyoak (1985), prin-

cipali sostenitori delle teorie delle regole concrete, la mente umana è dotata di un set di regole logiche. Ma queste regole non sono astratte né applicabili a qualsiasi premessa. Esse sono concrete e specifiche per classi di situazioni. Ad esempio, la mente umana è dotata di regole con- crete per le situazioni di permesso e di obbligo. Tali regole sono dette

schemi pragmatici di ragionamento in quanto vengono attivate dagli

aspetti pragmatici delle situazioni, cioè da necessità concrete della vita reale. Per esempio, la regola per le situazioni di permesso ha la forma “Se un individuo esegue l’azione X, allora deve soddisfare la precondi- zione Y”; essa viene attivata ed applicata ogni volta che la persona deve compiere o valutare un’azione la cui esecuzione richiede il soddisfaci- mento di una data precondizione. Una teoria alternativa è quella dei

modelli mentali proposta e sviluppata da Johnson-Laird (1983,1989).

Secondo questo autore, nella mente umana non ci sono regole. Piutto- sto, la mente umana è in grado di costruire e manipolare rappresenta- zioni della realtà attraverso la costruzione di modelli mentali. Un modello mentale è la struttura concettuale attraverso cui l’uomo rea- lizza la comprensione dei fenomeni che si verificano nel mondo in cui vive. E’ una rappresentazione di altissimo livello, concreta, di natura sia analogica che proposizionale, che tenta, sulla base degli elementi di- sponibili, e grazie ai comuni processi di inferenza, di riprodurre un fe- nomeno e comprenderne il comportamento. Secondo la teoria dei modelli mentali, la maggiore o minore difficoltà di un compito di ra- gionamento dipende dal numero di modelli mentali che è necessario costruire per raggiungere la conclusione: i compiti che richiedono di costruire un solo modello mentale e nessun modello alternativo sono più facili. Invece, i compiti che richiedono di costruire modelli alterna- tivi sono più difficili: in questo caso, le persone sbagliano spesso perché si accontentano del primo modello e non ricercano modelli alternativi. La versione attuale della teoria dei modelli mentali richiede ulte- riori revisioni, specialmente per quei processi che richiedono la mani- polazione di materiale astratto, etichette o negazioni. Tuttavia, sembra oggi la spiegazione più plausibile di come le persone ragionano. È inol- tre la spiegazione più ampia, in quanto è l’unica applicabile a diversi tipi di compiti, sia deduttivi che induttivi.

6.3 Soluzione di problemi

In termini generali possiamo dire che un individuo si trova di fronte ad un problema quando vive uno stato esterno o interno o indesidera- bile e tende a superarlo, trasformandolo in uno stato finale desiderato. Lo psicologo gestaltista Duncker (1935) descrisse in questi termini l’esperienza soggettiva del problema: “un problema sorge quando un

organismo vivente ha in mente uno scopo, ma non sa come realizzarlo”.

L’interesse della psicologia è quello di chiarire attraverso quali processi l’individuo riesca a realizzare lo scopo che inizialmente sembra irrag- giungibile. Le diverse scuole psicologiche hanno affrontato e descritto nei termini a loro specifici il processo di soluzione problemica. Per gli psicologi della Gestalt la soluzione di un problema implica un processo di ristrutturazione dello spazio problemico che consente l’emergere di una nuova configurazione formale (gestalt). La soluzione avviene per

insight, cioè attraverso l’improvvisa e chiara comprensione intuitiva dei

tratti essenziali di una situazione e delle relazioni tra i vari elementi del problema. Nell’ottica comportamentista il problem solving viene in- quadrato nell’ambito del discorso sull’apprendimento per prove ed er- rori. Tale strategia risolutiva viene messa generalmente in atto quando sono carenti le capacità di prefigurazione dello spazio del problema, come nel caso degli animali posti di fronte ad una situazione nuova.

Con l’avvento del cognitivismo, e in particolare a seguito dell’ado- zione del paradigma dello human information processing, la ricerca sul problem solving ha potuto avvantaggiarsi di metodi particolari per indagare sui processi mentali che determinano negli individui il com- portamento di soluzione problemica. Nei termini della teoria di ela- borazione dell’informazione (che utilizza la simulazione al computer) un problema può essere scomposto in tre componenti:

a) uno stato iniziale, ovvero la situazione problemica che il solutore si trova a fronteggiare;

b) uno stato finale, ovvero l’obiettivo che il solutore deve raggiun- gere;

c) i percorsi di soluzione, ovvero le differenti possibilità di soluzione che definiscono lo spazio del problema.

Il modello (o rappresentazione) mentale di questi quattro aspetti del problema è stato chiamato da Simon e collaboratori (1962, 1966,1976) spazio del problema.

Quando un individuo tenta di risolvere un problema cerca attra- verso lo spazio del problema migliore percorso dallo stato iniziale a quello finale.

6.3.1 Strategie per la soluzione di problemi

Le modalità di soluzione di un problema comportano in generale due tipi di procedimenti applicabili a seconda delle diverse caratteri- stiche del compito. Quando il compito appartiene ad un campo o do- minio altamente strutturato, come può essere il caso in cui si debba risolvere un’equazione lineare in algebra, generalmente si applicherà un algoritmo, vale a dire un insieme di procedure fisse di soluzione che, grazie ad una successione di passaggi sistematici, consentono di stabilire il valore corretto dell’incognita e quindi di giungere alla so- luzione del problema. Diversamente nella vita quotidiana si mettono frequentemente in atto ragionamenti induttivi nel valutare la proba- bilità di un evento, nel prendere decisioni in situazioni di incertezza o nel risolvere problemi sulla base di informazioni incomplete. Le stra- tegie mentali di cui si fa uso in tali circostanze sono definite euristiche e consistono in procedure di semplificazione e di riduzione della com- plessità per trovare soluzioni soddisfacenti ai problemi posti. A diffe- renza dell’algoritmo, consistente in una serie di regole esplicite che portano alla soluzione corretta di un problema, le euristiche servono a guidare la ricerca degli elementi da considerare per formulare un giudizio o delle azioni da compiere per risolvere un problema. Men- tre l’algoritmo può essere applicato solo a problemi ben definiti e for- malizzati, le euristiche sono delle scorciatoie, veloci e flessibili, che consentono risparmio di tempo e di lavoro cognitivo, ma che compor- tano il rischio di errori. Una delle euristiche più efficaci è l’analisi

mezzi-fini: il problema viene trasformato in una sequenza di sotto-

blema implica la soluzione dei singoli sotto-problemi individuando i mezzi che consentono di raggiungere i rispettivi sotto-scopi. Tversky e Kahneman (1972, 1973, 1974,1983) hanno messo in evidenza come l’uso di alcune euristiche possa condurre a distorsioni sistematiche o

bias del ragionamento. Per esempio, l’applicazione dell’euristica della rappresentatività, che valuta la probabilità di un evento in base al

grado in cui esso è rappresentativo di una certa classe, porta sovente a trascurare altri elementi di valutazione, quali la presa in considera- zione della probabilità a priori, la dimensione del campione da cui è tratto l’evento, l’indipendenza di ogni evento dal precedente e dal suc- cessivo in una serie casuale ecc. Nell’euristica della disponibilità invece la probabilità di un evento o la frequenza di una classe di oggetti è va- lutata in funzione della facilità con cui casi o esempi vengono richia- mati alla mente. Ricorrendo a tale euristica spesso i soggetti tendono a sovrastimare la grandezza della classe che contiene esempi più fa- miliari.

Una strategia generalmente utilizzata per risolvere un problema è quella di prefigurarsi una particolare alternativa gerarchicamente prio- ritaria e di metterla alla prova concretamente. Un modo molto ele- mentare di attuare questa strategia consiste nel procedere per tentativi

ed errori. Tale modalità di problem solving, di stampo comportamen-

tista, si pratica quando il soggetto ha difficoltà a comprendere lo spa- zio del problema, quando il problema è mal definito (cioè può essere risolto in molti modi) o quando non vi sono elementi validi per pren- dere una decisione. Gli psicologi della Gestalt hanno messo in evidenza il fatto che, a prescindere dalla tipologia e dal livello di definizione di un problema, esiste la tendenza degli individui a utilizzare la strategia che ha funzionato in precedenza. Quando l’apprendimento antece- dente è applicabile efficacemente al nuovo problema, il trasferimento della strategia utilizzata in precedenza facilita la risoluzione del nuovo problema. Tuttavia, a volte gli apprendimenti precedenti possono im- pedire di riorganizzare gli elementi del nuovo problema in modo utile alla sua risoluzione. Tra gli ostacoli che si frappongono alla soluzione del problema un posto di rilievo è dunque occupato dalle impostazioni

stesso modo anche quando il problema richiede che si imbocchino strade diverse, oppure la tendenza a continuare a ripetere un percorso erroneo. Una particolare forma di impostazione mentale negativa è la

fissità funzionale del pensiero (Dunker, 1945): il soggetto rimane fis-

sato sulla funzione abituale di un oggetto e non riesce a riconcettua- lizzarlo in modo diverso. Questa rigidità di prospettiva rappresenta un ostacolo alla soluzione di nuovi compiti. Consideriamo ad esempio il problema della candela:

Avete a vostra disposizione una candela, una scatola di puntine da di- segno e una bustina di fiammiferi. Il vostro compito è attaccare la can- dela al muro al di sopra di un tavolo, in modo tale che la cera sciolta non goccioli sopra il tavolo.

La risoluzione del problema della candela è il seguente:

Usare la scatola che contiene le puntine come portacandele e attaccarla al muro.

I soggetti sottoposti all’esperimento inizialmente non riuscivano a risolvere il problema perché erano “fissati” sulla funzione normale della scatola, quella di contenere le puntine, e questo impediva loro di riconcettualizzarla in modo diverso. Quando lo sperimentatore to- glieva le puntine dalla scatola e le disponeva sparse sul tavolo accanto alla scatola vuota, i soggetti avevano un’intuizione improvvisa (in-

sight): vedevano in una prospettiva nuova gli elementi del problema

e le relazioni funzionali tra gli oggetti (la scatola non è solo un conte- nitore, ma può anche essere usata come sostegno per la candela). La fissità funzionale si contrappone a una delle modalità più efficaci di ri- solvere i problemi ovvero il procedere per analogia trasferendo gli ap- prendimenti da un dominio di conoscenze all’altro. Due problemi si dicono analoghi quando sono strutturalmente simili, anche se hanno caratteristiche superficiali diverse e appartengono a domini diversi. Un esempio chiarirà la questione.

A dei soggetti viene presentato il seguente problema:

Al centro di un territorio si trova una fortezza; dalla fortezza si dipar- tono molte strade. Un generale vuole distruggere la fortezza con il suo esercito. Il problema del generale è questo: per distruggere la fortezza deve usare l’intero esercito, ma poiché tutte le strade di accesso alla fortezza sono minate esse esploderebbero nel momento in cui un in- tero esercito passasse sopra le mine, e distruggerebbero quindi anche l’esercito e i villaggi vicini; un piccolo gruppo dell’esercito non farebbe esplodere le mine, ma non sarebbe efficace per distruggere la fortezza. Cosa può fare il generale?

Soluzione del problema della fortezza:

Il generale divide l’esercito in piccoli gruppi. Dispone ciascun gruppo su una strada diversa. I piccoli gruppi convergono simultaneamente alla fortezza. In tal modo l’esercito distrugge la fortezza.

Supponiamo poi che ai soggetti venga presentato anche il seguente problema:

Un paziente ha un tumore inoperabile allo stomaco. Il medico decide di distruggere il tumore usando un fascio di radiazioni. Il problema del medico è questo: per distruggere il tessuto malato deve usare raggi ad alta intensità, ma questi distruggerebbero anche i tessuti sani che circondano il tumore; raggi a bassa intensità non danneggerebbero i tessuti sani, ma il tumore non verrebbe eliminato. Cosa può fare il medico?

Il problema della fortezza e quello della radiazione sono superfi- cialmente diversi e appartengono uno al dominio della medicina, l’al- tro al domino militare; tuttavia, la struttura dei due problemi è la medesima. Infatti, in entrambi i casi, si tratta di usare una forza per di- struggere un obiettivo centrale; tale forza deve essere sufficientemente intensa, ma non la si può applicare lungo un unico percorso. Pertanto, dato che la meta, le risorse e vincoli dei due problemi sono simili, il so- lutore che ha già affrontato il problema della fortezza può astrarre il

piano di soluzione là adottato (soluzione della convergenza: applicare forze deboli simultaneamente lungo molti percorsi che convergano sull’obiettivo) e raggiungere così la soluzione del problema della ra- diazione.

Soluzione del problema della radiazione:

Il medico divide i raggi in fasci a bassa intensità. Dispone l’emissione di raggi a bassa intensità lungo varie direzioni intorno al corpo del pa- ziente. I raggi a bassa intensità convergono simultaneamente sul tu- more. In tal modo i raggi distruggono il tumore.

6.3 I processi decisionali

Prendere una decisione significa scegliere tra due o più alternative in vista di un obiettivo. Nella presa di decisione un individuo tiene ne- cessariamente conto, da un verso, di ciò che gli interessa e che lo attrae e, dall’altro, delle opportunità offerte dall’ambiente. In base a questa distinzione è possibile riconoscere due classi di variabili. La prima classe di variabili, detta utilità, è data dalle nostre valutazioni sull’at-

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