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La concentrazione mentale

Nel documento Che cosa è il Buddhismo? (pagine 25-30)

Signore e signori, arriviamo ora all'aspetto mentale del Buddhismo che sicuramente sarà di grande interesse per voi: il secondo stadio del Nobile Ottuplice Sentiero, cioè samádhi, che comprende il giusto sforzo, la giusta consapevolezza, la giusta concentrazione.

Il giusto sforzo è un prerequisito per la giusta consapevolezza. A meno che non si faccia un deciso sforzo per restringere l'ampiezza dei pensieri della propria mente vagabonda e instabile, non ci si può aspettare di avere quell'attenzione mentale che a sua volta ci aiuterà, attraverso la giusta concentrazione,

ad arrivare a uno stato di acutezza ed equanimità. È a questo punto che la mente si libera da tutti gli ostacoli ed è tranquilla e pura, illuminata sia esteriormente che interiormente. Una mente siffatta diventa potente e luminosa. All'esterno viene rappresentata come una luce, che è appunto un riflesso mentale, con una luminosità che varia per gradi, da quella di una stella a quella del sole. In poche parole, questa luce, riflessa davanti all'occhio della mente nella più completa oscurità, è una manifestazione della purezza, della tranquillità e della serenità della mente. Gli induisti lavorano molto per arrivare a questo punto, e cioè per andare dalla luce al vuoto e viceversa. Il Nuovo Testa-mento, in Matteo, parla di un "corpo pieno di luce".

Sappiamo anche di molti preti cattolici che meditano regolarmente per avere questa luce miracolosa. Anche il santo Corano dà preminenza alla "manifestazione della luce divina".

Questo riflesso mentale di luce denota la purità intema della mente, e la purezza della mente forma l'essenza della vita spirituale, sia buddhista, che induista, cristiana o musulmana. In effetti la purezza della mente è il più grande comun denominatore di ogni religione. L'amore, che solo può unire l'umanità, deve essere perfetto e non lo può essere se non in una mente assolutamente pura. Una mente equilibrata è necessaria per equilibrare le menti incostanti degli altri. Diceva il Buddha:

"Come un arciere raddrizza la sua freccia, così il saggio raddrizza il suo pensiero instabile e oscillante, che è così difficile da controllare, così

difficile da trattenere". Esercitare la mente è altrettanto importante che esercitare il corpo. Allo-ra perché non esercitare la mente e renderla puAllo-ra e forte, in modo da poter godere della pace interiore?

Progredirete verso la conoscenza della verità solo quando la pace interiore comincerà a permeare la mente.

La nostra esperienza ha dimostrato che, con una guida adatta, questa pace interiore e purezza della mente possono essere raggiunte da tutti, indipendentemente dalla loro religione o credenza, purché abbiano sincerità d'intenti e siano disposti a seguire completamente la guida per il periodo di prova. Quando, attraverso la pratica continua, si raggiunge il completo dominio della propria mente, si potrà entrare in stati di concentrazione e assorbimento chiamati jhána, con i quali si possono anche ottenere poteri sovrannaturali. Tuttavia, questa pratica che sviluppa poteri sovrannaturali non era incoraggiata dal Buddha, che tendeva a svi-luppare la concentrazione con il solo obiettivo di ottenere una mente pura e forte, essenziale al raggiungimento della verità.

Nel Buddhismo vi sono quaranta metodi di concentrazione, di cui il principale è ánápána, cioè la concentrazione sul respiro che entra e che esce dalle narici, il metodo seguito da tutti i Buddha.

La saggezza

Signore e signori, parlerò ora dell'aspetto filosofico del Buddhismo che comprende il terzo stadio del Nobile Ottuplice Sentiero, vale a dire paññá, saggezza, che comprende il giusto pensiero e la giusta comprensione. La giusta comprensione della verità è lo scopo e l'obiettivo del Buddhismo. Il giusto pensiero è lo studio analitico della mente e della materia, sia dentro che fuori, per arrivare al raggiungimento della verità. Avete sentito nominare náma e rúpa (mente e materia) molte volte, e ora vi spiego cosa sono. Náma, la mente, è così chiamata per la tendenza che ha di inclinarsi verso gli oggetti dei sensi. Rúpa, la materia, è così chiamata a causa dell'impermanenza dovuta al cambiamento continuo. Le parole che più si avvicinano come significato sono 'mente' e 'materia'. Dico che 'si avvicinano' perché non ne sono la traduzione esatta.

Náma in effetti comprende: coscienza (viññána), sensazione (vedano), percezione (saññá), reazioni o energie della volizione (saòkhára). Questi fattori, insieme a rúpa, lo stato materiale, formano ciò che noi chiamiamo pañcakhandha, o cinque aggregati. È in questi cinque aggregati che il Buddha riassunse tutti i fenomeni dell'esistenza sia fisici che mentali (che in realtà non sono che un flusso di mente e materia coesistenti, ma che per l'uomo normale formano la sua personalità, il suo Io).

Con il giusto pensiero il discepolo che nel frattempo ha sviluppato le potenti lenti della concentrazione, punta la sua attenzione su se stesso e con la meditazione introspettiva fa uno studio

analitico della natura, prima della materia, poi della mente e delle caratteristiche mentali. Egli sente (e a volte anche vede) i kalápa nel loro vero stato. Egli comincia cosi a realizzare che náma e rúpa, la mente e la materia, sono in un cambiamento continuo, impermanenti ed effimeri. E man mano che cresce la sua capacità di concentrazione, egli vedrà in modo sempre più vivido la natura delle forze che sono in lui. Non potrà più sottrarsi all'impressione che i cinque aggregati non sono altro che sofferenza al-l'interno della legge di causa ed effetto. Alla fine raggiungerà la convinzione che tutto è sofferenza, sia all'interno che all'esterno, e che non esiste alcun Io.

Comincia allora a desiderare uno stato al di là della sofferenza. Essendo finalmente uscito dalla sofferenza, egli passerà dallo stato mondano a uno sovramondano ed entrerà nella corrente di sotápañña, il primo dei quattro stadi degli ariya (persone nobili). Sarà allora libero dall'errato concetto dell'esistenza di un Io, dai dubbi sul cammino della liberazione e dall'attaccamento a riti e cerimonie. Il secondo stadio è quello di sakadágámì, in cui la bramosia dei sensi e la malevolenza saranno molto attenuati. Quando si arriva al terzo stadio di anágámi ogni tipo di passione o ira sarà cessato. Lo stato di arahant, di persona completamente liberata, è lo scopo finale. Ogni nobile persona può sperimentare cosa sia il nibbána, nella sua vita, ogni volta che lo voglia, entrando nello stadio fruitivo di sotápañña, e negli altri stadi, che gli daranno la pace nibbanica interiore. Questa pace interiore identificata col nibbána non ha confronti perché è al di là del mondo sensoriale.

Signore e signori, ancora un'ultima parola: ho parlato solo degli aspetti fondamentali del Buddhismo, ma con il poco tempo che avevo a disposizione spero di aver fatto del mio meglio. Se vorrete raggiungere quello stadio di purezza mentale con una luce di fronte a voi, o arrivare a piacimento a uno stadio di assorbimento mentale, stadi che sono all'interno dei confini della vostra religione, o arrivare a fare esperienza della pace interiore del nibbána, sarò lieto di offrirvi qualsiasi aiuto desiderate. Esprimo nuovamente la mia gratitudine per il vostro paziente ascolto.

Nel documento Che cosa è il Buddhismo? (pagine 25-30)

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