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concetti astratti risultanti da un processo nel quale viene ritenuta l ’essenza nominale delle cose.

biezione IV alle Meditazioni cartesiane, Hobbes inten­

DELLE DENOMINAZIONI IL NOMINALISMO DI HOBBES: ANTIESSENZIALISMO E CRITICA DEGLI UNIVERSAL

D. C P.l c Il, 6) e significano i concetti della

concetti astratti risultanti da un processo nel quale viene ritenuta l ’essenza nominale delle cose.

A fondamento delle essenze nominali vi è una certa somiglianza tra le cose. Non tutti i nomi, rileva

Locke, esprimono egualmente queste somiglianze:

1 nomi delle idee semplici si modellano infatti

perfettamente alle cose; quelli delle sostanze

sono convenzionali ma hanno i loro modelli nelle cose; quelli dei modi, infine, sono del tutto arbitra­ ri ed indicano le essenze nominali delle cose (56).

Ciò che interessa evidenziare , nella presente

trattazione del problema della conoscenza umana

come fondamento di una teoria linguistica e della

formazione dei termini universali, è Inequazione,

posta da Locke, per la quale i nomi stanno alle idee come le idee stanno alle cose naturali.

Hobbes pone, a mio avviso, una equazione simile che precorre quella lockiana.

Il problema che si configura, allorché ci

si interroghi sulla coerenza della semiosi hobbesiana, è quello di come una teoria meccanica della sensazio­ ne possa preludere ad una teoria linguistica. Il

che, in ultima analisi, equivale a chiedersi come

in una teoria meccanica della sensazione si possa stabilire un rapporto di significazione tra operazioni del senso e cose reali.

Funzione cognitiva dei "fantasmi" in Hobbes e Locke

Nel capitolo precedente ho dimostrato che Hobbes non intende il "fantasma" come replica dell'oggetto.

Superato il punto di vista di una specularità tra idee e cose, proprio di un realismo ingenuo,

il rapporto tra cose ed immagini non si pone in

Hobbes neanche nell'ambito di un dualismo fenomenisti- co di noumeno e fenomeno conosciuto. Nello schema

del meccanicismo il rapporto causa-effetto lega le idee e le cose reali per la loro comune natura di moti. Le immagini non sono mere reazioni passive ma operazioni del senso.

Chiedendosi, quanto al problema psicologico

della formazione dei concetti, se le immagini o fantasmi siano, secondo Hobbes, equivalenti a stati

di coscienza si deve rispondere: a) sì, in quanto

le immagini sono operazioni del senso; b) no, in quanto Hobbes non svolge le implicazioni soggettivi­ stiche degli stati di coscienza. Chiarirò ulteriormen­ te tali punti. Dire che: a) le immagini sono "opera­ zioni del senso", significa che esse sono reazioni di un soggetto a dei moti provenienti da corpi esterni o anche dallo stesso organismo senziente.

L'insieme dei fantasmi è quindi identico ad una

sequenza di processi fisiologici e nervosi.

Dal punto di vista della conoscenza la relazione di causa-effetto è base per un rapporto cognitivo tra soggetto e realtà esterna perché l'esperienza degli effetti consente la conoscenza, in via supposi­

tiva, delle cause extra-organiche. Pertanto la

funzione cognitiva dei fantasmi risiede non tanto nelle immagini in se stesse, poiché esse non sono

"copie" delle cose, quanto nella loro capacità

di essere indici, segni di cause extra-organiche.

immagini rispetto alle cose viene "fissata" e diviene

vera conoscenza allorché, attraverso l'impiego

di nomi come' segni associati ad un dato gruppo

o genere di "fantasmi", siamo in grado di discrimina­ re e distinguere le cause esterne.

Si legge nel Leviathan:

"Subject to names, is whatsoever enter into

or be considered in an account, and be added one

to another to make a sum, or subtracted one from another and leave a remainder.

(...) And because the same thing may enter into

account for divers accidents, their names are,

to show that diversity diversly wrested and diversi­

fied. This diversity of names may be reduced to

four general heads.

First a thing may enter into account for matter or body; as living, sensible, rational, hot, cold, moved, quiet ; with all which names the word matter,

or body, is understood; all such being names of

matter.

Secondly, it may enter into account, or be

considered, for some accident or quality which

we conceive to be in it; as for being moved, for being so long, for being hot etc., and then, of the name of the thing itself, by a little change

or wresting, we make a name for that accident,

which we condider; and for living put into the

account life ; for moved, motion; for hot, heat ;

for long, length, and the like... These are called

names abstract, because severed, not from matter, but from the account of matter.

Thirdly, we bring into account the properties

of our own bodies, where by we make suck distinction;

as when anything is seen by us, we reckon not the

thing itself, but the sight, the colour, the idea of it in the fancy: and when anything is heard,

we reckon it not, but the hearing or sound only, which

is our fancy or conception of it by the car; and such

are names of fancies.

Fourthly, we bring into account, consider

and give names, to names themselves, and to speeches ;

for general, universal, special, equivocal, are

names of names. And affirmation, interrogation,

commandament, narration, syllogism, sermon, oration,

and many other such, are names of speeches" (57).

Hobbes ribadisce così che alla serie dei nomi corrispondono concetti della mente; che al calcolo dei nomi corrispondono operazioni della mente per cui idee semplici e distinte possono venire riunite o distaccate tramite operazioni di somma o di sottra­

zione ; che anche i nomi astratti hanno corrispondenza

con dei concetti e delle operazioni della mente.

Quanto al punto b), e cioè all'affermazione

che Hobbes non svolge tuttavia le implicazioni

soggettivistiche di una teoria delle immagini come stati di coscienza, intendo in questo modo ribadire

che, da un punto di vista psicologico, egli non

stabilisce alcuna corrispondenza cognitiva tra

idee psichiche e oggetti.

Solo dal punto di vista della conoscenza vi

è un rapporto tra idee e cause extra-organiche:

le immagini o idee come sequenze di processi fisiologi­ ci e nervosi, e non come contenuti psichici, sono segni delle cause extra-organiche. Ci si deve pertanto interrogare sulla coerenza del procedimento hobbesiano

che, da un lato, non sviluppa una relazione tra idee e cose dal punto di vista psicologico di una teoria della percezione che implichi una coscienza

percettiva e uno schema organizzativo dei dati

sensoriali, mentre, dall'altro lato, presuppone

tale relazione dal punto di vista della conoscenza

poiché le immagini offrono, rispetto alle cose,

la possibilità cognitiva di afferrare le cause

attraverso gli effetti.

Il materialismo e la teoria meccanicistica

della sensazione appaiono insufficienti a render

ragione di un rapporto di significazione che leghi le parole alle cose per il tramite dei concetti,

vere tessere del calcolo linguistico. Il problema

di come sia possibile un linguaggio artificiale

umano resta insoluto se non viene centrato il proble­ ma logico di definire come le "apparenze" possano essere dette rappresentazioni dei corpi. Solo tramite un sistema di concezioni e "apparenze" le. parole possono infatti riferirsi a ciò che non è verbale.

Una teoria causale della sensazione, come

è quella elaborata da Hobbes, appare insufficiente

a risolvere i problemi logici implicati in una

teoria della significazione.

Resta, nella valutazione di alcuni luoghi

hobbesiani, la possibilità di provare che Hobbes

come affermazione della semplice, immediata reazione

dei corpi agli stimoli, ma che è pervenuto alla

nozione di rielaborazione delle sensazioni semplici in un sistema che, muovendo dalla mera passività

delle impressioni, implica 1 ' attività della mente.

Quell'attività dello spirito umano che, pur

sempre prendendo le mosse da premesse empiristiche e dalla definizione della mente in termini di "sostan­ za corporea", evidenzierà Locke allorché .nell'Essay

concerning Human Understanding, muovendo dallo

stato di mera passività dello "spirito" che recepisce

idee semplici, passerà ad esaminare le categorie

fondamentali di modo, sostanza e relazione che

ineriscono al concetto di idea complessa.

Non distaccandosi dal pensiero di Hobbes,

Locke definisce il carattere empirico della sensazio­ ne attuale ed elabora una teoria della suppositio relativa alla realtà attuale delle cose extra-mentali. Per Locke, come già per Hobbes, i sensi sono vettori di idee.

Accogliendo l'immagine della mente come tabula

rasa, in contrasto con la concezione presente in

particolare nei neoplatonici di Cambridge, da Cud- worth a More e Herbert di Cherbury, di idee e principi

morali 11 scritti " nella mente, Locke delinea, nel

secondo libro dell'Essay, una dottrina empiristica

che, nel rivolgersi agli oggetti sensibili esterni

o alle operazioni interne della mente, fornisce

all'intelletto tutto il materiale del pensiero.

Due sono pertanto le fonti della conoscenza: la

sensazione propriamente detta che si rivolge agli

oggetti materiali esterni e la riflessione che

è percezione delle operazioni interne della nostra,

mente (il percepire, il dubitare, il pensare, il

credere...) (58).

La riflessione, come senso interno, è posta

da Locke sullo stesso piano della sensazione che è senso esterno.

Ma se la sensazione è recezione passiva di

stimoli provenienti dall'esterno, si dovrà ammettere che la riflessione, che ha per oggetto le operazioni della mente, sia successiva alla sensazione in quanto si esercita come attività creatrice e formatrice di contenuti psichici. Ponendo come oggetti della riflessione le operazioni della mente, Locke dimostra di non distinguere il senso interno, che è passivo, dalla riflessione o intelletto che è attività forma­

trice; in tal modo le attività produttive (come

il pensare, il credere, il dubitare) sono confuse

con i loro prodotti (59).

Partendo da presupposti empiristici, Locke

ritiene di poter tracciare la genesi storica delle idee, dalle semplici (tali sono ad esempio l'idea

del colore, della durezza, della figura) alle comples­

se (es. l'idea del tavolo), e non riconosce di

aver indagato sulla struttura delle idee procedendo dal punto di vista della conoscenza, che è attività formale unificatrice di materiali sensibili, piutto­ sto che non dal punto di vista storico che segue la successione empirica dell'apprendimento.

Il problema dell'origine della conoscenza

era stato posto da Hobbes in una prospettiva più rigidamente empiristica.

Diversamente da Hobbes, Locke perviene alla

nozione di identità coscienziale e vi giunge attra­ verso l'esame del rapporto tra idee semplici,fondato sulla relazione identità-diversità:

"to find wherein personal identity consists,

we must consider what person stands for; which,

I think , is a thinking intelligent being, that

has reason and reflection, and can consider itself

as itself, the same thinking thing in different

times and places; which it does only by that con­

sciousness which is inseparable from thinking,

and as it seems to me essential to it: it being impossible for any one to perceive, without perceiving that he does perceive" (60).

Una nozione di coscienza»caratterizzante l'iden­ tità umana come costante presenza a se stessa del pensiero, non fa la sua comparsa in Hobbes. Ma Hobbes

"idee del senso" in modo simile a Locke. Prova di questo è la sua riflessione, accanto alla teoria

meccanicistica del moto, sulla distinzione tra

qualità "oggettive" spazio-temporali e dinamiche

e qualità "soggettive" dei corpi, in quanto percepiti,

che vengono pertanto fatte risalire agli aspetti sog­

gettivi della conoscenza.

Ma Hobbes non ci dice molto sugli aspetti

psicologici della percezione sensoriale. Egli afferma

che concetti e "apparimenti" non sono nulla se

non moti in qualche sostanza interna del capo (61). Da un punto di vista fisiologico, la teoria hobbesiana

implica che lo stimolo emesso, ad esempio, da un

corpo luminoso , si propaghi attraverso i nervi fino al cervello e che da qui per resistenza o reazione

del cervello, reazione che di nuovo si riperquote

sul nervo ottico, si produca un movimento o ripercus­

sione interna che chiamiamo luce e che pensiamo

esterna mentre in realtà avviene all'interno dei

nostri organi di senso (62).

Al pari dei concetti anche gli "appetiti"

sono per Hobbes dei movimenti interni.

"This motion, in which consistetti pleasure

or pain, in also a solicitation or provocation

either to draw near to the thing that pleaseth,

this solicitation, is the endeavour or internal beginning of animal motion, which when the object

delighteth, is called appetite ; when it displeaseth,

it is called aversion, in respect of the displeasure

present ; but in respect of the displeasure expected,

fear (...) As all conception we have immediately

by the sense, are delight, or pain, or appetite,

or fear; so are all the imaginations after sense. But as they are weaker imaginations, so are they also weaker pleasures, or weaker pain" (63).

Il riconoscimento delle sensazioni nella percezione e le capacità selettive del senso in Hobbes

Il problema che si pone è se quel moto di parti corporee che è il fantasma derivi da una reazione

nervosa oppure se si identifichi tout court con

la reazione nervosa (64).

Poiché Hobbes afferma che, anche se il fenomeno della sensazione ha inizio da uno stimolo esterno, il fantasma tuttavia rimane una volta che l'oggetto

esterno sia stato rimosso, ciò significa che vi

è nel senso una qualche capacità selettiva o discrimi­ natoria e che i "fantasmi", nella percezione, non sono semplici reazioni meccaniche di corpi.

Nel cap. XXV della Parte IV del De Corpore, Physica, sive de naturae phaenomenis, Hobbes propone la definizione di sensazione facendola consistere nella "spiegazione delle sue cause e nell'ordine

della sua generazione":

"sensio est ab organi sensorii conatu ad extra, qui generatur a conatu ab objecto versus interna,

eoque aliquandiu manente per reactionem factum

phantasma" (65).

Ma se ogni sensazione si ha per reazione , ciò

non significa che ogni cosa che reagisce "abbia

sensazione" ovverosia che la sensazione consista

nella mera reazione. L'identificazione della sensazio­ ne con la reazione comporterebbe che ogni corpo dotato di senso possa ritenere dei "fantasmi".

Hobbes giunge a definire la realtà esclusivamente

mentale, anche se non incorporea, dei fantasmi

e pone una distinzione tra poteri mentali e meri poteri corporei pur non negando la corporeità della mente.

Sono proprie dell'uomo, scrive Hobbes, una

capacità di ritenere i "fantasmi", cioè una memoria, e una capacità di distinguerli e confrontarli , cioè di giudizio, non riducibili alla sensazione semplice e immediata. Memoria e giudizio non sono tuttavia disgiunti dalla sensazione:

"Sed etsi ex reactione etiam corporum aliorum

phantasma aliquod nasceretur, illud tamen remoto

ojecto * statim cessaret; nam nisi ad retinendum

motum impressum, etiam remoto objecto, apta habeant

ut nunquam sensisse se recordentur...

Nam per sensionem vulgo intelligimus aliquam

de rebus objectis per phantasmata judicationem;

phantasmata scilicet comparando, ed distinguendo;

id quod, nisi motus in organo ille a quo phantasma

ortum est , aliquandiu maneat, ipsumque phantasma

quandoque redeat, fieri non potest" (66).

Hobbes riconosce, connessa alla percezione,

anche la presenza di fenomeni di concentrazione

e di attenzione:

"Neque vero permittit natura sensionis, ut

plures res simul sentiantur; cum enim natura sensio­

nis consistât in motu, dum organa sentiendi ad

uno aliquo objecto occupantur, ab alio ita moveri

non possunt, ut ab utrcque motu unum phantasma

synarum oriatur utriusque. Non fient ergo duo phan­

tasmata duorum objectorum, sed unum ex amborum

actione conflatum" (67).

E ancora:

"Intelligi hinc potest conatum organi ad exterio-

ra non omnem ' dicendum esse sensionem, sed illum

tantum qui caeteris, pro singulis temporibus, vehemen- tia praestat et praedominatur...." (68).

Ritornando alla logica, una volta sottolineata

l'autonomia del pensiero rispetto al mondo dei

corpi fuori dela mente e ribadito il parallelismo di nomi e concetti, è più facile comprendere come, nella mente, alla conceptio non deve corrispondere una situazione reale esterna secondo un rapporto

di similitudine. Se nelle operazioni della mente si possono considerare le cose dal punto di vista

di loro particolari qualità, come ad esempio la

grandezza, ciò non significa che vi siano realtà

esistenti prive ad esempio della grandezza o a

cui la grandezza possa essere aggiunta in un secondo

tempo. Poiché, come scrive Dal Pra, "l'unità di

misura per il conferimento di un nome è proprio

il concetto semplice" e "il concetto semplice è

quell'entità psicologica o gnoseologica minima

su cui si ritaglia la configurazione unitaria,

per quanto arbitraria, del nome" (69), nominalismo e concettualismo non si contraddicono in Hobbes. Il nominalismo è confermato dal fatto che la indivi­

duazione della causa degli universali, ovverosia

degli accidenti comuni dei corpi, è ricavata, attra­ verso il metodo risolutivo o compositivo, dai singoli corpi in cui tali accidenti si trovano. Ciò avviene tramite le operazioni della mente, poi registrate dai nomi, senza che tra i nomi e le cose sussista alcuna corrispondenza necessaria poiché l'elaborazione

concettuale della realtà è una creazione umana.

Alcuni punti fondamentali della logica hobbesiana devono essere richiamati. Innanzi tutto il pensiero

umano 'si esplica svolgendo, attraverso l'ausilio

e della loro coordinazione nel discorso, una serie di funzioni che sono governate dalle regole dell'ana­ lisi logico-matematica. In questo senso il linguaggio crea un ordine e lo impone alla realtà (70).

Quanto alla formazione dei concetti nella

mente, questione importante poiché le cause dei

nomi appaiono essere in Hobbes le stesse dei concetti

ovverosia qualche potere o azione o modo della

cosa pensata, il domandarsi se il fantasma sia

il moto o più del moto è problema che nelle pagine di Hobbes, non trova adeguata soluzione poiché il fi­

losofo tende a spiegare anche le funzioni psichiche

superiori in termini meccanico-materialistici. Così an che l'immaginazione è un movimento cerebrale che con­ serva e ricombina.

Hobbes ha sviluppato una teoria meccanica

della sensazione, ma non sufficientemente una teoria della rappresentazione. Egli è soprattutto interessato alla ricerca delle cause delle idee. Minore attenzione

rivolge al rapporto di rappresentazione tra idee

e cose e perviene alla conclusione che lo stesso schema meccanico di trasmissione del moto è proprio della realtà sia mentale che extramentale.

Hobbes ci dice poco sulla natura soggettiva

delle qualità secondarie il cui esame potrebbe

invece chiarire il processo di formazione dei concet­

anche se non incorporei:

"that as in vision, so also in conception

that arise from the other senses, the subject of their inherence is not object, but the sentient"

(7 1);

ed ha definito l'immagine o concetto come ciò che appare a noi di un movimento in qualche parte del cervello:

"the said image or colour is but an apparition into us of the motion, agitation, or alteration, which

the object worked in the brain, or spirits, or

some internal substannce of the head" (72).

In questo senso si può affermare che Hobbes ha intravisto la distinzione tra una sequenza di concetti nella mente ed una sequenza di semplici

sensazioni, il che è confermato da quanto scritto

in Human Nature :

"The succession of the conceptions in the

mind, series and consequence of one after another,

may be casual and incoherent, as in dreams for

the most part; and it may be orderly, as when the

former thought introduceth the latter; and this

is discourse of the mind. But because the word

discourse is commonly taken for the coherence and

consequence of words, I will, to avoid equivocation, call it discursion" (73).

Ma la teoria meccanica e causale della sensazio­

ne elaborata da Hobbes non può arrivare a render

il discorso mentale non approda mai ad una sua reale autonomia rispetto ai dati offerti dal senso

poiché le immagini o concetti, identificati con

i prodotti delle sensazioni ed èssi stessi sensazio­

ni, rimangono segni "naturali" delle cose anche

se non sono "copie" delle cose.

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