GISMO LOGICO
11 cui metodo comporta l'utilizzazione di una logica
nominalistica. In tale prospettiva l'elaborazione
prodotto della filosofia politica come disciplina a sé stante. In Hobbes la preoccupazione politica,
in quanto riferita al "rigore costruttivo" nel
"sistema", non è riducibile alle parti strettamente politiche del sistema stesso.
L'interesse di Hobbes non è tanto quello di rendere le discipline autonome, il che non potrebbe
avvenire se non ammettendo una differenziazione
e specificità dei metodi; esso è, al contrario,
quello di creare continuità fra le discipline,
rendendo universale il metodo (17). Tale disegno
è in accordo con il suo rifiuto delle concezioni
metafisiche presupponenti un mondo di essenze.
Anti-essenzialismo, pertanto, e affermazione che
gli unici "universali" sono quelli creati dal linguag gio sono posizioni teoretiche fondamentali in Hobbes.
Una concezione materialistico-meccanicistica
informa l'atteggiamento assunto da Hobbes di fronte al problema della natura delle attività del pensiero; ne consegue che questioni gnoseologiche e metafisiche lo pongono in aspro contrasto con Descartes.
I due filosofi non si conoscevano personalmente
all'epoca di cui ci è testimone la Correspondance
raccolta da padre Marino Mersenne il quale, di
volta in volta, la trasmise ai due "avversari"
(18). Da Mersenne, Hobbes ricevette notizia delle
che vennero poi pubblicate, a cura dello stesso Mersenne, nel 1641 e completate da sei gruppi di
Obiezioni tra cui quelle di Hobbes, il "celebre
filosofo inglese" delle Terze Obiezioni, menzionato da Mersenne (19).
La critica di Hobbes a Descartes si incentra
su due temi fondamentali del pensiero cartesiano:
1) il dualismo delle sostanze.; 2) la possibilità
di dimostrare l'esistenza di Dio con argomentazioni filosofiche.
Le "idee" della mente secondo Hobbes e secondo
Descartes
Commentando la Prima Meditazione, che riguarda
"le cose che possono essere revocate in dubbio",
Hobbes è d'accordo con Descartes circa l'impossibilità
di stabilire la esistenza delle cose, basandoci
sulla sola testimonianza dei sensi. Si limita ad
accusare Descartes di scarsa originalità poiché
già Platone aveva insegnato a dubitare della certezza delle cose sensibili.
Hobbes sembra accettare un punto di vista
fenomenistico nell'ammettere che il contenuto della nostra conoscenza sia dato da qualche "rappresentazio ne" o "idea". E' nel definire che cosa sia un "idea"
che Descartes ed Hobbes divergono teoreticamente.
Se Descartes intende per "idea" l ’oggetto
del pensiero, come il suo contenuto, Hobbes chiama
idea un' immagine che deriva dall'esperienza. E'
lo stesso Descartes a porre in rilievo la differenza di significato da lui attribuito ai termini, rispetto ad Hobbes.
"Hie (Hobbes) nomine ideae vult tantum intelligi
imagines rerum materialium in phantasia corporea
depictas; (....). Atqui....ostendo me nomen ideae
sumere pro omni eo quod immediate a mente percipi- pitur... " ( 20).
Nel trattato Human Nature (scritto intorno
al 1640), Hobbes definisce i concetti"sensazioni", o "immagini", "idee" da esse derivate.
"Originally all conceptions proceed from
the action of the thing itself, whereof it is the
conception: now when the action is present, the
conception it produceth is also called sense ; and
the thing by whose action the same is produced
is called the object of the sense" (21).
E ancora:
"As standing water put into motion by the
stroke of a stone, or blast of wind, doth not presen tly give over moving as soon as the wind ceaseth,
or the sone settleth: so neither doth the effect
cease which the object hath wrought upon the brain, so sono as ever by turning aside of the organs
the object ceaseth to work; that is to say , though the sense be past, the image or conception remaineth; but more obscure while we are awake, because some object or other continually plieth and soliciteth our eyes, and ears, keeping the mind in a stronger
motion, whereby the weaker doth not easily appear.
And this obscure conception is that we call phantasy,
or immagination: immagination being, to define
it, conception remaining, and by little and little decaying from and after the act of sense" (22).
Hobbes svolge il "fenomenismo" in direzione
assai diversa rispetto a quella seguita da Descartes. Non distingue innanzi tutto, come Descartes, l'oggetto reale, la cosa fuori della coscienza, dal contenuto della coscienza stessa, piuttosto distingue l'oggetto percepito dalla sua immagine, dal "fantasma" mnemonico
(23).
Hobbes esprime la propria adesione al "fenomeni
smo" riconoscendo la soggettività delle "qualità
sensibili". Egli scrive in Human Nature che i concetti derivano dall'azione delle cose stesse di cui sono concetti ed è dagli organi di senso che riceviamo
concetti diversi di diverse qualità degli ogget
ti; l'immagine visiva, che si costituisce come
figura e colore e che è l'unica nostra possibile
conoscenza della realtà, "non è, tuttavia, nulla
di reale fuori di noi" (24). Pertanto:
"That as in vision, so also in conceptions that arise from the other senses, the subject of their inherence, is not the object, bu the sentient" (25).
Il potere conoscitivo dei sensi non giunge
ad afferrare la realtà stessa ma si limita ad
operare con immagini mentali. L'oggetto, da cui
tali immagini derivano, può essere solo presupposto, mai direttamente affermato.
"Non dunque presenza della realtà, ma presenza
della idea è la sensio, scrive Gustavo Bontadini
quanto al "fenomenismo gnoseologico" di Hobbes,...
situazione fenomenistica: che non dovrebbe aver
senso se non in rapporto al Presupposto, éd alla
ritirata del termine dell'intenzionalità dall'essere
ontologico all’essere fenomenico. Questa ritirata
che in Cartesio era eseguita mediante il dubbio,
qui in Hobbes non appare. Appare invece lo sforzo di dimostrare che a] di là del dato, che è il fenome no, esiste una realtà ontologica, causa dello stesso
fenomeno. Fondazione del dualismo realistico, che
sembra prendere il luogo del Presupposto" (26).
Senonché il "dualismo realistico", di cui parla
Bontadini, è fondato sul presupposto del moto;
Hobbes non vede altra possibile spiegazione dei
fenomeni naturali che il movimento dei corpi. Data
corpo, "....il materialismo gli si presenta, osserva
1'Abbagnano, non come un presupposto dogmatico,
ma come il correlato metafisico di un principio
gnoseologico" (27).
Nella " Prefazione " alle Meditazioni, Descartes
pone il problema del fenomenismo in termini di
distinzione tra "realtà materiale" e "realtà oggetti va" dell'idea, ovverosia tra l'idea presa materialmen
te come un operazione del mio intelletto oppure
presa oggettivamente per la cosa che da quella
operazione è rappresentata (28).
Se il presentarsi dell'idea nella mente non
può costituire una verifica della realtà "attuale" della cosa rappresentata, è proprio dalla radicaliz-
zazione del dubbio che Descartes perviene alla
certezza della conoscenza.
Come scrive Eugenio Garin: "....1'inscindibilità dal cogito ( dubito) dal sum non è derivata da un ragionamento ma è colta nel cogito. Di più: è colta come intrinseca all'atto in cui l'infinito - perfetto si articola come il finito - imperfetto (cogitare
- dubitare - esse) emergendone e fondandolo. Si
pone in tal modo il nesso cogito - Cogitatio, sum - Esse, io - Dio, in modo da escludere come assurdo
il Dio ingannatore proprio nel punto in cui la
rivelazione della suprema insicurezza si trasforma in affermazione della assoluta sicurezza: Dio "fonte
della Verità", creatore delle verità eterne, verace" (29).
Dal punto di vista di una filosofia del linguag
gio, l'innatismo razionalistico cartesiano implica
che in quanto la ragione umana, che procede da
principi e idee innate, è universale, così il legame tra lingua e realtà, cioè tra segno e cosa rappresenta ta in concetto, è rivelatore della struttura universa le e razionale dell'essere (30). A tale struttura perviene la conoscenza allorché l'esperienza, purifica
ta, si trasforma in intuizione intellettuale di
nature semplici, cioè figure e movimenti nell'ambito
del mondo fisico, e forma del pensiero, cogito,
nell'ambito del mondo interiore e dell'esperienza psicologica.
Di fronte al progetto di costruzione di una
lingua universale, che fu nel Seicento oggetto
di varie teorizzazioni (31) e che esprime l'esigenza
di realizzare un grande catalogo del mondo in cui ogni parola contenga in sé o sia essa stessa la definizione della cosa significata, Descartes ammette, teoricamente, la possibilità di realizzare un tale
progetto. Esso deve però essere subordinato al
compimento della vera filosofia cioè ad un corretto ordinamento di tutte le cose del mondo poiché sarebbe
altrimenti impossibile enumerare tutti i pensieri
degli uomini (32) .
Anche in Hobbes, come dimostrerò nello svolgimen to di questo studio, un "ordinamento sicuro e vero
dei nomi" non può prescindere dal compimento di
un ordine delle cose stabilito dalla filosofia;
anzi, scrive Hobbes nel De Corpore, (P.I, c. II,
16), l'ordinamento delle parole potrà essere conside rato vero solo dopo che sarà stato approvato dalla
ragione. Ma, se in Descartes il nesso tra parole
e cose è garantito e fondato grazie al tramite
dell'esistenza concettuale della cosa che è il
significato dei segni linguistici , in Hobbes
tale nesso tra parole e cose non è garantito e
fondato essendo le idee o concetti ridotti a schemi materiali del meccanicismo universale.
E' vero che anche Hobbes dimostra di non negare la concomitanza tra nome e idea che del nome costitui
sce il significato. E non potrebbe essere altrimenti
a meno di rendere impossibile quell'accordo convenzio nale tra gli uomini sulla assunzione di certi suoni come segni di idee.
Il dissenso tra Hobbes e Descartes non è quindi
tanto sulla concomitanza tra nome e idea quanto
sulla origine delle idee. Sappiamo che per Descartes
il "concepire" è autoevidenza del pensiero a se
stesso (33). Hobbes il "concepire" non è che una
presenza nella mente di immagini o fantasmi che
riguardano solo le cose singolari; quanto poi ad
una seconda accezione del "concepire" che, nella 0-