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il segno linguistico "sta per" qualcosa di altro

biezione IV alle Meditazioni cartesiane, Hobbes inten­

DELLE DENOMINAZIONI IL NOMINALISMO DI HOBBES: ANTIESSENZIALISMO E CRITICA DEGLI UNIVERSAL

3) il segno linguistico "sta per" qualcosa di altro

sulla base di un mutuo, reciproco accordo conven­

zionale accordo tra gli uomini.

Posto che il rapporto tra comunicazione e

significazione non è di reciproca esclusione ma

di autoimplicazione, si tratta ora di esaminare

più da vicino la teoria della significazione in

Hobbes.

I segni naturali. Inferenza e significazione

Che cosa è il "qualcosa di altro" che i nomi denotano, a cui essi si riferiscono, a cui rimandano?

I nomi denotano, indicano le cose stesse oppure i nostri concetti delle cose? E cosa vuol dire

che i nomi "stanno per" ed in questo modo "significa­ no" qualcosa di altro? Ovverosia come si configurano

nella logica hobbesiana processo di denotazione

e rapporto di significazione?

Un linguaggio specificatamente umano si distin­

gue dal linguaggio animale perché l ’uomo usa i

segni non in modo puramente "sintomatico",per esprime­ re cioè delle affezioni od emozioni o passioni, ma come mezzi per un "rapporto semantico del tutto convenzionale" (24). Il limite del linguaggio animale

consiste proprio nella incapacità di far uso di

segni artificiali.

Per evidenziare il carattere convenzionale

del segno linguistico nell'uso creativo che è proprio del linguaggio umano, Hobbes caratterizza dapprima i segni naturali. Noi siamo, ad esempio, in grado di inferire, dal presentarsi di una nube densa , la

pioggia che verrà, scrive Hobbes nel De Corpore;

e così, potremmo aggiungere, deduciamo dal fumo

la presenza del fuoco, dalle impronte sulla sabbia il passaggio di un certo animale. L'impronta divie­ ne il segno che indica "qualcosa d'altro".

+

In Human Nature (cap. IV) e in forma assai

quence or Train of Imaginations") , Hobbes prende in considerazione vari tipi di ragionamento o "di­

scorso", ("discursion" nel testo inglese da non

confondere con "discourse" , termine con il quale

si deve intendere lo svolgersi coerente e consequen­ ziale delle parole in un discorso), ovverosia vari tipi di serie o successioni di pensieri regolati. Dopo aver menzionato: 1) la investigazione o meglio la esplorazione (ranging) di cui è tipico l'atteggia­ mento del guardarsi intorno in cerca di un oggetto perduto; 2) la sagacia (sacacity) di cui è esempio il comportamento dell'uomo che avendo fame concepisce il mezzo più opportuno per procurarsi del cibo;

3) la rimembranza o reminiscenza (reminiscence)

che è un ri-passare nella mente le nostre precedenti

azioni come quando, avendo perduto un oggetto,

ripercorriamo nella mente i luoghi dove ricordiamo che ancora avevamo quell'oggetto, Hobbes definisce 4) l'esperienza nel modo seguente:

"the remembrance of succession of one thing

to another, that is, of what was antecedent and

what consequent and what concomitant, is called

an experiment" (25).

Nel Leviathan Hobbes afferma che la serie

dei pensieri regolati (il ragionamento o discursion) può essere di due tipi:

come ricerca di un effetto "immaginato" del quale sono state cioè "concepite" e quindi sperimentate le cause o i mezzi che la producono;

b) proprio solo dell'uomo come tipo di ragionamento in cui, "immaginando" una cosa qualsiasi, cerchiamo

tutti i possibili effetti che da essa sono pro­

dotti ( 26 ).

Così, prosegue Hobbes nella elencazione dei

tipi di ragionamento (discursion), se dall'aver

avuto molte esperienze, e quindi dal ricordo,conseguo­ no altri due tipi di "ragionamento" che sono: il fare congetture o previsioni di cose a venire cioè l'aspettazione o presunzione del futuro (expectation); 6) il presumere un fatto passato come antecedente del fatto presente cioè la congettura del passato

(conjecture), si può definire il segno naturale

come segue :

"A sign is the evident antecedent of the conse­ quent; and contrarily, the consequent of the ante­ cedent, when the like consequences have been observed,

before: and the of tener they have been observed,

the less uncertain is the sign" (27).

Tale concezione dei segni naturali è frutto

del collegamento tra processo mentale di inferenza e atto di significazione come attribuzione di valore

segnico ad alcuni eventi. La significazione che

ed implica un atto di inferenza per cui quell'evento

naturale è significativo della consequenzialità

di altri eventi passati o futuri ad esso connessi.

Se un evento naturale diventa segno naturale

delle sue possibili cause e dei suoi possibili

effetti, è probabile che, nell'ambito del gruppo

umano che fa esperienze simili, si stabilisca una convenzione semiotica in base alla quale quel gruppo di uomini decide di riconoscere quel dato evento per usarlo come segno o veicolo di un qualche altro evento. Per convenzione si intende qui non la scelta arbitraria di un segno naturale privo di collegamento

con altri eventi naturali, poiché anzi proprio

sulla naturalità della loro relazione si fondano la possibilità dell'inferenza e della convenzione semantica, bensì l'accordo di una comunità umana.

Nel caratterizzare le condizioni per cui un evento naturale può essere interpretato come segno, Hobbes ha già delineato le proprietà della funzione segnica: 1) un evento naturale è segno se costituisce l'elemento pertinente di un sistema in cui un piano

espressivo è convenzionalmente correlato ad un

piano contenutistico; 2) la convenzionalità della

correlazione trs espressione e contenuto è data

dal fatto che un segno "sta per" qualcosa di altro

e che tale significatività è riconosciuta dalla

Un evento naturale si fa segno se è il conseguente "riconosciuto" di un osservato antecedente o vice­ versa. Un segno naturale è quindi tale se è rilevante per il destinatario del messaggio (28).

Si può distinguere la convenzione che fa di un evento naturale un segno da quella che fa del

nome un segno? Come si realizza la convenzione

semiotica nel caso dei nomi?

Il nome è segno di qualcosa di altro non in seguito ad un procedimento di inferenza da osservazio­

ni sperimentali, ma per puro arbitrio umano. Nel

caso delle "voci" o "nomi" posti ad arbitrio umano, la convenzionalità è data da un accordo nella comuni­

tà umana riferito ad un artificiale rapporto di

significazione.

"Uso generale della parola, afferma Hobbes nel

Leviathan, è quello di trasferire il nostro discorso

mentale in discorso verbale", da cui deriva che

poiché i nomi sono, come si legge nel De Corpore, segni dei concetti, essi non sono segni delle cose stesse (29).

L'opposizione di Hobbes al realismo e all'onto­ logismo logico si incentra sui seguenti argomenti: 1) il linguaggio "segno", "indica" nominalisticamente il pensiero, non la realtà; 2) il legame di significa­ zione tra parole e cose, che costituisce la mediazione

si fonda sui concetti intesi come entità universali

reali, ma è stabilito arbitrariamente; la verità

non è nelle cose ma solo nelle proposizioni del linguaggio.

Interpretazione del referente nella teoria linguistica di Hobbes

Il nome, scrive Hobbes nel De Corpore, non è segno delle cose ma dei concetti.

"Quoniam autem Nomina, ut definitum est, disposi-

ta in oratione, signa sunt conceptuum; manifestum

est ea non esse signa ipsarum rerum; quo sensu

enim intelligi potest sonum hujus vocis lapis esse

'

signum lapidis, alio quam ut is qui vocem eam audisset

colligeret loquentem de lapide cogitasse? Itaque

disputatio illa an nomina significent materiam

an forman, an compositum, aliaeque ejusmodi metaphysi-

corum, errantium sunt, nec intelligentium verba

de quibus disputant" (30).

Per una espressione linguistica "avere un

significato" vuol dire "stare per" qualcosa, "indica­

re", "riferirsi a", "rappresentare", "denotare"

un oggetto di referenza. Si possono dare diverse interpretazioni del referente di una teoria linguisti­

ca. Nel caso di Hobbes, si deve considerare che

egli afferma che i nomi sono segni dei concetti e non delle cose stesse. Questo significa che i

nomi sono segni di immagini, di idee o fantasmi, di concezioni della mente.

Così J.S. Mill (31), al pari di M.J. Oakeshott (32), afferma che i nomi sono da Hobbes attribuiti alle immagini. J. Laird sottolinea che se nel De Corpore (P.I, c.II) Hobbes afferma che nomi quali

"albero" e "pietra" sono nomi delle cose ciò è

solo "in via indiretta" poiché "direttamente" i

nomi sono segni dei nostri concetti delle cose

(33)

.

R. Peters afferma che secondo Hobbes: "(words)

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