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Capitolo XII: Il mito della perfezione

1. Il concetto di perfezione

La società greca antica credeva nel valore del motto kalos kai agathos, secondo il quale la perfezione eroica risiede nel connubio di bellezza fisica ed eccellenza morale. La filosofia cristiana medievale invece identifica la perfezione unicamente con il possesso delle buone qualità morali cristiane288, mentre nella società moderna la perfezione è un concetto estremamente vago, nel quale possono confluire l’eccellenza in una specifica

156 disciplina289, la qualità morale del comportamento o semplicemente una gradevole composizione di caratteri estetici.

Se l’uomo, con le sue sole forze, abbia in sé la possibilità di raggiungere questa perfezione, è stato ampiamente dibattuto in passato290. Sicuramente non si può negare che la storia dell’umanità, almeno quella recente, sia stata caratterizzata dalla tensione verso il continuo auto-miglioramento, che ha dato vita ad altri e più longevi miti come quello del progresso. Nella genetica tuttavia, come detto, è stata vista la via per eliminare questa tensione e raggiungere, una volta e per sempre, questa agognata perfezione.

Per il movimento eugenetico la perfezione si sarebbe potuta raggiungere solamente dopo aver eliminato le scorie del vecchio mondo, e ciò ha portato ai crimini di cui ormai tanto sappiamo. Il Mondo Nuovo di Huxley, invece, è popolato solamente da individui, a loro modo, perfetti. Perfetti perché creati ad hoc per ricoprire un ruolo pre- assegnatogli. I delta e gli epsilon sono effettivamente perfetti per i mestieri che svolgono e non aspirano ad altro perché non possono, ma anche perché sono “felici” e soddisfatti dalla loro posizione in quanto utile alla società291. Un concetto di perfezione, questo, più adatto ad una macchina, che ad un essere umano.

289 I premi Nobel per Graham rappresentavano il modello di perfezione, anche se il premio è assegnato unicamente per l’eccellenza in una specifica branca di una specifica disciplina.

290La filosofia cristiana ha trattato a lungo questo punto, si pensi alla polemica tra Pelagio e Agostino. 291 Se si può chiamare felicità una condizione influenzata da droghe psicotrope e (auto)condizionamento mentale.

157 Se non viene imposto uno standard di perfezione umana “ufficiale”292

e, come sostengono i liberali, la genetica deve essere lasciata nelle mani del libero mercato, è necessario che i genitori (cioè i principali clienti di questo supermarket genetico) specifichino di volta in volta cosa intendono quando si ripromettono di ingegnerizzare un figlio affinché sia perfetto. Un genitore ipotetico potrebbe rispondere che un figlio perfetto è un figlio bello, sano e intelligente. Sorprendentemente, la risposta di un sostenitore dell’eugenetica novecentesca potrebbe essere la medesima. Altri ancora potrebbero rispondere che sono la felicità del figlio e la sua futura autorealizzazione personale e professionale ciò che lo renderà perfetto.

Se la perfezione estetica è un concetto ambiguo293, è più facile interpretare il concetto di perfezione alla luce di quello di salute. La genetica promette corpi più sani, più resistenti alle malattie e all’invecchiamento. In questo caso il suo scopo non è diverso da quello della medicina e il desiderio di liberarci dalle malattie non ci rende per questo meno umani294. Si tratta, comunque, di un concetto di perfezione piuttosto povero.

La perfezione promessa si potrebbe intendere allora in senso “cristiano”, ossia potrebbe trattarsi di una perfezione morale. Attualmente (e ci sono motivi di credere che non sarà mai possibile farlo) non sembra tuttavia possibile ingegnerizzare la morale, e quindi il comportamento stesso; ma quanto è realistico il sogno di progettare e fare nascere un individuo programmato per seguire sempre determinate virtù?

292 Cosa che l’eugenetica novecentesca ha invece fatto, basti pensare all’uomo ariano nazista.

293 Ad esempio: è stato detto che è preferibile essere leggermente più alti della media. Ma essendo l’altezza un concetto relativo, in un mondo di individui ingegnerizzati per tutti leggermente più alti della media, il concetto stesso di altezza desiderabile perderebbe di senso, procedendo all’infinito.

294 J. HARRIS, Wonderwoman e Superman. Manipolazione genetica e futuro dell’uomo, Baldini&Castoldi, Milano, 1997, pp. 217-219.

158 Norman Daniels (filosofo americano esperto di etica biomedica e filosofia politica), propone un divertente esempio per rivelare l’assurdità di questa proposta.

Nel suo esempio, Daniels ci invita ad immaginare una donna di nome Cynthia. Questa donna è estremamente empatica, possiede la capacità di riconoscere le emozioni e le necessità delle persone a lei vicine ed è capace di far sentire a proprio agio i suoi interlocutori dicendo sempre la cosa giusta al momento giusto; Cynthia sa pianificare attentamente il proprio futuro. Un atteggiamento che non sembra essere quello di una donna calcolatrice ma quello di una persona attenta e giudiziosa. Cynthia, dice Daniels, potrebbe essere una perfetta assistente sociale. E invece è un’esperta artista della truffa. La morale dell’esempio di Daniels è la seguente:

We should be leery of any promises that a genetic intervention (or an environmental one) that enhances a trait or a disposition that is merely a necessary condition for having a virtue will help us produce morally “better” offspring. 295

Una virtù non è definita oggettivamente da determinate qualità psicologiche, a loro volta riconducibili a individuabili combinazioni di geni. L’ardimento è un prerequisito tanto del coraggio quanto dell’avventatezza. Una persona si può dire virtuosa se sceglie di declinare in un certo modo queste sue qualità e capacità. Così, una persona creata per sviluppare tutte le qualità dell’esempio, attrezzata con una percezione empatica superiore alla norma, potrebbe benissimo approfittare di queste sue capacità e deludere le aspettative genitoriali per dedicarsi alle truffe insieme a Cynthia.

295 N. DANIELS, Can anyone really be talking about ethically modifying human nature?, in J. SAVULESCU e N. BOSTROM (a cura di), Human Enhancement, Oxford University Press, Oxford, 2009, p. 41

159 Ma se anche fosse possibile ingegnerizzare un individuo affinché si comporti in un certo modo, ci sono buoni motivi per considerare immorale un tale intervento.

Progettare un individuo che sia moralmente buono, significherebbe manipolare i suoi geni affinché ad ogni stimolo esterno questi risponda assumendo un comportamento stereotipato, ritenuto appunto buono. È difficile definire questo comportamento libero e per tanto morale. Se una persona che ha ricevuto un potenziamento genetico ha la possibilità di retroagire su questo suo potenziamento semplicemente non mettendolo in pratica, sarebbe impossibile per questa stessa persona assumere un comportamento non- morale, se fosse stato progettato per esserlo ad ogni costo.

Per descrivere il conflitto di valori che si manifesta in uno scenario di questo tipo può essere utile fare riferimento ad un romanzo di Anthony Burgess, Arancia Meccanica296, successivamente riadattato in un film da Stanley Kubrik297. Il protagonista del romanzo è Alex, un adolescente appassionato di Beethoven e dipendente dalla violenza. Dopo avere commesso un omicidio viene rinchiuso in carcere e lì sottoposto ad una terapia rieducativa al seguito della quale Alex si scopre incapace anche semplicemente di formare un pensiero violento senza provare un debilitante senso di nausea. Alex è stato reso buono, è stato trasformato da teppista a cittadino modello, ma ciò è stato possibile solamente sacrificando la sua libertà.

Quando si pensa che l’ingegneria genetica possa intervenire sulle radici genetiche del male, è opportuno tenere alta la guardia. Perché la libertà di scegliere, anche di scegliere il male, è troppo grande per essere sacrificata sull’altare del mito della perfezione.

296 A. BURGESS, Arancia meccanica, Einaudi, Torino, 1996

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