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CAPITOLO 2 – IL TURISMO SOSTENIBILE

2.1 Il concetto di turismo sostenibile

Le crescenti movimentazioni turistiche intese nella connotazione di fenomeno di “massa” che si svilupparono e presero piede a partire dagli anni Sessanta e Settanta, vennero fin da subito messe sotto osservazione dalla letteratura scientifica come un fenomeno potenzialmente negativo; in primis per il rapporto di squilibrio che produceva tra i Paesi ricchi e quelli poveri (Turner, L., & Ash, 1975) e successivamente per l’influenza negativa che questo produceva sul territorio e sulla comunità locale (De Kadt, 1979).

Il dibattito sulle esternalità negative prodotte dal turismo di massa si incentravano storicamente quindi su problematiche legate ad aspetti sociali ed economici, e solo successivamente verso la fine degli anni ottanta e inizi anni novanta si incominciarono a tenere in considerazione anche le problematiche relative agli aspetti ambientali, di tutela delle risorse naturali e dei siti di interesse storico e culturali.

Il modello di sviluppo distorto incentrato su obiettivi basati esclusivamente su concetti quali progresso, crescita e modernizzazione che apparivano vincenti in quegli anni, dove il benessere e la qualità della vita erano associati esclusivamente a regole economiche, considerava l’ambiente naturale unicamente come una fonte da cui attingere per la produzione e per il miglioramento senza tenere in considerazione la limitatezza delle risorse e il deteriorarsi dell’ambiente naturale.

Tali criticità posero le basi per la costruzione del concetto di sostenibilità definito durante i lavori del "Rapporto Brundtland25 " nel 1987 come “lo sviluppo che soddisfa i bisogni del presente senza compromettere

la capacità delle future generazioni di soddisfare i propri….” (WCED, 1987).

Durante i lavori di stesura del rapporto la Commissione sottolineò come tale processo non dovesse rifarsi a uno sviluppo di tipo statico ma piuttosto a un progresso di tipo dinamico al fine di ottimizzare il potenziale attuale e garantire la disponibilità dei bisogni e le aspirazioni alle generazioni future (WCED, 1987).

Successivamente a questa prima definizione, la sostenibilità venne accostata al Turismo sostenibile nel 1988 dall’Organizzazione Mondiale del turismo (OMT) come “lo sviluppo sostenibile del turismo …(che) va incontro

ai bisogni dei turisti e delle aree ospitanti attuali e allo stesso tempo protegge e migliora le opportunità per il futuro. Esso deve essere il principio guida per una gestione delle risorse tale che i bisogni economici, sociali ed estetici possano essere soddisfatti e contemporaneamente possano essere preservati l’integrità culturale,

25 Rapporto Brundtland prende il nome dalla Prima ministra norvegese Gro Harlem Brundtland che in quell’anno presiedeva la Commissione Mondiale sull’Ambiente e lo Sviluppo dell’ONU

gli equilibri fondamentali della natura, la biodiversità e il sostegno al miglioramento della qualità della vita”(Andriola & Manente, 2000).

L’utilizzo del termine turismo sostenibile come suggerito da Prosser (1994) mette dunque in evidenza 4 forze di cambiamento sociale (Prosser, 1994):

- la crescente consapevolezza ambientale assieme alla sensibilità culturale; - l’insoddisfazione per i prodotti esistenti;

- la presa di coscienza delle risorse naturali e della loro vulnerabilità;

- le abitudini in via di trasformazione dei turisti e la crescita massiccia del turismo di massa.

Il concetto di turismo sostenibile quindi, per come è stato strutturato, prevede da un lato la riduzione delle tensioni e gli attriti che si vengono a creare dalle complesse interrelazioni tra l’industria del turismo, i turisti, l’ambiente e le comunità ospitanti e dall’altro la costruzione di un processo nella quale le risorse umane, assieme a quelle naturali, siano in grado di perdurare nel tempo senza rinunciare alla qualità e siano in grado di rispondere a una richiesta sempre maggiore, dovuta alla diffusione del turismo anche in quei Paesi in forte espansione e una volta considerati non turisticamente rilevanti.

Il concetto di “sviluppo sostenibile” associato al turismo è diventato oramai un termine accettato a livello mondiale, molto diffuso nel linguaggio comune, nel panorama politico e tra gli addetti ai lavori del settore dell’ospitalità soprattutto a fini promozionali; tuttavia diversi autori individuano dei limiti a tale concetto. Nel corso degli anni molte sono le definizioni di turismo sostenibile che si sono succedute nella letteratura scientifica (Butler, 1999; Higgins-Desbiolles, 2018; Page, S. J., & Dowling, 2001) e tante sono anche le critiche sollevate dall’utilizzo del termine sostenibile in riferimento al turismo.

Tali critiche si rifanno in prima battuta all’associazione del concetto di “sostenibilità”, che in un certo senso comporterebbe una qualche forma di mantenimento, in contrasto al concetto di “sviluppo” che invece pone l’accento al processo umano per soddisfare i bisogni della società, generando dunque negli autori l’interrogativo su come un settore che dipende in maniera diretta dalla crescita economica possa essere compatibile con obiettivi di sostenibilità, che spesso e volentieri si trovano in contrapposizione con la crescita economica.

Il dibattito nella letteratura, partendo dalla definizione di sostenibilità del "Rapporto Brundtland”, si focalizza anche su come lo sviluppo sostenibile possa portare implicazioni al turismo e come questo possa essere riprodotto non solo ad esperienze di piccole dimensioni “alternative” ma bensì estese al turismo di massa. A partire dalla definizione del 1987, sono iniziate a susseguirsi Conferenze, incontri tra i vertici politici mondiali e dichiarazioni politiche che hanno dato vita alla stipula di accordi congiunti tra Paesi e strategie a

breve e a lungo termine, in cui il concetto di “sostenibilità” viene esaltato come soluzione all’avanzamento di problematiche ambientali, sociali ed economiche senza che però si mettano in atto azioni concrete e misurabili.

Uno dei limiti riconosciuti da molte organizzazioni turistiche ma anche da una parte della letteratura accademica rispetto alle azioni messe in atto è la mancata volontà di introdurre i “limiti” e soglie alla crescita del turismo.

Il concetto di “limite” già utilizzato nel 1972 all’interno del saggio “the limits to growth” (Meadows, Donella H., 1972) nonostante sia implicito nel termine “sostenibile” trova tutt’ora delle resistenze politiche ed economiche che stanno minando la credibilità stessa della sostenibilità.

E’ ormai comunemente accettato che, come in altri contesti quali quelli sportivi, educativi e culturali, anche nel turismo si debba introdurre il concetto di limite, inteso come il numero massimo di persone possibili che possano essere ospitate nella stessa destinazione allo stesso momento, al fine di evitare un sovraffollamento che andrebbe a incidere negativamente sull’esperienza di viaggio del turista, sulla comunità ospitante e sull’ambiente naturale. In assenza dell’introduzione del concetto di limite, gli effetti negativi prodotti dal turismo di massa, se prolungati nel tempo, innescano un circolo vizioso, in quanto i turisti cercheranno altre destinazioni meno affollate e di conseguenza il calo dei turisti andrà a incidere sulla vitalità della destinazione che ne risentirà sia dal punto di vista economico che sociale. Un uso quindi eccessivo delle risorse e una mancanza di limitazione provoca un’insostenibilità della destinazione, sia in quei territori dove il turismo di massa è ormai insediato sia in quelle aree incontaminate dove una promozione aggressiva rischia di renderle un territorio ancora più fragile.