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5. FOREGROUND

5.7 Conclusioni

La depressione è un fenomeno multifattoriale composto da fattori biologici, genetici e sociali, che incide su tutte le sfere dell’individuo: salute fisica, funzioni sociali e famigliari, produttività, tempo libero, sonno e riposo.

Al momento, il trattamento più utilizzato per la cura della depressione, nonché quello che gode delle migliori evidenze scientifiche, è la terapia cognitivo

comportamentale (CBT). La CBT viene utilizzata sia come trattamento “puro”, che inserita come approccio all’interno di programmi riabilitativi più vasti. La CBT in molti aspetti è affine all’ergoterapia, ed è per questo motivo che la nostra professione ha preso in prestito alcuni frammenti di questo approccio. Tuttavia, per integrare l’approccio cognitivo-comportamentale nel trattamento ergoterapico, sono necessarie delle formazioni di approfondimento e la collaborazione con lo psichiatra, lo psicologo e il team multi-professionale.

Nella CBT si cerca di rendere consapevoli i pazienti dei loro pensieri disfunzionali. Questo assunto viene abbracciato anche dalla terapia occupazionale, cercando di facilitare il cambiamento di tali pensieri legandoli a nuove esperienze di successo e insegnando al paziente a fare valutazioni più realistiche del proprio operato. Questo è possibile grazie alla decostruzione di pensieri disfunzionali e alla ricostruzione di pensieri funzionali, che sono utili alla persona per gestire una situazione vissuta come complessa e interagire nuovamente con maggiore efficacia nel proprio ambiente.

Gli “homework” (compiti a casa) rappresentano una delle caratteristiche salienti della CBT e sono un altro aspetto facilmente integrabile dall’ergoterapista. Gli homework facilitano la sensazione del paziente di essere proprio lui l’artefice del proprio percorso per stare meglio, poiché sperimenta la capacità di ottenere dei cambiamenti e questo porta a un aumento del senso di autoefficacia. Gli homework non devono essere imposti, ma negoziati. Sono coerenti con il lavoro terapeutico fino ad ora svolto, sono chiari e definiti. La CBT utilizza sia homework di tipo cognitivo, ad esempio letture che aiutano la persona a capire meglio il suo disagio psicologico, piuttosto che compilazione di schede e di diari per mettere “nero su bianco” i propri pensieri, oppure tramite l’ascolto (ad esempio delle sedute), o ancora tramite immagini mentali. Agli homework cognitivi si sommano quelli comportamentali. Gli homework comportamentali sono quelli condivisi anche dall’ergoterapista, che in qualità di esperto delle occupazioni può, insieme al cliente, svolgere una programmazione delle attività, per incrementare gli impegni quotidiani e ridurre la ruminazione sui pensieri negativi, scomporre le attività in piccoli passi gestibili e creare piccole sfide quotidiane.

Discrete evidenze sono a favore anche della terapia basata sulla consapevolezza, meglio conosciuta come Mindfulness (MBI).

Degno di considerazione è pure il Tree Theme Method (TTM), che secondo uno studio molto recente, al momento si trova alla pari con le migliori pratiche.

Detto questo, non dobbiamo dimenticare che storicamente la terapia occupazionale è stata collegata alle attività creative attraverso l'inclusione di arti e mestieri nella pratica clinica (Müllersdorf & Ivarsson, 2016).

Questa tradizione è radicata intorno alla relazione tra creatività e salute e benessere e sull'opportunità di consentire ai clienti di esprimere i propri sentimenti, aumentare la propria autoconsapevolezza, migliorare il problem solving e creare nuove possibilità di apprendimento (Müllersdorf & Ivarsson, 2016). Le attività creative sono considerate ancora oggi un potente veicolo per esprimere il proprio sé autentico e sono largamente utilizzate dagli ergoterapisti che lavorano in psichiatria e, quindi, anche con pazienti che soffrono di depressione.

Dei trattamenti analizzati in questa revisione, non tutti sono ancora applicabili in Svizzera, in quanto in territorio elvetico non sono ancora presenti molti percorsi formativi per gli ergoterapisti che lavorano in psichiatria. Molti ergoterapisti utilizzano i principi della Mindfulness e della CBT, tuttavia si ritiene siano necessari studi aggiuntivi che facciano luce sul lavoro degli ergoterapisti svizzeri

con i pazienti affetti da depressione. Tuttavia, dagli studi analizzati si possono trarre spunti interessanti per la pratica professionale. Anzitutto viene posto l’accento sulla prevenzione, che l’ergoterapista può fare nei luoghi di lavoro (vedi metanalisi di Scalan, J. N, & Lewis, J., 2014). Gli ergoterapisti potrebbero offrire programmi di prevenzione e promozione della salute mentale, ingaggiando i datori di lavoro, in quanto è stato dimostrato che questi interventi possono fare una piccola, ma positiva differenza nel prevenire e/o ridurre i sintomi depressivi negli impiegati.

Programmi come il LAST o l’OPTIMAL possono essere presi da esempio per creare, a nostra volta, un intervento specifico sul posto di lavoro per persone affette da depressione. La partecipazione professionale è un’area occupazionale molto compromessa nei pazienti depressi, soprattutto a causa dei sintomi cognitivi; per questo motivo interventi mirati al luogo di lavoro e volti al potenziamento delle strategie e delle abilità potrebbero essere molto efficaci. Infine, ma non meno importante, vi è il lavoro di equipe. Come rilevato dallo studio di Sachie Tanaka et al., (2015), una combinazione di trattamenti selezionati può ridurre la preoccupazione del paziente rispetto alla sua condizione, migliorare la propria percezione della malattia e aumentare la motivazione verso il trattamento e la riabilitazione.

Per quanto concerne il TTM, è stata contattata l’ideatrice Birgitta Gunnarsson, che si è resa disponibile a recarsi personalmente in SUPSI per una conferenza sul suo metodo, che probabilmente si potrà tenere nel 2020.

Differentemente da ciò che si decide di offrire al paziente, è importante essere sempre guidati dal principio di centralità della persona. Il cliente, con la sua storia e la sua unicità, è il protagonista del processo di cura, mentre il terapeuta è semplicemente un facilitatore di questa trasformazione. Ma soprattutto non ha senso insistere nel curare pazienti con cui, al di là delle nostre competenze e del nostro impegno, non si è creato un clima di reciproca fiducia (Borgna, 2017). Gli intrecci emozionali, la predisposizione personale, la presenza, o meno, di consonanze o dissonanze con le persone che curiamo hanno una profonda importanza nel facilitare, o nell’ostacolare, lo svolgimento della cura; e la fiducia ne è condizione necessaria (Borgna, 2017).