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CAPITOLO QUINTO

CONCLUSIONI GENERALI E LINEE DI RICERCA FUTURE

5.1. Conclusioni general

La ricerca ha preso le mosse da tre ipotesi fondamentali: 1) esiste un legame tra processi cognitivi di basso ed alto livello; 2) lo spazio senso-motorio è una percezione soggettiva; 3) lo spazio senso-motorio varia in funzione delle diverse modalità di interazione sociale. La tesi sostenuta è che lo spazio senso-motorio è modulato dalla semplice co-presenza di un altro agente umano e da interazioni cooperative piuttosto che non cooperative. I capitoli I, II, III, hanno avuto la funzione di scomporre ed illustrare i significati delle ipotesi 1), 2) e 3) per giungere poi alla formulazione della tesi centrale, dimostrata sperimentalmente nel capitolo IV.

Il capitolo I è iniziato con la presentazione del quadro teorico della

Embodied Cognition che negli ultimi decenni ha riscosso un grande successo

all’interno delle Scienze Cognitive. La Embodied Cognition argomenta a favore di un coinvolgimento del sistema senso-motorio in processi cognitivi di alto livello. L’ipotesi 1) si inserisce perfettamente in tale prospettiva e, per questo motivo, il capitolo I ha introdotto il significato di alcuni concetti che appartengono alla Embodied Cognition e che sono stati oggetto di riflessione nel corso della tesi. La conoscenza di tipo embodied è un quadro interpretativo impiegato anche in ambito neuroscientifico per spiegare alcune delle più recenti scoperte in neuroscienze (neuroni specchio e neuroni canoni), che supportano l’ipotesi che i processi senso-motori abbiano un ruolo centrale nella formazione di processi cognitivi di alto livello. Il capitolo I è proseguito con l’illustrazione delle suddette scoperte e con la spiegazione dei motivi per cui l’approccio embodied è

stato adoperato anche all’interno delle scienze cognitive sociali sotto il nome di

Embodied Social Cognition. L’ipotesi 3) che sostiene che lo spazio senso-motorio

varia in funzione delle diverse modalità di interazione sociale, si avvicina solo in parte a questo filone di ricerca. Il capitolo si è concluso illustrando le ragioni per le quali si mantiene una distanza critica. In primo luogo, la presente ricerca assume che le relazioni spaziali tra individui siano strutturalmente significative poiché definiscono le dinamiche sociali. Al contrario, gli studi sulla cognizione sociale incarnata non fanno alcun accenno alla percezione di uno spazio condiviso da due o più persone e si concentrano invece sulle azioni di coordinazione, sulla attenzione congiunta e sul sistema dei neuroni specchio. Anche quando i sostenitori della embodied cognition fanno riferimento allo spazio del “noi” durante una interazione, lo studio della percezione spaziale viene completamente omesso. Si è evidenziata la stessa mancanza anche sul fronte neuroscientifico dove le ricerche sono incentrate sulla rappresentazione del proprio corpo e ben poco si conosce sulla rappresentazione spaziale tra se stessi e l’Altro. In secondo luogo, si è scelto di affrontare da un’altra prospettiva la domanda sul possibile legame tra competenze motorie di basso livello e competenze sociali di alto livello. Infatti, si è ritenuto problematico il fatto di concentrarsi su azioni motorie per dimostrare che su di esse si fonda la cognizione sociale. Si è preferito invertire la direzione di indagine e considerare interazioni sociali complesse come, ad esempio, quelle strategiche proposte dalla Game Theory. Il fine proposto non è quello di stabilire una relazione di causalità dalle competenze motorie verso quelle sociali, quanto piuttosto verificare se sia possibile ridurre il gap tra due abilità (senso-motorie e sociali), considerate fino ad oggi molto distanti.

L’ipotesi 2) verte sullo spazio come percezione soggettiva ed è stata approfondita dal capitolo II grazie alla analisi di Kant sugli omologhi incongruenti e di Husserl sulla costituzione della cosa spaziale attraverso i decorsi percettivi che si offrono in rapporto alla attività cinestetica. Il capitolo II ha anche rielaborato al livello filosofico l’ipotesi 1). Esso muove da una rilettura del pensiero di Kant partendo dagli scritti del periodo pre-critico, nello specifico quello del 1768 dove compare per la prima volta il tema della differenza interna

tra mano destra e sinistra che serve ad orientarsi nello spazio. Sono stati poi presentati gli scritti del pensiero successivo nei quali riaffiora il medesimo paradosso, fino a giungere allo scritto del 1785 dove il filosofo tedesco estende la possibilità di orientarsi geograficamente alla possibilità di orientarsi nel pensiero. Dunque, ripercorrere la riflessione di Kant sugli omologhi incongruenti è servito ad evidenziare alcuni passaggi filosofici dove si intravede una continuità tra l’attività senso-motoria e l’attività mentale. La stessa ipotesi di continuità è supportata da Husserl quando parla di spazio intuitivo e spazio geometrico, mostrando come quest’ultimo sia una elaborazione logica delle strutture fondamentali del primo. Si è visto che nell’attività cinestetica il soggetto si trova ad operare come “io posso” e questo evento è diventato il punto di partenza per argomentare filosoficamente a favore della ipotesi 3). Infatti, l’io posso della cinestesi ha fornito uno strumento per pensare ad una fenomenologia dello spazio intersoggettivo. Infatti, se è vero che l’ io posso della attività cinestetica è fondativo della strutturazione spaziale, allora una limitazione o una estensione delle possibilità di azione personale per mano di altri soggetti dovrebbe poter modularne la rappresentazione. Il capitolo III ha portato questa riflessione sul piano biologico e psicologico.

Il capitolo III ha preso come autore di riferimento Piaget, la cui riflessione ha trasferito e sviluppato sul piano psicologico osservazioni e concetti che prendono le mosse dagli studi sulla biologia. I principi da cui parte Piaget sono l’interazionismo tra uomo e ambiente e la continuità funzionale tra pensiero ed azione. La spiegazione dei due principi hanno consentito di approfondire e trattare da un altro punto di vista concetti-chiave dell’Embodied Cognition (per esempio, il rapporto co-costituvo tra percezione e azione e tra uomo e ambiente). Si è poi proposta una re-interpretazione dei due suddetti principi. L’interazionismo tra uomo e ambiente è stato esteso all’ambiente sociale e la continuità funzionale tra pensiero e azione è stata riletta e sviluppata in senso sincronico piuttosto che diacronico. Infine, la definizione piagetiana di spazio senso-motorio come “forma” di comportamento ha consentito di introdurre l’ipotesi che esso sia plastico e che si moduli in funzione della interazione con l’ambiente. Poiché

l’ambiente è caratterizzato socialmente si è ipotizzato che esso possa variare in funzione dei comportamenti soggettivi. Si è inteso per “comportamento intersoggettivo” sia la interazione visiva, sia quella cooperativa versus quella non cooperativa. Le due suddette ipotesi sono state verificate sperimentalmente nel capitolo IV.

Il capitolo IV ha analizzato le proprietà funzionali che sono state attribuite allo spazio peripersonale. Fino ad oggi, vi è stato un consenso generale sul fatto che PPS sia uno spazio di azione, concepito come “interfaccia motorio” tra individuo e ambiente, le cui proprietà riguardano i meccanismi di difesa e di raggiungimento di oggetti. Si tratta, dunque, di processi impliciti di basso livello (low-level processing) che non richiedono alcuna elaborazione riflessiva e che servono alla sopravvivenza nel proprio habitat.

L'ipotesi sperimentale ha proposto di concepire lo spazio sensori-motorio e, nello specifico, lo spazio peripersonale, come «forma» dei comportamenti intersoggettivi. Gli esperimenti 1,2,3 hanno confermato che vi è una correlazione tra interazioni sociali e la percezione dello spazio intorno al corpo. Si è dunque concluso che è legittimo considerare lo spazio peripersonale, non solo come uno “spazio di azione” relativo al soggetto, ma anche come uno spazio di inter-azione relativo a due o più soggetti. Inoltre, se si parte dalla definizione di PPS come “spazio di azione” body-centered, allora bisogna considerare che le azioni di un soggetto sono sempre rivolte verso l'esterno, dove si trovano conspecifici. Ne consegue che è perfettamente coerente pensare che PPS (in quanto “spazio di azione tra individui”) possa avere una funzione anche nelle scelte morali che abitualmente sono compiute da agenti umani durante una interazione.

Una vasta letteratura considera le scelte cooperative per un mutuo vantaggio alla stessa stregua delle scelte morali. Il prossimo paragrafo approfondirà questo tema, arrivando ad ipotizzare che PPS abbia una rilevanza anche nell'ambito della

filosofia morale.