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Conclusioni »

Nel documento Conflitto colombiano: conflitto postmoderno? (pagine 107-113)

1. Guerre civili nell'era della globalizzazione »

2.5. Conclusioni »

Partendo da questa breve esposizione della storia e dei tratti fondamentali di questi principali attori armati, cerchiamo di inquadrare il conflitto seguendo gli spunti teorici precedentemente esposti. Le posizioni di coloro che criticano le analisi basate sulla netta contrapposizione tra “vecchi” e “nuovi” conflitti ci aiutano a evitare banali e sempliciste semplificazioni del conflitto colombiano. Il caso in esame secondo noi non è riconducibile a una simile categorizzazione per una serie di ragioni: la prima, forse la più banale, riguarda la lunga durata del conflitto; secondo, sono evidenti, in molti aspetti del conflitto, non solo le trasformazioni che ha subito nel tempo ma anche le continuità; terzo, l'estrema razionalità che ha accompagnato e accompagna l'azione degli attori armati.

Se da una parte è assolutamente indiscutibile che soprattutto il narcotraffico, a partire dagli anni '80, è divenuto il principale combustibile sia delle Farc che delle organizzazioni paramilitari, non è ragionevole bollare il conflitto come alimentato esclusivamente da interessi privati e criminali. Questa è la lettura che a partire dal 2001, in seguito all'attentato dell'11 settembre a New York, viene invece sposata dall'establishment statunitense e di conseguenza da quello colombiano240. Da quel momento inizia la

240 Data la particolare congiuntura internazionale sia gli Usa e poi la Ue inseriscono questi gruppi illegali (Farc, Eln e AUC) nella lista delle organizzazioni terroriste. Vedi il “2001 Report Foreign Terrorist Organizations” del 5 ottobre 2001 pubblicato

lotta al “narcoterrorismo” eliminando la storica distinzione che gli stessi USA fino a quel momento facevano tra guerra alla droga e guerra controinsurgente241.

In proposito è emblematica la strategia comunicativa portata avanti dal governo Uribe nei quattro anni del suo primo mandato (2002-2006) attraverso la quale si negava l’esistenza stessa di un conflitto armato interno nel paese. Il conflitto fu abilmente riconcettualizzato: non veniva più presentato come frutto di rivendicazioni sociali, politiche e economiche di una insurgenza armata bensì come “guerra contro la società” portata avanti da gruppi terroristi di sinistra e di destra. Le implicazioni di tale riformulazione concettuale sono evidenti dal momento che omette di riconoscere le profonde radici storiche e sociali degli attori armati242.

Non si parla più, dunque, di scontro politico ma solo di minaccia terrorista: si da il via cioè a una semplificazione del fenomeno che, secondo molti analisti, è deleteria al fine di trovare una soluzione reale al conflitto perchè escluderebbe a priori la possibilità di dialogo e negoziazione.

Come abbiamo potuto notare, sia i guerriglieri che i paramilitari, anche se in maniera differente, non solo fondano la loro azione su

dall'Ufficio del Direttore del Controterrorismo del Dipartimento di Stato, Washington.

241 Secondo Rojas D.M., gli Usa hanno svolto u n ruolo fondamentale in questo cambiamento della dinamica del conflitto colombiano (vedi il suo saggio “Estados Unidos y la guerra en Colombia” in AA.VV., Nuestra guerra sin nombre, op. cit, 2006). Nella seconda metà degli anni '90 gli USA, per evitare che il paese si trasformi in una “narcodemocrazia”, mettono a punto una strategia di aiuto che si concretizza nel Plan Colombia. Si trattò di ingenti finanziamenti al governo colombiano al fine di combattere il narcotraffico e incentivare lo sviluppo economico e sociale del paese. A partire dal 2002 Bush ha autorizzato l'uso dei fondi anche per combattere la “narcoguerriglia”.

242 Chernick M., op. cit., 2008, pag. 33-34.

un discorso politico, ma di fatto si presentano come vere e proprie organizzazioni “proto-statali” che, all'interno dei territori sotto il loro controllo, svolgono tutte quelle funzioni, quali quelle dell'ordine e della giustizia, che dovrebbero essere prerogativa assoluta delle istituzioni statali. Pensiamo solamente all'appoggio indiscusso che ricevono dalle popolazioni che vivono sotto il loro controllo e hanno nella coltivazione della coca la loro unica fonte di sussistenza.

Le FARC, da parte loro, come abbiamo visto, mantengono intatto e con coerenza da più di quarant'anni (per quanto anacronistico)243 il loro discorso politico ed è evidente come i proventi delle attività illegali siano da considerare mezzi e non fini della loro azione. La riprova di quest'affermazione è riscontrabile nella rigida disciplina militarista che ancora oggi è la spina dorsale di quest'enorme organizzazione guerrigliera e che ci porta a escludere qualsiasi movente riferibile alla bramosia e al desiderio di arricchimento personale sia dei suoi militanti che dei suoi leader storici. Basti pensare al solo fatto che i militanti non percepiscono una paga244 e che da sempre i fondatori e leader delle Farc dedicano la loro vita alla lotta relegati nella selva colombiana245.

Anche per quanto concerne il fenomeno paramilitare, nonostante

243 In proposito è esplicito il titolo di uno dei principali studi sulla guerriglia di Pizarro dal titolo Insurgencia sin revolucion (Insurgenza senza rivoluzione) edito da Tercer Mundo Editores, Bogotà, 1996.

244 Interessante è la testimonianza di un ex-guerrigliero delle Farc riportata da Càrdenas J.A. nel suo libro Los parias de la guerra, (Càrdenas, op. cit., 2005) in cui afferma: “[...]credo che le Farc devono esserci sempre perchè sono le più giuste [...]durante la zona di distensione crescerono, si riempirono di soldi e armi, ma al guerrigliero semplice, interno e esterno, non gli dettero soldi...”, p. 182, (tr. nostra). 245 Lo prova il recente assassinio il 1° marzo 2008 di Luis Edgar Devia (Raul Reyes),

la voce più autorevole tra i leader che compongono il Segretariato della Farc, durante un attacco delle forze militari colombiane a un accampamento del gruppo guerrigliero in territorio ecuatoriano al confine con la Colombia.

il suo stretto legame con il narcotraffico, è indubbio che sia il frutto della ribellione e dell'appoggio di alcune fasce della società, nonché dello stesso Stato anche se in modo ambiguo, in funzione controinsurgente e in difesa dello status quo246. Un aspetto inoltre da non sottovalutare è il vasto appoggio popolare che hanno in molte parti del paese sotto il loro controllo.

Voler leggere a tutti i costi il conflitto colombiano come un “nuovo” conflitto in cui le cause scatenanti sono esclusivamente di natura economica, predatoria e criminale e il cui unico obiettivo è la popolazione civile, significa non tener conto di mezzo secolo di storia del paese. Concordiamo con Pécaut quando parla di “guerra contro la società”247 dal momento che è indubbio che all'interno di un paese distrutto da una guerra che dura da più di quarant'anni la principale vittima è ovviamente la popolazione civile, ma è anche giusto sottolineare che i protagonisti degli scontri armati diretti continuano ad essere lo Stato, la guerriglia e i paramilitari. Queste due formazioni illegali hanno mostrato negli anni enormi capacità non solo di adeguarsi con successo alle nuove dinamiche scaturite dal processo di globalizzazione, sia nella sfera economica che delle comunicazioni, ma anche di sfruttare tutte le opportunità a livello interno per imporre il loro controllo su vaste zone del paese in cui

246 Come confermano tutti gli analisti del fenomeno tra i quali i già citati Romero e Duncan.

247 Vedi Pécaut D., Guerra contra la sociedad, Editorial Planeta colmbiana, Bogotà, 2001. E' interessante sottolineare come lo stesso Pécaut, nel suo libro già citato

Crònica de cuatro décadas de polìtica colombiana (2006), nonostante concordi con

molti analisti delle “nuove guerre” nel riscontrare indiscutibili elementi di novità come le motivazioni predatorie e l'individuazione della popolazione civile come principale bersaglio della violenza, sottolinea comunque negli attuali conflitti un contenuto politico. Secondo l'autore, infatti, la generale minore incidenza “ideologica” deve essere piuttosto letta all'interno del più ampio processo di ‘disincantamento’ dalla politica che caratterizza la nostra epoca a livello globale.

era scarsa o pressocchè nulla la presenza dello Stato248. Questa estrema razionalità e adattabilità mostrata da entrambi gli attori illegali su tutti i livelli (economico, militare e politico) ci porta allora ad accogliere per il caso colombiano la definizione di conflitto postmoderno: al suo interno, seguendo Duffield, si è dato vita ad un complesso sistema a rete che non è riducibile esclusivamente a concetti quali quelli di terrorismo e criminalità. Un simile errore di valutazione rischierebbe di incidere negativamente nella ricerca di una reale e duratura soluzione al lungo conflitto che, da così tanto tempo, lacera la società colombiana.

248 In proposito vedi Sanchez F. e Chacòn M., op.cit., 2006.

III parte

Conflitto e società civile

Santuari “postmoderni”: il caso della Comunità di pace di San Josè de Apartadò

3. Conflitto e popolazione civile

Il coinvolgimento sempre più crescente della popolazione civile nei conflitti contemporanei è un dato incontrovertibile. Omicidi, pulizie etniche, massacri, sfollamenti forzati sono il risultato di una nuova forma “postmoderna” di condurre le “nuove” guerre. La popolazione civile, qualunque sia il ruolo ricoperto in una data circostanza (bersaglio piuttosto che collaboratore degli attori armati), è da considerarsi come uno degli attori fondamentali all'interno di un conflitto. Definire la popolazione civile come “attore” di un conflitto significa prendere le distanze da una tendenza generale e ormai diffusa che assegna alla popolazione civile esclusivamente l'etichetta di unica e indiscussa vittima della estesa ondata di irrazionale violenza. Con ciò non si intende misconoscere o sottovalutare le violenze e le ingiustizie subite da milioni di persone innocenti e inermi durante guerre e conflitti di

ogni genere, significa però riconoscerne la razionalità e la volontà. “Actòre”, dal verbo latino àgere (operare, mettere in moto), è infatti colui che opera, che agisce e dunque ci suggerisce una visione attiva e positiva del soggetto contrapposta a quella di totale passività propria del concetto di vittima.

Ed è proprio a partire da tale prospettiva che intendiamo studiare il ruolo della società civile all'interno di conflitti violenti. Attraverso l'analisi di un caso studio, nello specifico il caso di una Comunità di Pace colombiana, tenteremo di dimostrare la validità di un simile approccio incentrato sulla razionalità e capacità della popolazione civile di proporsi come “soggetto” e non come “oggetto” delle dinamiche violente.

Nel documento Conflitto colombiano: conflitto postmoderno? (pagine 107-113)