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Il Patronage »

Nel documento Conflitto colombiano: conflitto postmoderno? (pagine 171-182)

1. Guerre civili nell'era della globalizzazione »

3.3. LZOPs: il caso della Comunità di pace di San Josè

3.3.3. Il Patronage »

In Colombia, e in particolare come abbiamo visto nella regione di Urabà, la violenza è diffusa e non sempre identificabile in maniera immediata e di conseguenza forme di protezione della popolazione civile “esterne” assumono una particolare importanza. In primo luogo per la difesa fisica in occasione di attacchi diretti da parte degli attori armati e in secondo luogo per supportare strategie di resistenza nel lungo periodo. In simili esperienze abbiamo evidenziato l’importanza dei fattori coesione e organizzazione all’interno della comunità che riteniamo siano indispensabili ma non sufficienti per garantire la durata e l’efficacia del processo di protezione. Nel caso della Comunità di Pace di San Josè de Apartadò l’importanza del patronage è ancora più evidente dal momento che la pesante stigmatizzazione di cui è vittima, soprattutto da parte delle istituzioni governative, ha reso il processo di resistenza ancora più difficile e pericoloso rispetto a altre

esperienze simili presenti nel paese375. L’accompagnamento e il supporto da parte di organizzazioni nazionali e estere ha comportato una sempre più crescente visibilizzazione di questa local zone of peace a livello internazionale e di conseguenza ne ha permesso la stessa sopravvivenza. La risonanza ottenuta a livello internazionale ha effettivamente ridotto gli atti di violenza contro la comunità negli ultimi anni anche se il processo prosegue tuttora in un clima di intimidazioni e forti pressioni psicologiche376.

Si potrebbe affermare che queste organizzazioni svolgono un fondamentale ruolo di collegamento configurandosi come una sorta di trait d’union tra i membri della comunità e quindi tra il processo bottom up e quello top down, attivato cioè dalle alte sfere politiche. Lederach, uno dei maggiori studiosi della conflict transformation377, in merito al processo di costruzione della pace mette in evidenza proprio l’importanza della compresenza di entrambi i processi dall’alto e dal basso378. In particolare sottolinea

375 Sulla stigmatizzazione della Comunità di Pace rimandiamo al par. 3.3.2 del presente lavoro. Il riconoscimento di tale posizione di ostilità da parte del governo è anche confermata all’interno di una nota informativa dalla stessa Defensorìa del Pueblo, ufficio governativo istituito per difendere i diritti delle popolazioni vittime di persecuzioni e violazioni. Vedi Defensoria del Pueblo, op. cit., 2008.

376 Defensoria del pueblo, op. cit. 2008.

377 La conflict transformation appartiene a quel filone di studi sui conflitti e la ricerca della pace che mette in discussione l’approccio cosiddetto della conflict resolution (Azar e Burton 1986). L’accento posto sul concetto di “trasformazione” piuttosto che di “risoluzione” non si limita a riconoscere la natura inevitabile e costruttiva del conflitto ma pone l’accento sull’aspetto dinamico del processo e sulla necessità di incidere profondamente su tutti gli aspetti della società. Tra gli autori che hanno maggiormente contribuito allo svuluppo di tale approccio citiamo Lederach, Miall, Galtung, Vayrynen, Rupesinghe, ecc.

378 Lederach J. P., Preparing for Peace. Conflict Transformation Across Cultures, Syracuse University Press, Syracuse NY, 1996 e dello stesso autore Building Peace.

Sustainable Reconciliation in Divided Societes, United States Institute of Peace,

Washington, 1997 e The Little Book of Conflict Transformation, Good Books, USA, 2003. Un altro importante esponente di questo filone di studi è Miall Hugh che sottolinea l’importanza del coinvolgimento di diversi attori all’interno di un processo di trasformazione del conflitto. Egli suddivide gli attori in quattro gruppi: 1) stati e organizzazioni intergovernative; 2) organizzazioni umanitarie e dello

come il processo di trasformazione del conflitto si configuri come un processo graduale, di lungo termine, che deve necessariamente includere anche coloro che sono direttamente coinvolti nel conflitto379. Ogni attore, sia interno che esterno, svolge infatti una funzione specifica e complementare e quella ricoperta dalle varie organizzazioni non governative potrebbe allora essere considerata come una vera e propria funzione “ponte”. Nel caso della Comunità di pace di San Josè de Apartadò tale ruolo si esplicita sostanzialmente attraverso un duplice percorso: da una parte viene supportata la popolazione nella creazione di propri meccanismi di protezione e dall’altra si svolge un’azione di pressione sulle istituzioni nazionali e internazionali.

Come abbiamo visto in precedenza, al momento della proclamazione ufficiale della Comunità di Pace, la popolazione fu supportata dalla Diocesi di Apartadò. Anzi fu proprio la Diocesi, rappresentata da Padre Leonida Moreno, a suggerire alla comunità di intraprendere questa strategia alternativa di resistenza e di appoggiarla fin dall’inizio per far fronte allo sfollamento forzato e alle violenze di cui era vittima. A collaborare attivamente a questa iniziativa fu anche un’associazione indipendente olandese, Pax Christi Netherlands, presente nella zona fin dagli anni ’80 per contribuire al processo di mediazione e dialogo tra gli attori armati. Anche il supporto dato da questa associazione alla neonata Comunità di Pace fu di fondamentale importanza per i suoi sforzi orientati a reperire fondi a sostegno dell’iniziativa e soprattutto al

sviluppo; 3) ONG internazionali che si occupano di prevenzione e trasformazione di conflitti; 4) partecipanti al conflitto o altri gruppi rilevanti all’interno delle società colpite (vedi Miall H., Ramsbotham O., Wodhouse T., Contemporary Conflict

Resolution, Polity Press, Cambridge, 1999).

379 Lederach J. P., op. cit., 1996.

fine di contribuire alla creazione di una sorta di Dipartimento dei diritti umani all’interno della Diocesi. Alla formazione e professionalizzazione del personale contribuì anche la già citata ONG colombiana Cinep380 che svolse anche la funzione di elaborazione del fondamento concettuale del progetto. Le attività svolte da tali organizzazioni soprattutto agli esordi del processo di resistenza rientrano quindi all’interno di quella prima importante funzione del patronage che abbiamo evidenziato in precedenza e che possiamo definire di “fornitura” degli strumenti base per l’avvio del progetto comunitario. Con questa espressione ci riferiamo in particolar modo alla presa di coscienza, sempre più crescente, da parte della popolazione dei propri diritti e soprattutto dell’apprendimento dei meccanismi adatti per poterli difendere, ciò che i teorici della conflict transformation definiscono empowerment degli attori interni. La conoscenza e la dimestichezza raggiunta rispetto a quelli che sono i valori fondamentali protetti dalla Costituzione del paese e dal diritto internazionale sono una delle armi più efficaci nelle mani dei membri della comunità.

La seconda, e forse più evidente, funzione svolta dal patronage è quella di garantire la maggior risonanza possibile all’iniziativa al fine di fare pressione sull’opinione pubblica e di conseguenza sulle istituzioni e organizzazioni nazionali e internazionali. Per esempio gli obiettivi principali dichiarati dall’associazione Pax Christi Netherlands sono quelli di monitorare in modo permanente la situazione colombiana per mantenere informata l’opinione pubblica europea e promuovere il supporto a livello internazionale di queste

380 Pax Christi Netherlands, Comunidades de paz; A local peace initiative in

Colombia. Evaluation of an experiment, Settembre 2000, documento consultabile

sul sito dell’associazione www.paxchristi.nl (u.c. 20/10/08).

iniziative locali di pace381. Il suo impegno, nello specifico caso della Comunità di Pace di San Josè de Apartadò, prevedeva fin dall’inizio una serie di precisi compiti così suddivisi: 1) sensibilizzare e diffusione dell’iniziativa presso il pubblico europeo e pressione sulle istituzioni olandesi e europee; 2) incoraggiare la presenza internazionale stimolando l’arrivo di altre ONG; 3) promozione e organizzazione di visite di delegazioni internazionali; 4) negoziare con gli attori armati382.

Tenere i riflettori accesi sulla Comunità di Pace è stato, ed è tuttora, l’unica possibilità per garantirne la sopravvivenza. Questa costante attenzione è assicurata attraverso due meccanismi attivati dalle organizzazioni coinvolte e che sono strettamente intrecciati tra loro: 1. l’accompagnamento e il monitoraggio sul territorio grazie alla presenza di osservatori internazionali; 2. l’attivazione di una serie di canali di comunicazione a livello internazionale. Tra le organizzazioni non governative maggiormente impegnate in questo senso citiamo la statunitense FOR – Fellowship of Reconciliation Colombia Program383 e la PBI – Peace Brigate International. La prima, attraverso l’attivazione nel 2002 del programma FOR-USA Colombia Peace Presence (CPP) ha inviato presso la Comunità dei volontari in qualità di osservatori dei diritti umani al fine di incrementare la sicurezza dei suoi membri e per fornirgli supporto morale. L’accompagnamento è stato garantito alla Comunità di San Josè fin dal 1998 anche dalle PBI, presenti con un team in Colombia già dal 1994 e attivi nell’accompagnamento anche di

381 Pax Christi Netherlands, Peace in Colombia; A matter of civil initiatives, International Delegation of Pax Christi Netherlands in Colombia (22 febbraio-10 marzo 2001).

382 Pax Christi Netherlands, op. cit., 2000.

383 Il sito ufficiale di questa organizzazione è www.forcolombia.org (u.c. 20/10/08).

altre Comunità384.

Nonostante le stesse organizzazioni ammettano che la capacità di dissuasione in contesti così complessi è complicata, riconoscono che la presenza internazionale sul territorio è riuscita nel suo intento di deterrenza. Gli attori armati hanno diminuito notevolmente il numero di attacchi diretti contro la Comunità per salvaguardare la loro immagine a livello internazionale385. L’eco e l’impatto internazionale, infatti, aumentano notevolmente i costi politici di eventuali trasgressioni. L’intento dissuasorio è infatti tanto più efficace quanto più è capace di provocare costi al trasgressore. Per ottenere questi effetti è importante che l’azione deterrente sia chiara e credibile e nel caso specifico degli osservatori internazionali sia capace di suscitare l’interesse internazionale sulla specifica situazione di conflitto e fare pressione sui governi e sulle organizzazioni internazionali perché intervengano attraverso risoluzioni e atti specifici. La “pressione internazionale” si configura quindi come una sorta di ‘dissuasione generale’ che comprende l’insieme degli attori coinvolti a tutti i livelli laddove invece l’azione degli osservatori è da intendersi come un’azione di ‘dissuasione immediata’ contro eventuali violazioni all’interno di uno specifico contesto e in dato momento386.

384 Informazioni su questa organizzazione e sulle sue numerose attività svolte in aree di conflitto sono reperibili sul suo sito ufficiale www.peacebrigades.org (u.c. 20/10/08).

385 In proposito un osservatore spagnolo presente nel Municipio di Apartadò dichiara: “L’effetto della presenza degli osservatori internazionali è duplice: è una forma di supporto psicologico alla Comunità di Pace ma è anche una forma di protezione. Gli attori armati non esitano a uccidere ma non gradiscono che si sappia a livello internazionale”, in Pax Christi Netherlands, op. cit., 2000, (trad. nostra).

386 Eguren Luis Enrique, “Los observadores internacionales como medio de intervención en conflictos: analisis y perspectivas”, Revista de Conflictologia, n.1,

Nella pratica l’azione di ‘dissuasione immediata’ si esplica prima di tutto con la presenza fisica degli osservatori che utilizzano segni e loghi distintivi facilmente riconoscibili e in secondo luogo grazie all’attivazione di una complessa rete di comunicazioni. L’importanza delle comunicazioni in queste situazioni è evidente sia per poter segnalare tempestivamente i casi di violazioni e per fare richiesta di soccorso che per documentare gli avvenimenti e diffondere tutte le informazioni inerenti la Comunità e la sua esperienza di resistenza. Assumono così importanza tutte le forme possibili di comunicazione, da quella interpersonale alle comunicazioni radiofoniche387, telefoniche ma soprattutto quelle che passano attraverso l’uso dei mass media tradizionali e elettronici388. Soprattutto la diffusione delle nuove tecnologie ha permesso lo sviluppo di canali alternativi a quelli ufficiali che hanno dato vita a una vera e propria controinformazione in rete. Su tali strategie comunicative si basano infatti i cosiddetti network di attivisti, oramai considerati uno degli attori centrali della comunicazione politica internazionale per la loro sempre più crescente capacità di produrre flussi di informazioni a livello transnazionale e influenzare i processi decisionali di Stati e

Barcellona, 2000.

387 La forma di comunicazione radiofonica è molto diffusa tra gli stessi membri della comunità data la difficoltà in queste nelle zone rurali poco sviluppate di disporre di altri mezzi di comunicazione. Le ‘radio comunitarie’ sono dei mezzi efficaci per la divulgazione a livello locale di messaggi inerenti gli obiettivi e le azioni intraprese dalla collettività svolgendo quindi anche un’importante funzione di coesione e legittimazione del processo di resistenza. La Comunidad de Paz de San Josè de Apartadò, per esempio, ha fondato la Radio Comunitaria Voces de Paz.

388 Il ruolo fondamentale dei mezzi di comunicazione in situazioni di conflitto è messo in evidenza anche dalla peace research che attraverso la formulazione della cosiddetta multi-track diplomacy considera tali mezzi (individuati nella nona track) come uno dei pilastri essenziali nell’attivazione di una strategia diplomatica che si affida anche a canali non ufficiali. Vedi in proposito Diamond L., McDonald J.,

Multi-Track Diplomacy: a systems Guide and Analysis, Grinnell, Iowa, The Iowa

Peace Institute,1991.

organismi internazionali389.

Attraverso il patronage, quindi, l’esperienza comunitaria trascende la sua dimensione locale grazie alla creazione di un

nuovo “luogo” in cui è resa “visibile” alla comunità internazionale. La Comunità di Pace di San Josè de Apartadò oltre che disporre di un proprio sito web ufficiale390, ricco di informazioni e immagini sulla comunità stessa, è infatti una delle esperienze di resistenza civile nonviolenta più conosciute e citate nei siti che si occupano di queste tematiche391.

Grazie alla costante e diffusa divulgazione delle informazioni inerenti questa particolare esperienza la comunità internazionale da anni fa pressione sul governo colombiano perché attui dei provvedimenti per garantire sicurezza e giustizia392. La Corte Interamericana dei Diritti Umani393 ha emanato diverse risoluzioni in cui invita lo Stato colombiano ad adottare le misure necessarie e efficaci per garantire la vita e l’integrità personale di tutti i membri

389 Zaretti A., Comunicazione politica e società globalizzata, Philos Edizioni, Roma, 2005.

390 Il sito ufficiale della Comunità è www.cdpsanjose.org (u.c. 20/10/08)

391 Il caso della Comunità di Pace di San Josè de Apartadò è ormai conosciuto a livello internazionale tanto che digitando il suo nome sui maggiori motori di ricerca del web viene citato in centinaia di siti. Addirittura è presente la voce nella ormai nota Enciclopedia virtuale Wikipedia in cui si fa esplicito riferimento al massacro di otto membri della Comunità avvenuto nel febbraio del 2005 (“San Josè de Apartado massacre” in www.wikipedia.org , u.c. 20/10/08). In Italia l’esperienza di questa Comunità è conosciuta soprattutto grazie all’opera di sensibilizzazione e denuncia portata avanti dal Comune di Narni e dalla Onlus Rete Italiana di Solidarietà con le

Comunità di Pace attraverso l’organizzazione di incontri e forum internazionali.

392 L’UNHCR, l’Alto Commissariato ONU per i Diritti umani, così come Amnesty International, denunciano costantemente le violazioni ai diritti umani di cui sono vittima i membri della Comunità di Pace di San Josè de Apartadò.

393 La Corte Interamericana dei Diritti Umani è un tribunale internazionale a carattere regionale volto alla difesa dei diritti umani che ha giurisdizione all’interno del continente americano per gli stati che hanno ratificato la Convenzione Americana dei Diritti Umani. Quest’ultima è entrata in vigore il 18 luglio 1978 ed è stata ratificata da 25 paesi tra cui lo Stato colombiano.

della Comunità di Pace e garantire giustizia per tutti i reati subiti394. Anche la Corte Costituzionale colombiana si è pronunciata a favore della Comunità riconoscendo la legittimità del processo di resistenza pacifica e obbligando lo Stato colombiano ad adempiere alle misure cautelari formulate dalla Corte Interamericana dei Diritti Umani395.

Il ruolo del patronage nonostante la sua vitale importanza per questo processo di protezione della popolazione civile coinvolta in un conflitto, non è esente da critiche e difficoltà. Negli ultimi anni si è sviluppato un filone di pensiero alquanto critico nei confronti dell’intervento umanitario che ne mette in risalto le numerose ambiguità: propensione ad agire secondo una logica di impresa e business tipica del settore privato, asservimento istituzionale con conseguente perdita di autonomia396 e fonte di una vasta gamma di “effetti perversi”397. Proprio la carenza di indipendenza di queste

394 La Corte Interamericana dei Diritti Umani ha emanato ben otto risoluzioni sul caso specifico della Comunità di Pace di San Josè de Apartadò: la prima risale al 9 ottobre del 2000 e l’ultima è del 6 febbraio 2008. Tutte le risoluzioni sono consultabili all’interno del sito ufficiale della Corte www.corteidh.or.cr (u.c. 20/10/08)

395 La Corte Costituzionale colombiana si è pronunciata su questo aspetto mediante la sentenza T327/2004, ma sul caso della Comunità di San Josè ha emanato numerose altre sentenze tra cui la T1025/2007 in cui obbliga il Ministero della Difesa a facilitare le investigazioni sui reati e sulle violazioni subite dalla Comunità negli anni 2005 e 2006 e in particolare facilitare l’investigazione anche del personale militare e di polizia coinvolti nei fatti.

396 Sulla critica agli aiuti umanitari vedi Marcon G., Le ambiguità degli aiuti

umanitari. Indagine critica sul terzo settore, Feltrinelli, Milano, 2002 e Bazzocchi, La balcanizzazione dello sviluppo, Il Ponte, Bologna, 2003.

397 Con l’espressione “effetti perversi”, seguendo Boudon, si intendono le conseguenze inattese di un’azione sociale (Boudon R., Effets perverse et ordre social, Puf, Parigi, 1977). Con riferimento a questo particolare aspetto Maniscalco chiarisce come, nel caso degli interventi umanitari, tali ripercussioni inintenzionali possono andare dalla creazione di dipendenza nei confronti dell’aiuto da parte dei popoli in difficoltà con conseguente inibizione dello sviluppo autoctono, alla involontaria “sovvenzione” agli attori armati, fino a una vera e propria “occidentalizzazione umnanitaria” con l’imposizione esterna di una specifica visione del mondo. Vedi Maniscalco M.L. La pace in rivolta, Franco Angeli, Milano, 2008. In proposito vedi anche il testo di Antonelli, L’Illusione di Prometeo. Conflitto e post-conflict nella

organizzazioni non governative e internazionali hanno trasformato l’aiuto umanitario, come afferma Duffield, in una vera e propria “tecnica politica di controllo”398. Sono divenute, cioè, uno strumento nella mani del sistema occidentale per portare avanti programmi di assistenza che rientrano nel nuovo paradigma della sicurezza. Le emergenze complesse, gli Stati fallimentari, i conflitti, il sottosviluppo, sono infatti letti come una minaccia all’ordine globale e soprattutto vengono concepiti come una fase transitoria e irrazionale verso un inevitabile assetto liberal-democratico399. La nuova governance globale si fonda, quindi, su una stretta connessione tra i concetti di sviluppo e sicurezza e il sistema umanitario viene strumentalizzato all’interno di questa azione di controllo esercitata dal centro sulla periferia. All’interno della sua ampia riflessione critica Duffield sottolinea anche l’emergere di una sorta di ‘schizofrenia’ dei governi che da una parte sono responsabili dello scoppio di guerre e conflitti e dall’altra partecipano attivamente nel settore degli aiuti umanitari e ai processi di risoluzione dei conflitti400. Nel caso colombiano questo atteggiamento contradditorio è particolarmente evidente: si avviano programmi per la difesa e la promozione dei Diritti umani e il rispetto del Diritto Umanitario Internazionale401 e

crisi dell’Occidente (Rubettino Editore, Soveria Mannelli, 2007) che compie una

analisi critica degli interventi della comunità internazionale in aree di crisi attraverso uno studio comparato dei casi bosniaco e afghano.

398 Duffield, op. cit., 2004.

399 Rispetto alla riflessione di Duffield sull’argomento rimandiamo al paragrafo 1.4 del presente lavoro.

400 Duffield M., “NGO Relief in War Zones: Towards an Analysis of the New Aid Paradigm” in Third World Quarterly 18(3), 1997b, pp. 527-42.

401 Il governo colombiano ha avviato un programma per la protezione dei Diritti umani e del DIU denominato Programa Presidencial de Derechos Humanos y Derecho

Internacional Humanitario. I dettagli sono consultabili nel sito ufficiale del Governo

colombiano alla pagina www.derechoshumanos.gov.co

contemporaneamente le Forze Armate continuano ad avere pesanti responsabilità sul continuo sfollamento forzato. Nel caso specifico della Comunità di San Josè, come abbiamo visto, queste responsabilità sono ancora più gravi data l’implicazione, accertata in sede giudiziaria, di membri dell’Esercito nel massacro di otto persone del 2005. Queste forti contraddizioni che caratterizzano l’azione dello Stato sono alla radice non solo della scelta della Comunità di Pace di rifiutare la presenza statale, ma anche dell’esistenza di visioni conflittuali all’interno dello spazio umanitario. Alcune ONG e l’UNHCR seguono una politica di supporto di queste popolazioni fondata sul principio del rafforzamento dello Stato laddove altre organizzazioni, come per esempio Justicia y Paz e la stessa Diocesi di Apartadò, mirano a rafforzare le strutture comunitarie. Le prime propendono per processi di peacebuilding dall’alto mentre le seconde incentivano i processi di pacificazione dal basso coinvolgendo direttamente la popolazione locale402.

Secondo alcuni la decisione della Comunità di Pace di autodeterminarsi può alimentare un processo di “deistituzionalizzazione” dal momento che pretende di portare avanti il suo progetto escludendo totalmente lo Stato403. Simili posizioni, però, non solo non tengono in debito conto la

402 Sanford Victoria, “EYEWITNESS: Peacebuilding in a War Zone: The case of Colombian Peace Communities” in International Peacekeeping, 10:2, 107-118, 2003.

403 Vedi in proposito Rueda Mallarino (op. cit. 2003) che nel suo studio mette a

Nel documento Conflitto colombiano: conflitto postmoderno? (pagine 171-182)