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CONCLUSIONI LE OLIMPIADI COME CALEIDOSCOPIO DI VALORI.

Alla luce della ricerca effettuata si possono individuare alcuni punti fonda- mentali che caratterizzano la comunicazione Olimpica sul piano visivo, pro- gettuale e del significato, sia in generale sia nelle edizioni giapponesi.

Da un punto di vista storico ed economico, l’evoluzione del design Olimpi- co è passata attraverso quattro fasi:

• un periodo iniziale, caratterizzato dalla definizione dei valori e da una co- municazione marcatamente sfaccettata. Se gli elementi come il marchio olimpico e il motto sono stati ideati sin dai primi anni e restano validi fi- no ai giorni nostri, le comunicazioni relative alle singole Olimpiadi non mo- strano una coerenza interna. Gli unici Giochi dall’identità coerente sono quelli di Berlino 1936, poiché aderivano ad un più ampio progetto di propa- ganda politica minuziosamente studiato dal regime nazista;

• negli anni successivi alla Seconda Guerra Mondiale si acquisisce una maggiore consapevolezza progettuale, che si traduce in una più accen- tuata coerenza fra i vari artefatti comunicativi. Negli anni Cinquanta e Ses- santa la crescita economica ha portato a sviluppare la Corporate Identity come strumento per raggiungere la massima riconoscibilità: le Olimpia- di, che si rivolgono a un pubblico vasto e internazionale, hanno impiegato questo mezzo per promuovere efficacemente i propri valori e per coprire i costi di un evento di scala sempre più significativa;

• un periodo che va dalla fine degli anni Sessanta alla metà degli anni Ot- tanta. La corporate identity assume nelle singole edizioni il ruolo di stan- dard comunicativo, tuttavia vengono a mancare gli ideali universalistici che avevano caratterizzato i primi anni Sessanta. Insieme a progetti mi- nuziosamente ponderati come quello di Monaco 1972, troviamo anche

Branding Japanese Olympics Conclusioni C om ité I nte rn ati on al O lym piq ue , A vis O ffi cie l – L es A nn ea ux O lym piq ue s, B ull eti n d u C om ité I nte rn ati on al O lym piq ue 6 0, 1 95 7, p . 8 1

espressioni neotradizionaliste che emergono di tanto in tanto in al- cuni artefatti (ad esempio il poster di Kuriyagawa per Sapporo 1972) o programmaticamente studiate come in Mexico 1968, dove i cano- ni della corporate identity si mescolano ad elementi tipici della cul- tura visiva locale;

• un quarto momento che va da Los Angeles 1984 fino ai giorni nostri. Tale edizione delle Olimpiadi ha rivoluzionato il concetto di comuni- cazione sia a causa della totale privatizzazione finanziaria, sia per l’i- conica identità visiva dei giochi e dell’allestimento delle infrastruttu- re. Da quel momento il CIO ha iniziato ad impiegare delle strategie di marketing sempre più oculate, stringendo degli accordi durevoli con gli sponsor e ponendo maggiore attenzione alla comunicazione visi- va grazie allʼOlympic Games Identification Project. Il branding olim- pico è diventato sempre più articolato per ben adattarsi ai diversi mezzi di comunicazione: la televisione prima di tutto (dati gli alti pro- fitti generati dalla vendita dei diritti) ma anche la rete, prima con i siti web e poi con i social network e i servizi di streaming.

Il metodo operativo con cui affrontare il progetto di identità si è evolu- to di pari passo con queste fasi. De Coubertin ha ideato il marchio del Movimento Olimpico nel 1913, tuttavia alcuni elementi quali i codici co- lore dei cerchi e la loro esatta configurazione non erano specificati. No- nostante fossero apparse delle linee guida sul Bollettino Olimpico n°60 del 1957,1 le modalità di controllo del marchio erano tutt’altro che scien- tifiche, basate maggiormente su una spiegazione testuale che su mo- delli geometrici e visivi.

In questo contesto le Olimpiadi Giapponesi introdussero una moda- lità di lavoro del tutto nuova, stabilendo sia uno standard per la ripro- duzione dei cinque cerchi che una vera e propria design policy cristal- lizzata nel Design Guide Sheet: un proto-manuale di branding. Da quel momento in poi la design direction divenne una pratica comune per le singole edizioni dei giochi, tuttavia per osservare dei sistemi di control- lo strategico del brand da parte del Movimento Olimpico stesso biso- gna aspettare fino agli anni Novanta. Solo dopo Los Angeles 1984 si iniziò a curare in modo più dettagliato l’immagine, prima con una lie- ve modifica nelle intersezioni degli anelli, in seguito con dei veri e pro- pri manuali di identità ad uso degli sponsor. Ad oggi vengono sviluppa- te le cosiddette media guide per chiarire l’uso delle proprietà olimpiche anche per gli operatori dei mass media che intendono coprire gli eventi

relativi ai Giochi.

Questa evoluzione, che riguarda sia la storia del design sia quella del Mo- vimento Olimpico, si intreccia con il contesto socio-culturale del Giappone, il quale ha comunicato la propria identità nazionale attraverso diverse edizio- ni dei Giochi.

Da un punto di vista generale, la nazione come comunità immaginata può essere considerata un concetto fluido: i cambiamenti nella comunicazione delle Olimpiadi sono un chiaro segno di come le nazioni ripensino se stesse e come le modalità del nazionalismo stesso cambino col passare del tempo.

La creazione dell’identità nazionale non è un processo totalmente consa- pevole: anche quando lo Stato promuove alcuni valori attraverso la propagan- da, si manifestano fenomeni di appropriazione e rielaborazione di ideali e for- me, che possono variare significativamente in base alla sensibilità individuale del progettista. Questo è il caso della comunicazione per Tokyo e Sapporo 1940: nonostante l’alleanza militare e la vicinanza ideologica del Giappone con l’asse tripartito, la convivenza di artefatti comunicativi dal gusto classi- cheggiante e di ispirazioni moderniste dimostrano come la cultura visiva oc- cidentale possa essere rielaborata e reimpiegata in contesti totalmente diver- si. Significativo l’uso di stilemi di ispirazione Bauhaus per veicolare messaggi nazionalisti, radicalmente opposti alla filosofia del movimento stesso.

Tokyo 1964 è il momento in cui la corporate identity di ispirazione moder- nista e le Olimpiadi si incontrano. Il Giappone, sconfitto nella guerra, intende dare una nuova immagine di sé al resto del mondo: in questa vasta operazio- ne comunicativa i Giochi Olimpici sono uno strumento fondamentale di pro- mozione internazionale. I valori di pace, innovazione tecnologica, sguardo ri- volto verso l’avvenire si condensano in un’identità visiva tesa ad armonizzare tradizione e contemporaneità. La cultura visiva giapponese non risulta infatti citata in modo pedissequo, ma viene esplicitamente posta in una relazione di continuità con i principi del buon design: viene dunque selezionata e ripropo- sta solo una parte della tradizione iconografica nazionale, ovvero quella dai caratteri più spiccatamente minimalisti. Vi è inoltre il desiderio di raggiunge- re uno stato di universalità del segno, un linguaggio non verbale comprensibi- le da tutti al di là delle barriere culturali. È significativa la nascita della figura del design director, che coordina dall’alto l’intero progetto comunicativo, ga- rantendone la coerenza formale.

Con l’arrivo degli anni Settanta la situazione cambia: nonostante in Sappo- ro 1972 venga ripreso coerentemente il progetto di Tokyo 1964, si inserisco- no nella comunicazione elementi neotradizionalisti o comunque divergenti

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rispetto ai criteri di progettazione modernista. L’individualità del progettista diventa un valore da recuperare in un panorama della comunicazione visiva che sembra eccessivamente piatto e standardizzato. L’ideale di creare un lin- guaggio visivo universalmente comprensibile inizia a sembrare irrealizzabi- le: occasioni come l’Expo di Osaka 1970, in cui i pittogrammi non risultavano comprensibili dalla popolazione rurale, hanno dimostrato che per leggere un qualsiasi tipo di immagine si necessita di un rispettivo strumento culturale.

Nagano 1998 si colloca in un contesto socio-economico inedito rispetto alle edizioni precedenti: da una parte il Giappone aveva trovato il suo posto tra le grandi potenze mondiali, dall’altro stava affrontando una crisi economi- ca non prevista al momento della candidatura. Non si sentiva più il bisogno di distanziarsi marcatamente dalla tradizione, e il neotradizionalismo era un aspetto in linea con il trend delle Olimpiadi degli anni Novanta. La maggiore attenzione al marketing e alla comunicazione da parte del Movimento Olim- pico ha portato all’impiego della disciplina del branding contemporaneo, un metodo progettuale che ha come focus la determinazione di valori a monte della comunicazione.

Nonostante il progetto di identità curato da Landor non abbia aspetti che richiamano la tradizione giapponese, quest’ultima è ampiamente presente in altri elementi della comunicazione come i poster, la cerimonia di apertura e artefatti come la torcia olimpica. Questa volta tuttavia la tradizione non vie- ne messa in continuità col presente come in Tokyo 1964, ma viene più sempli- cemente citata senza eccessive rielaborazioni. La crescita di complessità del progetto di identità delle Olimpiadi avviene in un mondo globalizzato e carat- terizzato dalla nascita di nuovi mezzi di comunicazione (Nagano 1998 è stata la prima edizione dei Giochi Invernali ad avere un sito internet): la vastità del progetto ha portato all’assenza di un’unico art director che garantisca una vi- sione di insieme.

Tokyo 2020 sembra avere uno sviluppo ancora meno organico. Il marchio è stato selezionato prima dei valori comunicativi e non è stato corredato con un progetto di branding come invece nel caso di Nagano. Le difficoltà orga- nizzative hanno minato l’immagine del Movimento Olimpico e del Giappone, mentre la crisi economica ha portato ad una maggiore incertezza nella popo- lazione, la quale si sente meno portata a celebrare un evento così dispendio- so. Nonostante tali avvenimenti, l’efficacia del progetto di comunicazione per Tokyo 2020 e il successo dei Giochi potranno essere verificati solo al momen- to del loro svolgimento.

L’innumerevole quantità di configurazioni con cui i valori di nazionalismo,

internazionalismo, universalismo e globalizzazione si sono manifestati nell’ambito delle Olimpiadi giapponesi ci dimostra come non vi sia un mo- dello unico per la comunicazione di tali principi. Elementi tradizionali ed ele- menti di innovazione hanno convissuto sin dall’inizio del Movimento Olimpi- co, costituendone un vero e proprio tratto distintivo. Questo caleidoscopio di valori è la ricetta del successo delle Olimpiadi, in quanto il pubblico e gli atleti possono riconoscersi sia in narrazioni di appartenenza nazionale, sia in valori universali che uniscono idealmente tutti gli esseri umani.

Rispetto ai quattro punti cardine individuati nella ricerca, è possibile indi- viduare una tendenza relativa allo sviluppo del design: in un primo momento gli ideali di universalismo e nazionalismo/internazionalismo erano vissuti co- me due aspetti contrastanti. Il particolare viveva con l’universale un rapporto di problematicità poiché era l’universale stesso a rappresentare un ideale pla- tonico. Le riflessioni fatte nel contesto della WoDeCo 1960 dimostrano il desi- derio di trovare un design universale in grado di trascendere le forme partico- lari e di essere valido in ogni contesto, tuttavia i progettisti stessi dichiarano che i legami con la tradizione siano inscindibili e che sia necessario trovare una qualche forma di convivenza tra i due poli.

In epoca contemporanea, tuttavia, non si può parlare di contrasto tra uni- versale e particolare, ma piuttosto di rapporto tra globale e locale. La differen- za sostanziale è in un punto: se l’universale è superiore e differente rispetto al particolare, il locale è una parte costitutiva del globale. Il binomio globale/ locale non è caratterizzato dunque dal contrasto, ma dall’appartenenza. Nei progetti di design entrano così a far parte elementi della tradizione, preesi- stenti all’ideazione del concept: il design olimpico accoglie elementi neotra- dizionalisti, i quali convivono con delle identità visive progettate secondo i criteri del branding contemporaneo. Tale processo avviene a discapito della coerenza visiva e concettuale, tuttavia la complessità del mondo globalizzato richiede una più profonda riflessione sul progetto di branding come elemen- to uniformante, e sull’identità stessa come appartenenza ad una comunità immaginata.

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