Giunti al termine di questo lavoro, non ci rimane che tirare le somme. Abbiamo innanzitutto cercato di rispondere alla domanda: “Chi era Lucio Anneo Seneca?” Dalla lettura completa delle sue opere in prosa ne è emerso il profilo di un uomo alla ricerca della migliore condotta di vita possibile, un uomo che tuttavia non sempre riuscì a mettere in pratica i suoi propositi. Sicuramente fu un protagonista all’interno del mondo romano: un filosofo che, dopo un terribile periodo di esilio, riconquistò la ribalta e, per molti anni, seppe gestire a proprio favore una situazione politica tra le meno luminose. Purtroppo gli anni a lui favorevoli (il cosiddetto quinquennium Neronis) finirono relativamente presto, e ciò lo portò a cadere vittima del regime folle instaurato dal suo allievo.
Dal punto di vista della formazione intellettuale, Pierre Grimal ci viene incontro nel ricordarne le tappe principali:
“Queste sono le influenze che agirono sulla mente di Seneca dall’età di sedici anni circa all’inizio della virilità. Ognuno dei suoi maestri gli insegnò qualcosa di originale, e le correnti che essi rappresentavano talvolta si contraddicevano, talvolta si rafforzavano reciprocamente. Il misticismo rivelato da Sozione fu compensato dalla maggiore precisione dottrinale di Attalo, che pare essere stato, per il giovane Seneca, il maestro per eccellenza, colui che lo iniziò alle tecniche della filosofia e lo mise in contatto diretto con lo stoicismo. Dobbiamo probabilmente attribuire ai Sestii, con l’intermediazione di Fabiano, il gusto delle metafore, dell’eloquenza appassionata, ciò che si definisce come lo «stile diatribico» di Seneca.”345
Abbiamo sottolineato più volte come Seneca, pur rivendicando e mettendo in pratica una grande libertà intellettuale, fosse in tutto e per tutto uno stoico. Ma oltre ad uno stoico fu anche tante altre cose, perché sicuramente non fu mai un dogmatico: gli insegnamenti dei maestri illustri della Stoa (Zenone, Crisippo, Cleante, Panezio e Posidonio), non furono mai per lui testi sacri da venerare indiscutibilmente, quanto piuttosto strumenti autorevoli per sviluppare il proprio pensiero e la propria condotta. Accanto agli insegnamenti del Portico, Seneca rinvenne formidabili strumenti nei testi di Epicuro, nelle vite (e nelle morti) esemplari di Socrate e Catone, e si confrontò – arricchendosi – con le dottrine che vedeva più distanti dalla propria, come ad esempio quella aristotelica.
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La grandezza di Seneca come pensatore va ricercata, secondo chi scrive, nella formidabile concretezza e attenzione alla vita pratica presenti in tutti i suoi scritti: in essi egli non si perde mai a costruire sistemi e castelli puramente concettuali, pur potendo vantare una formazione e una capacità di articolazione dei problemi di tutto rispetto. Seneca sceglie di pensare la vita nella sua interezza, con la morte, il dolore, la povertà e tutto ciò che deriva dall’essere vivi e dalla ricerca della virtù:
“Siamo di fronte qui a uno dei più importanti contributi di Seneca alla filosofia occidentale: il suo dono di trasformare in esperienza vissuta i ragionamenti astratti della scuola. […] Rinnovamento non tanto delle formule, quanto del loro impatto sulle anime.”346
Se questa tesi si presenta come una tesi sulla tranquillità d’animo, è doveroso definirla meglio un’ultima volta: la tranquillitas animi in Seneca è figlia dell’εὐθυµία di Democrito e Panezio, ossia è una condizione interiore ma al tempo stesso concreta: una scelta. Pur all’interno di un sistema deterministico come quello stoico, la virtù si acquisisce attraverso la volontà. Ma su cosa agisce tale volontà? Se il sistema è eminentemente deterministico la volontà non può modificare la realtà, ma il giudizio dell’individuo riguardo ad essa. È proprio questo il significato dell’espressione animum debes mutare, non caelum, poiché lo stoicismo è orientato – nell’opinione di chi scrive – all’accettazione della realtà come dato di fatto, con tutto ciò che non ci piace come la morte e il dolore. Tutto ciò, ovviamente, va letto nel modo meno conservatore possibile: l’invito non è quello di rassegnarsi completamente allo status quo, ma di riflettere ed esaminare, il più accuratamente possibile, su quali aspetti delle nostre esperienze possiamo esercitare una certa leva, e in che misura, accettando non rassegnatamente ma volentieri ciò su cui non abbiamo potere decisionale.
Lungo questo percorso di studio la nostra attenzione si è focalizzata soprattutto sui testi senecani: la convinzione che ci ha guidato fin qui è quella secondo cui una tesi di laurea non può non basarsi su un dialogo strettamente personale tra l’autore della tesi e il filosofo oggetto della ricerca. Leggendo le opere di Seneca ci si mette inevitabilmente in discussione, poiché le parole del filosofo di Cordova si riferiscono alla quotidianità di ciascuno di noi e a ciò che muove l’animo umano: paure, passioni, desideri. È per tali motivi che una tesi su un grande scrittore-filosofo non può che incentrarsi anzitutto sulle
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sue stesse parole: in tale contesto, la letteratura secondaria passa apparentemente in secondo piano, ma non perché venga trascurata; infatti, se essa non è stata l’ossatura del nostro lavoro, piuttosto ha costituito la muscolatura che vi ha conferito forza e stabilità. Perciò, la “discussione” con studiosi come Grimal, Pohlenz o Inwood (per citare alcuni degli esperti con cui ci si è confrontati) è stato fondamentale sia nel rafforzare le nostre convinzioni sia nell’emendarle. Esattamente come nella vita: solo la relazione diretta con l’altro ci permette di definire ancora meglio chi siamo e cosa pensiamo. E questo è ciò cui Seneca stesso sembra ancora oggi invitarci, con la sua preziosa, acuta e “magistrale” analisi del suo ambiente sociale e la sua intramontata proposta morale.
Ringraziamenti
Arrivato in fondo al mio percorso, ho tante persone da ringraziare: innanzitutto i miei genitori, senza i quali non sarei qui oggi. Grazie di avermi concesso questa opportunità.
Grazie ad Arianna, per essermi stata vicina in tutto il mio percorso, dal primo giorno di lezione a quello della mia laurea, sopportando ogni giorno la nostra distanza.
Grazie a tutti i miei amici, che hanno arricchito enormemente questa esperienza veneziana e mi hanno fatto crescere: siete voi la parte più importante di questi cinque anni di università. Sperando di non fare un torto a nessuno, vorrei ringraziare in particolare il gruppo ustionato del 25 aprile e casa mia, San Salvador. Grazie Lorenz.
Grazie a tutti i professori che hanno contribuito a sdoganare la mia mente, in particolare ci tengo a ringraziare quello che è stato il mio maestro: Luigi Vero Tarca, i suoi insegnamenti vivono ogni giorno nei suoi allievi. Il negativo del negativo è e rimarrà sempre negativo. Ci tengo inoltre a ringraziare il mio relatore Stefano Maso e il professor Paolo Pagani.
Grazie ai maestri che mi hanno formato prima della mia esperienza veneziana, preparandomi alle sfide dello studio universitario e soprattutto rendendomi un uomo pronto per la vita fuori dal recinto, in particolare Rosanna Menghi e Nevio Genghini.
Grazie a chi quotidianamente mi ha regalato spunti di riflessione, anche e soprattutto per la stesura di questa tesi: grazie Roberto Mercadini, Riccardo Vessa e Riccardo Dal Ferro.
Grazie Venezia, per avermi adottato e per le camminate notturne in cui i pensieri si riflettevano nei canali.
Infine, non posso far altro che ringraziare chiunque mi abbia concesso del suo tempo e mi abbia regalato occasioni di crescita in questi anni, che sono stati senza dubbio i più formativi della mia vita.
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