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Conclusioni Pensiero e realtà: una nuova oggettività

Ora, in conclusione, ritornando anche alla Fenomenologia, pensare il puro scambio, o la differenza, non come una nuova essenza fondata ma come la contraddizione e la confutazione del mondo sovrasensibile, significa abbandonare definitivamente il punto di vista intellettuale che si basava sulla duplicazione di due mondi sovrasensibili. Il mondo invertito è collassato, congiungendosi con il mondo sensibile, e qualsiasi differenza è stata annullata.

Così il mondo ultrasensibile, che è quello invertito, ha nello stesso tempo oltrepassato l’altro mondo e lo ha incluso in se stesso; esso è per sé il mondo invertito, cioè l’invertito di lui stesso. È, in una unità, se stesso e il suo opposto. Solo così esso è la differenza come differenza interna o come differenza in se stessa, o è come infinità198.

Questa disgregazione dei due mondi lascia trasparire l’unica realtà, quella dell’incessante togliersi di ogni datità, a cui Hegel dà – in conclusione – il nome di infinità.

L’infinità è il punto di approdo del capitolo della Fenomenologia nel suo confronto con la metafisica. Tuttavia dobbiamo comunque ricordare che la finalità principale del capitolo è quella di condurre la coscienza all’autocoscienza, per cui uno degli scopi principali di Hegel è quello di far giungere l’intelletto a riconoscere l’importanza e la superiorità della verità dell’autocoscienza sul punto di vista coscienziale. Per tali ragioni Hegel chiarisce che quel togliersi e porsi delle differenze non sarebbe altro che il movimento concettuale dell’autocoscienza. Tale movimento consiste, come abbiamo visto più volte, nel differenziarsi-da-sé e nel toglimento di questa stessa differenza.

Poiché oggetto della coscienza è questo concetto dell’infinità, essa è, così, coscienza della differenza come differenza

immediatamente altrettanto tolta; la coscienza è per se stessa, è il distinguere dell’indistinto o autocoscienza. Io mi distinguo da me stesso; e in quest’atto è immediatamente per me che questo distinto non è distinto. Io, l’omonimo, mi

respingo da me stesso199.

Hegel afferma qui, così come avverrà nella Scienza della Logica, il primato del concetto sull’essenza. In conclusione risulta evidente come la critica hegeliana miri soprattutto ad una decostruzione della versione della metafisica avente come presupposto l’ontologia della permanenza e come conseguenza l’illusione della coscienza200. Hegel, in tal senso, si affatica a criticare il

presupposto ontologico della metafisica. L’autore, inoltre, intende raccogliere, proprio con l’esposizione della Scienza della Logica, il contenuto di verità della tradizione metafisica,

198G.W.F.HEGEL,Fenomenologia dello spirito, I , p. 134. 199 Ivi, p. 138.

200 Come giustamente nota Cortella, nel suo commento a questo passo della Fenomenologia, l’intento hegeliano a questo

punto è proprio quello di attuare una critica ‹‹versione “sostanzialistica”›› della metafisica: ‹‹insomma una critica all’ontologia e non alla metafisica in quanto tale››. L.CORTELLA, Critica della metafisica, p. 45.

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trasformando in concetti quanto veniva espresso sotto forma rappresentativa. In tale trasformazione a quei contenuti si sostituiscono categorie logiche: quelli che erano gli enti della metafisica non si configurano più come sostrati indipendenti l’uno dall’altro ma come strutturalmente interconnessi da una intelaiatura logica201. La scoperta hegeliana della contraddizione dell’identità permette all’autore di non ricadere in una proposta metafisica basata su una sostanzialità fondante. In questo modo Hegel superare la necessità di presentare qualsiasi forma di sostanzialità, tra cui anche quella di una soggettività assoluta. Infatti se avesse seguito questa strada sarebbe ingenuamente ricaduto proprio all’interno della medesima proposta della metafisica rappresentativa202. Questo perché, e sarà più

chiaro nel seguito del nostro lavoro, ogni tentativo che intenda l’essenza, o lo spirito, come ente sussistente e indipendente finirebbe per fare i conti con la sua necessaria trasformazione concettuale che tornerebbe ad impedire di pensarla come nuova in-sé. Questa conclusione ci è stata chiarita dallo stesso Hegel e dalla sua critica alla cosa-in-sé kantiana. Hegel, dunque, trasforma sostrati indipendenti l’uno dall’altro in relazioni logiche: la conseguenza più rilevante di questa posizione è proprio la possibilità della contraddizione logica. Gli enti, infatti, sono trasformanti in significati che si implicano vicendevolmente: ciò vuol dire essere di fronte ad un movimento costante di rimandi che, in quanto tale, non è più rappresentabile in alcun modo, bensì solo pensabile. In fondo è questo l’esito raggiunto dalla contraddizione che non può essere colta come verità formale del pensiero.

Un esito, quello della nostra interpretazione, che si discosta da quello proposto negli ultimi anni da Brandom sviluppando la sua teoria del significato203. Difatti, da un lato è vero, come sostiene

Brandom, che per Hegel il significato di un concetto dipenda dalla rete di relazioni inferenziali che

201 Anche su questo punto si segue integralmente l’interpretazione di: L.CORTELLA, Critica della metafisica, p. 45. 202 Infatti, lo stesso Hegel, nell’annotazione del paragrafo 44 dell’Enciclopedia, annovera fra le cose-in-sé le

rappresentazioni di Dio e di spirito: «la cosa in sé (e sotto la parola cosa è compreso anche lo spirito, Dio) esprime l’oggetto in quanto si astrae dal tutto ciò che esso è per la coscienza, da ogni determinazione del sentimento come da ogni pensiero determinato». G.W.F.HEGEL,Enciclopedia delle scienze filosofiche, §44. Hӧsle legge in maniera interessante

questo passaggio, sottolineando come l’Assoluto non sia un oggetto e non possa esserlo per Hegel ma sia ciò che è alla base dalla nostra oggettivazione. Inoltre aggiunge: «La determinazione dell’Assoluto come cosa implica insomma che non si sia compresa l’importanza di una struttura riflessiva». V.HӦSLE, Hegel e la fondazione dell’idealismo oggettivo. p. 150. Per quanto riguarda la non presenza in Hegel di un ‹‹macrosoggetto›› come fondamento ultimo si veda anche: L. CORTELLA, Critica della metafisica, p. 45. Mentre, invece, per un’interpretazione che tende a vedere un’assolutezza del pensiero: E. Fleischmann, La logica di Hegel, (a cura di A Marietti), Einaudi 1975.

203 La semantica di Brandom utilizza in primo luogo come sua base la nozione di «contenuto concettuale» e si caratterizza

in quanto sostiene che tali contenuti concettuali sono identificati in base al loro ruolo inferenziale, vale a dire in virtù della posizione che occupano come premesse o come conseguenze nel ragionamento. La radice hegeliana dell’inferenzialismo semantico, secondo Brandom, sarebbe nella sezione Coscienza della Fenomenologia: «L’intera discussione della Coscienza conduce a porre sul tavolo la definitiva concezione olistica del concettuale che Hegel chiama «infinità»». Ora, secondo Brandom, per Hegel noi affermiamo il mondo come un «determinato» e quindi come un contenuto che è in un modo piuttosto che in un altro, da qui anche la proposizione hegeliana omnis determinatio est

negatio. In cui per negazione Hegel non intende una semplice differenza tra contenuti compatibili fra loro, bensì una

relazione escludente, come tra «quadrato» e «triangolo». Per Hegel, dunque, ogni contenuto è una «negazione determinata» nel senso che, per poter affermare un contenuto concettuale determinato, si deve anzitutto porlo in opposizione con altre determinazioni che lo escludono. La semantica di Brandom è presente soprattutto in: R.B. BRANDOM, Making it explicit, (in particolare p. 92 e seguenti); R.B.BRANDOM, Olismo e idealismo nella Fenomenologia

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esso intrattiene con gli altri concetti. Tuttavia l’inferenzialismo olistico di Brandom prende le distanze da Hegel nel momento in cui considera la relazione fra i concetti come un movimento estrinseco: l’inferenza, così pensata dall’autore, consiste proprio in un movimento di esclusione dei concetti diversi tra loro. Nella nostra interpretazione abbiamo dimostrato, viceversa, che la negazione determinata o infinità investe ogni determinazione finita e non è riferita a ciò che sta fuori dalla determinazione, a ciò che essa non è, ma al contrario riguarda proprio la determinazione stessa, ovvero ciò che essa è in-sé. Hegel, infatti, riesce a pensare la negatività come qualcosa di immanente alla determinazione e non come una relazione ad un altro esterno ad essa204. In questo passaggio, quindi, troviamo tutto il divario fra l’idealismo hegeliano e l’inferenzialismo di Brandom: il primo, per l’appunto, riesce ad istituire, a differenza di Brandom, una relazione non di esclusione ma di inclusione. La dialettica hegeliana, allora, assume il ruolo di critica al significato logico delle singole determinatezze, riuscendo ad individuare, in questo modo, tutta la molteplicità delle relazioni interne che le singole determinatezze instaurano205. Invece, così posta da Brandom, la teoria inferenzialista diventa un semplice mantenimento della differenza tra i concetti e, di conseguenza, della loro semplice identità. In altre parole la dialettica hegeliana ha un valore di critica in quanto capace di riconoscere le implicazioni contraddittorie dei significati logici; aspetto che viene perso nell’inferenzialismo tendente, viceversa, alla conservazione dell’identità dei singoli concetti.

La logica hegeliana, al contrario, afferma una realtà effettuale costituita proprio dal risolversi reciproco delle singole determinazioni. La dialettica, allora, rappresenterà il rinvio ad altro all’interno del significato di ogni singola determinazione, che in quanto tale non può mai affermarsi in maniera definitiva. In tal senso non c’è più alcun in-sé che resista al processo di mediazione.

204 Se invece si intende, come fa Brandom, la negazione determinata come rivolta ad altro, non si capisce dove sia la

contraddizione. In Brandom, a differenza di Hegel, la contraddizione è del tutto scomparsa e ha perso il suo carattere di

lotta, come abbiamo visto. Questo perché Brandom non vede che l’altro non è un altro estrinseco ma è un altro che

appartiene intimamente alla determinazione, che la ha in sé. La posizione di Brandom, se seguissimo Hegel, sarebbe una posizione intellettualistica che cerca di mantenere l’alterità come un elemento esterno piuttosto che renderlo immanente al determinato. La cosa riesce ad avere significato solo se è sé stessa e, al contempo, capace di rimandare ad altro da sé. Cortella, nella sua critica a Brandom, sostiene proprio che: ‹‹la negazione escludente è la negazione intellettuale, mentre la negazione dialettica, cioè quella che Hegel chiama negazione determinata, introduce la negazione all’interno della determinazione includendo in essa proprio quell’alterità che l’intelletto vorrebbe mantenere all’esterno. (…) Perciò la dialettica non svolge il ruolo del guardiano della differenza fra i concetti e della loro intoccabile identità, come vorrebbe Brandom, ma ha il compito di mettere in discussione quell’identità e quelle semplici determinatezze››. L.CORTELLA:

Hegel e Brandom, ovvero l’irriducibilità dell’idealismo oggettivo all’idealismo inferenziale neopragmatista, in L.

CORTELLA,F.MORA,I.TESTA (a cura di), La socialità della ragione: scritti in onore di Luigi Ruggiu, Mimesis 2011, p. 199.

205 Come giustamente sostiene Cortella: ‹‹Perciò la dialettica non svolge il ruolo di guardiano della differenza fra i concetti

e della loro intoccabile identità, come vorrebbe Brandom, ma ha il compito di mettere in discussione quell’identità e quelle semplici determinatezze. La dialettica è perciò logica critica del significato: essa non salva la determinatezza ma la dissolve nella molteplicità delle relazioni interne››. L. CORTELLA: Hegel e Brandom, ovvero l’irriducibilità

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Questa infinità semplice o il concetto assoluto, è da dirsi l’essenza semplice della vita, l’anima del mondo, il sangue universale che, onnipresente, non vien turbato né interrotto da differenze alcune e che è, anzi, tutte le differenze, nonché il loro esser-tolto; esso pulsa in sé senza muoversi, trema in sé senza essere inquieto. Questa infinità semplice è eguale a se stessa perché le differenze sono tautologiche: sono differenze che non sono differenze206.

La verità, allora, non può presentarsi come un in-sé sostanziale ma solo come un movimento concettuale che media qualsiasi pretesa d’identità stabile: in questo senso Hegel pretende di decostruire l’affermazione di un’ontologia della presenza. Il mondo quieto, una volta disgregato, non è sostituibile con alcun altro mondo, proprio perché quella critica ha reso impossibile qualsiasi nuova idea di un mondo metafisico. Ciò accade in quanto, come abbiamo visto, non esiste una rappresentazione in grado di contenere il movimento mediativo della contraddizione: esso, in definitiva, può essere solo pensato ma non rappresentato. In seguito vedremo come, da un lato, Hegel svilupperà il sapere concettuale a partire da questo principio e, dall’altro, come il principio della negatività sia alla base dell’elaborazione di un’alternativa e nuova forma di sapere che riesca ad uscire dall’immobilità in cui è caduto il pensiero contemporaneo207.

Queste conclusioni, di conseguenza, inducono Hegel ad elaborare un nuovo rapporto fra pensiero ed empirico. Il punto fondamentale è che l’autore arriva ad instaurare un legame intrinseco tra la realtà effettuale e il pensiero, per cui giungere alla verità significa proprio individuare questo legame. Hegel, ancora una volta, ricorda che la verità della forza sta nella sua relazione, nel gioco delle forze208. Ogni contenuto empirico, ogni sostrato empirico inteso come mero “dato” finisce qui per rivelarsi inconsistente, mostrando nel pensiero la sua unica verità. In sostanza, la verità delle cose non sta, come pensa anche lo stesso Brandom, nella totalità delle relazioni empiriche inferenziali ma al di là di esse, nel superamento dell’empirico. Qui risiede il vero significato della proposizione hegeliana secondo cui il finito è ideale: essa non intende affermare, difatti, che la verità sta romanticamente nell’accumulo infinito di enti finiti, come abbiamo visto, ma piuttosto che la vera natura del finito sta nell’idea, ovvero in quel processo logico nel quale si dissolvono tutte le determinazioni empiriche e

206 G.W.F.HEGEL,Fenomenologia dello spirito, p. 135.

207 La convinzione della nostra interpretazione si basa sulla convinzione che la categoria di infinità o di negazione

determinata sia il fondamento di tutta la logica dell’essenza e di molte delle categorie fenomenologiche ad essa afferenti. Su tale questione (anche se non seguiamo del tutto l’interpretazione): K.J.SCHMIDT, Sull’origine e la struttura della

dialettica dell’apparenza in Hegel, «Discipline filosofiche», 1 (1995), pp. 63-90. K. J. SCHMIDT, G.W. Hegel,

Wissenschaft der Logik – die Lehre vom Wesen. Ein einführender Kommentar. Schӧning, Poderborn 1997.

208 La verità sta solo, quindi, nell’intervento del pensiero. In tal senso Hegel rovescia la visione del senso comune e del

sapere tradizionale, metafisico e non, secondo cui l’astratto è il pensiero e il reale è l’empirico. Viceversa per Hegel l’astratto è l’empirico, ciò che è frammentato, ciò che è scisso e che sussiste separato, mentre concreto è ciò che ricostruisce in un’unità, ciò che è concreto nei suoi nessi e nelle sue relazioni. In tal senso il massimamente concreto non è più l’empirico ma piuttosto il pensiero con tutte le connessioni che riesce ad istituire: questo è il sapere più alto per Hegel.

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in cui esse trovano finalmente la loro ultima verità209. In ciò si esplicita, pertanto, il rapporto fra il

concetto e l’empirico: la verità delle cose non si configura nel loro essere empiriche, ossia nella loro identità, ma nel pensiero, ovvero nella loro interconnessione. Tuttavia, questo non significa che il mondo è un prodotto del nostro pensiero; Hegel non fa suo il punto di vista dell’idealismo soggettivo, secondo cui il soggetto è collocato in una dimensione gerarchicamente elevata rispetto al mondo. L’autore, difatti, non pensa il logico come qualcosa di soggettivo, ma come un aspetto oggettivo, anzi come la vera oggettività, ossia il terreno in cui si risolve tutta la presunta oggettività naturale210. In seguito vedremo come questo configurerà l’essenza stessa dello Spirito. Brandom, invece, colloca il contenuto delle nozioni ancora all’interno della dimensione empirista dell’osservazione: questo significa, per dirla come Hegel, che continua ancora a muoversi all’interno del terreno del pensiero rappresentativo. Al contrario, per Hegel, bisogna superare il piano della rappresentazione affidandosi al movimento concettuale capace di dissolvere il dato. Tale movimento è formato solo dal movimento logico, cioè delle relazioni logiche fra le categorie. In seguito avremo modo di dimostrare come il concetto emerga dalla dialettica a cui vengono sottoposte tutte le rappresentazioni empiriche. Hegel cercherà, infatti, di sostenere che il pensiero finisce per rivelare come tutte queste rappresentazioni siano in sé mediate, come in esse agisca un movimento logico di mediazione. In questo modo tutto il contenuto di tali rappresentazioni empiriche finisce per dimostrarsi debole nella propria identità sostanziale211.

209 In questo passaggio emerge un altro aspetto che caratterizza la filosofia di Brandom, vale a dire la concezione materiale

dell’inferenza. Come ha giustamente riassunto Testa: «Le inferenze materiali sono inferenze che non presuppongono né una semantica – in quanto sono proprio le inferenze materiali a istituire i significati – né una logica formale. Questa concezione materiale dell’inferenza si lega pertanto a una critica della concezione formalistica e logicista dell’inferenza» (I.TESTA, Idealismo e normatività. Robert B. Brandom e la ricezione americana di Hegel, in Hegel contemporaneo: la

ricezione americana di Hegel a confronto con la tradizione europea, a cura di Ruggiu e Italo Testa, Guerini, Milano

2003). Secondo Brandom, le inferenze materiali sono inferenze la cui correttezza dipende dai contenuti concettuali, non logici, delle nostre pratiche e quindi non da proprietà formali. In questo modo Brandom finisce per affermare il primato del contenuto semantico sulla stessa forma logica. In particolare questa nozione di inferenza di cui Brandom si serve è di tipo particolare e si ‹‹distingue da quelle “formali” per il fatto che la loro correttezza è legata costitutivamente al contenuto dei concetti che vi figurano››. L.CORTI: Ritratti hegeliani. Un capitolo della filosofia americana contemporanea. Carocci editori, Roma 2014, p. 128. In questo modo Brandom adotta «una linea di pensiero che comincia con inferenze materiali – cioè un ragionamento non logico, basato sul contenuto (content-based)» (Making it explicit, p. 101), per poi successivamente giungere ad un secondo momento che spieghi la natura della forma logica. In fondo l’inferenzialismo si propone di spiegare proprio quella rete che il contenuto empirico, non logico, delle proposizioni porta con sé. Per cui: «Il compito della logica è principalmente quello di aiutarci a dire qualcosa sui contenuti concettuali espressi utilizzando il vocabolario non-logico, non quello di provare qualcosa sui contenuti concettuali espressi utilizzando il vocabolario logico» (Making it explicit, p. 28). Per un’analisi dettagliata della posizione di Brandom si veda il già citato: L.CORTI:

Ritratti hegeliani, pp. 118 e seguenti.

210 Come nota L. Cortella a tal proposito e qui seguiamo in sostanza la sua intepretazione: ‹‹Il concetto ha perso qui ogni

sua dipendenza sia dalle nostre attività mentali sia dal mondo naturale, per diventare, la sintesi di soggetto e oggetto››. L. CORTELLA: Hegel e Brandom, ovvero l’irriducibilità dell’idealismo oggettivo all’idealismo inferenziale neopragmatista, p. 202.

211 Per tali ragioni il rapporto tra pensiero e realtà è molto diverso fra l’idealismo oggettivo hegeliano e l’idealismo

inferenziale di Brandom. Ora, a nostro giudizio, le differenze con l’idealismo oggettivo di Hegel sono inevitabili. Infatti nessuna reale coscienza post-metafisica può accogliere in tutta la sua portata la tesi hegeliana, in quanto essa finirebbe non solo per negare, come fa Hegel, l’indipendenza del mondo non-concettuale, ma dissolverebbe la sfera dell’empirico nel puro movimento del pensiero (avremo modo di tornare su tale questione quando esamineremo il passaggio dalla logica

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Hegel, dunque, si pone in una posizione del tutto particolare rispetto alla problematica moderna della relazione fra pensiero e realtà. L’interrogativo che sembra essere al centro della riflessione filosofica postkantiana è la relazione fra pensiero e realtà: questo legame sembra anzitutto voler cogliere lo statuto stesso dell’oggettività. Infatti, la domanda che sembra attraversare tutto questo percorso della filosofia è se i requisiti categoriali, imposti dal soggetto, fondino l’oggettività della realtà, oppure se si possa affermare una qualche indipendenza del mondo rispetto all’attività del soggetto212. In più occasioni abbiamo visto Hegel scagliarsi non solo contro un’impostazione trascendentalistica come quella kantiana, che, secondo la critica hegeliana, ha i suoi esiti in alcune forme di rappresentazionalismo, ma anche contro forme di “realismo forte”, che vedono la “realtà” del dato come un qualcosa a cui bisogna adeguarsi, oppure contro le posizioni della metafisica, che riconducono la verità ad un mondo sovrasensibile. Hegel sembra criticarle tutte allo stesso modo, anzi finisce per assimilarle in quanto poggiano sul principio ontologico della sussistenza ontica. Le posizioni del sapere occidentale moderno, in sostanza, pongono le proprie posizioni a partire da una dicotomica presupposizione tra il mondo e il pensiero. Questa dicotomia presupposta deve poi essere

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