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Questa tesi si poneva l’obbiettivo di individuare la vulnerabilità della Pietra d’Istria a Venezia. Il lavoro è stato articolato in modo da poter ottenere delle informazioni dettagliate sullo stato di conservazione attuale del materiale, in relazione all’ambiente e alla tipologia degli effetti riscontrati.

Le caratteristiche dell’ambiente hanno subito delle modifiche nel tempo anche a causa delle attività antropiche. Tramite processi sinergici che si instaurano tra i fattori ambientali e composti inquinanti nel dominio ambientale-aria e i materiali, le cinetiche dei possibili processi degradativi possono risultare velocizzate. La conoscenza dell’incisività dell’ambiente sui beni architettonici in relazione alle teorie descritte nel

Cap.1.1, rapportate alle informazioni rintracciabili nella Carta del Rischio studiata dall’

ISCR, a dati ambientali specifici e alla valutazione della vulnerabilità di superfici di studio ha permesso di individuare lo stato di conservazione delle superfici e di definire dei grado di vulnerabilità. Queste conoscenze servono ad indirizzare anche le possibili tipologie di intervento d’adottare e applicarle tempestivamente secondo le reali necessità conservative. Per questo motivo, tenendo in considerazione i numerosi studi che hanno permesso d’individuare i meccanismi che inducono degrado sulle superfici lapidee esposte in ambiente esterno, si è ritenuto fosse utile considerare gli elementi caratteristici del dominio ambientale-aria come fattori di pericolo, cercando di determinare e quantificare gli effetti che essi possono arrecare ai materiali tramite interazioni sinergiche rappresentative della realtà territoriale indagata.

Si è dunque proceduto valutando i fattori di pericolo e l’eventuale aggressività dell’ambiente considerando il dominio ambientale-aria caratteristico per il comune di Venezia ed in particolare per il centro storico. Sono state sfruttate preliminarmente le Carte del Rischio, sviluppate dell’Istituto Superiore Centrale del Restauro, le quali forniscono informazioni macroscopiche mediate per l’intera municipalità indagata. L’analisi delle Carte del Rischio su scala comunale e provinciale ha permesso di evidenziare la presenza di diverse classi di pericolosità territoriale. Il comune di Venezia, di cui fa parte anche Mestre, presenta una pericolosità di annerimento appartenente alla classe 4 e di erosione appartenente a classe 2. L’analisi condotta su scala provinciale inerente al rischio ambientale-aria, ha evidenziato che il comune maggiormente soggetto ad esso è quello di Venezia.

La stima delle differenti classi, sia per indici di annerimento che erosione e rischio, sono il risultato della rielaborazione di dati medi per ogni comune analizzato. Si può dunque

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ipotizzare che i modelli sviluppati per la creazione del SIT, risultino rappresentativi solo per alcuni comuni a limitata estensione territoriale o molto omogenei al loro interno. Nel caso del comune di Venezia, l’area territoriale che viene indagata presenta caratteristiche geografiche-territoriali e destinazioni d’uso delle diverse aree molto differenti e non comparabili e dunque non rappresentabili da indici mediati sull’intero territorio. Per questo motivo le informazioni ottenute non possono essere considerate effettivamente rappresentative della realtà territoriale indagata. Venezia è una città unica al mondo, ed in quanto tale presenta caratteristiche territoriali, geografiche, ambientali specifiche e assolutamente poco comparabili con quelle riscontrabili in città dell’entroterra, come ad esempio Mestre che seppur faccia parte del medesimo comune presenta una struttura urbana e caratteristiche molto differenti.

Per poter conoscere innanzitutto la pericolosità territoriale, in questa tesi sono stati analizzati i dati ambientali dell’ ARPAV Venezia, nel range temporale compreso tra il 2002 e il 2014, inerenti alla [NO2] e [PM10] : il primo, è stato sfruttato per stimare

indicativamente la pericolosità legata all’indice di erosione, il secondo per valutare invece quella legata all’indice di annerimento. Purtroppo però, i dati analizzati non hanno permesso la valutazione della pericolosità specifica del centro storico a causa della mancanza di centraline di rilievo sul territorio lagunare. Nel centro storico di Venezia è presente unicamente una centralina ubicata a Sacca Fisola (Isola della Giudecca) e risulta posta in una posizione poco strategica per il monitoraggio in relazione ad edifici storici, in quanto risente molto dei moti d’aria per presenza del vento e dalle emissioni causate dal passaggio delle grandi navi. Per questi motivi si ritiene che i dati ottenuti siano soggetti a sensibili variazioni.

Per poter ottenere informazioni reali in merito alla qualità dell’aria del centro storico, sarebbe assolutamente necessario ed utile (anche ai fini di valutazione dell’impatto dell’inquinamento sulla salute umana), integrare ed intensificare la rete di centraline così che in un futuro si possano avviare analisi più dettagliate e specifiche le quali risultano attualmente bloccate o limitate alla città di Mestre, in quanto i dati risultano essere una media dei rilevamenti condotti nell’entroterra.

Le analisi della pericolosità territoriale , dunque, sono state condotte in modo costretto sfruttando i dati medi tra Mestre e la centralina di Sacca Fisola. Si evince nei risultati, infatti, che i valori riscontrati risultano essere in linea con quelli dichiarati dalla Carta del Rischio in quanto la tipologia di dati a disposizione è la medesima, quindi rappresentativa maggiormente delle condizioni di pericolosità riguardati l’entroterra pituttosto che il centro storico.

121 la piovosità, dunque le precipitazioni ed il vento.

L’analisi della piovosità ha permesso di individuare sia le annate maggiormente piovose (2008, 2010, 2014 e 2002) che i mesi ( Settembre, Ottobre, Novembre e Dicembre) rilevanti per uno studio futuro. Infatti nel caso in cui si volesse valutare l’impatto della pioggia sulle superfici lapidee esposte ad ambiente esterno nella città di Venezia, lo studio dovrebbe essere avviato nei mesi estivi (meno piovosi) per poi procedere nella stagione invernale (Gennaio-Febbraio).

E’ seguita poi la valutazione del fattore vento, il quale presentando una direzione pressoché costante e tendente verso Nord-Est, ha permesso di ipotizzare che la concentrazione degli inquinanti atmosferici del centro storico potesse risultare inferiore perché tendenzialmente essi vengono veicolati verso Mestre. Inoltre la presenza del vento ha permesso di considerare la formazione dell’aerosol marino ed individuare delle relazione con i dati analitici condotti su campioni provenienti dalle differenti superfici lapidee degli edifici. Tramite indagini XRF infatti, è stata riscontrata la presenza di K, elemento presente sotto forma di KCl nell’acqua marina. Tramite la relazione vento, aerosol marino e K, è stato possibile ipotizzare quali edifici risultassero soggetti a circoli di aria e alla deposizione di Sali sulle superfici. E’ stato dunque ipotizzato che le superfici poste verso il canale risultano maggiormente soggette a fenomeno di deposizione di Sali da parte dell’aerosol marino trasportato dal vento, ed inoltre se l’area in cui è eretto l’edificio risulta essere soggetta a circoli d’aria locali, e la locazione del giardino risulta favorevole, anche la Pietra d’Istria presente nella facciata posteriore dell’edificio può risultare soggetta al medesimo fenomeno, seppur in modo inferiore (come Cà Bembo). Nel caso in cui invece, il giardino-corte interna risulti protetto e quindi soggetto a minor fenomeni ventosi, come Cà Bottacin, non si rintraccia la presenza di elementi riconducibili a sali. Tale ipotesi andrebbero comprovate, svolgendo analisi EDX, così da verificare l’effettiva presenza di Cl o ulteriori elementi sulla superficie riconducibili alla composizione dei sali di origine marina.

La tecnica analitica FT-IR in ATR è servita per poter conoscere la composizione dei campioni provenienti dalle superfici soggette al dilavamento o deposizione degli edifici caso di studio. I risultati sono conformi al quelli rilevati in bibliografia: si è rintracciata la presenza di CaCO3, CaC2O4 e CaSO4• 2H2O.

La tecnica XRF ha permesso di identificare la presenza di metalli pesanti quali: Pb, Zn, Fe, Mn, Ti, Sr . La loro presenza è da ritenersi riconducibile ai processi di combustione di carburanti e attività industriali. Per poter conoscere dettagliatamente la composizione del particolato sarebbero opportuno svolgere analisi con microsonda EDX e XRPD.

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proceduto analizzando le aree dilavate e quelle soggette a deposizione, studiandone i dislivelli apprezzabili sia con Microscopio ottico a contatto Dino-Lite, tramite documentazione fotografica e sensibilità tattile. Quest’ultima ha permesso l’individuazione preliminare delle aree da indagare tramite calco, in quanto ha permesso di rilevare tramite contatto cutaneo la presenza di un dislivello superficiali,che sfruttando esclusivamente la sensibilità oculare non sarebbe stato possibile individuare, e successivamente indagare con microscopio ottico a contatto Dino-Lite.

L’andamento delle superfici è stato indagato tramite calchi svolti con Gomma siliconica GSP-400N, la quale presentava caratteristiche di sensibilità e applicazione ottimali per il caso. I calchi poi sono stati studiati tramite processing image, sfruttando free software, quali ImageJ, Gimp e Web Plot Digitizer da cui sono stati estrapolati i dati profilometrici.

L’analisi dei dati profilometrici e la rielaborazione grafica previa immagini (surface plots) ha permesso di affermare che il fenomeno erosivo/corrosivo indotto dall’acqua e dal vento sulle superfici esposte al dilavamento e rivolte verso il canale risulta maggiormente aggressivo e dunque maggiormente apprezzabile, rispetto a quello riscontrato nelle aree soggette al medesimo fenomeno ma orientate verso il giardino- corte. Ciò è stato ricondotto ad una maggiore esposizione delle superfici: non essendoci altri palazzi costruiti in prossimità della facciata la traiettoria del vento e della pioggia non risulta schermata e tanto meno limitata, come invece può accadere nel caso dei giardini-corti. Il manifestarsi di un evento piovoso in concomitanza con il vento intensifica l’effetto erosivo e l’aggressività dei due fattori ambientali nei confronti della pietra.

La presenza del vento, per quanto riguarda le superfici rivolte verso il canale, limita la deposizione del particolato atmosferico il quale invece viene maggiormente riscontrato sulle superfici rivolte verso il giardino-corte. Ciò si verifica perché i giardini-corti, come già precedentemente detto per quanto riguarda la deposizione di Sali, risultano soggetti a minor circoli d’aria. Queste affermazioni sono comprovate anche dai dati ottenuti tramite processing image, dalla colorazione dei campioni prelevati , dalle analisi delle superfici con microscopio Dino-Lite e dai dati profilometrici.

I dati profilometrici e i surface plots hanno permesso di evidenziare la presenza della finitura superficiale, bocciardatura, la quale può favorire la deposizione del particolato.

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Esposizione Tipologia della superficie Tipologia di degrado Cause del degrado

Canale

Dilavata > erosione > esposizione a pioggia e

vento

Non Dilavata < deposizione

Giardino

Dilavata < erosione < esposizione a pioggia e

vento

Non Dilavata > deposizione

Tabella 1 Rapporto tra superfici, esposizione, tipologie e cause di degrado

La rielaborazione dei dati profilometrici posti a confronto con i surface plots dei calchi, hanno permesso di stimare lo stato di conservazione delle superfici. Si è evidenziato che tutte le superfici verso il canale risultano, seppur a differenti livelli, degradate; mentre quelle esposte verso il giardino, salvo qualche caso eccezionale e riconducibile alla mancanza di restauri in epoca moderna, risultano ben conservati. Queste affermazioni sono però da ritenersi valide solo per i casi di studio presi in esame e per il sestiere analizzato. Per poter estendere queste considerazioni anche ad altri edifici ubicati in sestieri differenti da quello di Dorsoduro, bisognerebbe analizzarne le superfici applicando la medesima metodologia di studio, svolta per Cà Foscari, Cà Dolfin, Cà Bottacin e Cà Bembo. L’estensione di questo studio ad altri sestieri e edifici permetterebbe di identificare se le tipologie ed intensità di degrado fino ad ora riscontrate risultano essere le medesime per tutta Venezia, o in caso contrario, si potrebbero individuare quale quartieri risultino maggiormente aggrediti dall’ambiente rispetto agli altri.

Per poter affermare ciò dunque, si dovranno sfruttare i parametri Lr, Ra, Rmax e R2 ed i surface plots di tutti i calchi. I singoli parametri e coefficienti però non permettono di poter affermare quanto detto fino ad ora. Infatti, anche durante questo studio si sono verificati dei casi, come per i calchi DOL-11,14,15 e CABE-26,27 e 28, in cui l’analisi solo di Lr non permetteva la stima dello stato di conservazione. Solo incrociando tutti i dati ottenuti è stato possibile sbloccarne la relativa classificazione.

Lr

< 1,12 Superficie soggetta a degrado >

> 1,21 Superficie soggetta a degrado <

Ra ≈ 0,20 o > Superficie degradata

Rmax ≈ 2 o > Superficie degradata

R2

0 > Rugosità e dispersione

1 < Rugosità e deispersione

Tabella 2 Rapporto tra i valori di Lr, Ra, Rmax e R2 utili per la valutazione dello stato di conservazione della superficie

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Sulla base dei dati e della Tab.2 è stata generata una classificazione dello stato di conservazione delle superfici:

Stato delle superfici Simbolo

Buono +++

Discreto ++

Sufficiente +

Insufficiente -

Gravemente insufficiente - -

Tabella 3 Stato di conservazione delle superfici e simbolo rappresentativo

Rielaborando i dati e comparandoli con le Tab. 2 e 3 dunque è possibile affermare che:

Edificio Esposizione Stato delle superfici

Cà Foscari Canale + Giardino + Cà Dolfin Canale - - Giardino + Cà Bottacin Canale - - Giardino - - Cà Bembo Canale - Giardino +

Tabella 4 Classificazione dello stato di conservazione delle superfici degli edifici caso di studio a seconda dell’esposizione

Sulla base delle informazioni ottenute e riportate in Tab.4, si evidenzia che Palazzo Foscari, nonostante sia stato restaurato recentemente, si presenta in uno stato di conservazione sufficiente. Probabilmente è ubicato in un’area in cui l’aggressività ambientale risulta maggiore, o l’ intervento di pulitura svolto durante il restauro ha reso le superfici più sensibili, o semplicemente non essendo stata riscontrata la presenza di protettivo tramite analisi FT-IR in ATR, la pietra risulta priva di un film difensivo e dunque si è avviato il processo degradante naturale.

Analizzando i dati riportati in Tab.4 è possibile individuare quali siano gli edifici che necessitano di un intervento di restauro o di manutenzione e l’effettivo grado d’urgenza. Si evince dunque che le superfici di Cà Bottacin risultino essere quelle maggiormente degradate, e vista la gravità, il palazzo necessiterebbe di un intervento di restauro impellente. Per quanto riguarda Cà Dolfin, invece, si evidenzia la necessità di un restauro per la facciata volta verso il canale con urgenza, mentre per quanto riguarda le superfici volte verso il giardino-corte è consigliabile un intervento di manutenzione. Palazzo Bembo richiede un intervento di restauro,non di estrema urgenza, per quanto concerne le

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superfici rivolte verso il canale, mentre si ritiene che per le superfici in prossimità del giardino-corte sia sufficiente un intervento di manutenzione.

Oltre a stimare lo stato di conservazione, la rielaborazione dei dati profilometrici ha permesso di ipotizzare un possibile andamento della finitura superficiale originale non degradata. Si può dunque ipotizzare che i valori rintracciabili dell’andamento della bocciardatura originale siano i seguenti:

Bocciardatura originale

Ra ≈ 0,40 Rmax ≈ 2,50

Lr ≈ 1,30

Tabella 5 Valori ipotetici relativi a Ra, Rmax e Lr di una bocciardatura non degradata

Questi valori andrebbero però comprovati tramite ricerca bibliografica e studio in laboratorio. Bisognerebbe individuare la tecnica di bocciardatura eseguita dalle maestranze veneziane nei periodi in cui gli edifici sono stati costruiti e gli eventuali attrezzi, così da poterla riproporre ex-novo su un campione in Pietra d’Istria, il quale successivamente, tramite il medesimo processo analitico con cui è stato condotto questo studio, ottenere i parametri effettivi e certi. In questo modo si otterrebbe un valore “bianco”, un andamento standard da poter confrontare con i dati ottenuti dagli edifici caso di studio e semplificare molto il processo di valutazione dello stato di conservazione. Concludendo, quindi, la tecnica di studio adottata, oltre a presentare costi di esecuzione ed indagine ridotti, ha permesso di:

 valutare l’interazione tra la Pietra d’Istria e l’ambiente,  valutare lo stato di conservazione delle superfici.

La valutazione dello stato di conservazione permette di individuare quali edifici necessitino di restauro o manutenzione, e quindi anche una migliore gestione dei limitati fondi per la conservazione dei beni culturali. Se la valutazione dello stato di conservazione fosse eseguita periodicamente, si potrebbero ridurre notevolmente il numero di interventi di restauro, maggiormente costosi, aumentando così la possibilità di svolgere maggiori interventi di manutenzione, a costo inferiore, permetterebbero di conservare e tutelare un maggior numero di beni.

Procedendo in tale direzione, si andrebbe ad adempire i principi presenti sia nella Teoria

del Restauro di Cesare Brandi che la teoria della conservazione programmata proposta

da Giovanni Urbani, garantendo una maggior durata e fruibilità delle opere, riducendo il rischio di perdita e permettendo allo stato italiano di valorizzare e vantare maggiormente la ricchezza storica, culturale e artistica presente sul suolo nazionale.

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