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1. Storia dei processi realizzativi dell’architettura: storia, problematiche e

1.8. Conclusioni

L’analisi tecnico/storiografica dei cantieri analizzati ci indica come, nonostante i continui progressi sociali e tecnologici, alcune tendenze siano rimaste pressoché invariate nel corso dei secoli. Si pensi, ad esempio, al tema della serializzazione nelle costruzioni, interpretato sin dalle origini dagli operatori del settore i quali, a seconda delle tecnologie disponibili, hanno cercato di ottimizzare i processi progettuali e costruttivi definendo una serie di “standard” di riferimento per la produzione di componenti e le successive attività di montaggio.

Con gli opportuni distinguo, legati alle differenti tecniche di rappresentazione e gestione della conoscenza, possiamo affermare che tali sistemi hanno creato – seppur implicitamente – dei canoni di riferimento e delle buone prassi che, come risultato del loro tentativo di serializzazione del prodotto, hanno contribuito alla cristallizzazione di uno stile riconoscibile (basti pensare ai maestri cosmateschi nella Roma alto-medievale oppure ai mosaicisti bizantini) e di una qualità “oggettivamente” valutabile: tale criterio della “Regola d’Arte”, seppur oggi ancora presente nel codice normativo, risulta però anacronistico considerando che, appunto, questi processi non fanno più capo ad un’arte tramandata ma a dinamici processi di innovazione e aggiornamento che, nei fatti, possono essere valutati solo attraverso un approccio ingegneristico (Chapman, 1990).

Partendo da questi antichi, semplici ma ambiziosi intenti di “serializzazione dell’artigianato”, gli operatori del settore hanno perciò cercato di avvicinare le caratteristiche qualitative/gestionali del processo edilizio a quello dell’industria, ma l’evidenza di oltre un secolo di sperimentazioni in tal senso ha portato verso un ulteriore discostamento tra il “tradizionalismo” dell’artigianalità del processo edilizio e l’innovazione delle metodologie utili alla sua ottimizzazione. Difatti, uno dei maggiori limiti degli avanzamenti tecnologici nell’industria delle costruzioni è che, soprattutto per realtà come quella italiana dove le imprese edili sono per la maggior parte a prevalente conduzione familiare, i costi per sostenere l’investimento di partenza e i successivi aggiornamenti sono insostenibili a scale così piccole. Si consideri inoltre che il discorso è analogo per il mondo delle professioni tecniche, che incontrano sempre maggiori difficoltà a dotarsi delle strumentazioni necessarie a stare al passo dell’innovazione che, in alcune specifiche realtà, sta concretizzando un vero e proprio gap generazionale.

Nonostante queste debolezze sistemiche, l’interesse sulla mitigazione dei rischi e il contenimento degli sprechi attraverso l’ottimizzazione dei processi industriali non si

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è mai spento finendo per abbracciare, fin dai primi anni ’90, l’ottica post-industriale di snellimento delle risorse impiegate e, soprattutto, degli sprechi connessi alla produzione (lean construction55) al fine di aumentare la sostenibilità di questo

importante settore industriale. Difatti, l’edilizia rappresenta una delle prime fonti di produzione di CO2 sia per quanto riguarda i consumi legati all’uso degli edifici, sia per quanto riguarda l’energia che si impiega per la produzione edilizia (Bull et al., 2014), a scala dei prodotti, dei componenti e degli interi sistemi (l’energia grigia o embodied energy). Malgrado l’oggettiva difficoltà nell’attribuire all’edilizia le consolidate prassi gestionali tipiche di altri settori produttivi, negli ultimi decenni si è potuta apprezzare una lenta ma costante digitalizzazione del processo progettuale e costruttivo, con i conseguenti benefici in termini di valutazione delle metriche di qualità. Da queste analisi perciò è possibile quantificare la necessità di aumentare questa tendenza, al fine di ridurre sprechi sia di carattere organizzativo che di carattere economico (McKinsey, 2017).

Per questo, anche nell’edilizia si stanno introducendo nuove figure professionali specializzate nella gestione, ingegnerizzazione e informatizzazione dei processi, come accade da decenni negli altri settori produttivi cha hanno avuto vita più facile nell’abbracciare questi approcci innovativi.

In questo contesto, la figura dell’architetto è in crisi: nella storia difatti, il tecnico è sempre stato percepito come una figura professionale poliedrica, spesso proveniente da altri campi come, per esempio, Leon Battista Alberti, Michelangelo, Brunelleschi… di formazione contaminata da letteratura, arte e tecnica, e talvolta dotati di forte personalità espressiva, legata a non comuni doti di comunicazione (Renzo Piano, Le Corbusier etc.).

Nelle attuali prospettive, l’architetto sembrerebbe tornare all’arcaica funzione di detentore della conoscenza necessaria per sintetizzare gli apporti di tutti gli specialisti dei settori convergenti nel progetto complesso, in un rapporto di reciproco arricchimento che, evidentemente, possiamo avvicinare concettualmente a quanto avveniva tra capomastri e architetti ai tempi delle opere medievali e rinascimentali. Tale tendenza è riscontrabile anche nell’analisi critica dei fatturati degli studi di architettura degli ultimi anni (Il Sole-24Ore, 2017): infatti, le società che sono state capaci di crescere (o mantenere posizioni) nonostante la pesante crisi economica degli ultimi anni, sono effettivamente quelle caratterizzate da un approccio interdisciplinare al tema della progettazione integrata, valorizzando la presenza e gli

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apporti dati dagli specialisti dei vari dominî che compongono la complessità del processo edilizio.

L’architetto contemporaneo perciò si sta trasformando (o tornando alle origini?) in una figura di collegamento votata alla ricerca di un armonioso equilibrio tra le esigenze dell’utenza e le prestazioni espresse dall’offerta dell’industria dei prodotti, in continua evoluzione e aggiornamento: è naturale dunque che, per governare una mole di dati, informazioni e combinazioni così elevata e dinamica, è necessario sviluppare metodologie e strumenti di supporto digitali adeguati alle nuove necessità espresse dalla società del nostro tempo.

Difatti, ogni arte e scienza sociale, compresa l’architettura, necessita di una struttura regolatoria capace di organizzare la caotica mole di informazioni che vive all’interno di esse: allo stato attuale, le strutture regolatorie a nostra disposizione sono gli strumenti di gestione informativa, da non confondersi con gli idealizzati costrutti matematici alla base dell’architettura classica (Kieran et Timberlake, 2004b). Inoltre, questa trasformazione viene sempre più accelerata dalla diffusione di attrezzature CAM/CAD altamente efficienti e portatili, capaci di aprire le porte alla diffusione capillare della mass-customization che, nell’edilizia, rappresenterebbe l’anello mancante per una introduzione vincente del paradigma della prefabbricazione, evitando i problemi e le contraddizioni che l’impiego di queste tecniche ha comportato nella seconda metà del ‘900.

In questa evidente interdipendenza tra progettisti e produttori, quanto senso può avere discutere circa la divisione a compartimenti stagni dei compiti, allocati in diverse fasi - non comunicanti - del processo?

Il processo progettuale, assodato che inizia fin dal momento della programmazione dell’opera, vede una più stretta integrazione tra le soluzioni tecniche di progetto e la scelta della componentistica offerta dal mercato; inoltre, inizia ad essere sempre più importante valutare nelle fasi prodromiche, oltre alla convenienza economica delle soluzioni progettate/costruite, l’impatto che le stesse hanno sulla successiva gestione e manutenibilità del bene (fig. 28).

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Figura 28. Sintesi delle macro-fasi, delle figure e dei costi necessari alla vita utile

dell’edificio. Nel riquadro blu – tratteggiato è individuata la collocazione della ricerca oggetto di questa dissertazione.

Dal diagramma si evince perciò quanto sia decisivo, considerando le cifre in ballo, ottimizzare i contenuti progettuali e le contestuali fasi costruttive, al fine di disporre di un edificio che, in fase di operatività (di gran lunga superiori, in termini di tempi e costi, rispetto alle precedenti) possa godere di vantaggi e risparmi dati da precedenti misure migliorative scaturite, ad esempio, grazie a simulazioni sul comportamento dei vari insiemi strutturati di elementi che compongono l’organismo edilizio.

È altrettanto chiaro che spostare le valutazioni di carattere progettuale/operativo ad una fase molto precedente la costruzione dell’edificio, implica la necessità di modelli informativi dotati di solide Basi di Conoscenza, oltre ad adeguati elaboratori in grado di processare importanti moli di dati. Tali modelli inoltre, devono essere fortemente orientati alla collaborazione (interoperabili), in quanto nel modello informativo convergono, in maniera dinamica e continuativa, informazioni da tutti gli attori del processo: dalla committenza, alla pubblica amministrazione, dai tecnici alle imprese affidatarie, dai fornitori ai produttori di componenti, finanche agli addetti al trasporto del prodotto finito, per ottimizzare la logistica di cantiere nei casi, sempre più frequenti, di mantenimento dell’operatività del bene durante la cantierizzazione.

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Il modello informativo diventa quindi, oltre che “contenitore” di informazioni raccolte dalle diverse figure processuali, un vero e proprio sistema regolatore per la progettazione e la costruzione (fig. 29): in tal senso, diviene l’affidabile strumento di supporto strategico per l’ottimizzazione, il controllo e la gestione dei processi di realizzazione dell’architettura.

Figura 29. L’Architetto nell’anno 2000. Cromolitografie degli anni ’10 del novecento,

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2. Metodologie di gestione e rappresentazione del processo