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Il problema clinico affrontato in questo studio nasce dall’interesse rivolto alla fibrosi miocardica, una patologia del muscolo cardiaco che può essere causata da molteplici fattori. Ad oggi soltanto la biopsia permette una diagnosi affidabile e una caratterizzazione istologica ma in maniera altamente invasiva, per tale ragione diventa di fondamentale aiuto la Risonanza Magnetica Cardiaca che permette la diagnosi della patologia in maniera non invasiva. Con la tecnica nota con il nome di Late Delayed-contrast Enhancement (LGE) oggi è possibile ottenere una misurazione accurata dell’area necrotica e della localizzazione delle regioni fibrotiche.

L’idea di questo studio è nata dalla considerazione che attualmente l’identificazione delle regioni interessate da fibrosi viene effettuata tramite algoritmi di segmentazione a soglia, ed in particolare tramite le tecniche n-SD e FWHM, che richiedono l’intervento di un operatore esperto e di conseguenza i risultati ottenuti dipendono altamente dal suo giudizio. Inoltre, queste metodiche si basano su modelli del segnale RM semplificati.

Partendo da tali osservazioni in questo lavoro è stato scelto di sviluppare una versione automatica degli algoritmi n-SD e FWHM, basata sul fitting del segnale del miocardio complessivo, con l’obiettivo di rendere la valutazione indipendente dall’operatore. Inoltre, è stato proposto un nuovo approccio (metodo PVE) per superare i limiti del modello semplificato introducendo dei parametri che modellizzano in maniera più realistica il segnale del miocardio. Nella prima fase del lavoro i metodi sviluppati sono stati applicati ad immagini fantoccio realizzate tramite il calcolatore. Gli esperimenti fatti hanno mostrato che gli algoritmi n-SD e FWHM sono confrontabili con la versione semi-automatica utilizzata oggi nella pratica, e l’algoritmo PVE ha mostrato performance paragonabili a quelle dei metodi FWHM e 5SD. Nella seconda fase gli algoritmi sono stati ottimizzati per poter essere applicati ad immagini di RMI reali di 20 pazienti in cui precedentemente era stata diagnosticata la necrosi del miocardio. Dall’analisi statistica dei risultati ottenuti dalla segmentazione è emerso che i metodi n-SD automatici sono confrontabili con la versione automatica, ma per valori di n differenti, ed in particolare il metodo 3SD presenta performance simili al metodo 6SD semi- automatico. Per quanto riguarda il metodo FWHM automatico questo è risultato equivalente alla versione semi-automatica. Infine, il metodo PVE ha mostrato buoni risultati ma presenta efficacia minore rispetto agli altri algoritmi con il vantaggio però di non dipendere dalla scelta del parametro

n per la determinazione della soglia. Quanto appena descritto ripercorre brevemente il lavoro svolto

e i risultati ottenuti ma è possibile fare alcune considerazioni che possono rappresentare eventuali limiti o spunti per sviluppi futuri.

130 Gli algoritmi automatici sviluppati si basano sulla modellizzazione del segnale RM tramite una procedura di fitting con un modello non lineare a sei parametri. L’utilizzo di un algoritmo di fitting, basato sull’algoritmo di minimizzazione dei quadrati di Levenberg-Marquardt, e l’utilizzo di un approccio Multi-Start ha permesso di sviluppare una procedura efficace per la stima dei parametri che funziona correttamente entro il range dei parametri e di SNR attesi in clinica, come dimostrano i risultati ottenuti con i fantocci. Si è consapevoli tuttavia che le prove effettuate sul fantoccio, trattandosi di immagini ideali, sono servite unicamente a verificare il funzionamento degli algoritmi automatici, e i risultati ottenuti non possono essere utilizzati per la validazione degli stessi.

Infine, dall’analisi dei risultati ottenuti applicando il metodo PVE alle immagini dei pazienti è emerso che il modello sviluppato, nonostante la procedura di fitting funzioni correttamente, non tiene conto di altri fattori che probabilmente influiscono sul segnale. Bisogna tuttavia sottolineare che l’algoritmo è stato applicato ad immagini di pazienti con infarto. Sarebbe dunque interessante applicare il metodo anche ad immagini di pazienti con fibrosi in quanto per i risultati ottenuti con i fantocci il metodo PVE risulta avere maggiore efficacia.

Il lavoro dunque potrebbe essere approfondito concentrandosi sul miglioramento del modello, e di conseguenza della procedura di fitting, riadattandolo in maniera tale da tenere conto dell’influenza che il segnale RM subisce al variare dei parametri fisiologici dei pazienti coinvolti e di eventuali artefatti da attenuazione verificatisi durante l’acquisizione.

Gli obiettivi futuri comprendono la volontà di proseguire il percorso intrapreso in questo studio nella speranza che tale lavoro, con le ulteriori opportune modifiche, possa trovare effettiva applicazione in ambito biomedico per scopi diagnostici.

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