Lo scopo di questo lavoro era evidenziare, attraverso l‟analisi di un
case study, alcuni fattori che in letteratura e sul campo vengono considerati
rilevanti ai fini del successo di attività di trasferimento tecnologico dalle università al mondo produttivo tramite l‟attivazione di nuove iniziative imprenditoriali, individuarne i caratteri di ricorsività e generalizzabilità, proporre un set di condizioni da verificare per massimizzarne le probabilità di riuscita e indicare una lista di ipotesi di valutazione.
Il percorso logico ha preso le mosse dalla considerazione della necessità di spostarsi, nel mondo occidentale, verso una economia prodotta (e non solo governata) dalla conoscenza, in cui le componenti immateriali sono superiori e preponderanti rispetto a quelle materiali.
Il ritardo con cui le economie occidentali stanno evolvendo verso questo paradigma, la cui traiettoria era stata già tracciata dalla famosa “Strategia di Lisbona” (che prevedeva entro il 2010 un investimento di almeno il 3% del PIL in ricerca e sviluppo), comporta, ad oggi, che vengano urgentemente individuate ed implementate delle strategie di “risposta rapida” per far sì che questo ritardo non diventi incolmabile e che si acceleri il ritmo del cambiamento.
Una delle tattiche da implementare a maggior rapporto costo/beneficio in funzione del tempo di realizzazione è stata individuata nel “trasferimento tecnologico”. Lo stock di conoscenze utili al mondo delle imprese esiste già ed è disponibile nei laboratori pubblici di ricerca e il personale high skilled che vi lavora è già formato per rispondere alle sfide della competizione globale (istruzione superiore, conoscenza dell‟inglese, network di relazioni internazionali, forma mentis, etc.). I tempi di trasferimento al mercato di attività puramente scientifiche mediante attività di TT sono quasi immediati (ovviamente se paragonati al tempo necessario per produrre la stessa quantità di ricerca ex novo); è necessario disporre di un quadro normativo chiaro e motivante, di un forte commitment a livello di governi (centrale e
locale) e di fondi a disposizione per finanziare gli investimenti. Lo spin off è inoltre lo strumento che consente di presidiare l‟intero percorso innovativo dalla ricerca al mercato, consentendo di ottimizzare gli sforzi e internalizzare la maggior parte del valore aggiunto del prodotto.
Parallelamente al crescere della globalizzazione mondiale si è sviluppato, tra gli anni ottanta e novanta, il passaggio concettuale dalla nozione di sistema nazionale di innovazione (NSI) a quello di sistema regionale (RSI) evidenziando così l‟importanza delle forme innovative regionali che differiscono, non solo sulla base di specifiche strategie e performance tecnologiche interne alle imprese, ma anche sulla base di elementi esterni e contestuali favorevoli all‟innovazione e di interazioni sistemiche. Con specifico riferimento ai sistemi locali, occorre sottolineare come la vicinanza regionale, e quindi la contiguità spaziale, rappresenti un potente fattore di esternalità tecnologiche, che vanno a rafforzare le esternalità connesse alla nozione classica di distretto industriale (Cariola & Coccia, 2002).
Le situazioni/occasioni in cui si evidenzia la possibilità di mettere in atto strumenti di trasferimento tecnologico sono estremamente eterogenee e le generalizzazioni non sono mai un esercizio facile (Bozeman, 2000). Il
case study esposto nei capitoli precedenti ha il pregio di essere
paradigmatico di un percorso che ha consentito di portare a un livello superiore di generalizzazione alcuni aspetti di operatività e di contesto per individuare una traiettoria ideale che possa delineare un “percorso tipo” di trasferimento tecnologico di successo.
Figura 57:la catena del valore della ricerca scientifica sul modello della catena del valore elaborato da Porter (Fonte: Compagno & Pittino, 2006).
Business plan competition Uffici di trasferimento tecnologico
Incubatori universitari Parchi scientifici Generazione di opportunità imprenditoriali dalla ricerca scientifica Formalizzazione di un piano di valorizzazione
Le problematiche particolari, che sono state analizzate in termini di brevettazione, di analisi di scenario, di posizionamento di un servizio nuovo per il mercato, di sostenibilità imprenditoriale, etc., possono essere riportate al generale chiudendo in tale modo il percorso logico che proprio dall‟analisi delle condizioni di contesto generale era partita per arrivare a descrivere il caso particolare.
Emerge un quadro che, tra luci ed ombre, lascia spazio a delle prospettive di crescita. Ad oggi gli spin off universitari sono circa ottocento, fatturano seicento milioni di euro all‟anno e occupano ottomila addetti. Non si è ancora presentato il caso del fuoriclasse alla Yahoo, ma è importante sottolineare che questi numeri segnalano che il tempo del pionierismo (e dell‟improvvisazione) è finito. Sono i dati degli ultimi due/tre anni a segnare la svolta. Le nuove imprese che nascono hanno imparato dalle esperienze pregresse a progettare le mosse giuste con i tempi giusti e anche dal mercato dei capitali sono emerse dichiarazioni di interesse e investimenti tutt‟altro che trascurabili. Le start up confermano la capacità di polarizzarsi sui settori più vivaci dal punto di vista tecnologico, settori che dopo le fasi iniziali dominate da ICT ed elettronica, sono essenzialmente riferibili agli ambiti delle scienze della vita, dell‟energia e dell‟ambiente.
Dal punto di vista delle performance si nota che c‟è un forte incremento di fatturato nei primi tre anni (per poi raggiungere un plateau), c‟è una scarsa tendenza all‟internazionalizzazione (solo il 10% delle imprese vende anche all‟estero) ma resiste una forte fedeltà al modello “research intensive”. Probabilmente questi dati sono correlati alla scarsa propensione al rischio che accompagna i proponenti accademici. In genere la quasi totalità dei proponenti tende a non scostarsi dal profilo accademico e mantenere un piede in azienda e uno in dipartimento. Non c‟è una evoluzione dal profilo prettamente accademico al profilo prevalentemente imprenditoriale che possa incentivare la propensione al rischio e la voglia di cimentarsi sui mercati globali.
Nel contesto italiano alcuni fattori analizzati sono presenti (la buona ricerca, l‟appropriabilità, la presenza di ambienti di supporto, l‟intuizione) mentre altri vanno stimolati (il quadro normativo, l‟”imprenditorializzazione” dei
proponenti accademici, la propensione all‟investimento degli operatori del settore e dei VC).
In questi ultimi 10/12 anni, da quando si è cominciato a parlare di trasferimento tecnologico, il percorso che è stato fatto è stato di tipo
bottom-up. Le università, gli enti, i ricercatori si sono mossi dal basso per spingere
processi difficili fatti di rivoluzioni copernicane e di rinnovamento di mentalità di un intero sistema.
L‟auspicio è che le riflessioni che in questi anni si mettono in atto sulle riorganizzazioni e sulla bontà di certe scelte trovino una controparte che dall‟alto (top-down) si incarichi di ridefinire i framework legislativi e finanziare le attività di trasferimento tecnologico con uno sforzo finalizzato a dare finalmente risposta alle firme poste sotto gli accordi di Lisbona (Commissione Europea, 2005).
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