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Le Linee Guida Europee e il Programma Nazionale della Ricerca

Nel documento UNIVERSITA‟ DEGLI STUDI DI TRIESTE (pagine 49-55)

3. Lo scenario: il trasferimento tecnologico come opportunità

3.1 Le Linee Guida Europee e il Programma Nazionale della Ricerca

Le riflessioni esposte nei capitoli precedenti sono note da lungo tempo e ampiamente condivise dai livelli politici. Infatti nel marzo del 2000 il Consiglio Europeo riunito a Lisbona aveva immaginato di introdurre a livello comunitario una strategia decennale per il rinnovamento economico, sociale e ambientale dell‟Unione (European Commission, 2000). In questa traiettoria di rinnovamento, l'innovazione veniva considerata uno dei pilastri tanto da far parlare della cosiddetta «strategia di Lisbona»10. La strategia di Lisbona in merito alla ricerca scientifica e all‟innovazione tecnologica faceva riferimento a una comunicazione della Commissione Europea dal titolo “Verso uno spazio europeo della ricerca” il cui scopo dichiarato era quello di offrire un contribuito alle politiche di ricerca, sviluppo e innovazione tecnologica in Europa (Caruso, 2004).

La Commissione poneva l‟accento già allora, sulla problematica situazione di stallo in cui versa il mondo della ricerca e dell‟innovazione tecnologica in Europa: situazione definita senza eufemismi “preoccupante” e che rischiava di divenire una delle principali cause di rallentamento della crescita economica, oltre che di perdita di competitività delle economie europee nel panorama dell‟economia globale. La Commissione si poneva già allora il problema della necessità di elaborare una politica per la ricerca coordinata e coerente che si ponesse nel tempo alcuni traguardi, attraverso la definizione di uno «Spazio Europeo della ricerca».

La politica per la ricerca in Europa si configurava, infatti, come la semplice sommatoria, se non come un semplice accostamento, di singole politiche nazionali, gestite attraverso le rispettive strutture istituzionali. L‟ espressione «Spazio europeo della Ricerca» sembrava indicare, pertanto, un obiettivo da

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Adottata dal Consiglio europeo nel marzo 2000 e ribadita dai successivi Consigli europei, in particolare a Barcellona nel 2002.

perseguire per uscire dall‟impasse in cui si trovavano i poco competitivi sistemi continentali. La Commissione indicava nella creazione di una politica coordinata, attraverso l‟abbattimento delle barriere esistenti tra i singoli sistemi nazionali, il viatico necessario al rafforzamento della ricerca e allo sviluppo tecnologico in Europa.

Il Consiglio Europeo di Barcellona del 2002, in seguito stabilì che gli investimenti dell'UE per le attività di ricerca e di sviluppo tecnologico (R&D) avrebbero dovuto aumentare fino a raggiungere il 3% del Pil entro il 2010, rispetto all'1,9% del 2000. Di tale percentuale il Consiglio auspicava che i due terzi fossero resi disponibili dal settore privato. L‟obiettivo venne confermato da successivi documenti della Commissione. In questi l‟organo esecutivo dell‟Unione si propose di avviare un dibattito in merito alle modalità e ai mezzi necessari per realizzare gli obiettivi in materia di investimenti in R&D, tracciando una mappa dei possibili piani di azione. In primo luogo l‟enfasi fu posta su una serie di misure in grado di creare delle condizioni generali più favorevoli ad incentivare l‟investimento in R&D e in particolare la sua componente privata. Tra queste si ricordano brevemente: (a) una maggiore disponibilità e una migliore qualità delle risorse umane

da impegnare nelle attività di R&D

(b) una maggiore efficacia dell‟investimento pubblico in R&D e, in particolare, la “messa in rete” della ricerca pubblica (ovverosia l‟instaurazione di legami e relazioni dinamiche tra il mondo della ricerca pubblica e i settori industriali privati)

(c) la promozione di imprese di rischio ad alta tecnologia oltre che l‟incentivazione alla creazione di imprese spin-off da imprese più grandi (d) l‟adeguamento del quadro normativo in merito ai diritti di proprietà

intellettuale (il brevetto europeo)

(e) un riesame della regolamentazione comunitaria della concorrenza (f) il sostegno dei mercati finanziari nelle varie fasi di sviluppo di imprese

ad alta tecnologia di sviluppo

(g) la ristrutturazione della spesa pubblica nel quadro di politiche fiscali idonee a incentivare l‟investimento in R&D da parte del settore privato.

Il comparto dell‟Università e della Ricerca può rispondere in prima persona a molte di queste sollecitazioni. Per prima ovviamente a quella sulla creazione del capitale umano qualificato come da missione storica, ma non secondaria è la questione sulla creazione del capitale “intangibile”, tecnologico, di prodotti e know-how. Le raccomandazioni della Commissione mirano allo sviluppo dell‟innovazione “in senso orizzontale”, mediante lo sfruttamento di strumenti integrati in grado di collegare la politica industriale e quella della ricerca. Nella fase di applicazione nazionale è venuta a mancare proprio la tanto auspicata politica integrata ed orizzontale. Gli strumenti operativi adottati sono stati caratterizzati da modalità esecutive non congruenti con i tempi propri dell‟innovazione tecnologica e, così facendo, non si è riuscito a stabilire l‟interazione richiesta tra intervento pubblico ed azione privata. In una fase di costante dematerializzazione della produzione del valore economico è indispensabile tenere il passo in maniera costante con il continuo e incessante susseguirsi di tecnologie e innovazioni e gli EPR possono assumere un ruolo ancora più strategico di quanto non emerga dalla disamina delle possibilità concesse dal tessuto legislativo. E‟ in questo panorama che lo strumento dello spin off, nella misura in cui sia realizzato per rispondere a queste esigenze, può rappresentare una risorsa fondamentale per raccogliere le competenze più preparate, organizzarle in maniera funzionale al mercato e produrre valore economico attraverso la ricerca e l‟innovazione.

Per non lasciare che la strategia di Lisbona del 2000 (ad oggi già fallita visto che prevedeva di ottenere risultati entro dieci anni) sull‟Europa come “società della conoscenza” resti uno slogan, è necessario che questo sistema di creazione di valore venga fortemente supportato dalla mano pubblica, sia in termini di incentivi che di facilitazioni regolatorie (es. leggi sulla proprietà intellettuale dei ricercatori pubblici).

I risultati delle ricerche in letteratura suggeriscono alcuni percorsi di implementazione:

• aumentare le competenze degli enti che già esistono piuttosto che crearne altri (incrementare il networking)

• focalizzarsi sulle SMEs (andare verso le imprese)11

• incrementare la fiducia (valutazione degli enti in base alla loro capacità di attrarre le imprese

adottare soluzioni incrementali (non disruptive)

• orientamento non esclusivo sulla tecnologia (ma proporre anche incentivi a internazionalizzazione, apertura di nuovi mercati, promozione, etc.)

• aumentare la competenza dei manager12 di trasferimento tecnologico e creane le figure dove non esistono (creare competenze forti a livello dirigenziale e non lasciare il campo alla politica pura)

implementare modelli di benchmarking (anche internazionale) per valutare le politiche di enti comparabili e individuare le “best practice”. In Italia il percorso strategico della creazione delle economie degli anni a venire dovrebbe venire tracciato dal “Programma Nazionale delle

Ricerche”.

Un obiettivo del PNR (Ministero dello Sviluppo Economico, 2010) dovrebbe essere la semplificazione, la razionalizzazione e l‟innovazione dei processi di ricerca industriale, da conseguire con l'integrazione degli strumenti delle amministrazioni di tutti i livelli, definendo un sistema nazionale e regionale di strumenti e con l'adozione di un modello valutazione delle iniziative progettuali di ricerca e sviluppo tecnologico, nazionali e regionali.

Le azioni che il PNR vuole promuovere si suddividono a seconda dell‟arco temporale:

1. Azioni di medio-lungo periodo

a. Sostenere la creatività e l‟eccellenza in tutti i campi del sapere (progetti knowledge driven)

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E in particolare verso le NTBFs (New Technology Based Firms) che sono aziende il cui vantaggio competitivo risiede proprio nella capacità di incorporare tecnologie d‟avanguardia (di rado sviluppate autonomamente dall‟impresa) all‟interno di prodotti/servizi destinati al mercato.

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La figura del manager del trasferimento tecnologico può essere assimilata a quella del broker e infatti in Italia è stata fondata l‟associazione AIBT (Associazione Italiana Broker Tecnologici): www.brokertecnologico.it.

b. Ricerca di base orientata alle tecnologie abilitanti (6 tecnologie: genetiche, per l‟energia; dei materiali; connesse al funzionamento del cervello; dell‟informazione; per l‟ambiente) per stimolare processi di interazione tra Università, Enti di ricerca, Ministeri, Industria e Regioni.

2. Azioni di breve-medio periodo

a. Ricerca per lo sviluppo di settori industriali innovativi b. Progetti integrati di ricerca a sostegno dell‟industria

c. Sostegno alla creazione di nuove imprese ad alto contenuto tecnologico

d. Stimolare il consolidamento delle piattaforme tecnologiche nazionali, filiazione delle omonime europee

e. Sostenere i distretti tecnologici, strutture di secondo livello che coordinano, localmente, istituzioni diverse aventi strategie di sviluppo comuni. Il PNR valuta lo stato dei distretti e disegna procedure per riorganizzarli

f. Favorire la nascita di poli di eccellenza, assimilati ai distretti ma impegnati su ben definite frontiere tecnologiche

g. Interventi finalizzati all‟attrazione e qualificazione di giovani nel settore della ricerca scientifica e tecnologica

h. Scuole internazionali di dottorato

i. Riorientamento e recupero di strutture di ricerca industriale, ancorate alla formazione del personale di ricerca

j. Sostegno ai post-dottorati

k. Infrastrutture fisiche e immateriali: la valutazione ex-ante; unicità; rilievo internazionale; capacità di attrarre il Capitale Umano; caratura internazionale

l. PON per il Mezzogiorno

m. Estensione dei progetti PON al Nord

n. Migliorare l‟internazionalizzazione del Sistema Ricerca o. Riforma della governance dell‟Università

Figura 10: schema logico del PNR 2010-2013

La messa in opera del piano dovrebbe portare ad adeguare, nel periodo 2010-2013, il livello degli investimenti pubblici in azioni di R&D dallo 0,56% allo 0,67% del PIL, come la media europea. Se si considera la media dei paesi più avanzati, questa percentuale dovrebbe salire all‟1%. Nel contempo si vuole operare anche dal lato della ricerca privata per creare le condizioni affinché le PMI nazionali abbiano un accesso facilitato all‟innovazione, incentivando particolarmente la loro collaborazione con la ricerca pubblica. L‟orizzonte temporale (fino a 2013) è di breve/medio periodo ma la complessità del PNR potrebbe dispiegare i risultati in tempi più lunghi.

4. Le tipologie e i modelli di trasferimento

Nel documento UNIVERSITA‟ DEGLI STUDI DI TRIESTE (pagine 49-55)