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Concorrenza sleale e contraffazione: confronto tra due fattispecie a tutela de

CAPITOLO III Commento alla sentenza

3.7 Concorrenza sleale e contraffazione: confronto tra due fattispecie a tutela de

La tutela prevista dal primo comma, art. 2598 c.c., riguarda in generale i segni distintivi e ci si chiede se essa possa affiancarsi alla tutela che già è prevista in fatto di marchi registrati, ditta e insegna nel c.p.i.. Si tratta sostanzialmente di stabilire se la contraffazione di tali segni distintivi, già disciplinata da altre norme nel c.p.i., possa considerarsi anche illecito di concorrenza sleale e quindi rientrare nella fattispecie di cui al primo comma dell’art. 2598184.

Dalla lettura di quest’ultimo, e precisamente mediante l’espressione che lo introduce, “Ferme le disposizioni che concernono la tutela dei segni distintivi185”, si può supporre che vi sia un accostamento della tutela riservata ai segni distintivi a quella in merito ad atti di concorrenza sleale.

Oltre all’alternatività delle due tutele, ci si interroga su un possibile cumulo delle stesse, ovvero la loro compresenza in uno stesso illecito in materia di marchi. Una loro contemporanea applicazione, da un lato, risulterebbe superflua, poiché un segno distintivo che viene contraffatto è già ampiamente tutelato dalla normativa prevista nel c.p.i.186, rendendo inutile la tutela contro la concorrenza sleale. Per contro, la tutela prevista dall’art. 2598 c.c. prevede per l’azione di concorrenza sleale due provvedimenti che, invece, il c.p.i. non contempla: l’art. 2599 c.c. infatti considera l’implementazione di tutti gli atti volti ad eliminare gli effetti dell’illecito, mentre l’art. 2600 c.c. aggiunge la possibilità al titolare del diritto leso di ottenere il risarcimento dei danni187.

La giurisprudenza è giunta alla conclusione che la cumulabilità tra le due tutele è ammessa: il titolare di un marchio, sia esso registrato o di fatto, ha la possibilità di agire contro il concorrente che ha leso i suoi diritti mediante un’azione di contraffazione, invocando quindi quanto predisposto dal c.p.i. sulla disciplina dei marchi e anche con un’azione di concorrenza sleale, qualora voglia ottenere il

184

A. VANZETTI, V. DI CATALDO, op. cit., 46.

185 Art. 2598, c.c.. 186

Artt. 20, 21 c.p.i..

187

D. CESIANO, “La tutela cautelare in tema di marchi e di concorrenza sleale”, Le Fonti, Milano, 2008, 140.

risarcimento dei danni. Tali azioni sono ammesse, come risulta ormai noto, qualora vi sia confondibilità tra il marchio del titolare ed il segno del concorrente.

Nel caso qui in esame, è il marchio di forma registrato il segno distintivo ad essere oggetto di concorrenza sleale, secondo quanto accusa la parte attrice.

Come risulta da quanto affermato nei paragrafi precedenti, i presupposti per la tutela contro la concorrenza sleale sono diversi rispetto a quelli riguardanti il marchio registrato; ogni qualvolta si verifica contraffazione di un marchio non è assolutamente detto che esso costituisca anche atto di concorrenza sleale.

Riassumendo brevemente quali sono le peculiarità delle due tutele in esame possiamo affermare che:

- la tutela riservata ai segni distintivi nella sezione marchi del c.p.i. ha natura reale, mentre quella che riserva l’azione di concorrenza sleale, sempre con riferimento ai segni distintivi, ha natura anche personale;

- in sede di giudizio è sufficiente la presunta confondibilità tra marchi al fine di godere della tutela contro la contraffazione, mentre è necessaria la concreta sussistenza e verifica del rischio di confusione per ravvisare illecito da concorrenza sleale;

- l’azione di contraffazione, diversamente da quella di concorrenza sleale, non necessita di un presupposto soggettivo per determinarne la sua repressione (dolo o colpa dell’agente);

- essendo due azioni diverse, esse possono essere cumulabili.

Con particolare riguardo al secondo punto del precedente elenco, si ritiene indispensabile chiarire che l’affermazione si riferisce al caso in cui si arrivi in sede di giudizio a causa dell’illecito da esse provocato. In caso di concorrenza sleale, in seguito ad una prova concreta della confondibilità mediante il confronto tra i prodotti oggetto dell’illecito; mentre, in caso di contraffazione, è sufficiente anche solo la presunzione del pericolo di confondibilità senza la necessità della verifica in concreto della stessa. Nel caso in cui si chieda il risarcimento dei danni per contraffazione o per concorrenza sleale è invece strettamente necessario che il danno stesso venga provato e che venga data dimostrazione dell’effettiva confondibilità che i prodotti generano fornendo al Giudice degli esemplari.

Affinché un atto sia qualificato alla stregua di illecito per concorrenza sleale, è necessaria la presenza di una confondibilità potenziale o in concreto, la quale, a sua volta, sussiste solo nel caso in cui il marchio sia usato e quindi noto al consumatore finale. Questo spiega come nel caso in cui vi sia contraffazione di un marchio registrato non usato, esso non costituisca un atto di concorrenza sleale.

Ancora, il rischio di confondibilità in materia di concorrenza sleale, oltre ad essere correlato all’ambito merceologico di appartenenza dei prodotti oggetto dell’illecito, è limitato anche dall’ambito territoriale in cui tale prodotto circola. Nel caso quindi vi sia contraffazione di un marchio registrato, ma non vi è il rischio di confusione con uno non registrato, a causa dell’uso limitato nel territorio, non vi è concorrenza sleale.

In aggiunta, la disciplina a tutela del marchio registrato vale per tutti i prodotti per i quali il titolare ha chiesto e ottenuto la registrazione, mentre, la tutela contro la concorrenza sleale ricorre solo quando i prodotti del marchio registrato sono affini a quelli del contraffattore e previo uso del marchio. La verifica dell’affinità tra i prodotti, in caso di concorrenza sleale, avviene con riguardo ai prodotti che i due soggetti coinvolti nella controversia effettivamente usano, a differenza invece che nel caso di contraffazione, in cui la verifica dell’affinità tra i prodotti oggetto della fattispecie avviene per tutti quelli per i quali il marchio è stato registrato, a prescindere dall’uso che ne fanno i soggetti coinvolti nell’illecito della contraffazione.

Alla luce di quanto appena descritto, si rileva che il rischio di confondibilità risulta elemento determinante circa la qualifica di un atto come illecito per concorrenza sleale.

Non sempre quindi, in caso di contraffazione di un marchio registrato, sussiste anche atto di concorrenza sleale, poiché come appena esplicato, le circostanze che ne determinano la loro sussistenza si basano su differenti presupposti.

Concludendo, per il marchio registrato è possibile applicare la tutela prevista sia in caso di contraffazione, che altro non è che quanto previsto dal c.p.i. in caso di violazione dei diritti di esclusiva conferiti dalla registrazione stessa, sia quella, ex. Art. 2598 c.c., in caso si verifichi un atto di concorrenza sleale nei suoi confronti. E’ necessario però valutare, caso per caso, se entrambe le fattispecie sussistono,

verificando l’uso dei marchi, il rischio di confusione e l’affinità tra gli stessi. Per la constatazione della concorrenza sleale sono necessarie valutazioni più approfondite; queste sono supportate dalle prove a sostegno dell’illecito fornite dalle parti in sede di giudizio. E’ per tale motivo che nel caso oggetto dell’elaborato, a causa della scarsità di prove, la sola accusa decretata è stata per contraffazione e non per concorrenza sleale.

3.8 La nozione di secondary meaning applicata al caso in esame: la riabilitazione