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CONDIZIONI GENERALI DEI CONTRATTI E LE CLAUSOLE PREDISPOSTE UNILATERALMENTE.

1. Pubblicità e poscriptio.

Parallelamente all’introduzione del Ius Honorarium, ed al recepimento del Ius

Gentium come integrazione del Ius Civile, il diritto commerciale romano (nel

senso precisato in precedenza che questo termine può assumere) andò ad imporre agli imprenditori un obbligo di informazione completa e corretta nei contratti da concludere con i futuri contraenti, anche al di fuori del contratto di compravendita 91 , ad esempio negli ambiti negoziali legati alla locatio-conductio nei magazzini e nei servizi bancari.

Si tenga presente che l’interesse dell’ordinamento per la fissazione di obblighi giuridici di informazione si inquadra nella predisposizione di strumenti di tutela a favore del contraente “debole”: se è vero che la preposizione

exercitoria e quella institoria si configuravano come un atto di conferimento

di natura astratta dei poteri di gestione, è anche vero che esse non rilevavano nella sola sfera interna dei rapporti tra imprenditore - che le compiva - e soggetti preposti, in quanto i terzi, concludendo un contratto con il preposto entro i limiti della stessa, avrebbero potuto acquisire diritti nei confronti dell’imprenditore92.

Essa si presumeva generale per i dipendenti esercenti: se si fosse voluta più puntualmente circostanziare, era quindi necessario rispettare alcune forme di

91

Cic., De off. 3.12.53-57; N. DONADIO, La tutela del compratore tra actiones aediliciae e actio empti, Milano, 2004, p. 90 e ss.; F. PROCCHI, “Dolus” e “culpa in contrahendo” nella compravendita.

Considerazione in tema di sinallagma genetico, in, a cura di L. GAROFALO, La compravendita e l’interdipendenza delle obbligazioni nel diritto romano, Padova, 2007, vol. I, p. 202 e ss.; D. 19.1.11.5.

92

pubblicità, in modo che i suoi contenuti fossero conoscibili all’esterno ed i terzi avessero la possibilità di esserne informati; e tali esigenze, che, come vedremo, ci vengono riferite esclusivamente dall'elaborazione giurisprudenziale in sede di commento all’editto pretorio 93 , venivano

realizzate mediante un'affissione per iscritto, la proscriptio.

Prima di descrivere come il diritto romano regolasse il sistema pubblicitario necessario perché una clausola affissa potesse automaticamente integrare l’assetto di interessi contrattuali convenuto tra contraente ed esercente dell’impresa, mi sembra opportuno premettere alcune parole sul concetto di clausola contrattuale nel diritto romano.

La conventio94, ovvero l’accordo di volontà tra due o più parti alla base dell’autonomia privata, permetteva la conclusione di patti95, diversi dai

contratti tipizzati 96 o da quelli riconosciuti dal diritto pretorio97 , ma comunque vincolanti tra le parti.

Nei contratti consensuali tutelati da buona fede, il patto aggiunto al momento della conclusione del contratto, andava infatti ad incorporarsi in esso e ne diveniva in continenti una clausola98 da cui ne discendeva una vera e propria obbligazione99.

93

D. 14.3.11.2-6: appartengono sicuramente all’editto pretorio le parole “eius rei gratia cui praepositus

fuerit, in eum, qui eum praeposuerit”; si discute invece se le parole “de quo palam proscriptum fuerit, ne cum eo contrahatur” vi rientrassero oppure no. O. LENEL, Das Edictum, cit, p. 258 e ss.

94

D. 50.12.3 pr. (Ulp. 4 disp.); D. 2.14.13.

95

Dal verbo pacio o paciscor che letteralmente significa "fare la pace", il patto indica nel più antico latino (ad es. nelle XII Tavole) l'accordo fra delinquente e offeso per il riscatto dalla vendetta. Da ciò la regola che l'azione di furto o d'ingiuria si estingue per pactum. Ma i giuristi classici adoperano la parola pactum a indicare qualsiasi accordo di volontà, sempre che volessero sottolineare la sua minore efficacia, o il valore puramente accessorio, rispetto ad atti giuridici aventi pienezza di effetti o capaci di produrne per sé soli.

Enciclopedia Italiana Treccani, Roma, 1935, voce ‘patto’.

96 Un nudo patto, aggiunto ad un contratto di stretto diritto, come ad esempio un mutuo, concedeva

comunque un’eccezione, chiamata exceptio pacti conventi, A. PETRUCCI, Lezioni di diritto privato

romano, Torino, 2015, p. 296.

97

Denominati “innominati” dagli studiosi bizantini, poiché si distinguono da quelli che hanno un nome tipico.

98 “Clausola”, dal latino “claudere”, è la disposizione che chiude, conclude un contratto o altro

provvedimento pattizio, Enciclopedia Italiana Treccani, cit.

99

Di conseguenza, affinché limitazioni specifiche o richieste particolari, ovvero nel nostro caso clausole aggiunte, potessero avere efficacia automatica al momento della conclusione di un contratto relativo all’oggetto dell’impresa, queste sarebbero dovute essere pubblicate dall’imprenditore predisponente e rese conoscibili alla clientela:

D. 14.3.11.5 (Ulp. 28 ad ed.): “Condicio autem praepositionis servanda est:

quid enim si certa lege vel interventu cuiusdam personae vel sub pignore voluit cum eo contrahi vel ad certam rem? aequissimum erit id servari, in quo praepositus est. item si plures habuit institores, vel cum omnibus simul contrahi voluit vel cum uno solo. sed et si denuntiavit cui, ne cum eo contraheret, non debet institoria teneri: nam et certam personam possumus prohibere contrahere vel certum genus hominum vel negotiatorum, vel certis hominibus permittere…”

Attraverso questo commento, Ulpiano porta alla nostra attenzione come esistessero nella prassi negoziale casi in cui i terzi contraenti potevano essere vincolati ad una o più clausole, che l’imprenditore aveva in via potestativa stabilito precedentemente all’attività contrattuale; mediante l’istituto della

praepositio, nello specifico, Ulpiano mostra come avrebbe potuto essere

aggiunto in ogni singolo contratto relativo all'esercizio d'impresa:  l'inserimento di una certa lex vincolante ed incorporata ad esso;  l'intervento di garanti personali o l'assunzione di garanzie reali;

 il patto di limitare ad un certo oggetto la capacità contrattuale del soggetto preposto.

Possiamo dedurre che l’indicazione di clausole di questo tipo non fosse un caso isolato nel sistema commerciale romano, dato che Ulpiano definisce la loro osservanza conforme ad equità; e questo è in primis da sottolineare, in quanto risulta evidente la similitudine tra queste clausole accessorie predisposte dal preponente e tradotte immediatamente nei singoli contratti, e

quelle che con terminologia moderna oggi chiamiamo “condizioni generali”100.

Potevano quindi essere proscritte al pubblico ulteriori scelte di indirizzo imprenditoriale, quali:

 la nomina di più institori con compiti diversi, come quelli di intervenire congiuntamente o disgiuntamente nella conclusione dei contratti;

 il divieto di contrarre con l'institore a carico di certe persone - o di un

certum genus hominum vel negotiatorum - ed il permesso di farlo concesso a

determinate altre101.

Le disposizioni qua ulteriormente previste dal giurista concernevano le modalità di ripartizione dei poteri tra più institori102, oppure le possibilità in

concreto di limitarne l'esercizio, vietando nei confronti di alcune persone o categorie la facoltà di avvalersi della tutela pretoria o di ammetterla per altre.

100

A. PETRUCCI, Per una storia, cit., p. 23.

101 Così, analogamente, recita l’articolo 2211 cod.civ.: Poteri di deroga alle condizioni generali di

contratto: “I commessi, anche se autorizzati a concludere contratti in nome dell'imprenditore, non hanno il

potere di derogare alle condizioni generali di contratto o alle clausole stampate sui moduli dell'impresa, se non sono muniti di una speciale autorizzazione scritta.”

102 Scarse sono le fonti riguardanti il tema della pubblicità della preposizione nell’esercizio dell’impresa

di navigazione, “praepositio certam legem dat contrahentibus”, D. 14.1.1.12 (Ulp. 28 ad ed.): “Quare si

eum praeposuit navi ad hoc solum, ut vecturas exigat, non ut locet (quod forte ipse locaverat), non tenebitur exercitor, si magister locaverit: vel si ad locandum tantum, non ad exigendum, idem erit dicendum: aut si ad hoc, ut vectoribus locet, non ut mercibus navem praestet, vel contra, modum egressus non obligabit exercitorem: sed et si ut certis mercibus eam locet, praepositus est, puta legumini, cannabae, ille marmoribus vel alia materia locavit, dicendum erit non teneri. Quaedam enim naves onerariae, quaedam (ut ipsi dicunt) ‘epibateghoi' sunt: et plerosque mandare scio, ne vectores recipiant, et sic, ut certa regione et certo mari negotietur, ut ecce sunt naves, quae Brundisium a Cassiopa vel a Dyrrachio vectores traiciunt ad onera inhabiles, item quaedam fluvii capaces ad mare non sufficientes.”

La pubblicità di condizioni generali nell’impresa di navigazione poteva aver luogo attraverso un documento rilasciato dall'armatore, che il magister doveva esibire su richiesta dei terzi, oppure anche mediante affissioni ed avvisi, analoghi a quelli previsti per la preposizione institoria, da esporre nella nave ovvero nelle sedi portuali dell'impresa di navigazione. O. KARLOWA, Römische Rechtsgeschichte, Leipzig, 1892, vol. II, p. 1124 e ss.; A. J. M. MEYER - TERMEER, Die Haftung der Schiffer im

griechischen und römischen Recht, Zutphen, 1978, p. 152 e ss.; A. PETRUCCI, Per una storia, cit., p. 59

D. 14.3.11.2 (Ulp. 28 ad ed.): “De quo palam proscriptum fuerit, ne cum eo

contrahatur, is praepositi loco non habetur: non enim permittendum erit cum institore contrahere, sed si quis nolit contrahi, prohibeat: ceterum qui praeposuit tenebitur ipsa praepositione.”

Questo passo ci evidenzia come uno o più dipendenti dell’impresa non potessero essere considerati preposti, se fuori la sede della stessa fosse stato apertamente dato avviso ai terzi di non contrarre con loro.

Era infatti libertà del preponente autorizzare chi potesse rappresentare commercialmente l’azienda o vietare di farlo a certe persone; in mancanza però di un'espressa proibizione, di fronte a dipendenti attivi nella sede d’impresa, il preponente sarebbe stato inevitabilmente tenuto ipsa

praepositione: infatti, sarebbe legittimamente apparso ai contraenti di aver

contratto con un preposto, in forza di una preposizione generale, senza cioè limitazioni oggettive relative nell’ambito di esercizio dell’attività di impresa. La praepositio implicava che i terzi potessero concludere singoli contratti, con il magister o l’institor per le prestazioni fornite dall'impresa, senza necessità di espliciti permessi da parte dell'imprenditore preponente: tale facoltà risultava autorizzata preliminarmente nella praepositio, salvo eventuali limiti apposti in essa.

Prosegue poi il commento di Ulpiano:

D. 14.3.11.3 (Ulp. 28 ad ed.): “Proscribere palam sic accipimus claris

litteris, unde de plano recte legi possit, ante tabernam scilicet vel ante eum locum in quo negotiatio exercetur, non in loco remoto, sed in evidenti. litteris utrum graecis an latinis? puto secundum loci condicionem, ne quis causari possit ignorantiam litterarum. certe si quis dicat ignorasse se litteras vel non observasse quod propositum erat, cum multi legerent cumque palam esset propositum, non audietur.”

L'affissione con cui si rendeva nota la praepositio - cioè la proscriptio - doveva essere scritta a chiare lettere, con un linguaggio comprensibile agli

abitanti del posto così da potersi certamente leggere, ed essere inoltre esposta davanti alla taberna o al luogo in cui era esercitata l'impresa, in posizione non nascosta, ma evidente. Qualora fossero stati rispettati tali canoni, essendo la

proscriptio affissa in pubblico e non ostacolata la lettura, non avrebbero

trovato ascolto eventuali lamentele di terzi contraenti con l'institore, che avessero detto di non aver letto103 o di non averne osservato il contenuto,

ovvero avessero asserito di non aver avuto conoscenza delle clausole vincolanti incorporate nel contratto relativo all’oggetto dell’impresa.

La proscriptio, dunque, si configurava come un’affissione che, debitamente pubblicizzata, rendeva conoscibili alla clientela clausole e modalità d’esercizio unilateralmente predisposte, dalla quale i terzi contraenti potevano ricavare il regime obbligatorio che li avrebbe resi legittimati all’esperimento dell'actio institoria - o exercitoria104- contro l'imprenditore.

“… Sed si alias cum alio contrahi vetuit continua variatione, danda est

omnibus adversus eum actio: neque enim decipi debent contrahentes.”

In ogni caso, se era per questo tramite concesso all’impresa di delineare un regime, finalizzato a stabilire - o modificare - le condizioni contrattuali, allo stesso tempo era da considerarsi tale prassi vincolata ad un limite: qualora infatti una continua variazione dei divieti e dei permessi nel contrarre con un institore avesse occasionato una situazione di incertezza nei terzi contraenti, il pretore avrebbe puntualmente garantito tutela mediante la concessione dell'azione contro il preponente (D. 14.3.11.5).

La configurazione, più o meno ampia e variegata nella pratica, che poteva assumere il contenuto della praepositio, in ossequio al principio della libertà di organizzazione dell'impresa, vedeva parallelamente fissati precisi confini ai

103

Senza che fossero adducibili quali cause di giustificazione il proprio analfabetismo o ignoranza della lingua, cfr. A. PETRUCCI, Per una storia, cit., p. 29-30.

104 La ratio di una tutela verso i terzi derivante da prepositio era comune sia riguardo l’impresa terrestre

sia quella marittima, come abbiamo visto in D. 14.1.1 pr.: “…cum sit major necessitas contrahendi cum

poteri di libera configurazione, in quanto mai poteva venir meno la tutela dei terzi contraenti che si fossero mossi con diligenza per conoscerla105.

L'osservanza dei requisiti pubblicitari ora descritti era perciò la sola modalità con cui l'imprenditore preponente poteva esonerarsi da una responsabilità diretta ed illimitata, rimanendo, in questo caso, a quanti avessero contratto per mancata diligenza con il preposto, al di fuori della sfera dei poteri a lui attribuiti, la sola possibilità di esperire le azioni sul peculio derivanti dal

triplex edictum106.

D. 14.3.11.4 (Ulp. 28 ad ed.): “Proscriptum autem perpetuo esse oportet:

ceterum si per id temporis, quo propositum non erat, vel obscurata proscriptione contractum sit, institoria locum habebit. proinde si dominus quidem mercis proscripsisset, alius autem sustulit aut vetustate vel pluvia vel quo simili contingit, ne proscriptum esset vel non pareret, dicendum eum qui praeposuit teneri. sed si ipse institor decipiendi mei causa detraxit, dolus ipsius praeponenti nocere debet, nisi particeps doli fuerit qui contraxit.”

La pubblicità della proscriptio, affinché risultasse efficace, doveva essere pure permanente: ove i terzi avessero contratto con l'institore in un momento in cui questa non fosse affissa in modo consono, o fosse addirittura oscurata, ad essi, come afferma Ulpiano, era in ogni caso concessa l'actio contro il preponente.

105 La disciplina di una corretta pubblicità, strettamente legata al concetto di buona fede oggettiva,

riequilibra, da una parte, la posizione di inferiorità di quanti si fossero trovati a contrarre in situazioni di incertezza con l'institore per prestazioni compiute dall'impresa e concede dall'altra, come soluzione integrativa, un controllo effettivo in sede giurisdizionale, grazie all'esercizio dell'actio pretoria. A. PETRUCCI, Neque enim decipi debent contrahentes. Appunti sulla tutela dei contraenti con un'impresa

nel diritto romano tardo repubblicano e del principato in Il ruolo della buona fede oggettiva nell'esperienza giuridica storica e contemporanea. Studi in onore di A. Burdese, Padova, 2003, p. 93 e ss.

106

A meno che, è bene ricordarlo, non si fosse contratto con l’institore per iussum del titolare: la responsabilità in questo caso esulava dalle condizioni prepositorie, in quanto il titolare aveva con il suo ordine o autorizzazione supplito ad esse, da ciò scaturendo una responsabilità illimitata per il soggetto preponente; S. RICCOBONO, Lineamenti della storia delle fonti e del diritto romano, Milano, 1949, p. 417 e ss.

Ed ancora, se quest'ultimo, in quanto titolare, avesse effettuato l'affissione, ma un altro l'avesse tolta, oppure fosse accaduto che per vetustà o pioggia - o altre cause simili anche metereologiche e pure in via temporanea - l'affissione non vi fosse più o non si vedesse, anche in tali evenienze si poteva far ricorso all'actio in solidum contro di lui, anche quando il contratto avesse esulato dai limiti della preposizione.

Inoltre, nel caso in cui fosse stato lo stesso preposto a sottrarre l'affissione allo scopo di ingannare un contraente, il verificarsi del suo dolo nuoceva comunque al preponente, a meno che tale sottrazione non fosse ordita con la complicità dello stesso contraente.

Nel diritto romano era dunque già evidenziata a priori una responsabilità a carico dell’imprenditore per una diligentia da adoperare nel rendere conoscibili limiti e contenuti delle competenze manageriali dei propri sottoposti esercenti l’impresa, premurandosi che gli appositi strumenti pubblicitari fossero intellegibili, evidenti e comprensibili alla clientela, al fine di garantire, da un lato, l’efficacia di quelle clausole apposte in aggiunta al contratto base e di non incorrere, dall’altro, in responsabilità negoziali indesiderate e talvolta oggettive.

È possibile arricchire il quadro offerto dalla lettura dei testi del Digesto considerati attraverso una testimonianza epigrafica, che reca con molta probabilità una proscriptio institoria; essa è contenuta in C.I.L. IV 138107:

Insula Arriana |Polliana Cn. Allei Nigidi Mai. | Locantur ex i(dibus) Iulis primis tabernae | cum pergulis suis et c(e)nacula |equestria et domus. Conductor | convenito Primum Cn. Allei Nigidi Mai ser(vum).

Vediamo come l’annuncio, esposto su un pilastro pompeiano adesso non più leggibile, presenti tutti gli elementi integranti la proscrptio relativa ad un

institor preposto:

107

 il nome del preponente, Cnaius Alleius Nigidus Maius;

 il nome del preposto, Primus, con l’indicazione della sua condizione di servo del preponente;

 l’indicazione dell’insula, Arriana Polliana108, alla quale il servo Primus è preposto con funzioni probabilmente di insularius; infatti la proscriptio contiene l’espressa indicazione di trattare con lui per la locazione delle unità, delineandosi quindi un’autorizzazione ed una conseguente assunzione di responsabilità da parte del dominus Alleius Nigidus;

 il giorno d’inizio dei contratti di locazione, fissato al primo di Luglio;  le informazioni riguardanti le unità in locazione per la clientela:

- la dotazione di pergulae all’interno di ogni tabernae, cioè di soppalchi destinate, all’interno delle stesse ad accogliere il tabernarius e la sua famiglia - la predisposizione di cenacula, ovvero di appartamenti situati ai piani superiori dell’insula, qualificati come equestria, cioè di gran pregio, in quanto degni di un membro dell’ordine equestre.

- l’allestimento di una domus, l’abitazione principale unifamiliare.

Possiamo supporre, in quanto la proscriptio non contiene canoni di locazione, ma l’indicazione di fare riferimento a Primus, che tale informazione sarebbe stata comunicata ai clienti dal preposto in sede di trattativa - come spesso avviene oggi giorno attraverso le agenzie immobiliari.

La trasformazione dell’edilizia cittadina ed il poderoso sviluppo delle città del I secolo a.C., portarono alla diffusione di case con più piani, contigue l’una all’altra ed al rimodellamento del contratto di locazione-conduzione109; pian piano l’insula, infatti, divenne il centro della vita economica romana e costituì il bene essenziale nel sistema del mercato e degli alloggi e delle connesse speculazioni, dalla costruzione alla vendita, sino all’eventuale locazione ad un

108

Un’abitazione ad atrio di rilevanti dimensioni, dotata di peristilio e di un vasto giardino sul retro; le

tabernae poste al piano terreno dell’edificio che davano sulla via presentano ancora nei muri i fori delle

travi a croce che reggevano i pavimenti delle pergolae, mentre i piani superiori erano accessibili mediante delle scale esterne. M. BEARD, Prima del fuoco. Pompei, storie di ogni giorno, Bari, 2011, p. 131 e ss.

109

G. GROSSO, Schemi giuridici e società nella storia del diritto romano. Dall’epoca arcaica alla

intermediario che avrebbe tratto profitto dalla sub-locazione dei singoli

caenacula110.

Un altro profilo, che può farci dedurre come questa tavola possa contenere una preposizione institoria, è contenuto in D. 14.3.11.3 dove Ulpiano (28 ad ed.) fa riferimento al fatto che la proscriptio debba essere posta ante

tabernam, analogamente al nostro caso: la preposizione di un institore ad

un’insula o, come vedremo, ad un horreum, implicava una delimitazione oggettiva nell’ambito della responsabilià del preponente strettamente collegata al luogo111 dove si svolge la negotiatio112, ovvero dove era esposta

la proscriptio.

Tra l’altro, Ulpiano, in D. 14.3.5.1, ci sottolinea come spesso gli insularii erano soggetti suscettibili ad una preposizione institoria di questo tipo:

D. 14.3.5.1 (Ulp 28 ad ed.): “Nam et Servius libro primo ad Brutum ait, si

quid cum insulario gestum sit vel eo, quem quis aedificio praeposuit vel frumento coemendo, in solidum eum teneri.”

Come possiamo leggere in questo brano, una responsabilità solidale per l’intero avrebbe colpito il predisponente verso l’inadempimento di un proprio

insularius, ovvero di un proprio institor con con analoghe attribuzioni.

L’insularius poteva inoltre avere doveri di custodia sull’edificio come è mostato da questo passo:

D. 7.8.16.1 (Pomp. 5 ad Sab.): “Dominus proprietatis etiam invito

usufructuario vel usuario fundum vel aedes per saltuarium vel insularium

110 A. DI PORTO, Impresa collettiva, cit., p. 70 e ntt. 25 e 26.

111 Così come il magister navis è preposto alla nave, secondo la definizione enunciata da Ulpiano in D.

14.1.1.1 (Ulp. 28 ad.ed.).

112

Occorre sottolineare, come, in tema di negotatio, in rapporto all’ambito di applicazione di una lex

praepositionis, il Codice Civile del 1942, all’articolo 2210, comma I, rispecchi la prassi della Roma

commerciale: Poteri dei commessi dell'imprenditore: “I commessi dell'imprenditore, salve le limitazioni

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