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GARANZIE E OBBLIGHI DI INFORMAZIONE NELLA COMPRAVENDITA E SPECIFICHE TUTELE NEI SERVIZI.

1. Evoluzione nel diritto romano delle tutele nel contratto di compravendita.

La disciplina odierna volta a sanzionare i doveri precontrattuali di informazione non coincide con il primo approccio della giurisprudenza romana. In ogni caso, possiamo cogliere una progressiva evoluzione del diritto romano, dall’irrilevanza alla diffusa apertura, nella considerazione delle dichiarazioni o dei silenzi riguardo a qualità e vizi della merce183.

Prima dell’intervento del pretore peregrino, che introdusse per taluni rapporti negoziali tutele in via d’azione di buona fede, non era possibile valutare il comportamento dei contraenti secondo il parametro della correttezza negoziale e dell’equilibrio delle reciproche obbligazioni contrattuali.

Cicerone ben riassume la portata generale dell’apprezzamento della buona in materia contrattuale:

Cic. De off. 3.70: “Nam quanti verba illa «UTI NE PROPTER TE FIDEMVE

TUAM CAPTUS FRAUDATUSVE SIM» quam illa aurea «UT INTER BONOS BENE AGIER OPORTET ET SINE FRAUDATIONE». Sed, qui sint boni et quid sit bene agi magna quaestio est. Quintus quidem Scaevola, pontifex maximus, summam vim esse dicebat in omnibus arbitriis in quibus adderetur ‘ex fide bona’. fideique bonae nomen existimabat manare latissime

183 Nel V secolo a.C., nel regime arcaico delle XII Tavole ed in relazione alla sola mancipatio, il venditore

poteva risultare vincolato per le qualità dell’oggetto negoziato solo ove le avesse solennemente promesse in sede di compimento dell’atto librale, mentre si reputava ininfluente quanto il venditore avesse dichiarato o promesso nelle fasi precedenti la vendita; Cic. De off. 3.16.65.

idque versari in tutelis, societatibus, fiduciis, mandatis, rebus emptis venditis, conductis locatis, quibus vitae societas contineretur: in his magni esse iudicis statuere, praesertim cum in plerisque essent iudicia contraria, quid quemque cuique praestare oporteret.”

Cicerone sottolinea la grande importanza che rileva, in ambito contrattuale, l’essere stato tratto in inganno, essere cioè stati convinti a riporre la propria fiducia in un accordo contrario al corretto modo di agire tra uomini. E Quinto Mucio Scevola - pontefice massimo - asserisce che la buona fede ha un’enorme forza creatrice di regole di correttezza integrative nei giudizi e stima che il concetto di tutela di buona fede si manifesti ampiamente in molte tipologie di contratti, nei quali “è contenuta la comunione di vita tra gli uomini”: in questi giudizi è facoltà del “giudice statuire quanto ciascuna parte deve prestare all’altra” 184 .

Così anche Gaio, sinteticamente, introduce i quattro contratti consensuali, che costituiscono il nucleo primo della tutela di buona fede:

Gai. 3.22: “ (pr.) Consensu fiunt obligationes in emptionibus venditionibus,

locationibus conductionibus, societatibus, mandatis. (1) Ideo autem istis modis consensu dicitur obligatio contrahi, quia neque scriptura neque praesentia omnimodo opus est, ac ne dari quicquam necesse est, ut substantiam capiat obligatio, sed sufficit eos qui negotium gerunt consentire.”

La fides, intesa non nella sua accezione primitiva di corrispondenza ai verba pronunciati, ma nel suo significato moderno di “norma etica di cui si riconosce la produttività nel mondo del diritto185”, permise di determinare la

salvaguardia del principio della corrispettività delle prestazioni. Il bonum et

184 Così dirà

BARTOLO DA SASSOFERRATO,Comm. in primam Codicis partem, lib. IV, de actionibus et

obligationibus, lex IV a Codex Iustinianus 4.10.4, [LUGDUNI] 1533, F.138, Vb. 1: “in contractibus bonae fidei veniunt ea de quibus non est actum nec cogitatum” specificando come nei contratti di buona

fede il giudice potrà, per questioni di equità e correttezza, includere anche quanto non è stato stabilito nell’atto e addirittura nemmeno pensato dalle parti.

185

aequum fu anche il criterio tecnico che impose la tutela delle pattuizioni informali intercorse tra le parti (pacta adiecta in continentia e pacta adiecta

ex intervallo), che affermò la rilevanza dei comportamenti fraudolenti a danno

della controparte (dolus malus) - ad esempio l’aver esercitato nei suoi confronti una violenza morale (metus) - ed il principio dell’immediato computo dei frutti, degli interessi e l’operatività in sede giudiziale dei controcrediti186.

Mentre, nel processo per legis actiones, questi elementi dovevano essere ignorati dal giudice privato, nel processo formulare, mediante gli iudicia

bonae fidei, per la prima volta a Roma, fu prevista per il giudice la possibilità

di valutare in un’ottica giuridica le ragioni delle parti, tenendo conto del loro eventuale comportamento doloso o minatorio e della compensazione delle reciproche pretese187.

In particolare, l’emptio-venditio consensuale, genuina invenzione romana preceduta unicamente dalla vendita a contanti188, è indiscutibilmente legata

all’introduzione del processo formulare e, nello specifico, ai iudicia bonae

fidei, data l’inidoneità del precedente sistema processuale a fornire

un’adeguata tutela a schemi negoziali flessibili; nacque, dunque, non prima, della fine del III secolo a.C. e l’inizio del II secolo a.C.189:

D. 19.4.1 pr. (Paul. 32 ad ed.): “[…] multum differunt praestationes. Emptor

enim, nisi nummos accipientis fecerit, tenetur ex vendito, venditori sufficit ob evictionem se obligare, possessionem tradere et purgari dolo malo: itaque, si evicta res non sit, nihil debet; […].”

186

A. GUARINO, Diritto privato romano, Napoli, 2001, p. 192 e ss.

187

A. PETRUCCI, Lezioni di diritto, cit., p. 243 e ss.

188 C. A. CANNATA, La compravendita consensuale romana: significato di una struttura, in Vendita e

trasferimento della proprietà nella prospettiva storico–comparatistica in, a cura di L. VACCA, Atti del Congresso Internazionale, 17–21 aprile 1990, Pisa - Viareggio -Lucca, Milano, 1991, p. 75.

189

Sulla datazione concordano V. ARANGIO RUIZ, La compravendita in diritto romano, Napoli, 1954, p. 46 e M. TALAMANCA, voce “Vendita in generale” (dir. rom.), in Enciclopedia del diritto, XLVI, Milano, 1993, p. 305. Evidenzia, in particolare, l’importanza del ruolo del pretore nella formalizzazione del nuovo schema processuale A. FERNANDEZ DE BUJAN, La compraventa en Derecho romano de

Possiamo ad esempio notare, dal commento di Paolo all’editto, come fosse sempre possibile un intervento del giudice190, chiamato ad una valutazione del

dovere giuridico del convenuto equitativamente sostenibile191, ossia conforme

alla correttezza commerciale. In maniera specifica nella compravendita, infatti, la forza espansiva del principio di buona fede fu tale da far sì che il compratore avesse, da quel momento, modo di conseguire tutte le utilità programmate in via perfetta ed equilibrata, mercè l’interdipendenza delle reciproche obbligazioni192. In particolare, la regolamentazione degli interessi

contrattuali apparve cioè individuabile attraverso un contenuto più complesso delle obbligazioni gravanti sul venditore che fu tenuto a “praestare rem” 193,

sotto tre diversi aspetti: obbligo di consegna (tradere rem), responsabilità per evizione (praestare evictionem)194, responsabilità per difetti o mancanza di

qualità della cosa195.

Così Ulpiano nel testo che segue:

190

L. GAROFALO, Contratto, obbligazione e convenzione in Sesto Pedio, in, a cura di A. BURDESE, Le

dottrine del contratto nella giurisprudenza romana, Padova, 2006, p. 339 e ss.

191

V. MANNINO, Considerazioni sulla “strategia rimediale”: buona fede ed exceptio doli generalis, in

Europa e Diritto Privato., IX, Milano, 2006, p. 1296 e ss.

192

G. ROSSETTI, Interdipendenza delle obbligazioni e “risoluzione” della “emptio venditio”: alcune

soluzioni casistiche della giurisprudenza classica, in, a cura di L. GAROFALO, La compravendita e l’interdipendenza delle obbligazioni, II, Padova, 2007, p. 28 e ss.

193

“L’emptio et venditio è un contratto consensuale e bilaterale in virtù del quale una delle parti si obbliga a trasmettere all’altra il pacifico godimento di qualcosa, detta merce, mentre l’altra parte si obbliga a trasferire alla prima la proprietà di una somma di denaro, detta prezzo”, V. ARANGIO RUIZ, La

compravendita, cit., p. 88. Nello stesso senso cfr., in particolare, P. BONFANTE, Istituzioni di diritto romano, Milano, 1987, p. 390, ritiene che “la compravendita obbligatoria è un contratto consensuale

bilaterale, per cui uno dei contraenti (il venditore) promette all’altro (il compratore) di cedergli per sempre il possesso di una cosa e prestar la garanzia del possesso stesso, ovvero trasmettergli qualunque diritto, dietro promessa di ricevere un corrispettivo in denaro (pretium)”.

194 L’evizione si aveva quando un terzo, diverso dall’acquirente, intentava vittoriosamente una causa

contro quest’ultimo, riuscendo a provare di essere il proprietario della cosa venduta; nel caso di evizione parziale di avere diritto su una parte della cosa o un diritto reale su di essa; A. PETRUCCI, Lezioni di

diritto, cit., p. 274-275.

195 La garanzia per i vizi conosciuti dal venditore e non dal compratore rientra nel più generale dovere

generale di astenersi da comportamenti dolosi, A. PETRUCCI, Lezioni di diritto, cit., p. 272, nt. 40, non già invece quella per i vizi occulti, cioè ignorati da ambo le parti.

D. 19.1.11.2 (Ulp. 32 ad ed.): “Et in primis ipsam rem praestare venditorem

oportet, id est tradere <et, si mancipi est, mancipio dare>: quae res, si quidem dominus fuit venditor, facit et emptorem dominum, si non fuit, tantum evictionis nomine venditorem obligat, si modo pretium est numeratum aut eo nomine satisfactum. emptor autem nummos venditoris facere cogitur.”

Dal consenso sulla causa sinallagmatica di scambio della cosa contro il prezzo sorge, sotto la spinta propulsiva della buona fede, un’obbligazione complessa gravante sul venditore che è tenuto ad assicurare l’appartenenza esclusiva del bene acquistato al compratore.

Emblematica in questo senso non può che essere l’affermazione di Giuliano: D. 19.1.11.18 (Ulp. 32 ad ed.): “Neque enim bonae fidei contractus hac

patitur conventione, ut emptor rem amitteret et pretium venditor retineret.”

Si evidenzia in questo passo come l’operatività del sinallagma rileva nel momento dello svolgimento del contratto durante il quale si impone che venga mantenuto l’equilibrio fra le prestazioni196, conformemente a ciò che le parti si erano prefigurate al momento dell’accordo (conventio)197.

Può accadere che nella fase esecutiva del programma contrattuale si manifesti un conflitto di valori interno all’accordo. Essendo il rapporto negoziale fondato su un determinato contesto di circostanze, l’evolversi di queste, la sopravvenienza di eventi non previsti possono rendere l’applicazione della disciplina convenzionale non più idonea ad assicurare la compatibilità tra equilibrio contrattuale e realtà effettiva. Ci si deve allora chiedere se la salvaguardia dell’equilibrio economico negoziale (di vantaggi, svantaggi, responsabilità, oneri e rischi) quale valore intrinseco al contratto, possa fondare, alla stregua della buona fede, un intervento modificativo di contenuti

196 L. VACCA, Buona fede e sinallagma, in, a cura di L. GAROFALO, Il ruolo della buona fede

oggettiva nell’esperienza giuridica storica e contemporanea. Atti del Convegno internazionale di studi in onore di Alberto Burdese, IV, Padova, 2003, p. 349 e ss.

197

convenzionali volto a realizzare quel valore nonostante il mutamento delle circostanze, ad assicurare egualmente le finalità contrattuali, in vista di esse adattando agli eventi le disposizioni convenzionali.

Abbiamo quindi individuato come la funzione della buona fede, integrativa della conventio, si assuma come fedeltà al vincolo contrattuale e coadiuvi un’attuazione del rapporto ad esso coerente, senza che possa essere attribuito ad essa - e al giudice che risolve i conflitti alla stregua della medesima - un ruolo antagonista rispetto all’autonomia privata e al frutto pattizio della sua esplicazione.

Occorre inoltre sottolineare come i Romani già nel 191 a.C., dall’introduzione della Lex Laetoria, riconoscessero nel proprio ordinamento l’ipotesi di

circumscriptio, rilevante come caso di dolo speciale, inteso quale vizio della

volontà 198 , volto a tutelare in modo particolare il contraente debole, identificato con il minore di venticinque anni.

In un passo tratto dai Digesta di Giuliano, il giurista adrianeo affronta il caso di un minore di tale età che vende un proprio fondo a Tizio e questo, a sua volta, lo rivende a Seio. Perfezionatisi gli atti di trasferimento, il minore conviene in giudizio Tizio e Seio affermando di essere stato raggirato e chiedendo al pretore di far venire meno gli effetti delle alienazioni, mediante un’in integrum restitutio:

D. 21.2.39 pr. (Iul. 57 Dig.): “Minor viginti quinque annis fundum vendidit

Titio, eum Titius Seio: minor se in ea venditione circumscriptum dicit et impetrat cognitionem non tantum adversus Titium, sed etiam adversus Seium: Seius postulabat apud praetorem utilem sibi de evictione [stipulationem] <actionem> in Titium dari: ego dandam putabam. Respondi: iustam rem Seius postulat: nam si ei fundus praetoria cognitione ablatus fuerit, aequum erit per eundem praetorem et [evictionem] restitui.”

198

Lo sviluppo economico di quest’epoca e la conseguente complessità delle transazioni commerciali resero impellente una forma di tutela degli adolescenti - minori di venticinque anni - in relazione ai raggiri di cui potessero essere vittima a causa della loro naturale inesperienza199.

Il pretore, successivamente, intervenne a perfezionare questo sistema di protezione, riconoscendo al minore la possibilità di difendersi, con un’apposita exceptio contro le pretese giudiziarie avanzate dal soggetto che lo avesse raggirato e, nel caso in cui il negozio avesse già prodotto i suoi effetti, concedendo al minore una restitutio in integrum, ovvero uno strumento che permetteva di eliminare tali effetti. I rimedi pretori ora ricordati avevano l’ulteriore vantaggio che il minore non dovesse dimostrare il raggiro subito, essendo sufficiente la prova dell’esistenza di un pregiudizio patrimoniale200.

Così anche Ulpiano, sul medesimo caso:

D. 4.4.13.1 (Ulp. 11 ad ed.): “Interdum autem restitutio et in rem datur

minori, id est adversus rei eius possessorem, licet cum eo non sit contractum. Ut puta rem a minore emisti et alii vendidisti: potest desiderare interdum adversus possessorem restitui, ne rem suam perdat vel re sua careat, et hoc vel cognitione praetoria vel rescissa alienatione dato in rem iudicio. Pomponius quoque libro vicensimo octavo scribit Labeonem existimasse, si minor viginti quinque annis fundum vendidit et tradidit, si emptor rursus eum alienavit, si quidem emptor sequens scit rem ita gestam, restitutionem adversus eum faciendam: si ignoravit et prior emptor solvendo esset, non esse faciendam: sin vero non esset solvendo, aequius esse minori succurri etiam adversus ignorantem, quamvis bona fide emptor est.”

199 Così come la recente direttiva 2011/83/UE introduce il termine di “consumatore vulnerabile”, vietando

quelle pratiche che possono influenzare il comportamento di un soggetto che risulti particolarmente debole a causa di un'infermità mentale o fisica, dell'età o della sua ingenuità in un modo che il professionista deve ragionevolmente prevedere.

200 V. MANNINO, Introduzione alla storia del diritto privato dei Romani, Torino, 2011, p. 231 e ss.;

nonché, per i necessari approfondimenti bibliografici, rimando a S. DI SALVO, «Lex Laetoria». Minore

Ciò premesso, siamo in grado di comprendere esattamente la situazione giuridica sottesa a D. 21.2.39 pr.: a seguito del provvedimento di reintegrazione del pretore, il minore riotterrà il bene oggetto della prima vendita “fraudolenta” e sarà tenuto alla restituzione a Tizio del prezzo pattuito. A questo punto può ben cogliersi il perché il giurista richiami la disciplina in tema di evizione201; il provvedimento pretorile di restituzione al

minore del bene acquistato pone Seio in una posizione analoga a quella in cui si sarebbe trovato se avesse subito l’evizione del bene. Considerato che in quest’ultimo caso Seio avrebbe potuto conseguire dal proprio venditore Tizio, con l’azione contrattuale (actio empti), il risarcimento dell’interesse a non essere privato del bene acquistato, pari almeno al prezzo pagato, appare equo che il pretore conceda a Seio uno strumento che gli consenta di ottenere un risultato equivalente a quello che avrebbe conseguito, se avesse potuto far valere direttamente la responsabilità per evizione. La possibilità che si configuri un caso di evizione è esclusa dalla causa per la quale Seio viene a perdere il bene, ovvero l’aver accettato, durante la causae cognitio, che il provvedimento pretorio producesse immediatamente effetti anche nei suoi confronti; conseguentemente il pretore, al fine di accordare il giusto ristoro a Seio, dovrà concedergli un’actio utilis de evictione, ovvero un’azione modellata su quella per evizione, ma con un ambito applicativo più ampio di quello proprio di tale azione202.

Più in generale, dunque, la concessione al compratore dell’actio empti deve essere letta in considerazione del risultato che il venditore è tenuto ad assicurare al compratore quale corrispettivo del prezzo, ovvero la realizzazione della causa sinallagmatica dell’accordo, che comporta l’acquisto

201 Nel contratto consensuale la garanzia del compratore si concretizzava, innanzitutto, nel dover assistere

in giudizio l’acquirente e sostenerne le ragioni; se poi, nonostante questo, questi avesse perso la causa, il venditore avrebbe dovuto risarcirgli i danni; A. PETRUCCI, Lezioni di diritto, cit., p. 274.

202

definitivo del bene al compratore, dipendente dal trasferimento del venditore, quale corrispettivo del pagamento del prezzo203.

2. Tutele informative predisposte dal diritto onorario verso i contraenti con soggetti qualificati: il venaliciarius.

L’obbligo di dichiarare i vizi occulti e prestare garanzia riguardo alla merce negoziata fu reso più denso di significato dagli edili curuli in relazione alle compravendite di schiavi; si varò una disciplina molto più severa, volta a responsabilizzare fortemente il commerciante, che, nella fase delle trattative, si vide gravato di un vero e proprio obbligo di informazione verso la clientela per la qualità della merce in vendita.

Come si è detto, la compravendita era un contratto basato sulla buona fede: tutte le volte in cui il venditore sapeva che la cosa venduta era affetta da un vizio non palese e non lo dichiarava al compratore, sorgeva a suo carico una responsabilità per risarcimento in quanto inadempiente al contratto, che si faceva valere con l’azione contrattuale ex empto.

Questo sistema, però, presentava dei limiti poiché l’acquirente non risultava tutelato qualora il venditore avesse ignorato che la cosa venduta fosse affetta da un vizio occulto204. Questo frammento di Ulpiano ci espone le motivazioni che spinsero gli edili curuli, all'inizio del II secolo a.C., ad introdurre l’editto

de mancipiis (emundis) vendundis; esso era secondo l'opinione prevalente

composto di undici rubriche205 e nato come una regolamentazione additiva

all'actio empti:

D. 21.1.1.2 (Ulp. 14 ad ed.): “Causa huius edicti proponendi est, ut

occurratur fallacias vendentium et emptoribus succuratur, quicumque decepti

203

L. VACCA, Sulla responsabilità «ex empto» del venditore nel caso di evizione secondo la

giurisprudenza tardo-classica, in, a cura di L. VACCA, Garanzia e responsabilità. Concetti romani e dogmatiche attuali, Roma, 1997, p. 44 e ss.

204

A. PETRUCCI, Lezioni di diritto, cit., p. 275.

205

a venditoribus fuerint: dummodo sciamus venditorem, ignoravit ea quae aediles praestare iubent, tamen teneri debere. Nec est hoc iniquum: potuit enim ea nota habere venditor: neque enim interest emptoris cur fallatur ignorantia venditoris ea calliditate.”

Il passo evidenzia la forte connessione tra il rischio imprenditoriale nell’esercizio dell’attività di vendita di schiavi e la responsabilità “oggettiva” riguardante le caratteristiche necessarie della merce.

I venditori206, che avrebbero dovuto conoscere vizi e morbi degli schiavi

venduti, non avrebbero potuto celare la propria responsabilità dietro l’ignoranza degli stessi, come mette in evidenza lo stesso Cicerone:

Cic. De off. 3.17.71: “Quocirca astutiae tollendae sunt eaque malitia, quae

vult illa quidem videri se esse prudentiam, sed abest ab ea distatque plurimum. Prudentia est enim locata in dilectu bonorum et malorum, malitia, si omnia, quae turpia sunt, mala sunt, mala bonis ponit ante. Nec vero in praediis solum ius civile ductum a natura malitiam fraudemque vindicat, sed etiam in mancipiorum venditione venditoris fraus omnis excluditur. Qui enim scire debuit de sanitate, de fuga, de furtis, praestat edicto aedilium. Heredum alia causa est.”

Al fine di eliminare le furberie e le immorali malizie e punire la malafede e le frodi dei venditori, l’utilità di questo editto fu quella di imporre ai venaliciarii l’onere di verificare attentamente, prima di commercializzarli, la salute, l’inclinazione alla fuga e gli eventuali delitti commessi dai propri servi.

Ancora un testo giuridico enuclea gli obblighi informativi che i venditori di schiavi avevano nei confronti dei propri clienti:

206 La disapprovazione sociale e la pessima reputazione dei venditori di schiavi emerge fin dal periodo di

Plauto, Captivi, vv. 98-101: “nunc hic occepit quaestum hunc fili gratia/ inhonestum et maxime alienum

D. 21.1.1.1 (Ulp. 14 ad ed.): “Aiunt aedilis: Qui mancipa vendunt certiores

faciant emptores, quid morbi vitiive cuique sit, quis fugitivus errove sit noxave solutus non sit, eadanque omnia palam recte pronutianto...”

Gli edili posero a carico dei venaliciarii un obbligo di informazione che riguardava tutti i vizi degli oggetti della propria attività commerciale, cioè gli schiavi, impondendogli di palesare quali fossero innanzitutto fuggitivi, vagabondi o non liberi da responsabilità nossale. Inoltre:

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