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FONDAMENTI ROMANISTICI NELLA DISCIPLINA DI TUTELA DEL CONTRAENTE DEBOLE

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Academic year: 2021

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Un sincero ringraziamento a tutto il Dipartimento di Giurisprudenza in particolare al Professor Aldo Petrucci per la cordialità e il sostegno in questo lavoro e ad Alessandro Grillone che molto mi ha aiutato a raffinarlo.

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INDICE SOMMARIO

PREMESSA INTRODUTTIVA ………. p. 4 Capitolo primo: DAL CONTRAENTE CON L’IMPRENDITORE AL CONSUMATORE.

1) Il sistema commerciale Romano ……….... p. 7 2) Consumerismo e Consumatore nei Trattati Europei ……… p. 12 3) La specialità del diritto commerciale nell’esperienza medievale e moderna e nel diritto romano ……….……….….……….……….. p. 20 4) Dalla tutela del contraente con l’imprenditore al concetto di consumatore ……….……….. p. 24 5) Una diversa prospettiva di tutela: il soggetto Consumatore nella giursprudenza Europea ….……….………. p. 40 Capitolo secondo: CONDIZIONI GENERALI DEI CONTRATTI E LE CLAUSOLE PREDISPOSTE UNILATERALMENTE.

1) Pubblicità e proscriptio ……….…... p. 48 2) La proscriptio nello svolgimento di auctiones .……… p. 58 3) La gestione imprenditoriale degli horrea e la regolamentazione dei rapporti con la clientela attraverso condizioni generali ...………. p. 64 4) Adesione del contraente nel Codice Civile del 1942 e nella tutela ampliata del Codice del Consumo .……….………... p. 71

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5) Origini del criterio di interpretazione favorevole al contraente debole ...……….... p. 82 Capitolo terzo: GARANZIE E OBBLIGHI DI INFORMAZIONE NELLA COMPRAVENDITA E SPECIFICHE TUTELE NEI SERVIZI.

1) Evoluzione nel diritto romano delle tutele nel contratto di compravendita ………. p. 88 2) Tutele informative predisposte dal diritto onorario verso i contraenti con soggetti qualificati: il venaliciarius ……….…...… p. 96 3) I rapporti con l’impresa bancaria ………... p. 112 4) L’istituto del receptum nella locatio conductio ……….. p. 122 COMSIDERAZIONI CONCLUSIVE……….………... p. 134 BIBLIOGRAFIA ………....….... p. 142 INDICE DELLE FONTI ……….... p. 149

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PREMESSA INTRODUTTIVA

Il lavoro che segue si offre di presentare una trattazione dei fondamenti romanistici riguardante le tutele garantite ad un soggetto contraente che, al giorno d’oggi, il diritto definisce consumatore, rilevando, in modo parallelo, il percorso creativo di queste regole nel diritto romano, attraverso l’introduzione di uno Ius in buona misura integrativo di quello Civile.

L’obiettivo che con questa tesi mi prefiggo è quello di ricercare punti in comune tra le recenti normative, italiane ed europee, ed il diritto romano nella sua matrice commerciale.

Si è scelto di seguire un iter argomentativo che suddivida il lavoro in tre blocchi, in modo da far luce su alcune conclusioni che la lettura di ognuno suggerisce.

La prima parte introduce il mondo romano: l’egemonia sul Mar Mediterraneo, a seguito della vittoria di Roma su Cartagine, che ampliò la ricchezza dei cittadini italici, diede luogo ad una prima ed importante urbanizzazione delle città. Si analizzerà l’evolversi di una nuova economia, caratterizzata dal sistema di rinvestire capitale al di fuori del fundus agricolo o del laboratorio artigianale, con la quale vennero modificate le modalità di organizzazione del lavoro e quelle di offerta nel mercato; studieremo di conseguenza l’approccio del Ius honorarium a questi mutamenti, riflettendo sulle critiche che lo ritengono non qualificabile come “diritto speciale”. Verranno descritte sotto il profilo economico le due macro-categorie di impresa (terrestre e non) diffuse nel mondo romano, affiancando a ciò la trattazione delle “speciali” tutele riservate al contraente con queste nel caso di inadempimento contrattuale. Si andrà quindi scoprendo quale sia il significato moderno del termine

consumatore, come questo sia classificato nelle fonti e quali siano le sue

principali peculiarità, rivolgendo particolare attenzione al suo carattere speciale sotto il profilo della tutela giuridica prevista da Codice del Consumo

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e all’attitudine del diritto romano nell’anticipare la trattazione di alcuni snodi problematici comuni al diritto attuale, con soluzioni analogiche o divergenti, ma comunque giustificate giurisprudenzialmente dalle intrinseche esigenze del commercio.

La seconda parte procede con lo studio delle clausole inserite in un contratto dal soggetto predisponente. Vedremo in quale modo l’atto di inserire una clausola, vincolante per il contraente sottoscrivente un accordo, spinse la giurisprudenza romana a rivalutare il bilanciamento di diritti e obblighi reciproci in ambito negoziale, fino a far emergere le soluzioni prospettate. Anticipazioni del fenomeno consumeristico, per quanto possa sembrare anacronistico, si possono rintracciare, infatti, nell’antico diritto romano: molte similitudini con la disciplina delle clausole vessatorie affioreranno in relazione alle già riconosciute esigenze di tutela verso il soggetto cosiddetto “debole”. Analizzeremo come il soggetto imprenditore fosse vincolato per le clausole contrattuali e le pratiche commerciali rese pubbliche alla clientela, anche con riguardo all’individuazione dei propri rappresentanti negoziali; contestualmente passeremo al vaglio le regole che la giurisprudenza seppe dettare in merito a questi oneri di affissione in pubblico. Le analogie che si riscontrano in determinati settori imprenditoriali sotto il profilo regolativo esistono più in generale anche sotto quello interpretativo, infatti, si chiuderà questo capitolo con un breve excursus volto a ricercare, nel diritto romano, una somiglianza con le regole, enucleate dal nostro Codice Civile, che oggi permettono un’interpretazione normativa a vantaggio della posizione di debolezza del contraente non predisponente.

Nella terza (e finale) parte si verrà a discutere delle tutele precontrattuali, quali gli obblighi di informazione a favore del soggetto acquirente di un bene e i rimedi tesi a garantire un’uguaglianza sostanziale nel rapporto, ove vi sia un’ipotesi di particolare debolezza naturale nella trattativa per una delle parti. Nella prassi della vendita di schiavi da parte dei venaliciarii, incontreremo peculiari forme di responsabilità del prestatore (professionale) di servizi ed evidenzieremo come queste prescindano da qualunque valutazione del suo atteggiamento soggettivo, avvicinandosi molto a concetti quali la

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responsabilità oggettiva, la presunzione assoluta di colpa, l’autoresponsabilità, variamente utilizzati oggi nella normativa europea. Andremo a scansionare quali particolari tutele erano e sono attualmente riconosciute al cliente con un banchiere in relazione al rapporto di conto bancario, sotto il profilo del diritto alle informative del primo e agli obblighi di contabilità del secondo. Vedremo poi la portata dell’obbligazione, particolarmente rigorosa, di custodire res dei clienti (viaggiatori) in capo ai titolari di imprese alberghiere e navali, di cui ancora oggi abbiamo traccia nel nostro ordinamento.

Il lavoro così argomentato tenta di superare la tradizionale posizione della dottrina romanistica, che non riconosce alle capacità creative del Ius

honorairum l’aver dato vita ad un insieme di regole speciali nella risoluzione

di controversie negoziali, nonché di soffermare l’attenzione del lettore sulle premesse che l’introduzione di questo nuovo diritto, romano commerciale, pone, da un punto di vista storico, per il diritto odierno.

Un inquadramento che, facendosi portatore di nuovi diritti e ponendosi come rimedio innovativo agli squilibri di forza contrattuale, appare il precursore dell’odierna disciplina di tutela del soggetto consumatore.

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CAPITOLO PRIMO

DAL CONTRAENTE CON L’IMPRENDITORE AL

CONSUMATORE.

1. Il sistema commerciale Romano.

L'insegnamento della storia ci permette di riflettere su quanto i Romani possedessero, già all'epoca della loro prima espansione, un altissimo grado di conoscenza del diritto e delle sue possibili applicazioni.

Del resto, oltre duemila anni fa, essi fruivano di una propria lingua molto strutturata e corredata da una grande ricchezza di termini, la loro società era caretterizzata da un elevato grado di sviluppo economico e la loro cultura giuridica, seppur aperta al mercato, aveva al centro la figura del cittadino, soggetto privilegiato di diritto1. Potremmo meditare su come istituti quali il

legittimo affidamento, la rappresentanza commerciale, la buona fede

1 Gli ordinamenti del popolo romano comprendevano, oltre agli Ius civile e Ius gentium, il Ius naturale. Il

primo era il diritto privato derivante da antiche consuetudini, dalle XII Tavole e dai Mores maiorum, poi evolutosi per mezzo della giurisprudenza, prima pontificale e poi laicale, e nato per essere applicabile solo ai cittadini romani, O. ROBLEDA, Introduzione al diritto privato romano, Roma, 1979, p. 172 e ss. Ius

gentium indica l’insieme degli istituti giuridici, la cui conoscenza è comune per naturalis ratio a più

popoli - Gai. 1.1 - ed assume dalla metà del III secolo a.C. il ruolo di “diritto degli affari”, attraverso l’ istituzione di un magistrato ad hoc legittimato ad emanare un proprio editto (mediante il quale una parte di esso viene recepito dalla civitas, prendendo il nome di Ius honorarium) capace di veicolare quelle controversie tra privati sia romani che stranieri, affinché potesse essere assicurata una adeguata tutela a chiunque si fosse affacciato sul “mercato” romano, A. PETRUCCI, Corso di diritto pubblico romano, Torino, 2012, p. 390-391. Il Ius naturale è così definito in D. 1.1.1.3 (Ulp. 1 inst.) “quod natura omnia

animalia docuit: nam ius istud non humani generis proprium, sed omnium animalium, quae in terra, quae in mari nascuntur, avium quoque commune est. Hinc descendit maris atque feminae con iunctio, quam nos matrimonium appellamus, hinc liberorum procreatio, hinc educatio: videmus etenim cetera quoque animalia, feras etiam istius iuris peritia censeri”; si differenzia quindi, come diritto, in quanto fa suoi

quegli istituti giuridici derivanti dallo studio dei concetti regolatori che sono presenti in maggiore o minor misura in tutte le specie del regno animale.

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contrattuale, fossero divenuti cardine delle liti tra privati e su come l'opinione dei giuristi del tempo fosse oramai avvezza alla trattazione di queste - ancora oggi - sentite tematiche.

Specificamente, l'arco di storia romana sul quale ci focalizzeremo è quello della massima espansione commerciale di Roma che, in buona misura, coincide con l’epoca, detta dai moderni, “commerciale” o “imprenditoriale2“,

ed è compresa approssimativamente tra il III sec a.C. e il III sec d.C.3. A

seguito della grande espansione politica e militare di Roma, già agli albori del III secolo a.C., possiamo registrare un incremento esponenziale delle terre coltivabili, dei traffici commerciali terrestri e dei trasporti marittimi, diretta conseguenza delle numerose conquiste belliche e degli insediamenti ad esse connesse.

Ciò che a me interessa è anzitutto mettere in luce come le città romane fossero popolate da un largo ventaglio di imprese commerciali intese in senso stretto, ovvero dirette allo scambio di beni e servizi, attuato mediante contratti di compravendita e stipulazioni di vario genere. A Roma e in altre importanti città dell'Impero potevano trovar sede attività imprenditoriali aventi ad oggetto4:

 gestione di immobili urbani;

 transazioni bancarie e finanziarie;  appalti di opere:

 trasporto terrestre;

 trasporto marittimo o per acque interne come fiumi, laghi, canali;  locande e stazioni di cambio per i viaggiatori;

 pulizia, riparazione e confezione di abiti e tessuti;

2 Definita “età mercantile” da F.M. D’IPPOLITO, F. LUCREZI, Profilo storico istituzionale di diritto

romano, Napoli, 2003, p. 161 e ss.

3

F. SERRAO, Impresa e responsabilità a Roma nell’età commerciale, Pisa, 1989, p. 3 e ss. ed A. PETRUCCI, P. CERAMI, A. DI PORTO, Diritto commerciale romano. Profilo storico, Torino, 2004, p. 25 e ss.

4 Riguardo al rapporto che si instaurò tra Ius gentium e Ius honorarium, il secondo intervenne affinché

chiunque potesse avvalersi di una tutela riparatoria verso il titolare di queste imprese, a prescindere da quale suo dipendente preposto fosse stato la controparte contrattuale.

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 pompe funebri (libitinarii);  bagni termali;

 commercializzazione di prodotti agricoli;

 produzione artigianale ed industriale all'interno di opifici (tabernae,

officinae, figlinae) di beni destinati al consumo (prodotti tessili, alimentari,

metallici, lignei, etc.).

In tutte queste attività un ruolo centrale veniva svolto da parte di un mercator (chi poneva in essere abitualmente e con continuità in veste di intermediario compravendite di determinate merci, cioè un operatore commerciale di professione) o di un negotiator (chi realizzava un'attività professionale nell'esercizio di uno specifico ramo della speculazione commerciale, attraverso la gestione di una azienda - taberna instructa - concepita ed assunta come complesso di res et homines ad negotiationem parati - uomini e cose organizzati per l'esercizio di un'impresa, in questo caso, commerciale tout

court)5.

Sorge spontaneo notare come un elenco di questo genere possa essere pienamente in grado di muovere ed animare un intero sistema economico - anche moderno - di vaste dimensioni, un sistema, di conseguenza, anche necessitante di un regolamento normativo per poter esistere e sostenersi nel tempo, un - diremmo oggi - diritto del commercio.

È bene intanto ricordare che il termine latino commercium (da cum e merx) significa traffico di merci, anche se nel diritto romano il termine commercium in senso tecnico stava a indicare la facoltà di porre in essere validamente negozi solenni di Ius civile, come da definizione di Ulpiano, giurista del III sec. d.C., “commercium è il diritto reciproco di comprare e di vendere”6; e nell'ottica dell'epoca, tali negozi potevano intercorrere inter vivos non soltanto tra cittadini romani, ma anche tra Romani e stranieri, purchè questi ultimi

5

A. PETRUCCI, P. CERAMI, A. DI PORTO, Diritto commerciale, cit., p. 13-14; C. ZACCAGNINI,

Mercanti e politica nel mondo antico, Roma, 2000, p. 275 e ss.

6 Tit. Ulp. 19.4-5: “Mancipatio locum habet inter ciues Romanos et Latinos colonarios Latinosque

Iunianos eosque peregrinos, quibus commercium datum est. Commercium est emendi uendundique inuicem ius.”

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fossero legittimati attraverso trattato o concessione unilaterale da Roma7.

Sfogliando le memorie del III secolo a.C. potremo notare come al periodo di genesi dell'imprenditorialitá romana seguì un suo ulteriore sviluppo: l'abnorme aumento del mercato della schiavitù, la notevole estensione dell'ager publicus e soprattutto la crescente disponibilità di capitale commerciale, alimentati dalle guerre di conquista e dai notevoli flussi finanziari, favorirono la formazione e la rapida diffusione della ricchezza mobiliare e di una correlata aristocrazia degli affari e della finanza, accanto alla risalente aristocrazia dei grossi proprietari e latifondisti8.

Cardine di questo modello economico romano e dell’articolato e connesso sistema imprenditoriale era l'utilizzo nella gestione delle imprese di filii

familias e schiavi9, questi ultimi in particolare considerati all'epoca dai loro dòmini il principale “canale” di arricchimento nello svolgimento dei propri

“affari”, e per questo ritenuti una merx assai preziosa - se non la più preziosa. Si consideri già da adesso che le imprese erano solitamente organizzate in modo gerarchico: vi erano un titolare, dominus/pater e proprietario dei mezzi materiali dell'impresa, e persone sia libere che in potestà le quali, in una cornice organizzativa articolata, lavoravano per lui occupandosi dei rapporti con la clientela, della conclusione dei contratti e di altri più variegati compiti sottesi all’esercizio della negotiatio.

Il commercio di homines - cioè di schiavi - era di conseguenza un giro di

7 Un’interpretazione contraria è sostenuta da A. ROCCO, Principi di diritto commerciale, Torino, 1928,

p. 4: “In realtà Roma non ebbe un vero diritto commerciale, un diritto cioè speciale al commercio. La giurisprudenza romana, che ebbe così splendida fioritura, e che seppe dar vita a un così perfetto sistema giuridico, fondamento e base, ancor oggi, di tanta parte del diritto vigente, non creò che poche e sparse norme destinate esclusivamente a regolare rapporti commerciali. I romani mancavano di un termine tecnico per designare il ‘commercio’; la parola commercium indicava la partecipazione ad un atto giuridico di scambio tra vivi; l’espressione negotiatio l’esercizio di qualunque industria; e il termine

mercatura il traffico di merci nel senso più ristretto”.

8

A. PETRUCCI, P. CERAMI, A. DI PORTO, Diritto commerciale, cit., p. 20-35.

9 Tra i più significativi, A. DI PORTO, Impresa collettiva e schiavo manager, Milano, 1984, p. 19 e ss.;

ID., «Filius», «servus», «libertus», strumenti dell’imprenditore romano, Palermo, 1992, p. 231 e ss.; F. SERRAO, Impresa e responsabilità, cit., p. 18 e ss.; J. J. AUBERT, Business Managers in Ancient Rome:

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affari molto redditizio ed i venaliciarii o mangones erano coloro che con questa attività imprenditoriale gestivano un simile mercato attraverso un modello aziendale.

Del resto la schiavitù era la forma di sottoposizione personale che veicolava il mercato della forza lavoro in qualunque settore delle economie antiche; nelle città romane la gestione di molte imprese era affidata a schiavi di fiducia che ne svolgevano gli uffici manageriali: nei casi in cui una di esse fosse stata gestita nei limiti di un peculio, l’impresa arrivava a coincidere in buona misura con lo schiavo “soggetto esercente”10.

Qualsiasi persona, quindi, che avesse avuto bisogno di homines per le più disparate necessità di manodopera adatta alle proprie esigenze avrebbe dovuto rivolgersi ai commercianti di schiavi, i quali erano soliti operare, oltre che nei grandi mercati cittadini, all'occorrenza anche nelle grandi fiere periodiche e in occasionali aste - auctiones - private.

La centralità di questa specifica attività economica indusse ben presto i magistrati repubblicani che disciplinavano il mercato, gli edili curuli, a considerare in modo particolare questi commercianti, vincolandoli cioè ad un più trasparente comportamento verso gli acquirenti che avessero contratto con loro.

Possono emergere nelle ragioni fondanti l’emanazione di determinate tutele a favore degli acquirenti e nell’eventuale applicazione di conseguenti rimedi, caratteri comuni, attraverso la comparazione11 tra il mondo commerciale romano e quello odierno? E’ possibile un confronto, nonostante la variegata tipologia storico-giuridica della disciplina commerciale, tra norme contrattuali rilevanti in epoca romana e istituti appartenenti a quella moderna o

10 Utilizzando lo schiavo e l’annesso peculio come “contenitori giuridici” i padroni potevano effettuare

compravendite di intere aziende.

11

“Il metodo e lo scopo del raffronto non sono sottoposti a criteri fissi e immutabili ma possono variare in ragione degli interessi e della sensibilità dello studioso, cui non può imporsi un modello unico o egemone pena la negazione dell’essenza stessa della giuscomparatistica. (...) Comparazione è libertà spirituale e culturale: non va sottovalutata questa componente che la rende forse unica nel panorama degli studi giuridici” - M. SERIO, Osservazioni brevi su forme, mezzi e classificazioni della comparazione giuridica, in, a cura di P. CERAMI e M. SERIO, Scritti di comparazione e storia giuridica, Torino, 2011, p. 15.

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contemporanea12?

2. Consumerismo e Consumatore nei Trattati Europei.

Una linea di comparazione mi pare anzitutto tracciabile: muovendoci all'interno dell'odierno sistema commerciale, possiamo intuitivamente accorgerci di come le regole che garantiscono gli acquisti siano molteplici; oggigiorno attraverso un'analisi anche solamente superficiale possiamo, alla vista di un prodotto pronto per essere acquistato, comprendere come sia in atto sin dall'origine della sua messa in circolo uno scrupoloso controllo sulle caratteristiche dello stesso, da parte di varie autorità, affinché ne siano certificati provenienza e sicurezza. Analogamente, a fronte di un contratto che contempli uno scambio di beni o servizi dietro pagamento di un prezzo, non possiamo non notare come vi siano, sotto forma di clausole più o meno manifeste, una moltitudine di tutele che proteggono l'acquirente da una dispersione del proprio denaro. E così ponendosi di conseguenza la domanda su quali interessi entrino in gioco affinché siano giustificate queste particolari attenzioni da parte dell'ordinamento, si può arrivare a capire che il loro fondamento è da ricercarsi nella giusta soddisfazione dell'utente - unità dello sviluppo economico e sociale - a cui sono destinati i beni stessi, con la finalità di assicurargli le tutele riguardanti la propria salute e la sicurezza nei consumi.

In una omogenea normativa basata sul buon senso, che permetta al mercato di evolversi anziché regredire a causa di uno standard di pessima qualità, essere “consumatore” è un modo di comportarsi o di interpretare il ruolo della persona nel mercato e nell'aggregato sociale, fino a immedesimarsi in un alter

12 Per una panoramica sulla periodizzazione storica: B. CROCE, Teoria e storia della storiografia,

Milano, 1989; D. RIBEIRO, Il processo civilizzatore. Tappe dell’evoluzione socio-culturale, Milano, 1973; P. RICOEUR, Tempo e racconto, Milano 1986; K. POMIAN, L’ordine del tempo, Torino, 1992; M. GEYER, C. BRIGHT, World History in a Global Age, Chicago, 1995, p. 195, p. 1034-1060; A. SCHIAVONE, La Storia spezzata. Roma antica e Occidente moderno, Bari, 1996; S. GUARRACINO, Le

Età della Storia. I concetti di Antico, medievale, Moderno e Contemporaneo, Milano, 2001; E.

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ego economico che ogni singolo cittadino13, quando conclude transazioni

economiche per scopi, nel nostro caso non professionali14, impersona; il

consumo infatti costituisce il punto di partenza delle attività economiche ed il suo ruolo è sempre stato nella storia incrementato dallo sviluppo delle economie di scambio15.

Il fenomeno che è centrale al giorno d’oggi nel libero mercato è conosciuto come CONSUMERISM (Consumerismo) e la nascita di questo specifico termine coniato per descriverlo è da ricondursi oltreoceano agli inizi del XX secolo, come conseguenza della rivoluzione industriale16.

La prima forma di movimento in difesa dei consumatori ha infatti origine negli Stati Uniti d'America dove, prima che in ogni altro Paese al mondo, si sono create le condizioni per la nascita ed il veloce sviluppo di un capitalismo

13 E. M. TRIPOLDI e AA.VV., Consumatore e diritto dei consumatori: linee di evoluzione e codice del

consumo. Brevi premesse al D.Lgs. 6 settembre 2005, n. 206, Rimini, 2006, p. 1: “Il consumo che

scandisce i tempi del nostro vivere «moderno», da fenomeno necessario ad «assorbire» l’offerta è divenuto, sempre più, una realtà che non può più essere messa in una relazione di subordinazione necessitata, ma ha sviluppato un proprio ruolo. Il consumo, quando, con una espressione imprecisa ma che rende il senso, viene assunto come consumo «finale», implica la presenza di un «consumatore». «Consumo» e «consumatori» sono due termini tra loro legati da una relazione non biunivoca, nel senso che se è certamente vero che laddove c’è un consumatore lì c’è un atto (o più) di consumo, non è sempre vero il contrario: il consumo non implica necessariamente la presenza di un consumatore.”.

14 Vedremo quale sarà il limite giurisprudenziale della contemporanea Corte di Giustizia continentale

nella divisione tra scopi professionali e non.

15

Ad esempio sulla nascita del concetto di fides: F. GALLO, «Bona fides e ius gentium», in L. GAROFALO, Il ruolo della buona fede oggettiva nell'esperienza giuridica storica e contemporanea - Atti

del Convegno internazionale di studi in onore di Alberto Burdese, Padova, 2003, p. 136 e ss.; in

particolare sull’evoluzione dalla fides alla bona fides si v. G. LOMBARDI, Dalla «fides» alla «bona

fides», Milano, 1961.

16 Per rivoluzione industriale si intende un processo di evoluzione economica che da un sistema

agricolo-artigianale-commerciale porta ad un sistema industriale moderno caratterizzato dall'uso generalizzato di macchine azionate da energia meccanica e dall'utilizzo di nuove fonti energetiche. Il sistema produttivo che risulta dalla rivoluzione industriale è radicalmente differente rispetto al sistema precedente di tipo agricolo-manifatturiero; è dunque logico che le regole del mercato si adattino a tale cambiamento. A titolo meramente esemplificativo, T.S. ASHTON, La rivoluzione industriale. 1760-1830, Bari, 1970, p. 182 e ss., nonché J. MOKYR, The British Industrial Revolution. An economic perspective, Oxford, 1993, p. 160 e ss. Vedremo come anche il popolo romano, a seguito delle conquiste espansionistiche, si trovò ad affrontare un problema culturale analogo, almeno nella sua entità.

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monopolistico ed oligopolistico17, quando, ancora fino ai primi anni del 1900,

gravavano sul consumatore acquirente finale tutti gli oneri di controllo sulla qualità del bene acquistato e distribuito dalle diverse aziende - oltre al peso dei costi, nel caso in cui questo non corrispondesse per qualità o sicurezza a quello effettivamente atteso - e scattava il criterio della responsabilità per colpa del venditore solamente qualora la sua negligenza fosse grave ed evidente18.

Fu in questo periodo storico che un organizzato movimento di cittadini statunitensi, presa coscienza delle opportuniste strategie dei produttori industriali, si scagliò contro l'inerzia del Governo Federale riguardo all'assenza di una politica di controlli dettagliati nei confronti delle industrie e dei loro metodi produttivi, arrivando presto anche la stampa19 ad interessarsi

di questo sentito argomento: se, da una parte, l'idea di consumerismo nacque infatti per riempire la lacuna giuridica che riguardava l’analisi delle attività legate al consumo, dall'altra, mirava a capovolgere la bassa priorità che circondava l'attenzione dei media verso la qualità dei beni e dei servizi indirizzati al pubblico.

L'avvio di questa nuova fase, almeno negli Stati Uniti d'America, consentì agli organi pubblici di ricercare una diversa visione del concetto di responsabilità, la quale si risolse in una transizione dal semplice regime fondato sulla colpa del produttore - da doversi provare volta per volta - al criterio più di ogni altro stringente della responsabilità oggettiva20: solo questo secondo principio infatti attribuiva - ed attribuisce - in primis al produttore l'onere di dimostrare che i difetti o i danni provocati dall'uso del suo prodotto non fossero dipesi dal proprio operato, ed offriva finalmente un buon margine di sicurezza e tranquillità transattiva al consumatore.

Attraverso la protesta si evidenziò come la complessità pratica del processo

17

G. ALPA, Il diritto dei consumatori, Bari, 1998, p. 1.

18

F. SILVA, A. CAVALIERE, La tutela del consumatore tra mercato e regolamentazione, Roma, 1996, p. 13.

19 P. H. KOTLER, Il movimento dei consumatori in USA, in Americana, Roma, 1973, n.3, p. 3 e ss. 20 Figura che implica l'esistenza del solo nesso causale. L'unica possibilità che l'agente ha per liberarsi

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fabbricativo di molti beni rendesse assai problematico identificare con precisione la causa del pregiudizio - con la conseguente difficoltà nell'attribuire una responsabilità ad un determinato soggetto, fra i molti della catena produttiva e distributiva - rendendo pertanto palese come dovesse essere invece controllata la posizione dei produttori, in un'ottica di conformità preventiva delle merci messe in circolo21.

La nascita di un diritto dei consumatori pare dunque determinata, da un lato, dal primo affermarsi di nuovi status sociali portatori di bisogni, diritti ed interessi diffusi, mentre, dall’altro lato, il medesimo “consumerismo” nasce diversamente come un fenomeno rappresentativo atto a disciplinare l'intero mercato economico22 per ridurre il vantaggio concorrenziale realizzato da quelle imprese che più di altre si fossero avvalse delle asimmetrie e degli squilibri naturali, intercorrenti tra professionista e consumatore, e che avessero scaricato su quest'ultimo una serie di rischi riguardanti il profilo qualitativo del prodotto, che invece le stesse imprese avrebbero potuto e dovuto assumere su di sé23.

Interessante è quindi esaminare quali indicazioni si possano oggi ritrovare nel diritto comunitario, per comprendere come questo abbia recepito i bisogni tipici del consumatore; si osservi fin da ora che dagli studi sul consumatore emergono in realtà diverse concezioni dello stesso, inteso ora come attore del mercato, informato sulle caratteristiche delle proprie scelte, ora come una potenziale vittima24.

Uno degli aspetti più caratteristici dell'acquis comunitario su questo tema è costituito dal suo carattere frammentario25: il diritto europeo dei consumatori

21

V. Z. ZENCOVICH, “Consumatore (tutela del)”, Enciclopedia Giuridica Italiana, Roma, 1988, p. 8.

22

F. SILVA, A. CAVALIERE, La tutela del consumatore, cit., p. 13 e ss.

23 A. FRIGNANI, M. WAELBROECK, Disciplina della concorrenza nella CEE, Torino, 1986, p. 10 e

ss., spec. p. 18; F. DENOZZA, Antitrust - Leggi monopolistiche a tutela dei consumatori nella CEE e

negli USA, Bologna, 1988, p. 9 e ss.

24

G. SIRI, La psiche del consumo, Milano, 2001, p. 35 e ss.; Z. BAUMAN, Consumo dunque sono, Bari, 2010, p. 9.

25 All'interno della Comunità Europea i contrasti bipolari tra la “Commissione per la protezione del

consumatore” e la “Commissione per l'industria” hanno sempre creato una situazione di incertezza sugli interessi da prediligere, per cui i primi anni Ottanta sono stati caratterizzati, da un punto di vista

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non è frutto di un progetto sistematico, bensì di un insieme piuttosto complesso e in parte confuso di interventi collegati alla realizzazione del mercato unico, di cui il consumatore è un elemento comune; occorre, riguardo ciò, ricordare la primordiale costituzione di una Carta Europea dei Consumatori del 1973 [“E' consumatore ogni persona fisica o morale26 alla

quale siano venduti beni o forniti servizi per uso personale”] e riferirsi ai quattro diritti programmatici a cui la stessa Carta, chiudendo con l'invito rivolto alle associazioni di fabbricanti e commercianti ad elaborare propri “codici” e instaurare “prassi commerciali” allineati a tali concetti, rimandava:  diritto alla protezione e all'assistenza, con particolare riguardo alla difesa dei diritti in giudizio;

 diritto al risarcimento del danno per la circolazione di prodotti difettosi o per la diffusione di messaggi menzonieri, erronei, decettivi;

 diritto all'informazione e all'educazione;  diritto alla rappresentanza.

Questi medesimi punti saranno infatti i primi stilati e sintetizzati dalla CEE in un'importante Risoluzione del 197527 che fu fondamento per l'apertura di una

riflessione comunitaria sulla tutela del soggetto consumatore:  protezione contro i rischi e per la salute;

 protezione degli interessi economici;

 predisposizione di consulenza e assistenza per il risarcimento dei danni;  informazione e l'educazione;

 consultazione e la rappresentanza dei consumatori nella predisposizione delle decisioni che li riguardano.

Ciò evidenziava l’intenzione della Comunità Europea di portare avanti l'idea legislativo, da interventi che hanno riguardato in maniera generale limitatamente l'informazione del consumatore, la pubblicità e le garanzie post-vendita ad esso attribuite; G. ALPA, Introduzione al diritto

dei consumatori, Bari, 2006, p. 17-24.

26 Intesa come “giuridica”.

27 Anche per le imprese risulta importante poter far conto su di una legislazione uniforme, che non

ostacoli il traffico commerciale e risponda quindi ad esigenze di semplicità e razionalità; G. ALPA,

(17)

di un livello omogeneo di tutela dei consumatori nel diritto, insieme alla necessità di rendere tale livello compatibile alle normative degli Stati membri, senza però snaturarne l’identità nazionale; al fine di assicurare l'efficacia nel mercato concorrenziale integrato, attraverso un sistema chiamato di “armonizzazione”, la Comunità perseguiva, in quest’ottica, un coordinamento ed un avvicinamento alla linea di condotta principale sotto tre differenti profili28:

 uno tecnico/giuridico, finalizzato ad eliminare le difformità più evidenti tra i diversi ordinamenti nazionali, i costi transattivi, la scelta della legge applicabile;

 uno regolamentare, che implica l'introduzione di regole non derogabili con cui si vogliono tradurre in termini di valori non modificabili le istanze che la Comunità considera prioritarie;

 un terzo infine ideologico che si prefigge invece di creare un'identità comune tra gli ordinamenti nazionali.

Per sviluppare in modo migliore quello che sarà il raffronto con la concezione del sistema commerciale nel mondo romano29, vorrei ora in maniera sintetica

riassumere quei Trattati fondamentali dell'Unione Europea che ne contraddistinguono la sua struttura portante, ampliando così la visione di insieme riguardo alla realtà normativa che fino ai nostri giorni ha regolato questo settore rilevante del diritto:

- Trattati di Roma: si intendono i due Trattati firmati a Roma il 25 marzo 1957, ovvero il Trattato che istituisce la Comunità economica europea e il Trattato che istituisce la Comunità europea dell'energia atomica; sono accordi geopolitici finalizzati a creare uno spazio economico libero tra i Paesi aderenti, che propongono una migliore circolazione fra di essi dei beni e dei

28

T. WILHELMSSON e AA.VV., European Contract Law Harmonization: Aims and Tools, in “Tulane

Journal of International and Comparative Law”, New Orleans, 1993, n.1, p. 35 e ss.

29 Sulla vexata quaestio della «specialità» del diritto commerciale con riferimento agli orientamenti della

dottrina commercialistica e storico-giuridica, v. F. GALLO, Negotiatio e mutamenti giuridici nel mondo

romano, in, a cura di M. MARRONE, Imprenditorialità e diritto, Palermo, 1992, p. 138 e ss., ripubblicato

(18)

servizi prodotti dalle imprese.

Incidono direttamente sui contraenti con esse che possono beneficiare di regole e controlli nei loro confronti, per la prima volta a livello comunitario: in particolare, gli articoli 101 e 102 dei Trattati vietano, rispettivamente, le intese restrittive della concorrenza e gli abusi di posizione dominante, posti in essere da imprese e suscettibili di arrecare pregiudizio al commercio. Inoltre l'articolo 106 dei Trattati prevede che gli Stati membri non adottino, nei confronti delle imprese pubbliche e delle imprese titolari di diritti speciali o esclusivi, misure che restringano la concorrenza in contrasto con le norme comunitarie.

- Trattato di Mastricht: firmato il 7 febbraio 1992, trasforma la Comunità Economica in Unione Europea, come oggi noi la conosciamo, con competenze nel settore della politica estera, della sicurezza comune, della materia economica, della giustizia e degli affari interni.

Istituisce inoltre la cittadinanza30 (dell'Unione) europea ovvero introduce una

condizione giuridica comune propria di ogni persona appartenente a uno Stato membro dell’UE: senza sostituire la cittadinanza nazionale, la cittadinanza europea ne rappresenta un complemento, essendo finalizzata ad instaurare la solidarietà tra i popoli che fanno parte dell’Unione Europea e a favorire il processo di integrazione politica tra gli Stati membri.

Nel suo articolo 100A il trattato dichiara che “la Comunità contribuisce al conseguimento di un'elevata protezione dei consumatori” introducendo per la prima volta questa locuzione a livello continentale (dicitura ricalcata dall'Atto Unico Europeo 31 entrato in vigore il 1º luglio 1987) costituendo un

30

Interessante sarebbe da questo punto di vista approfondire l’emanazione della Constitutio Antoniniana

de civitate. Sul punto rimando però solamente a M. TALAMANCA, Su alcuni passi di Menandro di Laodicea relativi agli effetti della ‘Constitutio Antoniniana”, in St. Volterra, Milano, 1971, p. 433 e ss., T.

SPAGNUOLO VIGORITA, Cittadini e sudditi tra II e III secolo, in, a cura di A. SCHIAVONE, Storia di

Roma, L’età Tardoantica, Crisi e trasformazioni, Torino, 1993, p. 5 e ss.

31

Trattato consolidato firmato a Lussemburgo che ha emendato i Trattati di Roma del 1957; con esso viene rafforzato il ruolo del "Comitato economico e sociale" che ha competenza in materia di protezione e tutela del consumatore. Propedeutico per la redazione del Trattato di Mastricht e la successiva direttiva sulle clausole vessatorie, l’Atto Unico dà mandato alla Commissione di definire le iniziative opportune per garantire la protezione dei consumatori; G. ALPA, Introduzione, cit., p. 49-50.

(19)

importante precedente per quanto riguarda l'individuazione di una nuova sfera giuridica particolare.

Contestualmente gli Stati membri attribuiscono con tale Trattato agli Organi Centrali una competenza in tema di consumatori contenuta nell'allora titolo XI/art. 129 - divenuto a seguito del Trattato di Amsterdam titolo XIV/art. 153 - che fa salva per i singoli Stati solo la possibilità di prevedere una tutela più intensa di quella adottata a livello comunitario, costituendo, quindi, uno

standard minimo comune. In attuazione a questo articolo vengono di lì a poco

emanate una serie di direttive riguardanti la sicurezza dei prodotti, l’etichettatura degli alimenti, la pubblicità ingannevole, i diritti dei consumatori nelle vendite a domicilio; vengono inoltre promulgate una serie di direttive di portata settoriale che fissano i requisiti di sicurezza per i giocattoli, i mezzi e le attrezzature di protezione del personale e che dispongono nuovi controlli sanitari ed ancora sistemi di etichettatura – ad esempio, per la denominazione di orgine protetta o controllata32- per gli

alimenti di provenienza agricola.

- Trattato di Amsterdam: viene firmato il 2 ottobre 1997 dagli allora 15 Paesi33 dell'Unione europea ed entra in vigore il 1º maggio 1999.

Questo trattato risulta essere il primo tentativo di riforma delle istituzioni dell'Unione Europea dalla sua costituzione, in vista dell'allargamento del numero dei suoi Stati membri. Il Trattato, al suo articolo 163, asserisce che

“la Comunitá ha l'impegno di promuovere gli interessi dei consumatori ed assicurare loro un livello elevato di protezione” confermando, in questo

modo, come la tutela del consumatore divenga sempre più una delle finalità principe dell'Ue.

- Trattato di Lisbona: è per lo più un Trattato di assestamento normativo dell'Unione ed è firmato il 13 dicembre 2007.

Vede divenire il precedente articolo 100A CEE, introdotto dall'Atto Unico Europeo, il nuovo articolo 95 CE senza particolari e sostanziali differenze

32

Direttiva 2000/13/CE.

33

(20)

nell'intrinseco contenuto; l'articolo sancisce che la realizzazione del mercato

interno sia basata su un livello adeguato di protezione dell'individuo

attraverso proposte in materia di sanità, sicurezza, protezione dell’ambiente e dei consumatori.

3. La specialità del diritto commerciale nell’esperienza medievale e moderna e nel diritto romano.

Al fine di far affiorare, da una tale evoluzione normativa, un patrimonio genetico radicato nel tempo vorrei qua introdurre come il sistema imprenditoriale regolamentato dall'ordinamento vigente, incentrato non più su singoli atti di commercio, ma sull'organizzazione di attività intermediarie dirette al soddisfacimento di bisogni del mercato generale, possa affondare alcune radici nel sistema delle negotiationes romane34.

Evidente appare, a mio avviso, come la commercializzazione del Ius civile a partire dal III secolo a.C. portò seco speciali forme di tutela processuale degli acquirenti con gli imprenditori dando, per la prima volta, l’occasione di parlare compiutamente di un diritto “speciale” dei commerci; la ricezione del

Ius gentium35, inteso come diritto anazionale ed universale dei traffici, seppur si ponesse come sfera ordinamentale separata dal Ius civile, ne implicava tuttavia la complessiva riponderazione: lo scopo ultimo, anche allora come oggi, era il rafforzamento della posizione del contrante con l’imprenditore. Vedremo infatti come sarà gestita l’evoluzione dell’organizzazione dell’impresa romana, nei casi di separazione fra proprietà e gestione, e come la giurisprudenza, attraverso i concetti di potestas, genus negotiationis e merx

34 È possibile riscontrare il fondamento della nostra tradizione giuridica in tema di azienda commerciale

nella nozione di taberna instructa, in D. 50.16.185 (Ulp. 28 ad ed.), come il complesso di res e di homines organizzato per l’esercizio di una negotiatio: “Instructam autem tabernam sic accipimus, quae et rebus et

hominibus ad negotiationem paratis constat.”, definizione sovrapponibile all’art. 2555 del Codice Civile

del 1942.

35 Per Ius gentium si intende il Ius che tutti i popoli conoscono, come ad esempio la condizione della

schiavitù: Gai. 1.52-55; un esempio invece di commercializzazione del Ius civile può ritorvarsi in Cic. De

(21)

peculiaris, farà prevalere il legittimo affidamento dei contraenti nelle

circostanze di responsabilità limitata ed illimitata del titolare.

Mi pare opportuno, in ogni caso, sottolineare come il parallelismo non risulti ancora pacifico in dottrina: secondo una parte degli studiosi, infatti, il diritto commerciale nascerebbe ex novo fra il XII e XIII secolo, quale espressione del ceto mercantile e artigiano unitosi per difendere gli interessi comuni e per fronteggiare un periodo di disgregazione politica derivante dalla mancanza di una forte autorità centrale imperiale36. Questo orientamento individua nella

fiorente civiltà comunale, fondata sulla ricchezza mobiliare derivante dalla produzione artigianale (e agricola) e dai traffici commerciali, la prima civiltà che introduce, come proprio riflesso, un nuovo sistema normativo, incentrato su usi mercantili e statuti delle corporazioni, il “Ius Mercatorum”37.

Spinta dalla crisi del feudalesimo a dal ripopolamento delle città, la ripresa dei traffici si inserì in un fenomeno più ampio, chiamato “Rinascimento

medievale”, che vide la nascita di nuovi centri urbani, la creazione di

Università e la formazione della borghesia come moderna classe sociale38. L’impulso commerciale che si ebbe in Europa occidentale nel basso Medioevo, conseguentemente alla crescita della popolazione e alla lacuna lasciata da un potere unificante, permise quindi alle imprese di formare una propria organizzazione corporativa all’interno di ogni città: commerciante diveniva colui che era iscritto alla matricula mercatorum, registro dell’organismo corporativo.

Il ceto mercantile esprimeva in primo luogo le norme, ma esprimeva anche i

36

Tale tradizionale opinione della dottrina storico-giuridica e di quella commercialistica, che porta a considerare il diritto commerciale come una “categoria ontologica” anziché come una “categoria storica”, è sostenuta autorevolmente da L. GOLDSCHMIDT, Universalgeschichte des Handelsrechts, Stuttgart, 1891.

37 Così, in particolare, per i commercialisti F. GALGANO, Diritto Commerciale, in Digesto IV delle

discipline privatistiche. Sezione commerciale, Torino, 1989, p. 349; G. FERRI, Manuale di diritto commerciale, Torino, 1993, p. 6; per i romanisti M. BIANCHINI, Diritto commerciale nel diritto romano,

in Digesto IV delle discipline privatistiche. Sezione commerciale, Torino, 1989, p. 321; per gli storici del diritto italiano G. CASSANDRO, Saggi di storia del diritto commerciale, Napoli, 1982, p. 8; U. SANTARELLI, Mercanti e società tra mercanti, Torino, 1998, p. 55 e ss.

38

(22)

giudici che le avrebbero applicate. Si creava così la giurisprudenza delle

curiae mercatorum, un collegio giudicante interno alla corporazione che

decideva le liti basandosi sul principio di equità - inteso come la ricerca più rigida e deformalizzata della veritas facti - applicando il diritto consuetudinario e la buona fede.

È chiaro che, a questo punto, diritto civile e diritto commerciale venivano a porsi come due sistemi autonomi, e addirittura nettamente contrapposti: un assetto, questo, che si conserverà per circa tre secoli, fino a quando gli “Stati assoluti” cominceranno a riappropriarsi di quel “nuovo” settore del diritto, maturato come prerogativa del ceto mercantile.

La peculiarità dello Ius Mercatorum stava nell'essere un sistema commerciale di tipo puramente soggettivo39:

 Soggettivo in base alle fonti di produzione normativa, poiché veniva emanato dagli stessi mercatores, nel senso che la disciplina dei rapporti commerciali (la Lex Mercatoria40) scaturiva dalle consuetudini mercantili poi

recepite negli statuti delle corporazioni.

 Soggettivo in base ai destinatari del trattamento normativo, poiché si applicava soltanto nei rapporti economico-giuridici degli individui che erano iscritti nella “matricula mercatorum41”; risultava preminente la condizione soggettiva di coloro che avevano ottenuto lo status di corporati, mentre il

39

C. VIVANTE, Trattato di diritto commerciale, Milano, 1934, p. 2: “La distinzione fra questi due rami del diritto privato fu ignota ai giuristi romani. (...) Ripugnava alla tendenza unificatrice del genio giuridico romano un diritto speciale al commercio: esso sapeva far rientrare nei larghi concetti delle obbligazioni col suo pregnante linguaggio le variabili forme degli affari mercantili e le loro clausole tecniche. Così molti istituti del diritto commerciale presero posto nel diritto civile e le poche regole che restarono, limitate al commercio di trasporto e di banca, rompono tanto poco l’unità del diritto civile di Roma”.

40 Una “lex” che si configura come un ordinamento uniforme, dato che rifletteva gli usi ed i costumi di

una classe sociale che esisteva in tutte le città, con la stessa mentalità e le esigenze.

41 Trattamento normativo in seguito esteso dalla giurisdizione consolare anche alle controversie fra iscritti

e non iscritti nella matricula mercatorum - purché afferenti ad affari di natura commerciale sottoforma di

"occasione mercantiae, negotiationis, cambiorum"- ; fu permesso a coloro il cui stato non poteva aderire

alle corporazioni - come ad esempio i nobili, il clero, la classe militare – , ed ancor più agli stranieri, di condividere inizialmente un diritto mercantile interlocale in relazione al commercio derivante da navigazione marittima, oltre che in relazione di importanti fiere ricche di operatori economici; sul punto A. ROCCO, Principi di Diritto Commerciale, cit., p. 10 e ss., in part. p. 18.

(23)

tratto oggettivo dell’attività svolta dagli stessi risultava rilevante solo in secondo luogo, da un punto di vista subordinato.

 Soggettivo in base alla giurisdizione, dato che le eventuali controversie fra

mercatores erano devolute alla speciale giurisdizione di consoli – scelti tra i

migliori commercianti - delle corporazioni, che rimanevano in carica da sei mesi fino ad un anno. Una magistratura che con il tempo raccolse le consuetudini e le evoluzioni delle stesse in statuti, dando un ordine sistematico al diritto commerciale mercantile42.

A mio modo di vedere, invece, il Ius Mercatorum, la cui disciplina dei rapporti commerciali si risolve e si concreta nella formale configurazione di un autonomo corpo normativo più o meno contrapposto al sistema delle norme di diritto civile, costituisce soltanto l’effettivo archetipo della cosiddetta “autonomia formale” del sistema normativo del diritto commerciale: un diritto delle imprese può essere anche configurabile nel contesto della plurisecolare esperienza giuridica della civiltà romana, dal III secolo a.C. fino al III secolo d.C. e poi, con alcune significative trasformazioni, fino alla morte dell’imperatore Giustiniano (565 d.C.)43.

Il pregiudizio, riguardante l’estraneità alla storia giuridica di Roma del diritto commerciale, risulta essere motivato, in maniera a parer mio insufficiente, dalla struttura potestativa della famiglia romana e dalla circostanza che il sistema giuridico romano sarebbe stato fondato sulla conservazione e non già

42

Si noti una similitudine con la “costruzione” del diritto pretorio: ogni editto aveva efficacia limitata all’anno nel quale il magistrato rimaneva in carica; ma ogni pretore, che non creava ex novo il proprio editto, accoglieva da quello del suo predecessore tutto ciò che gli sembrava degno di essere conservato, v. Cic., In Verrem, 3.64. Un editto inteso come un documento stabile ed unitario, soggetto a modifiche parziali e successive, seppur non potesse chiaramente assurgere al ruolo di fonte normativa speciale, manifestò come, dalla sua creazione, i romani evidenziassero, comunque, la volontà di sviluppare una “nuova branca del diritto”.

43 “La variegata disciplina storico-giuridica dell’attività commerciale prova inequivocabilmente che il Ius

mercatorum, lungi dal costituire la genesi di un diritto commerciale astrattamente ed unitariamente inteso,

rappresenta soltanto uno dei tipi in cui si articola storicamente la categoria del diritto commerciale”. Cfr. A. PETRUCCI, P. CERAMI, A. DI PORTO, Diritto commerciale, cit., p. 4-5.

(24)

sulla cumulazione della ricchezza44: ciò è contraddetto, a livello pubblicistico,

dalla tendenza espansionistica di Roma45, a livello privato, dagli evoluti

schemi organizzativi dell’imprenditorialità romana.

Come fondamentale è stato coniare nel secolo scorso il concetto di

Consumerismo e di Consumatore, non di meno si può negare la quadratura

del cerchio di un'autonomia normativa speciale di una Lex Mercatoria come evoluzione del diritto commerciale.

Sarebbe però possibile affermare che i Romani ebbero un concetto sostanzialmente esatto riguardo l’utilità del diritto commerciale, se osservassimo che alcune normative46 “derogavano” come discipline speciali a

particolari rapporti del diritto privato generale? Per quale ragione uno Ius alternativo a quello originariamente Civile affrontava le peculiarità riferite a talune speculazioni commerciali in maniera ben distinta dal traffico comune47?

4. Dalla tutela del contraente con l’imprenditore al concetto di consumatore.

Se è vero che l'attuale mondo del diritto ha infatti necessità di realizzare un apparato di regole rafforzate a favore dei contraenti con le imprese per le attività rientranti nel loro oggetto 48- per contrapporsi a quegli assetti patologici, micro e macro-economici, derivanti da un larghissimo sviluppo della produzione di massa e da un'espansione generalizzata dei consumi, nonché per regolamentare le tendenze speculative della società capitalistica

44

Di difficile interpretazione Ulpiano (D. 1.3.41): “Totum autem ius constitit aut in adquirendo aut in

conservando aut in minuendo: aut enim hoc agitur, quemadmodum quid cuiusque fiat, aut quemadmodum quis rem vel ius suum conservet, aut quomodo alienet aut admittat.”

45 A. PETRUCCI, P. CERAMI, A. DI PORTO, Diritto commerciale romano, cit., p. 20-35. 46

Si vedranno a tal proposito, tra tutte, le discipline del receptum e della compravendita di homines.

47

C. FADDA, Istituti commerciali del diritto romano. Introduzione con una nota di lettura di L. Bove, in

Antiqua, Napoli, 1987, p. 60 e ss.

48 Riassunto in diritto romano con il concetto di nomen negotiationis, v. D. 33.7.13 pr. (Paul. 4 ad Sab.) e

D. 33.7.23 (Ner. 2 resp.). Sull’equivalenza si veda M. A. LIGIOS, Nomen negotiationis. Profili di

(25)

matura, di cui le multinazionali49 ne sono un esempio - nondimeno non

possiamo sottovalutare il periodo di svolta che la civiltà romana dovette affrontare contestualmente alla fine della prima guerra punica (241 a.C.) e le conseguenti esigenze di “nuove” tutele, che la neonata e più globalizzata civiltà commerciale aveva contribuito a generare.

L'inizio dell'espansione transmarina e dell'imperialismo politico ed economico di Roma nel Mediterraneo fece assurgere l’Urbe al ruolo di centro politico in una comunità mondiale e di centro economico di un sistema di scambi sempre più globalizzato50. La progressiva trasformazione del sistema

economico-giuridico, da assetto fondato sul mero godimento e sulla conservazione dei beni a struttura sempre più incentrata sull'accumulazione e sul profitto, veicolò un'altra trasformazione: quella del ruolo del pater

familias, da vertice potestativo della famiglia patriarcale a vertice

economico-giuridico di una rete più o meno fitta di negotiationes.

La prassi degli operatori economici aveva, infatti, indotto un numero sempre più ampio di patres familias ad impiegare persone in potestà come preposti ad un’impresa terrestre o marittima, ovvero come negotiatores cum peculio, cioè esercenti di imprese peculiari.

Si inserì in questo specifico contesto storico la nascita di nuovi rimedi processuali riparatori ad alcuni aspetti patologici del mercato commerciale: introdotte dal pretore peregrino - praetor qui inter peregrinos ius dicebat, istituito nel 242 a.C., magistratura più sensibile alle istanze di tutela giuridica connesse ai rapporti commerciali ed al mondo degli affari - le actiones

49 L'espressione "impresa multinazionale"- un'impresa che possiede o controlla attività di produzione di

beni o servizi in vari paesi - fu utilizzata per la prima volta da D. E. LILIENTHAL - The multinational

corporation: a review of some problems and opportunities for business management in a period of world-wide economic change, California, 1960 - direttore della Tennessee Valley Authority, in una

relazione presentata al Carnegy Institute of Technology nel 1963. Il termine assunse, tuttavia, risonanza internazionale il 20 aprile 1963, quando il settimanale Business Week dedicò al tema un numero speciale dal titolo Multinational Companies.

50

(26)

adiecticiae qualitatis 51 hanno il significato di “azioni di aggiunta

responsabilità per ruolo52”.

Il Ius Honorarium rappresenta infatti la fonte normativa di un'ampia e variegata gamma di rapporti economico-giuridici più o meno direttamente legati all'economia di scambio e alle attività commerciali. Gli editti che si inseriscono in questo contesto non sono soltanto quelli che prospettano specifici rimedi giudiziari idonei a ricomporre conflitti ed interessi strettamente legati alle modalità organizzative dei diversi tipi di impresa, ma anche quelli che affrontano soluzioni giudiziarie funzionali a regolare una serie di rapporti contrattuali come la compravendita, la locazione-conduzione,

la società ed il deposito, introducendo principi evolutivi rispetto all'antico Ius civile: bona fides (correttezza etica) ed efficacia diretta della volontà e della causa53.

Si venne così profilando una sorta di commercializzazione54 del diritto romano che portò ad una lettura più ampia della nozione di Ius civile comprensiva di leges, interpretatio prudentium e iurisdictio praetoria55.

51

Terminologia non romana; su tale denominazione si rinvia a M. MICELI, Sulla struttura formulare

delle ‘actiones adiecticiae qualitatis’, Torino, 2001, p. 8 e ss. (ed ivi nt. 1 sulle indicazioni bibliografiche)

e A. PETRUCCI, P. CERAMI, A. DI PORTO, Diritto commerciale, cit., p. 40-47.

52 Paolo, D. 14.1.5.1: “Item si servus meus navem exercebit et cum magistro eius contraxero, nihil

obstabit, quo minus adversus magistrum experiar actione, quae mihi vel iure civili vel honorario competit: nam et cuivis alii non obstat hoc edictum, quo minus cum magistro agere possit: hoc enim edicto non transfertur actio, sed adicitur.”

53 Come vedremo l’introduzione delle actiones adiecticiae qualitatis amplierà gli oneri inerenti ad una

corretta direzione d’impresa; di conseguenza, sarà maggiore la tutela per il contraente, che potrà rivalersi - attraverso rimedi tipici - sul titolare dell’impresa in quanto responsabile nel proprio ruolo. La locuzione sottende la possibilità di azione da parte dei contraenti, D. 44.7.51 (Cels. 3 Dig.): “Nihil aliud est actio

quam quod sibi debeatur, iudicio persequendi.”

54 Espressione usata anche da A. SCHIAVONE, Giuristi e Nobili nella Roma Repubblicana, Bari, 1987,

p. 124.

55

L’attribuzione al giudice - quando non si trattasse di una sentenza di stretto diritto - di un più ampio potere discrezionale permetteva di tutelare quidquid dare facere oportet ex fide bona l’esigenza di una “correttezza”, nel suo significato oggettivo di “professionale”, nell’ambito delle relazioni commerciali; M. TALAMANCA, La «bona fides» nei giuristi romani: «Leerformeln» e valori dell’ordinamento in, a cura di L. GAROFALO, Il ruolo della buona fede oggettiva nell’esperienza giuridica storica e contemporanea, Padova, 2003, p. 13 e ss.

(27)

Addentriamoci ora nel discorso che qui più preme:

D. 50.17.133 (Gai. 8 ad ed.): “Melior condicio nostra per servos fieri potest,

deterior fieri non potest.”

Questo era, nell’originario diritto dei Quiriti, il regime che legava gli schiavi e gli effetti della loro attività al patrimonio del padrone.

In aggiunta alle più antiche azioni - riguardanti un fatto illecito56- dette

nossali57, il diritto pretorio creò, in via processuale, una diretta responsabilità

contrattuale del dominus58.

In proposito, fondamentale è un passo di Gaio:

Gai. 4.71: “Eadem ratione comparavit dua alias actiones , exercitoriam et

institoriam ... Cum enim ea quoque res ex voluntate patris res ex voluntate patris dominive contrahi videatur, aequissimum esse visum est in solidum actionem dari ...”

Possiamo infatti definire le actiones adiecticiae qualitatis come azioni di responsabilità aggiuntiva per il ruolo di vertice rivestito dal dominus o

56

D. 19.2.11.

57

Trattazione dedicata all’actio noxalis in Gai. 4.75-81. Per danni prodotti da fatto illecito dai filii o servi, che erano privi di capacità giuridica, il pater o il dominus convenuti in giudizio potevano scegliere se risarcire il danno, oppure abbandonare il filius o servus alla parte lesa.

58

La dottrina dominante afferma una connessione fra le actiones adiecticiae qualitatis e la rappresentanza diretta. Lo studio di A. WACKE (Alle origini della rappresentanza diretta: le azioni adietizie, in Nozione

formazione e interpretazione del diritto dall’età romana alle esperienze moderne. Ricerche dedicate al professor Filippo Gallo, Napoli, 1997) si concentra sul rapporto tra l’origine della rappresentanza diretta e

tali azioni, investigando la natura delle azioni e la praepositio nell’actio exercitoria e in quella institoria, facendo una comparazione tra le azioni e l’istituto della rappresentanza nel BGB e HGB. Wacke propone che tali azioni costituiscano i principia originari della rappresentanza diretta; con queste - scrive - si intraprende la prima tappa del passaggio dalla rappresentanza indiretta a quella diretta. Diversa ed opposta è l’opinione di W.W. BUCKLAND (The Roman Law of Slavery. The conditions of the Slave in Private

Law from Augustus to Justinian, Cambridge, 1908, passim) secondo il quale la responsabilità del pater familias non deriva dalla rappresentanza, ma è uno strumento per la distribuzione del rischio.

(28)

dall’esercente preponente59.

La responsabilità del titolare dell’impresa si somma a quella dei dipendenti se siano liberi, vi supplisce se siano servi; tali azioni sono inoltre di carattere perpetuo, non hanno cioè scadenza e sono trasmissibili attivamente e passivamente agli eredi60.

Nell'esperimento dell'azione, la responsabilità del titolare esercente per i suoi dipendenti in potestà gli viene automaticamente trasferita attraverso il nuovo modello predisposto dal Ius honorarium 61 . La trasposizione avviene

tecnicamente mediante l'inserimento, predisposto dal pretore, del nome del contraente nell'intentio e quello del preponente nella condemnatio62.

La concessione pretoria di queste tutele, se, da un lato, garantiva l’azione dei contraenti che intrattenevano rapporti negoziali con le imprese, dall’altro, permetteva agli imprenditori di limitare entro determinate “cornici”- attraverso limiti oggettivi, stabiliti in termini di praepositio, o economici, determinati dalla consistenza del peculium - la propria responsabilità altrimenti illimitata.

a) L’institore.

D. 14.3.1 (Ulp. 28 ad.ed.): “Aequum praetori visum est, sicut commoda

sentimus ex actu institorum, ita etiam obligari nos ex contractibus ipsorum et conveniri. Sed non idem facit circa eum qui institorem praeposuit, ut experiri possit: sed si quidem servum proprium institorem habuit, potest esse securus adquisitis sibi actionibus...”

Nel commentario all’editto, Ulpiano loda l’introduzione dell’actio institoria, poiché essa è idonea a riequilibrare il rapporto tra vantaggi e gli svantaggi che

59

Locuzione proposta dai moderni: A. PETRUCCI, Per una storia della protezione dei contraenti con gli

imprenditori, Torino, 2007, p. 58 e ss.

60

D. 14.1.4.4; D. 14.3.15; D. 14.3.5.17.

61

B. ALBANESE, Le persone nel diritto privato romano, Palermo, 1979, p. 145 e ss.

62

(29)

il titolare esercente trae dall’attività dei propri sottoposti: infatti, così come percepisce l’utile dalle attività contrattuali intrattenute da costoro, risulta conforme al concetto di aequitas che pure ne resti obbligato63.

D. 14.3.18 (Paul. lib. sing. de var. lect.): “Institor est, qui tabernae locove ad

emendam vendendumve praeponitur quique sine loco ad eundem actum praeponitur.”

Nel testo di Paolo si chiarisce come inizialmente, quando l’azione institoria fu introdotta, essa tutelasse i contraenti con le sole imprese commerciali propriamente dette. Solo successivamente questo primo concetto subì un’evoluzione di stampo estensivo:

D. 14.3.5 (Ulp. 28 ad ed.): “ (pr.) Cuicumque igitur negotio praepositus sit,

institor recte appellabitur. (1) Nam et Servius libro primo ad Brutum ait, si quid cum insulario gestum sit vel eo, quem quis aedificio praeposuit vel frumento coemendo, in solidum eum teneri. (2) Labeo quoque scripsit, si quis pecuniis faenerandis, agris colendis, mercaturis redempturisque faciendis praeposuerit, in solidum eum teneri. (3) Sed et si in mensa habuit quis servum praepositum, nomine eius tenebitur. (4) Sed etiam eos institores dicendos placuit, quibus vestiarii vel lintearii dant vestem circumferendam et distrahendam, quos volgo circitores appellamus. (5) Sed et muliones quis proprie institores appellet, (6) item fullonum et sarcinatorum praepositus. Stabularii quoque loco institorum habendi sunt. (7) Sed et si tabernarius servum suum peregre mitteret ad merces comparandas et sibi mittendas, loco institoris habendum Labeo scripsit (8) Idem ait, si libitinarius servum pollinctorem habuerit isque mortuum spoliaverit, dandam in eum quasi institoriam actionem, quamvis et furti et iniuriarum actio competeret. (9) Idem Labeo ait: si quis pistor servum suum solitus fuit in certum locum mittere ad panem vendendum, deinde is pecunia accepta praesenti, ut per

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