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1 Zanini P., Signifi cati del confi ne. I limiti naturali, storici, mentali, Mondadori, Milano, 1997, p.52

2 Cfr. Devoto G., Dizionario etimologico. Avviamento alla etimologia italiana, Firenze, Le Monnier, 1968 3 Mazza L., Di cosa parliamo quando parliamo di urbanistica. Appunti per le lezioni, in Tosi M.C., Di cosa parliamo quando parliamo di urbanistica, Meltemi, Roma, 2017, pp. 176-177

4 Olmo C., Lavorare sui limiti e, non per paradosso, insieme sugli immaginari in Magnani C. e Marzo M. (a cura di), I limiti dell’architettura ai limiti dell’architettura, Il Poligrafo, Padova, 2016, p. 11

5 Le Corbusier, Vers une Architecture, 1923, trad.it. a cura di Cerri P. e Nicolin P., Verso un’architettura, Longanesi, Milano, VI ed. 2008, pp. 51-55

6 Natali F., L’ambigua natura della frontiera. Antropologia di uno spazio “terzo”, Ed. Quattroventi, Urbino, 2007, p. 51

Il porre confi ni ai luoghi è un atto archetipo di presa di possesso del territorio da parte dell’uomo: «Defi nire i confi ni di un territorio è infatti esercizio tra i più sofi sticati ed appare, non certo dall’inizio del XVIII secolo, prerogativa costitutiva e costituzionale di un potere (pubblico o privato, giuridico o culturale)»4. I confi ni circoscrivono ambienti controllati, mi-

surati e quindi riconoscibili. Come segni della necessità dell’uomo di abitare, possedere, difendere, scoprire e occupare lo spazio, i confi ni possono essere annoverati tra i miti fon- danti della civiltà. Le Corbusier ci racconta della nascita fatale dell’architettura con l’uomo primitivo nell’atto originario di appropriazione di un luogo attraverso un tracciato regola- tore e un perimetro geometrico che separa l’esterno dall’interno5. Se lo spazio è un’entità

infi nita e illimitata, il confi ne divide e interrompe nettamente questa continuità. Nella pra- tica del vivere l’uomo defi nisce i luoghi: non esiste civiltà senza un luogo nel quale vivere e lo spazio diventa luogo nel momento in cui viene delimitato da un segno e proclama la sua identità attraverso l’alterità. Scrive Fabio Natali «il delimitare – atto di fondazione del luogo e dunque dell’abitare – implica l’istituzione di una dualità, qualunque essa sia – in- terno/esterno, ordine/disordine, limitato/illimitato, luogo/spazio, identità/alterità – ovve- ro signifi ca concepire l’esistenza non solo del sé ma anche di qualcosa di altro-da-sé, un qualcosa certamente più incerto, sfumato, indeterminato, diffi cilmente qualifi cabile, ma altrettanto “reale”»6.

Il confi ne delimita l’urbano dalla natura, la città dalla campagna, il dentro e il fuori, i cittadini e gli stranieri. Con la formazione delle città il signifi cato concettuale di confi ne, i suoi modi e le sue forme si fanno più complessi: la necessità primaria è di stabilire discon- tinuità tra l’esterno illimitato naturale e l’interno urbano costruito e regolato. Il confi ne necessario tra i due mondi si trasforma gradualmente in un intreccio di segni, in un reticolo di confi ni: la città è solcata da altre linee, divisioni, limiti e diff erenze. «Altre linee di confi ne determinano il taglio dei lotti, e la distinzione tra spazi pubblici e privati. Altre ancora divi- dono le singole proprietà e all’interno di queste defi niscono gli usi degli spazi dell’abitare»7.

Si può far risalire il concetto moderno di città alle grandi trasformazioni, inaugurate nella seconda metà dell’Ottocento, che hanno stravolto la forma urbana e razionalizzato l’orga- nizzazione dello spazio all’interno delle città, a partire da un’idea di rifondazione e riordi- namento, in cui tutto può essere predeterminato e quindi controllato8. Dalla complessità

del tutto si scorporano e si isolano le diverse funzioni; a ciascuna viene attribuito un luogo diversifi cato: il mercato, la stazione, il teatro, il carcere, l’ospedale, il manicomio, il quar- tiere residenziale, la zona industriale; lo spazio pubblico rigidamente separato da quello privato. Lo spazio, con cui la progettazione urbana si confronta a partire dal ‘700, è asso- luto e “separare e allontanare” diventa il paradigma fondamentale9. Vengono separate dal

contesto e allontanate dall’ambito più consolidato della città verso l’esterno le strutture urbane del servizio, delineando spazialmente – ma inevitabilmente anche socialmente – una netta divisione tra centro e periferia: la città moderna è frutto della messa a punto di complesse operazioni di «regolarizzazione» e «igienizzazione» del tessuto urbano, di separazione netta.

Come suggerisce Guido Canella nell’introduzione al numero monografi co della rivista Hinterland nel ’79 dedicato all’architettura della salute, i grandi complessi ospedalieri pos- sono essere descritti come «sovraimpressione di una “città nella città”»10: l’organizzazione

spaziale a padiglioni, che muta dalla città le relazioni e le misure dei rapporti tra pieni e vuoti, permette di assimilare all’idea di garden city organizzata nella sequenza di edifi ci inseriti in aree verdi e nelle reti dei connettivi viari molte attrezzature per la salute11. La

singolare identità del manicomio, i cui caratteri morfologici e tipologici derivano chiara- mente dai complessi ospedalieri, si specifi ca proprio attraverso la defi nizione netta del suo confi ne: la cittadella manicomiale è luogo di cura della follia perché separata rigidamen- te dalla realtà esterna. Entro il confi ne di questo luogo “altro” ulteriori linee, più o meno

7 Albrecht B., Benevolo L., I confi ni del paesaggio umano, Laterza, Bari-Roma 1994, p.6

8 Sica P., Storia dell’urbanistica. L’Ottocento, Laterza, Roma-Bari 1992

9 Secchi B., Prima lezione di urbanistica, Laterza, Roma-Bari, 2000, p.112

10 Architettura della salute, numero monografi co di «Hinterland», n.9-10, maggio-agosto, 1979

11 Cherchi P., op.cit., p. 60 12 Cfr. Anamnesi

architettonicamente defi nite, sanciscono altre diff erenze12. Il sistema tipo-morfologico a

padiglioni, divenuto fi gura paradigmatica di effi cienza nella cura delle malattie, individua nei singoli tipi edilizi che lo compongono dirette corrispondenze rispetto alle attività ne- cessarie alla sua stessa esistenza secondo un preciso diagramma funzionale interno, che nei complessi per la psichiatria si evidenzia con nette separazioni dei ricoverati in base al sesso, al ceto sociale, al genere di patologia e all’intensità di applicazione delle terapie. La scala della sua ideazione e costruzione conferisce al complesso manicomiale confi gurazio- ne e ruolo di “micro città”. Formato da un sistema di costruzioni e di spazi complementari chiusi entro un confi ne, è da considerarsi come un vero organismo plurifunzionale, per la presenza, accanto agli edifi ci direzionali, ai padiglioni diff erenziati per patologie, ai gabi- netti medici e agli alloggi del personale, di servizi comuni quali chiesa, teatro, biblioteca, cinema; di laboratori e offi cine come falegnamerie, tessitorie, calzolerie, sartorie, tipogra- fi e. La “micro città” si completa inoltre di spazi verdi a giardino e a orto e di colonie agricole ritenuti essenziali per il trattamento morale delle malattia mentale e per l’esercizio del corpo quale condizione necessaria alla guarigione13.