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34 Biraghi M., Storia dell’architettura contemporanea II, 1945-2008, Giulio Einaudi Editore, Torino, 2008, pp. 460- 463; Koolhaas R., Mau B., S, M, L, XL, The Monacelli Press, New York 1995, pp. 4-21; 214-32.

35 Leoni F., Maldonato M. (a cura di), Al limite del mondo - Filosofi a, estetica, psicopatologia, Edizioni Dedalo, Bari, 2002

36 Sul tema Nobile M.L., Recintare/Delimitare, un nuovo “materiale” della composizione urbana. [Il tessuto di recinti come proposta di un possibile modo di intervenire sulle aree indefi nite della città contemporanea], tesi di Dottorato in Progettazione, XXII ciclo

37 Zanini P., op. cit. pp.74-75 Nell’introdurre il testo transdisciplinare Al limite del mondo – Filosofi a, estetica, psi-

copatologia35 Federico Leoni e Mauro Maldonato indicano tra le più acute formulazioni

dell’enigmatica natura del limite quella netta e interrogativa proposta da Charles S. Peir- ce: si immagini un quadrato per metà colorato di blu e per metà di rosso; di che colore è la linea che divide e tiene unite le due aree? Non è né blu, né rossa, né di altro colore eppure è questa linea a far sì che esistano le zone di colore rosso e blu.

Il dizionario Devoto-Oli defi nisce il confi ne innanzitutto come una linea costruita na- turalmente o artifi cialmente che segna l’estensione di un territorio o di una proprietà o di uno stato ma anche proprio come un elemento fi sico – pietra, sbarra, steccato – che deli- mita una proprietà da quella attigua. Il confi ne, infatti, viene spesso assimilato all’idea di limite, anche se esso, più che il limite, de-limita qualcosa per generare rapporti di inclusio- ne/esclusione. Il confi ne come declinazione del limite, dunque, traduce il concetto di limes romano: è linea di separazione tra situazioni diverse e può assumere le forme di un sentie- ro, di una strada, così come di una frontiera, di una barriera o di un baluardo difensivo. Il confi ne del manicomio, il limes che separa lo spazio della follia da quello della ragione è un limite fi sico, un recinto di “alte mura, fi lo spinato, rocce, corsi d’acqua, foreste e brughiere” come per ogni istituzione totale. Sul piano fi sico l’idea di confi ne come limite può essere associata innanzitutto alla forma archetipica del recinto36. «Pensare un confi ne e costruire

un recinto sono pratiche omologhe. Entrambe sono azioni che rispondono a un medesi- mo desiderio, quello di generare uno spazio cercando allo stesso tempo di controllarlo in qualche modo. […] Pensare un confi ne e costruire un recinto signifi ca inventare un ambito e racchiuderlo, circoscriverlo attraverso elementi che ne mettano in evidenza la sua di- mensione, la sua forma, le sue funzioni»37. La parola recinto, forma del participio passato

del verbo recingere, archetipo dell’architettura, richiama una delle azioni più tipiche com- piute dall’umanità: ponendo limiti e defi nendo tracciati, l’uomo esercita una selezione,

assumendo come proprio un luogo specifi co tra la pluralità di luoghi esistenti. I caratteri connotativi del recinto sono molteplici e riguardano la morfologia e tipologia del sito e dell’elemento posto come dispositivo di delimitazione dello stesso. È frequente associare ancora oggi al recinto un limite, un cambio di destinazione d’uso o di proprietà, che dif- ferenzia la sfera privata da quella pubblica e, nel caso di recinti specializzati, identifi ca un luogo con il particolare uso che viene svolto al suo interno. Il recinto continua in qualche modo ad essere elemento di misura che rende leggibili le gerarchie della città e del territo- rio. «Far architettura è essenzialmente far recinti. Il signifi cato essenziale dell’architettura sta forse nel suo essere recinto, nel costruire un ambito spaziale controllato separando un interno da un esterno tramite un muro»38. Nell’introdurre l’editoriale del primo numero

della rivista «Rassegna», Recinti, dedicato appunto al tema, Gregotti mette in evidenza il ruolo del recinto come atto di riconoscimento e delimitazione di una porzione di spazio dal mondo-natura, dall’esterno; lo spazio in seguito alla relazione che stabilisce con l’atto del recintare, con il recinto, assume delle caratteristiche tali da essere reso un “interno”. Inoltre interno e esterno sono considerati in quanto regioni topologiche, immaginarie, geometriche e tecniche, entrambe allo stesso modo in relazione col recinto stesso, che rappresenta il confi ne tra essi. Questa relazione che l’elemento stabilisce con lo spazio recintato è legata alle caratteristiche del luogo specifi co in cui è inserito, determinando la forma dell’elemento stesso che in questo modo si rivela al mondo esterno39.

In relazione alla defi nizione di Gregotti è opportuno sottolineare un carattere singola- re del confi ne-limite-recinto delle cittadelle manicomiali: la posizione rispetto all’interno e all’esterno. Agli albori della scienza psichiatrica i criteri progettuali per la scelta di un sito da destinarsi alla realizzazione di un manicomio sono chiari e largamente condivisi: il trattamento morale dell’alienato è tanto più effi cace quanto più il luogo è isolato. Perfi - no nei manicomi urbani, la scelta del sito è determinata dalla posizione appartata, rivol- ta verso la campagna, sul margine del centro urbano. Jean Colombier e François Dublet nelle loro Instruction, quanto Jhoseph–Marie de Gérando nel De la bienfaisance publique indicano, più o meno esplicitamente, la campagna come luogo ideale per il ricovero de- gli alienati, lontano dalle città per godere di una libera veduta del paesaggio circostante. Ma è nelle indicazioni di Philippe Pinel che possiamo rintracciare un aspetto specifi co del limite del manicomio: l’alienista francese auspica per l’insediamento un’ampia superfi cie disponibile e, per conseguenza, vasti complessi in cui i degenti possano sentirsi liberi di muoversi; ammette però che questa “percezione di libertà” è una pura illusione non certo per l’assenza recinti, di muri e inferriate, ma proprio per la notevole estensione degli spazi aperti in forza dei quali il manicomio fi nisce di fatto per essere un insediamento dai limiti virtualmente invalicabili40.

A questo proposito, il concetto, ripreso da Foucault, di caged freedom, letteralmente “libertà ingabbiata”, nel lavoro di Leslie Topp41 viene esplorato come paradosso nel pro-

getto di alcuni edifi ci manicomiali costruiti durante la monarchia austro-ungarica tra la fi ne dell’Ottocento e la prima guerra mondiale: progetti che promuovono un’illusione di libertà ma che esercitano un attento controllo sociale e spaziale sui pazienti. L’esistenza 38 Si veda il testo Di Domenico G., L’idea di recinto.

Il recinto come essenza e forma primaria dell’architettura, Offi cina edizioni, Roma, 1998, per ritracciare l’idea di recinto come essenza del fare architettonico

39 «Atto di architettura per eccellenza il recinto è ciò che stabilisce un rapporto specifi co con un luogo specifi co […] il recinto è la forma della cosa, il modo con cui essa si presenta al mondo esterno, con cui essa si rivela» Gregotti V., editoriale in Rassegna N.1 (Recinti), 1979

40 Doti G., Il manicomio, la città, il territorio: un campo di relazioni transitorie, in AA.VV., I complessi manicomiali, op.cit.

41 Si vedano Freedom and the Cage: Modern Architecture and Psychiatry in Central Europe, 1890–1914. (Buildings, Landscapes, and Societies.) pp.xxii + 232, University Park, Pennsylvania State University Press; Freedom by Design: The Paradoxes of Psychiatric Architecture in Harvard Design Magazine n.40 «Well, Well, Well» (Spring/ Summer 2015), pp.110-115

dell’asilo come luogo di confi namento involontario rappresenta un dilemma per una so- cietà che attribuisce valore alla libertà individuale, un dilemma aff rontato oltre un secolo prima dagli intellettuali rivoluzionari francesi. Già lì, sotto la pressione di questo dilemma, il manicomio si era convertito, almeno in linea teorica, in un luogo in cui il pazzo avreb- be goduto di una libertà entro un confi ne, e in eff etti di una libertà creata e impossibile senza confi namento. La visione di una gabbia progettata con cura all’interno della quale è possibile una maggiore libertà si ricollega alla “regola di libertà” di Patrick Joyce e al suo paradosso nella crescita delle città: “to think about freedom as a mode of ruling peo- ple is to consider the absence of restraint as a form of constraint”. Joyce, a proposito della metropoli moderna sempre in bilico sul bordo di un disordine pericoloso e insicuro e del- la conseguente necessità di sviluppare burocrazie, piani generali, sistemi di welfare e di controllo sistematico, sostiene, paradossalmente, che l’ordine e il controllo assicurano la libertà e vengono imposti in nome della libertà stessa. Ciò che Joyce ha fornito è un modo per comprendere l’esistenza di impulsi orientati alla libertà all’interno di iniziative urbani- stiche improntate all’ordine da un potere centralizzato. Allo stesso modo – o addirittura specialmente – in un’istituzione come un ospedale psichiatrico, dove è evidente una ma- nipolazione dello spazio semplice e diretta per alimentare potere e controllo, la questione della libertà diventa centrale. Il fatto stesso che l’istituzione privi le persone di libertà è riconosciuto come un problema – specialmente quando dal mondo esterno all’istituzione arrivano attacchi all’imperscrutabilità della vita all’interno e accuse di abusi ai suoi gestori. Un grado di libertà, una libertà relativa, è impiegata come strumento per la gestione del paziente, mentre il progetto degli spazi dell’istituzione è orientato, da un lato a consen- tire la libera circolazione all’interno dei confi ni del manicomio stesso e, dall’altro a creare un’impressione, un’apparenza di libertà sia a pazienti e che al mondo esterno.

Tornando alla “percezione di libertà” di Pinel, la “dimensione invalicabile” rende il li- mite del manicomio un recinto che sottrae spazio al libero movimento, «lo organizza in maniera rigida, lo incanala lungo direzioni determinate a priori e di cui molte volte non si percepisce né si conosce la fi ne»42. Privare gli uomini di libertà, segregarli in uno spa-

zio chiuso, imprigionarli è un potere che il recinto possiede, indipendentemente da chi vi esercita la sorveglianza, come accade nel Panopticon di Bentham43. «Questo spazio chiu-

so, tagliato con esattezza, sorvegliato in ogni suo punto, in cui gli individui sono inseriti in un posto fi sso, in cui i minimi movimenti sono controllati e tutti gli avvenimenti registrati […] costituisce un modello compatto di dispositivo disciplinare»44.

ADAM SIMPSON, THE PANOPTICON

COVER FOR THE NEW YORK TIMES BOOK REVIEW 42 Zanini P., op.cit., p. 77

43 Foucault M., Sorvegliare e punire, Einaudi, Torino, 1976; vedi anche Bentham J., Panopticon ovvero la casa d’ispezione, Marsilio, Venezia, 2002 (ed. orig.: Panopticon or the inspection-house, London, T. Payne, 1791); Deleuze G., Foucault, Cronopio, Napoli, 2009 (ed. orig. Foucault, Editions de Minuit, Parigi, 1986) ; Deleuze G., Postscript on the Societies of Control, MIT Press, october, Vol. 59, 1992,

pp. 3-7. Panopticon è il progetto di un carcere razionale fondato sulla perfetta e continua visibilità dei detenuti da parte di un unico sorvegliante situato in posizione centrale in una struttura architettonica circolare. Una costruzione ad anello con al centro una torre tagliata da larghe fi nestre che si aprono verso la faccia interna dell’anello; l’anello è diviso in celle e ciascuna occupa lo spessore della costruzione; esse hanno due fi nestre, una verso l’interno corrispondente alla fi nestra della torre, l’altra verso l’esterno per far entrare la luce. L’occhio del sorvegliante, che tutti può vedere in qualsiasi momento, diventa quasi la presenza tangibile dell’imperativo morale al quale nessuno deve mai sottrarsi: poiché i soggetti non possono sapere se e quando vengono osservati, interiorizzano la sorveglianza e la disciplina. Bentham elaborò questo progetto negli anni della rivoluzione francese, dei cui principi egli era un fervido ammiratore; il suo Panopticon è ormai assurto a emblema di potere, di controllo e di disciplina.

44 Foucault M., op.cit., p. 215

... ERAVAMO SALITI AL VECCHIO OSPEDALE PSICHIATRICO, ALLORA GIÀ APERTO ... . FRA LE MIE PASSIONI CIVILI HO UN GRANDE RISPETTO E POTREI DIRE COMPARTECIPAZIONE PER QUEST’OPERA DI AUTENTICA LIBERAZIONE DI QUESTI ANTICHI LUOGHI DI SOPRUSO: IL SOPRUSO DELLA MENTE MI È SEMPRE PARSO PEGGIORE DI QUELLO FISICO ANCHE SE I DUE ASPETTI, SAPPIAMO, SPESSO SI UNIVANO.

Ancora Gregotti scrive «Recinto è tutto ciò che costituisce il territorio attraverso la pura funzione di impedire l’attraversamento. Non necessariamente l’attraversamento di un corpo fi sico, eventualmente quello dello sguardo, o di una legislazione». Dunque il re- cinto è un elemento di defi nizione di uno spazio chiuso, trasforma uno spazio aperto in un luogo introverso, evitando il dialogo con l’esterno: è confi ne, barriera, indica una estensio- ne assegnata e non valicabile, che riduce e ferma la nostra libertà.

Tra gli elementi architettonici degli ex complessi manicomiali si riconosce dunque al li- mite un valore semantico capace di “sintetizzare” l’identità degli spazi della follia. Il recinto del manicomio può essere considerato l’elemento in cui si materializza il pregiudizio che la società ha nutrito – e nutre ancora – nei confronti della follia; il recinto defi nisce lo spazio della segregazione e diventa metafora della separazione e dell’esclusione.

Alla questione recinto il Donghi dedica un paragrafo a parte:

RECINTI – venendo infi ne a trattare della delimitazione degli appezzamenti, tutta la par- te dello stabilimento che comprende gli edifi ci, i cortili ed i giardini per passeggio, dovrebbero secondo il Römer, essere cintate da un muro, che per non togliere la vista agli infermi, dai cor- tili e dai giardini, della circostante campagna, dovrebbe essere collocato in un avvallamento, come risulta dalla fi g. 613, il quale determinerebbe il così detto salto di lupo. Ma non pochi autori sono contrari a tale sistema, ed infatti l’alienato può scendere e nascondersi nel fossato e tentare l’evasione, senza tener conto degli altri pericoli e delle diffi coltà di mantenere pulito il fossato, specialmente dopo le piogge e le nevicate.

Il Tamburini vorrebbe soppressa la cinta muraria, ed in proposito dice: «a che vale avere sale e camere ad arredamento famigliare, quando il muro opprimente ricorda solennemente al malato che non è più libero?»; e conclude che quando non si voglia parlare di open–door, due sono i sistemi con cui si possono relativamente impedire le fughe:

- Una cinta murata, o un suo succedaneo, che delimiti gran parte della tenuta, distan- ziata dai padiglioni delle sezioni di cura e vigilanza di un centinaio di metri, lasciando libera la parte coloniale; limitando l’area di giardino–cortile aggiudicata ai singoli pa- diglioni con semplice siepe o rete metallica di pochissima altezza;

- Oppure, ciò che è molto meglio, limitare la chiusura effi cace al padiglione degli agitati pericolosi e criminali, e tutt’al più a quello di vigilanza, e recingere gli altri con rete metallica, sostenuta o meno da muricciolo di poco più di un metro45.

Al recinto, inteso come limite, elemento di separazione tra l’interno del manicomio e l’esterno, la ricerca ha dedicato due momenti “investigativi”: il primo relativo alla posizione del limite tra la “città dei sani” e la “città dei folli”, il secondo relativo alla sua natura fi sica.

Rintracciare il limite tra gli ex manicomi e le città risulta un’operazione per nulla imme- diata: una campagna di rilievo “a tappetto” su tutto il territorio nazionale avrebbe potuto fugare ogni dubbio, ma avrebbe comportato un impiego di risorse non sostenibile, in ter- mini di tempo, lavoro e fi nanze, per la ricerca dottorale46.

45 Donghi D., op.cit,.pag.687

46 Probabilmente, se la domanda di ricerca fosse stata, fi n dall’inizio orientata in tal senso, si sarebbe di certo riuscito a restituire un livello di accuratezza maggiore.

EX MANICOMIO PROVINCIALE “LEONARDO BIANCHI” DI NAPOLI: INDIVIDUAZIONE DEL LIMITE Il primo tentativo è stato dunque quello di ricostruire, grazie anche alle diverse carto-

grafi e reperite, su un’immagine satellitare il perimetro riportato dal Dossier della Fonda- zione Benetton, che restituisce, per i 71 casi schedati +1 (si aggiunge in trattazione il mani- comio San Francesco di Sales a Napoli del 1874), una localizzazione a scala territoriale – su carte dell’Istituto Geografi co Militare di anni diff erenti (dal 1932 al 1990) e anche a scale diverse – e una localizzazione “ravvicinata” alla scala urbana – su carte e ortofotocarte di anni e scale diff erenti. A titolo esemplifi cativo si riporta il caso del Leonardo Bianchi di Na- poli con gli inquadramenti riportati dal Dossier Benetton e per tutti gli altri casi una tavola sinottica della ricostruzione sull’immagine satellitare.

in ordine (Benetton) sulle due pagine: Manicomio di Torino - Istituto interprovinciale per infermi di mente a Grugliasco - Spedale de’ pazzarelli di Alessandria San Giacomo - Ospedale psichiatrico per la provincia di Cuneo - Manicomio pro- vinciale di Novara - Manicomio provinciale di Vercelli - Manicomio provinciale di Genova a Quarto a Mare - Manicomio provinciale di Cogoleto - Grande Astanteria Manicomiale di Aff ori Paolo Pini - Manicomio provinciale di Milano Mombello - Ospedale psichiatrico Ugo Cerletti Milano - Ospedale neuropsichiatrico di Bergamo - Manicomio provinciale di Brescia - Ospedale psichiatrico San Martino di Como - Manicomio provinciale di Cremona - Ospedale Psichiatrico ECA Lodi - Manicomio provinciale di Mantova - Ospedale Psichiatrico giudiziario di Castiglione delle Stiviere - Manicomio San Luigi di Castiglione delle Stiviere - Manicomio provinciale di Pavia in Voghera -Manicomio provinciale di Sondrio - Manicomio provinciale di Varese - Manicomio femminile di San Clemente a Venezia - Manicomio Centrale di San Servolo - Ospedale di Santa Maria del Prato Feltre - Manicomio provinciale di Padova - Manicomio di Granzette - Manicomio provinciale di

Treviso - Ospedale psichiatrico di Verona a Marzana - Manicomio provinciale di Vicenza - Manicomio provinciale Tiroleseca Pergine Valsugana - Manicomio provinciale di Trieste - San Giovanni - Manicomio della Provincia di Gorizia - Manicomio provinciale di Udine - Manicomio provinciale di Bologna - Manicomio centrale di Imola - Manicomio dell’Osservanza di Imola - Manicomio provinciale di Ferrara - Ma- nicomio provinciale di Parma in Colorno - Manicomio Provinciale di Piacenza - Frenocomio di San Lazzaro a Reggio Emilia - Manicomio San Salvi a Firenze - Manicomio provinciale di Arezzo - Spedale de’ pazzi di Fregionaia a Lucca - Frenocomio di San Girolamo a Volterra - Casa di salute “Ville Sbertoli” a Pistoia - Manicomio San Niccolò di Siena - Stabilimento di Santa Margherita a Perugia - Manicomio pro- vinciale di Ancona - Manicomio di Ascoli Piceno in Fermo - Manicomio provinciale di Santa Croce a Macerata - Ospizio di San Benedetto in Pesaro - Manicomio provinciale di Santa Maria della Pietà a Roma Sant’Onofrio - Collegio Berardi Federici - Ospedale provinciale di malattie nervose e mentali San Francesco di Rieti - Manicomio di Santa Maria di Collemaggio a L’Aquila - Manicomio Sant’Antonio Abate a Teramo - Ospedale Psichiatrico Napoli Frullone - Manicomio Provinciale di Napoli, Leonardo Bianchi - Ospedale Psichiatrico San Francesco di Sales Napoli - Real Casa dei Matti in Aversa, poi Santa Maria Maddalena -Manicomio Vittorio Emanuele II Nocera Inferiore - Presidio Psichiatrico Materdomini - Manicomio Provinciale di Terra D’Otranto a Lecce - Manicomio provinciale di Catanzaro in Girifalco - Nuo- vo Manicomio Pietro Pisani di Palermo - Manicomio di Agrigento - Manicomio Lorenzo Mandalari a Messina - Manicomio provinciale di Siracusa - Manicomio di Trapani - Ospedale psichiatrico provinciale Villa Clara di Cagliari - Manicomio Rizzeddu di Sassari

teri edifi ci; nel secondo, invece, si considerano le barriere poste dalla natura prima dell’insediamento dei manicomi e che le nuove cittadelle hanno sfruttato come li- miti. In particolare ricorrono come limiti naturali particolari condizioni orografi che con notevoli salti di quota e corsi d’acqua47 di diverse portate.

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- Elementi discreti (“frammentati”) o elementi continui: nel primo caso il recinto, sia esso muro basso, rete metallica o inferriata, si pone come limite e ostacolo al solo attraversamento fi sico; nel secondo il limite è anche visuale.

47 La presenza dell’acqua, luogo tra due sponde, più o meno lontane tra di loro, in continuo movimento rimanda alla già citata Nave dei folli.

NAPOLI, LEONARDO BIANCHI,

MURO DI CONTENIMENTO+SALTO DI QUOTA

GIRIFALCO, MURI+SALTI DI QUOTA

AGRIGENTO MURI+SALTI DI QUOTA COLLAGE, I LIMITI DEL MANICOMIO

VOLTERRA, MURI+SALTI DI QUOTA

PERUGIA, MURI+SALTI DI VENEZIA, SAN CLEMENTE, MURO+ACUQA

ROVIGO, ACQUA+RECINZIONE METALLICA

NAPOLI, LEONARDO BIANCHI,

MURO DI CONTENIMENTO+SALTO DI QUOTA

GIRIFALCO, MURI+SALTI DI QUOTA

AGRIGENTO MURI+SALTI DI QUOTA

VOLTERRA, MURI+SALTI DI QUOTA

PERUGIA, MURI+SALTI DI VENEZIA, SAN CLEMENTE, MURO+ACUQA

BERGAMO, MURO

IMOLA, L. LOLLI, MURO ALTO POI BASSO