La maggior parte degli Stati membri dispongono di quattro livelli di norme che regolano la disciplina dello scambio di informazioni: la normativa domestica, la disposizione introdotta sul modello dell’art. 26 del Modello Ocse, le convenzioni bilaterali Ocse/Consiglio d’Europa, e la Direttiva dell’Unione Europea sulla mutua assistenza.
Vi sono con tutta evidenza delle questioni che sorgono con riferimento alla corretta applicazione delle fonti predette.
L’art. 27 della convenzione Ocse/Consiglio Europeo prevede che gli stati contraenti che sono membri dell’Unione Europea, nelle loro relazioni reciproche, devono applicare la disciplina comune vigente nell’Unione Europea quale quella contenuta nella Direttiva sull’accertamento e la Direttiva relativa alla riscossione delle imposte.
Di conseguenza, per quanto attiene il profilo di concorrenza tra le direttive comunitarie e la convenzione bilaterale tra Consiglio d’Europa e Ocse, quest’ultima si applica solo laddove la disciplina dell’Unione non soccorre. Ciò accade in particolare per i profili di perseguibilità e sanzionatorie delle violazioni fiscali.
E’ inoltre chiaro che tra gli Stati membri la Direttiva sull’accertamento e sulla riscossione è prevalente sulle norme interne e sui trattati bilaterali stipulati dai medesimi sia anteriori che posteriori alla Direttiva stessa. Di conseguenza, a livello di gerarchia delle fonti di legge, e di obbligazioni orizzontali all’interno dell’Unione, per gli Stati membri la Direttiva deve essere sempre applicata salvo che i trattati bilaterali o altre previsioni convenzionali non contengano un più vasto spettro di obblighi di scambio di informazioni ovvero per l’assistenza al recupero.
Nel contesto del funzionamento degli ordinamenti dei singoli Stati membri, tuttavia, le cose funzionano diversamente.
Dal momento che una Direttiva crea obblighi solo nei confronti degli Stati membri in relazione alle istituzioni dell’Unione, in ossequio ai principi stabiliti dai Trattati, non può imporre nessun obbligo diretto ad un soggetto persona fisica o impresa.
Laddove uno Stato membro non abbia dunque implementato la Direttiva, e resa esecutiva nell’ordinamento mediante una disposizione di legge domestica, lo stesso non può invocare l’applicazione della Direttiva nei confronti degli operatori economici.
Di conseguenza, la Direttiva sull’accertamento o quella sulla riscossione, non forniscono una base giuridica agli Stati membri che vogliono indurre individui ed imprese a cooperare nel corso delle indagini fiscali, ovvero nel recupero delle imposte accertate da un altro Stato membro.
Occorre per questo, infatti, una disposizione interna di recepimento delle suddette direttive, ovvero un trattato bilaterale, come richiesto in alcuni sistemi costituzionali.
Al contrario, sulla base dell’art. 1 della Direttiva sull’accertamento (c.d. clausola di delimitazione), gli individui e le imprese non possono invocare la Direttiva al fine di limitare lo scopo di ulteriori strumenti normativi che obbligano alla cooperazione con le Amministrazione finanziarie estere. A seconda del sistema costituzionale dello Stato interessato, in ogni caso, un individuo o una impresa può in alcuni Stati invocare una previsione di un trattato bilaterale o multilaterale che proibisce in alcuni casi lo scambio di informazioni, al fine di limitare la cogenza di una norma interna, posto che la norma internazionale invocata sia self executing.
In ogni caso, è raro che una disposizione di legge internazionale contenga una tale limitazione in relazione allo scambio di informazioni.
Alcune convenzioni bilaterali di matrice più datata, contengono delle limitazioni allo scambio di informazioni se la medesima è già disponibile ovvero se è stata ottenuta mediante accertamenti bancari108.
Tuttavia, anche alla luce di tali convenzioni più arcaiche, ai singoli soggetti non è attribuito alcun diritto, mentre allo stato in determinate circostanze è concessa la discrezionalità di adeguarsi o meno alla richiesta di informazioni.
In conclusione, tra gli Stati membri, orizzontalmente, la Direttiva prevale, salvo che vi sia tra i due stati una norma che impone obblighi più stringenti e più ampi. In tale caso, tale norma prevale.
Gli altri casi in cui la Direttiva non viene applicata, sono i casi in cui la medesima non prevede una disciplina specifica, come per la perseguibilità delle violazioni fiscali.
Tra gli Stati membri ed i suoi cittadini, d’altra parte, si applicano esclusivamente le norme interne che implementano la Direttiva.
108 Una particolare questione si pone con lo scambio di informazioni di carattere
bancario, quando tali elementi non siano normalmente a disposizione dell’autorità fiscale dello Stato in cui vengano inoltrate le richieste. In tale ipotesi l’autorità fiscale deve ricorrere, per la loro acquisizione, a metodi di ricerca speciali e, ottenute le informazioni, lo scambio di carattere bancario non subisce limiti se tra i due Stati, richiedente e richiesto, opera il principio di reciprocità (circolare dell’Agenzia delle Entrate, Direzione centrale normativa e contenzioso del 18 aprile 2002, n. 33/E, in Il Fisco, 17/2002, fascicolo n. 2, 2486). In condizioni di reciprocità, lo Stato richiesto deve fornire i dati informativi di carattere bancario, non potendo opporre ostacoli quale l’interesse nazionale ovvero la mancanza di qualifica di contribuente in capo al soggetto passivo dell’informazione, dovendo lo Stato richiesto raccogliere le informazioni necessarie all’altro Stato come se fosse coinvolto il proprio sistema impositivo.
Tuttavia, laddove una norma della Direttiva introduca una tutela maggiore nei confronti dell’individuo in relazione allo scambio di informazioni, questo può invocare la stessa norma, anche laddove non attuata, nei confronti dello stato membro che scambia informazioni.
Ad esempio, l’art. 17 della Direttiva del 2011 sull’accertamento109, che
prevede l’obbligo di segretezza nei confronti degli Stati membri, ha tale intento di protezione del contribuente.
6. Le modalità di scambio di informazioni nella nuova Direttiva del