ETA’ N PAZIENTI MASCHI FEMMINE
6.7 Confronto tra gruppo A e gruppo B
Per quanto riguarda i gruppo A e B, diagnosticati rispettivamente prima e
dopo il 1990, non osserviamo differenze significative circa la prevalenza
del sesso.
L'istotipo è un dato risultato statisticamente significativo, con una
percentuale dell’istotipo follicolare maggiore nel gruppo A (14% rispetto al 7% del gruppo B), rispetto all’istotipo papillare, che rappresenta l’83% nel gruppo A e il 93% nel gruppo B.
Per quanto riguarda il tipo di intervento chirurgico, nel gruppo A gli
interventi di tiroidectomia totale senza linfoadenectomia sono del 33%,
nelgruppo B questo tipo di intervento è stato realizzato nel 56% dei
pazienti (p<0.0001, statisticamente significativo), mentre la
linfoadenectomia è stata eseguita nel 67% dei pazienti del gruppo A e nel
44% dei pazienti del gruppo B [Figura 15]. Dopo il 1990, infatti, sono
aumentate le diagnosi precoci del CTD e questo ha determinato una
riduzione degli interventi che prevedevano una asportazione linfonodale.
Nel confronto tra gruppo A e gruppo B abbiamo una significatività
ancora maggiore per quanto riguarda le complicanze chirurgiche, con la
complicanza dell’ipoparatiroidismo presente nel 53.8% dei pazienti del gruppo A, e solo nel 13% dei pazienti del gruppo B (p<0.0001). La
89
nel confronto tra gruppo A e B: nel gruppo A il 19% dei pazienti alla
diagnosi aveva un tumore T1-T2 e il 36% un tumore T3-T4; nel gruppo
B il 48% dei pazienti alla diagnosi aveva un tumore T1-T2 e il 45% un
tumore T3-T4. Inoltre, nel gruppo A erano presenti metastasi alla
diagnosi nel 10% dei pazienti, mentre nel gruppo B erano presenti nel
7% (p<0.0001).
Sii mantiene importante anche la significatività nel confronto tra gruppo
A e B, riguardo le metastasi all'ablazione: nel gruppo A sono presenti
metastasi nel 60% dei pazienti, mentre nel gruppo B sono presenti nel
18% (p<0.0001); inoltre, nel gruppo A il 52% dei pazienti aveva
metastasi linfonodali e il 31% metastasi polmonari, mentre nel gruppo B
il 18% dei pazienti aveva metastasi linfonodali e l’11% metastasi
polmonari.
Per quanto riguarda le complicanze del trattamento con radioiodio, è
stata registrata la stessa significatività (p<0.0001) anche nel confronto tra
questi due gruppi: se nel gruppo A abbiamo evidenziato complicanze
legate al trattamento con radioiodio nell’11% dei pazienti, nel gruppo B nessuno dei 234 pazienti ha sviluppato complicanze.
Lievemente diverse le percentuali dell’outcome per il confronto tra questi due gruppi: nel gruppo A delle diagnosi precedenti al 1990,
abbiamo il 64% di pazienti guariti, il 28% dei pazienti con persistenza
90
successive al 1990, abbiamo il 79% di pazienti guariti, l’11% di pazienti con persistenza biochimica, e il 10% di pazienti metastatici. Tuttavia,
neanche in questo confronto le differenze sono risultate statisticamente
significative.
7. Discussione
E’ noto che l’età alla diagnosi è un fattore prognostico molto importante nei pazienti affetti da CDT (25, 26); infatti, la prognosi a lungo termine è
più favorevole nei pazienti giovani, in particolare con età <45 anni, ed in
particolare nei bambini (71, 72). In letteratura sono presenti numerosi
lavori riguardo al CDT nei giovani pazienti ma la maggior parte di essi
esamina un gruppo di pazienti con ampio range di età e la correlazione
viene eseguita con il CDT degli adulti (73, 74). Lo scopo di questo
lavoro è stato di valutare le caratteristiche istologiche, di stadiazione e
TNM alla diagnosi e di evoluzione clinica del CDT nei soggetti di
giovane età diagnosticati al Dipartimento di Endocrinologia di Pisa negli
anni 1963-2016.
Un primo dato che abbiamo confermato e dimostrato è come il
91
(Gruppo II, >10 aa) rispetto ai pazienti più piccoli (Gruppo I, <10 aa) e
come abbia un atteggiamento più aggressivo nei pazienti più piccoli.
La distribuzione del sesso in base all’età ci dimostra come abbia
probabilmente un’importanza fondamentale l’assetto
ormonale/estrogenico dei pazienti: infatti in età pre-pubere (<10 anni)
l’incidenza tra maschi e femmine è pressoché la stessa, mentre si modifica a favore del sesso femminile andando avanti con l’età, risultando a 18 anni del tutto simile a quella degli adulti; come già
osservato da altri autori la frequenza del CDT è maggiore nelle donne
proprio durante il periodo di vita fertile, essendo il rapporto F:M pari a 1
prima della pubertà e dopo la menopausa (75, 76).
I dati riguardanti il TNM e la presenza di metastasi all’ablazione
dimostrano come la malattia sia più aggressiva nei pazienti al di sotto dei
10 anni. Questi pazienti hanno infatti alla diagnosi una malattia più
localmente estesa e più frequentemente presentano metastasi, sia
linfonodali che a distanza.
Nel nostro studio abbiamo evidenziato differenze importanti che
riguardano sia l’istotipo che la variante del carcinoma papillare. Abbiamo osservato infatti come il carcinoma follicolare è presente in
percentuali inferiori rispetto al papillare, ma come comunque sia
rappresentato maggiormente nei bambini più piccoli, sotto i 10 anni,
92
follicolare è più rappresentato in età maggiore (76, 77). Inoltre, abbiamo
evidenziato come il carcinoma follicolare è molto più frequente nelle
diagnosi effettuate prima del 1990, mentre negli anni successivi è meno
frequente. Un altro dato che conferma la maggiore aggressività di
malattia nei più piccoli riguarda la variante del carcinoma papillare:
abbiamo osservato, infatti, come nei bambini al di sotto dei 10 anni sia
maggiormente rappresentata la variante solida, rispetto agli adolescenti.
I dati relativi al tipo di intervento chirurgico ed alle sue complicanze
indicano come nei bambini più piccoli più frequentemente si rende
necessario un intervento chirurgico più esteso ed invasivo, a causa della
maggior frequenza di interessamento linfonodale già alla diagnosi.
Anche nel gruppo di pazienti diagnosticati prima del 1990 si riscontra
una maggior frequenza di interventi con linfoadenectomia. Da qui la
conseguenza di una maggiore percentuale di complicanze chirurgiche,
essenzialmente riguardanti l’ipoparatiroidismo permanente, presente molto più frequentemente nei pazienti sotto i 10 anni e in quelli operati
prima del 1990. Non sono stati ritrovate correlazioni significative, invece
per quanto riguarda la frequenze della paralisi delle corde vocali.
I pazienti di età inferiore ai 10 anni e quelli diagnosticati prima del 1990
presentano più frequentemente metastasi al momento dell’ablazione; questo dato è in accordo con quanto riportato in letteratura (71, 72, 73,
93
una malattia significativamente più estesa e aggressiva rispetto agli
adolescenti (>10aa) e che la maggior aggressività della malattia appare
quindi inversamente correlata all’età alla diagnosi.
Per quanto concerne il trattamento con lo 131I, emerge come i pazienti più
grandi, gli adolescenti fino a 18 anni, sono stati sottoposti ad un numero
minore di trattamenti con 131I e di una dose complessiva molto minore. I
pazienti più piccoli, fino ai 10 anni, per contro, sono stati sottoposti ad
un numero maggiore di trattamenti con 131I e ad una dose complessiva
molto maggiore. Analogamente, i pazienti con diagnosi precedente al
1990 hanno effettuato mediamente più cicli di terapia con 131I e una dose
complessiva di radioiodio molto maggiore, rispetto ai pazienti con
diagnosi successiva al 1990.
Nonostante la necessità di sottoporre i pazienti ad un trattamento radio
metabolico particolarmente aggressivo, i casi in cui si sono verificate
complicanze di tale terapia sono stati pochi. Tra le complicanze minori
descritte in letteratura vengono particolarmente segnalate la tumefazione
dolorosa dei residui tiroidei o delle metastasi, la scialo adenite e la
transitoria perdita del gusto e dell’olfatto (79), l’a- o ipo-geusia (80), la scialo adenite permanente che può favorire l’insorgenza di carie e malattie periodontali (81), la transitoria trombocitopenia e/o leucopenia,
94
Nella nostra serie tuttavia non è stato segnalato alcun effetto collaterale
“minore” o “precoce”.
Gli effetti collaterali “maggiori”, o meglio, le complicanze vere e proprie
del trattamento radiometabolico sono correlate alla dose cumulativa; in
genere compaiono per dosi superiori ai 500 mCi nei bambini e maggiori
di 800 mCi negli adolescenti (82, 83). Per tali dosi è stato documentato
un rischio più elevato di sviluppare una leucemia acuta (80, 84). In due
dei nostri pazienti si è verificata l’insorgenza di patologia neoplastica del
sistema emopoietico: una paziente ha sviluppato una leucemia mieloide
cronica a 36 anni, 18 anni dopo la diagnosi di CDT, ed un’altra ha
sviluppato un linfoma di Hodgkin classico 11 anni dopo la diagnosi di
CTD. Il rischio di sviluppo di tumori solidi (di mammella, stomaco,
ghiandole salivari) in età adulta è relativamente modesto (80). Tra i
nostri pazienti uno ha sviluppato un carcinoma della vescica circa 23
anni dopo la diagnosi del carcinoma tiroideo; una paziente ha sviluppato
in età più avanzata degli angiomi epatici, un angiomiolipoma renale e un
incidentaloma surrenalico in periodi successivi alla diagnosi di CDT; un
paziente ha sviluppato un cistoadenoma paratiroideo; tre pazienti hanno
sviluppato anni dopo il tumore tiroideo un carcinoma mammario;
un’altra paziente ha sviluppato successivamente dei miomi uterini; infine uno dei pazienti deceduti ha sviluppato un carcinoma del colon, causa
95
di una seconda neoplasia come complicanza del trattamento con
radioiodio è stata riportata come eccezionale. Wiersinga (2001) ricorda
come il basso rischio di cancro indotto dalla terapia con radioiodio non
debba essere considerato nella decisione di sottoporre o meno i giovani
pazienti a tale trattamento, che spesso è il più valido per ottenere la
guarigione (85).
Per quanto riguarda la fertilità, la maggior parte dei lavori in letteratura
riportano come il trattamento con 131I non influisca sulla normale
conduzione a termine delle gravidanze né sull’insorgenza di anomalie nel prodotto del concepimento, con l’eccezione di un modesto incremento della possibilità di aborto spontaneo dopo il primo anno di
trattamento (86). Un danno testicolare (rilevato dal conteggio allo
spermiogramma e dall’incremento del FSH) è stato dimostrato in uomini che avevano ricevuto una dose cumulativa di almeno 300 mCi di 131I
(87). Nelle nostre pazienti gli aborti spontanei (II-III mese di gestazione)
sono stati in totale 3 su 24 (12.5%) delle femmine che hanno cercato di
avere figli. La percentuale di aborto spontaneo in questo gruppo di
femmine non è superiore a quella rilevata nella popolazione generale alla
prima gravidanza (circa il 30%), in accordo con quanto già riportato
anche da altri autori (86). Un solo paziente è risultato affetto da
96
(dose totale 658 mCi), ma non sono disponibili spermiogrammi
precedenti al trattamento con 131I.
La fibrosi polmonare può insorgere dopo la terapia per metastasi
polmonari, specialmente se non siano state eseguite misurazioni
dosimetriche, alla 24° e alla 48° ora dopo la somministrazione del 131I,
per la determinazione della percentuale di attività somministrata che
viene ritenuta a livello polmonare. Infatti, il rischio di fibrosi è
significativamente aumentato nei pazienti con malattia metastatica
polmonare di tipo miliare o a tipo linfangite, quando l’attività ritenuta a
livello polmonare eccede gli 80 mCi (88, 89). Dei nostri pazienti, 8
hanno sviluppato insufficienza respiratoria di tipo restrittivo di grado
variabile; tutti avevano metastasi polmonari di tipo diffuso, rilevabili
solo alla scintigrafia con radioiodio e non con la radiografia standard del
torace. Questa situazione tuttavia era presente anche in molti dei soggetti
che non hanno sviluppato insufficienza respiratoria. Solo una paziente ha
avuto una insufficienza respiratoria sintomatica, deceduta proprio a
causa della grave compromissione polmonare. Negli altri 7 pazienti, la
patologia polmonare è stata svelata solo da esami strumentali, non
essendosi mai verificato alcun caso di polmonite attinica. Sebbene i sette
pazienti attualmente non presentino sintomi o segni di insufficienza
97
comparsa di ipertensione polmonare e, conseguentemente, insufficienza
cardiaca (90).
Nei bambini più piccoli abbiamo evidenziato più complicanze dopo il
trattamento con radioiodio rispetto agli adolescenti. Nei pazienti
diagnosticati dopo il 1990 non abbiamo rilevato neanche una
complicanza legata a questo trattamento, a dimostrare come nel tempo
siano state perfezionate le tecniche di somministrazione, selezionando
accuratamente i dosaggi e le sedute migliori per ciascun paziente.
La prognosi del carcinoma tiroideo differenziato nei giovani pazienti
rimane comunque ottima; il CDT nei bambini e negli adolescenti è
guaribile se adeguatamente trattato nonostante la maggior aggressività:
infatti il 77% dei pazienti da noi studiati al momento del termine del
follow up è in remissione clinica e nessuno dei 297 pazienti è deceduto a
causa del CDT (tre pazienti sono deceduti per altri motivi). Una corretta
procedura diagnostico-terapeutica può quindi garantire la sopravvivenza
e la guarigione di questi piccoli pazienti, anche in caso di malattia
98
8. Conclusioni
Dall’analisi dei dati raccolti nel presente studio si rileva che il CDT nei giovani pazienti è più frequente dopo i 10 anni; tale frequenza aumenta
parallelamente all’aumentare dell’età. Al progressivo aumento dell’età corrisponde anche l’aumento dei casi di CDT nelle femmine: infatti, se fino ai 10 anni il rapporto M:F è di 1:1, all’età di 18 anni è di 1:3, sovrapponibile al rapporto M:F nell’adulto, che risulta da varie casistiche tra 1:2 e 1:4.
L’istotipo papillare è la forma di CDT più frequente nei giovani pazienti, rappresentando il 90% di tutti i casi di carcinoma nei nostri pazienti.
Tuttavia, l’istotipo follicolare è significativamente più frequente nei pazienti ≤ 10 anni e in quelli diagnosticati prima del 1990: infatti,
rappresenta il 18% e il 14% dei CDT dei pazienti del gruppo I e del
gruppo A, rispettivamente, e solo il 7% sia del gruppo II che del gruppo
B (p=0.003).
Nei pazienti del gruppo I e del gruppo A la malattia al momento della
diagnosi è significativamente più estesa: i pazienti più giovani e quelli
diagnosticati prima del 1990 hanno una frequenza statisticamente
significativa di maggior coinvolgimento linfonodale e di metastasi a
99
La guarigione è stata ottenuta nel 77% dei casi, il 14% dei pazienti ha
una persistenza biochimica di malattia e il 9% ha una persistenza di
metastasi clinicamente accertate. Analizzando il follow-up separatamente
nei gruppi di pazienti, non vengono evidenziate differenze
statisticamente significative riguardo l'outcome, tuttavia i pazienti più
grandi e quelli diagnosticati dopo il 1990 sono guariti dopo trattamenti
che hanno previsto l’impiego di minor quantità di radioiodio, espressa sia come dose totale che come numero totale di ripetizioni del
100
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