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SOMMARIO
1. Riassunto
2. Il carcinoma differenziato della tiroide
2.1 Epidemiologia, fattori di rischio, istologia 2.2 Patogenesi
2.3 Prognosi 2.4 Terapia iniziale
2.5 Follow-up post-chirurgico
3. Il carcinoma tiroideo differenziato nei giovani pazienti
3.1 Epidemiologia e fattori di rischio 3.2 Genetica e patogenesi
3.3 Presentazione clinica 3.4 Diagnosi e stadiazione 3.5 Trattamento iniziale 3.6 Sorveglianza e follow-up
4. Scopo dello studio
5. Pazienti e metodi
5.1 Pazienti
5.2 Terapia iniziale
5.3 Terapia con ormoni tiroidei 5.4 Follow-up
5.5 Metodi di analisi statistica
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6.1 Descrizione generale dei 297 pazienti studiati 6.1.1 Età e sesso
6.1.2 Istotipo tumorale
6.1.3 Esposizione a radiazione esterna 6.1.4 Familiarità
6.1.5 Tipo di intervento e complicanze chirurgiche 6.1.6 Stadiazione in base al sistema TNM
6.1.7 Trattamento con 131I
6.1.8 Complicanze del trattamento con 131I 6.1.9 Fertilità
6.1.10 Patologie associate/altre neoplasie 6.1.11 Pazienti giunti al termine del follow-up
6.2 Descrizione dei pazienti del gruppo I, di età ≤ 10 anni
6.3 Descrizione dei pazienti del gruppo II, di età > 10 anni e ≤ 18 anni 6.4 Descrizione dei pazienti del gruppo A, diagnosticati prima del 1990 6.5 Descrizione dei pazienti del gruppo B, diagnosticati dopo il 1990 6.6 Confronto tra gruppo I e gruppo II
6.7 Confronto tra gruppo A e gruppo B
7. Discussione
8. Conclusioni
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1. Riassunto
Il carcinoma tiroideo è raro in età pediatrica ed è caratterizzato da una
maggiore aggressività rispetto al tumore degli adulti, sebbene la prognosi
sia eccellente. E’ noto inoltre come nel corso degli anni si è assistito ad
un incremento dell’incidenza del carcinoma tiroideo nella popolazione adulta ed, in particolare, all’incremento dei microcarcinomi, probabilmente correlato con l’introduzione nella pratica clinica dell’uso dell’ecografia tiroidea (all’inizio degli anni ’90), che ha consentito una diagnosi più precoce.
Scopo della presente tesi è stato quello di descrivere le caratteristiche
epidemiologiche, anatomo-patologiche e cliniche di un’ampia casistica
di soggetti affetti da carcinoma differenziato della tiroide (CDT)
diagnosticato in età pediatrica tra il 1963 e il 2016 seguiti nello stesso
centro e di verificare se esistono differenze significative per quanto
riguarda lo stato finale di malattia negli stessi soggetti, confrontando i
bambini con gli adolescenti e i pazienti diagnosticati prima e dopo il
1990.
Il razionale del presente lavoro risiede nella necessità di individuare la
migliore modalità di trattamento e follow-up in questo gruppo di giovani
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Abbiamo studiato retrospettivamente 297 pazienti afferiti presso il
Dipartimento di Endocrinologia di Pisa tra il 1963 e il 2016, 221 (75%)
di sesso femminile e 76 (25%) di sesso maschile, la cui diagnosi di CDT
è stata effettuata prima dei 18 anni. L’età media alla diagnosi è risultata
di 14.3 ± 3 anni, con un range di 5-18 anni, mentre la durata media del
follow-up, fino al dicembre 2016, è stata di 146.4 ± 134.3 mesi.
I pazienti sono stati suddivisi in due gruppi in base all’età alla diagnosi: il gruppo I, costituito da pazienti con età alla diagnosi ≤ 10 anni, e il
gruppo II, costituito da pazienti con età alla diagnosi > 10 anni e ≤ 18
anni; inoltre il nostro gruppo di studio è stato suddiviso in altri due
gruppi in base all’anno della diagnosi: il gruppo A, costituito dai pazienti con diagnosi di CDT effettuata prima del 1990, e il gruppo B, costituito
dai pazienti con diagnosi di CDT effettuata dopo il 1990.
Dai nostri dati è si conferma che il CDT che insorge in età pediatrica si
presenta con un carattere di maggiore aggressività, soprattutto se
diagnosticato in bambini di età <10 anni. In particolare in questo gruppo
di pazienti è stata registrata una maggiore estensione del tumore alla
diagnosi e una maggiore frequenza di metastasi sia linfonodali che a
distanza al momento dell’ablazione con 131I.
Rispetto all’anno in cui è stata effettuata la diagnosi, nei pazienti con CDT diagnosticato prima del 1990 è stata registrata una maggiore
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metastasi sia linfonodali che a distanza al momento dell’ablazione con
131I.
Tuttavia, in tutti i gruppi esaminati lo stato finale non è diverso,
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2. Il carcinoma differenziato della tiroide
2.1 Epidemiologia, fattori di rischio, istologia
Epidemiologia
Il carcinoma differenziato della tiroide (CDT), papillare e follicolare,
viene considerato una neoplasia rara, rappresentando solo l’1-2% di tutti i tumori nell’adulto. Costituisce invece, la neoplasia endocrina più frequente, essendo il 90-95% di tutti i tumori del sistema endocrino.
L’incidenza annua a livello mondiale è di 1,2-2,6 ogni 100000 abitanti nel maschio e di 2,0-3,8 nella femmina (1). In Italia, tra il 2007 ed il
2010, il carcinoma della tiroide rappresenta la 4° neoplasia più frequente
nel sesso femminile (5% di tutte le neoplasie) ma, nella fascia di età tra 0
e 49 aa, è la 2° neoplasia più frequente nelle donne (14% di tutte le
neoplasie) e la 5° negli uomini (7% di tutte le neoplasie) (2). Nelle
ultime decadi la sua incidenza è progressivamente aumentata in quasi
tutti i paesi, pur se con un’ampia variabilità secondo le diverse regioni geografiche, soprattutto fra quelle con reddito elevato rispetto a quelle
con reddito medio-basso, verosimile espressione di un accesso “più
agevole” ai mezzi diagnostici (3, 4). La mortalità per carcinoma tiroideo invece non ha mostrato un parallelo incremento verosimilmente perché
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carcinomi papillari che hanno una prognosi nettamente più favorevole
degli altri istotipi (3, 4). Nel nostro Paese fra il 1991 ed il 2005
l’incidenza del carcinoma tiroideo è circa raddoppiata (+115% nelle femmine e + 84% nei maschi) ed il carcinoma papillare si è confermato
la forma prevalente rispetto gli altri istotipi.
Sono presenti delle discrete differenze epidemiologiche in base all’etnia: almeno negli Stati Uniti, infatti, la patologia risulta più frequente nei
soggetti di razza caucasica rispetto agli afroamericani e risulta anche
molto più frequente nei soggetti immigrati specie asiatici, a ragione del
fatto che oltre alla suscettibilità genetica sono molto importanti anche i
fattori ambientali (5). Per quanto concerne la situazione europea, non ci
sono grosse differenze epidemiologiche tra i vari stati.
Così come la patologia nodulare tiroidea, anche il CDT è notevolmente
più frequente nel sesso femminile, di circa 4 volte (M:F = 1:4) rispetto al
sesso maschile, sia nell’adulto ché in età pediatrica. L’incidenza inoltre aumenta con l’età (di fatti, è piuttosto raro nei bambini), ma il picco è intorno ai 40 anni, almeno per quanto riguarda l’istotipo papillare (nel follicolare è circa una decade successiva).
8 Fattori di rischio
Il principale fattore di rischio è, ancora oggi, l’esposizione a radiazioni ionizzanti, specialmente per il tipo papillare. Questo è dimostrato dal
fatto che soggetti esposti in età pediatrica a terapia radiante esterna per
patologie benigne del distretto testa-collo, hanno dimostrato
un’incidenza di cancro della tiroide nettamente superiore (fino a 20 volte) rispetto alla popolazione normale, non radioesposta (6), cosi come
appare incrementata l’incidenza di carcinoma tiroideo nei lungo-sopravviventi a precedenti patologie neoplastiche trattate con terapia
radiante esterna (linfoma di Hodgkin, leucemia acuta, tumori cerebrali,
neuroblastoma, …) (7). Oggi, anche a fronte di questo effetto collaterale a lungo termine, la terapia radiante in età pediatrica per patologie come
tinea capitis, acne, tonsillite cronica, angiomi cutanei e iperplasia timica
viene fatta molto più sporadicamente. In ogni caso, come ulteriore prova
dell’effetto carcinogenetico delle radiazioni ionizzanti, basti osservare come l’incidenza del carcinoma tiroideo sia aumentata vertiginosamente nelle popolazioni bielorusse, ucraine e in parte russe a seguito della
contaminazione radioattiva scatenata dall’incidente nucleare di Chernobyl (8, 9).
Altro fattore di rischio è rappresentato dalla carenza alimentare di iodio.
Nelle regioni iodio-carenti, infatti, la prevalenza dei noduli tiroidei è
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termini assoluti. Ma se si corregge per il maggior numero di noduli, la
percentuale di carcinomi nell’ambito dei noduli tiroidei è simile a quella
che si riscontra nelle aree a normale apporto alimentare di iodio. Gli
istotipi sono diversamente rappresentati proprio in base all’apporto di iodio: nelle aree iodio-sufficienti più dell’80% dei tumori sono di tipo
papillare, mentre nelle aree iodio-carenti sono più frequenti gli istotipi
follicolare ed anaplastico (frequenza 2-3 volte superiore) (10).
Altri fattori di rischio importanti sono rappresentati dalla
familiarità, spesso in associazione con le Sindromi di Gardner e di
Cowden; dalla presenza di un’altra concomitante malattia tiroidea (11); da fattori ormonali e gravidanze, giustificando il fatto che mentre prima
della pubertà il rapporto maschi:femmine sia vicino a 1, in età adulta sia
nettamente più sbilanciato a favore del sesso femminile, per gli elevati
livelli di estrogeni (12); dai livelli di TSH, esiste infatti una correlazione
diretta tra l’aumento dei valori sierici del TSH in caso di patologia
nodulare e la probabilità di sviluppare un carcinoma tiroideo (13); e
dall’obesità, numerosi studi confermano infatti un rischio maggiore di sviluppare il carcinoma tiroideo nei soggetti obesi, specie se di sesso
10 Istologia
I tumori maligni della tiroide si classificano essenzialmente dal punto di
vista istologico, in tumori derivanti dagli epiteli tiroidei (follicolare e
parafollicolare/cellule C) e in tumori non epiteliali [Tabella 1].
Le due forme istologiche di carcinoma differenziato della tiroide sono: il
carcinoma papillare e il carcinoma follicolare. Entrambe originano
dall’epitelio follicolare e la diagnosi differenziale a livello istologico si basa sul riconoscimento di strutture papillari, corpi psammomatosi e
nuclei indentati per il carcinoma papillare, sul riconoscimento di una
differenziazione follicolare e senza le particolari atipie nucleari per il
carcinoma follicolare. La distribuzione delle due forme istologiche è
influenzata in buona parte dall’apporto alimentare di iodio: nelle zone
dove questo apporto è normale, prevale generalmente l’istotipo papillare (80% dei casi circa), mentre le zone dove permane una carenza
alimentare di iodio vedono una minore incidenza di carcinoma papillare
ed una maggiore frequenza del carcinoma follicolare (15).
Il carcinoma papillare rappresenta fino all’80-85% dei tumori maligni della tiroide, è più frequente nel sesso femminile e la sua incidenza è
maggiore intorno ai 40 anni. Può presentarsi come lesione singola ma
frequentemente è caratterizzato da multifocalità o multicentricità. La
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La variante “classica” del carcinoma papillare rappresenta, da sola, oltre il 70% dei casi. Questi tumori possono essere capsulati o acapsulati,
quando la capsula presente è parziale e con margini indistinti, presentano
spesso aree di necrosi, calcificazioni e aree cistiche, frequentemente sono
multicentrici e/o multifocali. Caratteristici di questa variante sono i corpi
psammomatosi (risultato della desquamazione di cellule apoptotiche che
calcificano a livello dello stroma tumorale o dell’asse delle papille, presenti anche in altri tumori, ma nella tiroide sono esclusive del
carcinoma papillare), presenti nel 40-50% dei casi, i nuclei, che in
questo istotipo sono voluminosi, pallidi, con aspetto vitreo al centro, a
contorni irregolari e spesso fissurati, con aspetto “a chicco di caffè”: presentano infatti un’incisione che li divide a metà, solchi intranucleari dovuti a invaginazioni del citoplasma.
La variante “follicolare” del carcinoma papillare è formata esclusivamente da follicoli ripieni di colloide, sebbene i nuclei
mantengano l’aspetto caratteristico dei carcinomi papillari; è una variante sempre ben differenziata ed è la seconda variante più frequente
di questo istotipo dopo quella “classica”.
Sono note, inoltre, altre due varianti più scarsamente differenziate
dell’istotipo papillare, ma più rare: la variante “a cellule alte” o colonnari, con potenziale mitogeno più elevato, maggiore tendenza
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“sclerosante diffusa”, più tipica dell’età giovanile, con un’attività desmoplastica molto importante, una tiroide di consistenza elevatissima
per la ricchezza di tessuto fibroso, calcificazioni e corpi psammomatosi.
Il carcinoma follicolare rappresenta circa il 5-10% dei tumori maligni
della tiroide, è più frequente nelle donne e la sua incidenza è maggiore
intorno ai 50 anni. Si tratta sempre di un nodulo singolo, unico, e non
presenta le caratteristiche nucleari del tipo papillare, né i corpi
psammomatosi. Si distingue una forma minimamente invasiva, più del
50% dei casi, e una forma estesamente invasiva, di più facile diagnosi e
più frequentemente associata a metastasi. La via di disseminazione del
carcinoma follicolare, a differenza del papillare, è quella ematica, e
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Tab. 1: Classificazione istologica neoplasie maligne tiroide Tumori tiroidei di
origine epiteliale (99%)
- Carcinoma papillare (80-85%), diviso sulla base delle peculiarità istologiche in: -variante classica;
-variante follicolare;
-variante sclerosante diffusa; -variante a cellule alte,
colonnari;
- Carcinoma follicolare (5-10%), diviso in: -minimamente invasivo
-estesamente invasivo
- Carcinomi scarsamente differenziati (<5%)
- Carcinoma anaplastico (<1%)
- Carcinoma midollare (5-10%), diviso in: -sporadico
-familiare
Tumori tiroidei di origine non epiteliale (1%)
- Linfomi - Sarcomi
- Emangioendoteliomi
2.2 Patogenesi
Gli studi di biologia molecolare hanno, negli anni, ampliato molto le
nostre conoscenze sulla cancerogenesi tiroidea, e sono stati individuati
molti geni coinvolti nella funzionalità tiroidea, i quali, una volta mutati,
vanno ad alterare il normale equilibrio della ghiandola, favorendo
l’iniziazione e la progressione tumorale. Le alterazioni responsabili sono sia l’attivazione di oncogeni, sia l’inibizione di geni oncosoppressori, generalmente su base monogenica. I geni più frequentemente coinvolti
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da mutazioni, in questo caso, sono il gene RET, BRAF, Ras, TRK, MET
(16).
Il proto-oncogene RET è localizzato sul cromosoma 10 e codifica per un
recettore transmembrana con un dominio tirosin-chinasico. La sua
attivazione costitutiva è il risultato di un riarrangiamento genico, ed è
esclusivo del carcinoma papillare, pertanto viene definito RET/PTC. Nei
carcinomi papillari sono state descritte tre forme principali di RET
attivato: RET/PTC1, risultato di un riarrangiamento intracromosomico
tra il dominio tirosin-chinasico di RET e un gene ubiquitario definito H4;
RET/PTC2, risultato di un riarrangiamento intercromosomico del dominio tirosin-chinasico di RET e un gene sul cromosoma 17
codificante per la subunità regolatoria R1α della proteina chinasi A; RET/PTC3, riarrangiamento cromosomico del solito dominio di RET con il gene ELE1, dalla funzione ancora ignota. La frequenza totale del
riarrangiamento RET/PTC varia dal 3 al 35%, ed è maggiore per le forme
1 e 3 (17). La frequenza in ogni caso varia con l’area geografica e anche in base all’esposizione a radiazioni ionizzanti, risultando infatti notevolmente elevata nelle popolazioni colpite dal disastro nucleare di
Chernobyl. Alcuni studi hanno dimostrato inoltre come la forma 3 del
riarrangiamento conferisca una maggiore aggressività della malattia, e
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L’evento genetico prevalente del carcinoma papillare è la mutazione oncogenica di BRAF presente mediamente nel 44% dei casi, con una
variabilità dal 28 all’83% nei diversi studi. E’ rappresentato dalla attivazione oncogenica del gene BRAF, causata da una mutazione
Val600Glu (genotipo T1799A) (19), riscontrata anche in nevi benigni,
melanomi, un sottogruppo di tumori dell’ovaio e del colon. Tale mutazione attiva costitutivamente la via delle chinasi MAP, che giocano
un ruolo importante nella regolazione della crescita, del ciclo cellulare e
della proliferazione. Diversi studi indicano che le mutazioni di BRAF si
associano ad una maggior aggressività del tumore in termini di
invasione, stadio clinico e rischio di ripresa e sono prevalentemente
espresse dal carcinoma papillare che non esprime RET/PTC (19). La
mutazione è associata anche alla perdita della capacità di captare I-131 e
quindi ad una scarsa risposta terapeutica (20).
Alternativamente, in una percentuale limitata dei casi, si riscontrano
carcinomi papillari con geni chimerici a potenziale oncogenico, prodotti
da riarrangiamenti del gene NTRK1, codificante per un altro recettore
trans membrana ad attività tirosin-chinasica il cui ligando è l’NGF.
Normalmente TRK è espresso solo nei gangli nervosi. Sono stati descritti
vari riarrangiamenti del gene (TRK, TRK-T1, TRK-T2 e TRK-T3) che,
come RET, sono limitati al carcinoma papillare con frequenze
16
L’oncogene Ras codifica per proteine G monomeriche che attivano l’attività adenilato-ciclasica e i canali del calcio. L’attivazione
dell’oncogene per mutazioni puntiformi è stata riscontrata nel 40% dei tumori tiroidei benigni e maligni (22). Numerose evidenze hanno
dimostrato l’importanza delle mutazioni di questo oncogene nel passaggio da adenoma a carcinoma follicolare in quanto si assiste ad una
attivazione costitutiva della attività GTPasica con conseguente
de-regolazione della crescita cellulare. Sono stati recentemente individuati
anche riarrangiamenti cromosomici generati dalla fusione fra PAX8,
fattore di crescita tiroideo, e PPARγ, un recettore nucleare coinvolto nel
controllo della proliferazione cellulare con ruolo di oncosoppressore.
Poiché tali riarrangiamenti di PPARγ sono stati prevalentemente
riscontrati nel carcinoma e raramente negli adenomi follicolari, si
suppone un ruolo specifico nella trasformazione da adenoma a
carcinoma.
2.3 Prognosi
Nonostante l’incidenza del carcinoma tiroideo differenziato sia aumentata nelle ultime decadi, come già detto in precedenza, la mortalità
relativa non ha mostrato un parallelo incremento (3, 4). E’ noto che la mortalità per cancro della tiroide si attesta tra le più basse rispetto gli
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in generale in entrambi i sessi (23). I fattori prognostici più importanti
sono l’istotipo, l’età alla diagnosi e la presenza di metastasi a distanza. Riguardo l’istotipo, il carcinoma di tipo papillare è quello con la prognosi di gran lunga migliore, specie nelle varianti “classica” e
“follicolare”, con un tasso di sopravvivenza a 20 anni pari a circa il 98-99%. Le sue varianti scarsamente differenziate, come quella “a cellule alte”, quella “sclerosante diffusa” e quella “solida e trabecolare” sono associate invece ad una prognosi peggiore. La prognosi del carcinoma
follicolare dipende molto dalla sua invasività: chiaramente la variante
scarsamente invasiva avrà una prognosi nettamente migliore della
variante estesamente invasiva, ma nel complesso per questo istotipo il
tasso di sopravvivenza a 20 anni è dell’80-90% (24).
L’età alla diagnosi è di gran lunga il più importante fattore prognostico indipendente per i carcinomi tiroidei ben differenziati. Il rischio di
recidiva e di morte aumenta significativamente con l’età alla diagnosi
(25, 26). Il rischio aumenta in genere in maniera lineare, specie oltre i
40-45 anni. Nei pazienti oltre i 60 anni il tumore tende ad essere
localmente invasivo, è frequentemente associato a metastasi a distanza, è
più spesso di una variante istologica meno differenziata, in accordo con
la dimostrazione che la captazione dello iodio nelle metastasi è in genere
scarsa o assente. Queste caratteristiche non sono tuttavia sufficienti a
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fattore prognostico indipendente, come dimostrato dal fatto che nei
giovani (specialmente bambini) anche tumori localmente avanzati e con
metastasi a distanza hanno una buona prognosi. Una possibile
spiegazione potrebbe consistere nella osservazione che i tumori
dell’anziano sono il risultato di successivi eventi genetici mutageni accumulatisi nel periodo di tempo intercorso tra l’inizio del processo tumorale e la diagnosi. La presenza di metastasi a distanza al momento
della diagnosi è il fattore prognostico più sfavorevole nel carcinoma
tiroideo differenziato, sia papillare che follicolare (27, 28). La mortalità
tumore-specifica varia dal 36 al 47% a 5 anni e sale al 70% a 15 anni
circa. I fattori che aggravano la prognosi legata alle metastasi a distanza
sono rappresentati dalla molteplicità delle metastasi, dalla localizzazione
allo scheletro, dalle dimensioni, dall’età più avanzata e dalla mancata attività iodio-captante (29). La prognosi migliore si osserva nel caso di
micrometastasi polmonari diffuse, non visibili alla radiografia standard
del torace, iodio-captanti, in soggetti giovani (30).
2.4 Terapia e follow-up
a) Chirurgia: Ad oggi, la tiroidectomia rappresenta il trattamento iniziale del CDT, anche se tuttora esistono controversie
sull’estensione del trattamento chirurgico, in particolar modo per quelle neoplasie considerate a “basso rischio” in cui anche una
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lobectomia potrebbe risultare adeguata. Secondo quelle che sono
le recenti linee guida dell’American Thyroid Association (ATA) (31), per i pazienti affetti da un CDT >4 cm o con ampia
estensione extratiroidea o con evidenza di metastasi linfonodali
e/o a distanza al momento della diagnosi, l’intervento indicato è la
tiroidectomia totale o “quasi totale”. In caso di CDT >1 cm e <4 cm senza estensione extratiroidea ed in assenza di metastasi
clinicamente evidenti, il trattamento chirurgico indicato potrebbe
essere la tiroidectomia totale o “quasi totale” così come la
lobectomia. Nei casi in cui il tumore è di dimensioni <1 cm,
unifocale, intratiroideo, senza evidenza clinica di metastasi e senza
storia familiare o di precedente irradiazione sul collo il trattamento
di scelta è la lobectomia. In caso di coinvolgimento linfonodale, la
terapia chirurgica si avvale della anche della linfoadenectomia del
compartimento centrale e/o latero-cervicale uni o bilaterale (32).
b) Ablazione: In accordo con le linee di consenso internazionali, quando opportuno, la tiroidectomia totale è poi seguita
dall’ablazione del tessuto tiroideo residuo post-chirurgico (RRA) con radioiodio (131I). Anche per questo trattamento sono esistite
delle controversie soprattutto nei casi di carcinoma a basso rischio
di recidiva. La possibilità di utilizzare questa procedura di
20
della tiroide, conservata anche in una significativa parte delle
cellule tiroidee neoplastiche, di captare e organificare lo iodio per
la sintesi ormonale. L’utilizzo del radioiodio ha in definitiva tre scopi fondamentali: -uno scopo terapeutico, diminuisce infatti il
rischio di recidive e secondo alcuni studi la mortalità complessiva,
eradicando foci microscopici presenti nel tessuto tiroideo residuo;
-uno scopo diagnostico, permettendo di rilevare la presenza di
metastasi locali o a distanza, garantendo così una stadiazione
completa della malattia; -uno scopo adiuvante nel controllo della
malattia a lungo termine, mediante il dosaggio della tireoglobulina
circolante come marcatore tumorale. Esiste oramai un’unanimità di consenso che i CDT “a basso rischio” non devono essere sottoposti alla RRA dato il rischio molto basso di recidiva e di
mortalità cancro-correlata a cui sono esposti i pazienti (31). Al
contrario la presenza di metastasi a distanza, una resezione
chirurgica incompleta o una resezione chirurgica completa ma con
alto rischio di recidiva e/o mortalità (CDT “ad alto rischio”), invece rappresentano delle chiare indicazioni al trattamento con
RRA. Per i CDT cosiddetti a “rischio intermedio” che rappresentano una “classe grigia” la terapia con RRA è da effettuarsi in casi selezionati (23). La modalità di preparazione alla
21
attività di 131I. Le alte attività di 131I sono invece da utilizzare
nella RRA dei CDT “ad alto rischio” di recidiva (31). L’assenza di contaminazione iodica deve essere sempre accertata prima della
RRA, mediante dosaggio della escrezione urinaria dello iodio.
Prima della terapia è poi necessario eseguire una misurazione
della captazione del 131I sulla regione del collo per avere una
indicazione qualitativa ed indirettamente quantitativa del residuo
tiroideo: si usa una dose tracciante non superiore a 50-100 µCi. La
scintigrafia totale corporea va invece eseguita a distanza di 3-7
giorni dalla dose terapeutica.
c) Terapia con L-Tiroxina: I pazienti affetti da CDT necessitano di un trattamento continuativo a tempo indeterminato con ormoni
tiroidei con due principali scopi: correggere l’ipotiroidismo
secondario all’asportazione della tiroide e limitare la crescita del tessuto tumorale mantenendo soppresso il TSH. Si parla infatti di
terapia “sostitutiva” e terapia “soppressiva”. La terapia soppressiva con L-tiroxina va iniziata 24 ore dopo la
somministrazione della dose di radioiodio e il grado di
soppressione del TSH da ottenere con la terapia varia in base alla
situazione clinica. Inizialmente la terapia viene descritta a dosi
soppressive in tutti i pazienti; in seguito tale regime terapeutico
22
residua o in presenza di fattori prognostici negativi; al contrario,
quando i fattori prognostici sono favorevoli e quando la
remissione clinica è completa (scintigrafia totale corporea con
I-131 non mostra captazione patologica e la Tg è indosabile), la
terapia è ridotta a dosaggi sostitutivi.
2.5 Follow-up post-chirurgico
Scopo del follow-up post-chirurgico è individuare precocemente, e
quindi trattare precocemente, la persistenza o la recidiva del tumore e al
tempo stesso individuare i pazienti liberi da malattia, che necessitano di
indagini meno frequenti e meno aggressive (33). Un altro obiettivo è
garantire una adeguata correzione dell’ipotiroidismo post-chirurgico, mediante la somministrazione di L-tiroxina.
Le metodiche di monitoraggio del paziente trattato per carcinoma
tiroideo differenziato sono:
1. esame clinico
2. esami ecografici e radiografici
3. dosaggio della tireoglobulina (Tg) circolante come marcatore
tumorale accompagnato sempre dal dosaggio degli anticorpi
23
4. scintigrafia corporea totale con I-131 diagnostica o post-dose
terapeutica
-Esame clinico ed ecografico
La palpazione della regione del letto tiroideo e delle catene linfonodali
loco-regionali rappresenta l’approccio iniziale in occasione di ogni
controllo del paziente. L’esame ecografico infatti deve sempre essere abbinato e seguire la visita clinica, di cui rappresenta una “estensione”.
Le informazioni ricavabili dall’esame ecografico sono fondamentali per la scoperta delle recidive loco-regionali anche di piccole dimensioni. Le
caratteristiche ecografiche dei linfonodi del collo sono spesso sufficienti
a distinguere la natura infiammatoria, reattiva di un linfonodo da quella
metastatica; sotto guida ecografica, inoltre, un linfonodo sospetto può
essere sottoposto ad esame citologico mediante agoaspirato, abbinato al
dosaggio della Tg sul liquido di lavaggio (34). L’abbinamento di queste
due metodiche permette di individuare con certezza la quasi totalità delle
metastasi linfonodali del collo.
-Indagini radiologiche
Nei pazienti con Tg dosabile l’esecuzione di una Rx del torace alla ricerca di eventuali metastasi non ci fornisce ulteriori informazioni in
24
quanto le metastasi vengono visualizzate solo se macronodulari. In
questi casi è quindi più opportuno eseguire una TC con mdc.
Anche nel caso delle metastasi ossee l’Rx dello scheletro difficilmente potrà evidenziare lesioni più piccole del centimetro, che sono invece ben
visibili alla scintigrafia corporea con 131I o con 99HDPTC (tecnezio
pertecnetato). L’Rx dello scheletro è pertanto indicata in maniera mirata per la definizione morfologica di lesioni individuate con altre metodiche.
- Dosaggio della Tg circolante
La Tg è prodotta fisiologicamente solo dalla cellule follicolari della
tiroide e svolge un ruolo fondamentale nella sintesi degli ormoni tiroidei.
Sebbene sia contenuta in massima parte all’interno dei follicoli tiroidei, una piccola quantità (ng/ml) viene immessa in circolo dove può essere
misurata mediante metodiche altamente specifiche e sensibili. In
condizioni patologiche le concentrazioni della Tg sono aumentate in tutte
le situazioni associate ad un aumento della stimolazione della ghiandola
(M. di Basedow), o una distruzione delle cellule tiroidee (tiroidite
subacuta), o aumento di volume o compressione del tessuto tiroideo
(gozzo nodulare), e anche nel caso di carcinoma. Dopo intervento di
tiroidectomia e di ablazione del tessuto tiroideo per CDT, la presenza di
livelli dosabili di Tg diventa marcatore specifico e sensibile della
presenza di tessuto tiroideo neoplastico, in quanto anche le cellule
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circolo la Tg. I moderni metodi di dosaggio della Tg rilevano
concentrazioni molto basse, dell’ordine di 0,5-1 ng/ml. In genere nei metodi di dosaggio radioimmunologici (RIA) si possono avere risultati
falsamente positivi o negativi, mentre con i metodi radioimmunometrici
(IRMA) l’interferenza è solo nel senso dei falsi negativi. Il risultato della Tg viene falsato dalla presenza in circolo di autoanticorpi anti-Tg, per
cui, per una corretta valutazione dei risultati, i due parametri vanno
dosati in associazione. Inoltre essendo la produzione di Tg dipendente
dallo stimolo del TSH, la certezza della indosabilità della Tg, necessaria
per definire lo stato di guarigione del paziente, si ottiene solo dopo
stimolazione con TSH. Mentre un tempo tale stimolazione si otteneva
sospendendo la terapia con L-Tiroxina per 40 gg e inducendo quindi una
stato di ipotiroidismo, oggi fortunatamente questa pratica può essere
evitata ricorrendo alla stimolazione con TSH umano ricombinante.
-Scintigrafia totale corporea con I-131
Il razionale per l’uso della scintigrafia totale corporea (SCT) con 131I nel
monitoraggio dei carcinomi differenziati della tiroide si basa
sull’evidenza che le cellule tiroidee neoplastiche mantengono la proprietà di captare attivamente lo iodio, in quanto esprimono il NIS.
Tuttavia, rispetto alla tiroide normale, le metastasi del carcinoma tiroideo
differenziato hanno una ridotta capacità iodio-captante che obbliga ad
26
massimizzare la captazione dello iodio. Pertanto la SCT va eseguita in
condizioni di ipotiroidismo con livelli circolanti di TSH >25-30 µu/ml:
lo schema classico utilizzato consiste nella sospensione della L-tiroxina
per 45 giorni prima della SCT. Durante tale periodo il paziente è trattato
con dosi di LT3, sospesa 15 giorni prima dell’esame scintigrafico.
Negli ultimi anni l’uso della SCT diagnostica si è andato riducendo, grazie alle informazioni predittive derivanti dal dosaggio della Tg
sierica. In un paziente con sospetto di malattia metastatica sulla base di
livelli di Tg circolante dosabili sotto terapia sostitutiva con L-T4 è
superfluo eseguire la scintigrafia diagnostica. E’ invece consigliabile somministrare direttamente una dose terapeutica di I-131 (100-150 mCi)
eseguendo poi la SCT 5-7 giorni dopo la dose terapeutica (35).
27
3. Il carcinoma tiroideo differenziato nei giovani
pazienti
3.1 Epidemiologia e fattori di rischio
Il cancro della tiroide è raro in età pediatrica (36), avendo un’incidenza annua che varia dallo 0.01 ogni 100.000 per i bambini di età inferiore ai
5 anni a 1.6 ogni 100.000 per quelli di età compresa tra i 15 ed i 19 anni
(37). I dati più recenti riportati dal Dipartimento di Chirurgia Pediatrica
di New York documentano nelle ultime decadi un aumento
dell’incidenza del CDT anche nei bambini, con un incremento dell’1,1% all’anno. Questo aumento di incidenza è verosimilmente da correlare al miglioramento delle tecniche diagnostiche, che permettono peraltro una
diagnosi della neoplasia sempre più precoce ma anche a fattori
ambientali (38). Le neoplasie tiroidee sono comunque le neoplasie
endocrine pediatriche più frequenti, rappresentano il 3% di tutti i tumori
dell’età pediatrica e il 5% dei tumori dl testa-collo (39).
Questi tumori sono più frequenti nei bambini tra gli 11 e i 18 anni, e solo
il 4-5% insorgono nei bambini in età pre-scolare (0-6 anni). Il rapporto
maschi:femmine è diverso a seconda dei gruppi di età, risultando di circa
1:2 nella fascia di età 5-9 anni, di 1:3,5 nella fascia 10-14, ed infine di
1:5 nella fascia 15-19, dove l’influenza ormonale è sicuramente
28
papillare, seguito dal follicolare. Inoltre, nei bambini questo tumore si
presenta mediamente con un atteggiamento più aggressivo, con una
maggiore estensione locale ed anche una maggior frequenza di metastasi
a distanza alla diagnosi rispetto all’adulto (41, 42).
Nella maggior parte dei casi, fattori di rischio specifici per il CDT nei
bambini non possono essere identificati. In una parte dei pazienti,
l’esposizione della regione testa-collo alle radiazioni è stata riconosciuta come un fattore predisponente. L’incidenza del CDT in bambini esposti a radiazioni utilizzate per il trattamento di acne o tinea capitis, oppure
esposti ad esplosioni atomiche in Giappone, o anche a test nucleari, ha
registrato un importante aumento rispetto alla popolazione non esposta.
Inoltre il rischio è tanto maggiore quanto più giovane è l’età del bambino
esposto (43).
Il tumore pediatrico post-Chernobyl: Nell’aprile del 1986, in prossimità del confine tra Ucraina e Bielorussia, un reattore nucleare esplose per un
incidente, e una grossa somma di radiazioni fu emanata in tutte le zone
limitrofe. Questo incidente fu la prova di come la tiroide sia un organo
estremamente radio-sensibile. A partire dal 1990, infatti, si è registrato
un enorme aumento dei casi di tumore tiroideo, in particolar modo di
carcinoma tiroideo differenziato nei bambini, in paesi come appunto
l’Ucraina, la Bielorussia, e in parte anche la Russia. Diversi studi condotti in Bielorussia, registrarono dal 1990 al 1998 un’incidenza della
29
patologia nei bambini fino al 3,2 per 100.000 abitanti, rispetto ai valori
normali di 0,5 ogni 100.000 abitanti. Sembra inoltre che l’aumento di incidenza sia stato più significativo nei bambini più piccoli, ad esempio
sotto ai 10 anni, e questo dato si spiega con il minor volume tiroideo che
chiaramente assorbe una dose di radiazioni maggiore per grammo di
tessuto. Uno studio (44) fatto su dei piccoli pazienti che avevano un’età media di 2 anni al momento dell’incidente, ha registrato come invece l’età media della comparsa del carcinoma sia stata di 12 anni, e questo ha dimostrato come il tempo di latenza possa essere anche di 10 anni e
oltre. Sono stati registrati anche casi di tumori tiroidei causati da
radiazioni anche in bambini che al momento dell’incidente erano ancora in utero. Confrontando le varie caratteristiche dei tumori tiroidei causati
dall’incidente di Chernobyl e quelli sviluppati nel nostro Paese, è stato riportato come nei casi radio-indotti la prevalenza del sesso femminile
non sia così importante come qui, e la quasi totalità dei casi dei
carcinomi post-Chernobyl sia dell’istotipo papillare, con alta frequenza
delle varianti solida e follicolare. Inoltre, nei tumori post-Chernobyl è
stata registrata una percentuale molto più alta di metastasi linfonodali e
metastasi a distanza, specie polmonari, giustificando quindi la maggiore
aggressività della malattia. E’ stata riscontrata, infine, anche una maggiore percentuale di riarrangiamenti del gene RET a seguito
30
aggressive. Nonostante tutti questi dati accumulati, che dimostrano una
maggiore aggressività dei CDT insorti a seguito dell’incidente, questi tumori hanno comunque un’ottima risposta alle terapie tradizionali, anche in caso di metastasi a distanza, e di fatto la prognosi e la
sopravvivenza di questi pazienti sostanzialmente non differisce dai CDT
non radio-indotti (44, 45).
Il CDT inoltre rappresenta la più frequente seconda neoplasia nei
bambini sopravvissuti a linfomi di Hodgkin, non-Hodgkin e ai vari tipi
di leucemia. Molto importante come fattore di rischio è anche la
familiarità: avere uno o più parenti di primo grado che hanno sviluppato
un CDT rappresenta un’importante fattore predisponente. Anche altre sindromi genetiche più rare sono associate al carcinoma tiroideo in età
pediatrica: tra queste abbiamo la sindrome di Cowden, con mutazione
del gene PTEN, la sindrome di Gardner, con mutazione del gene APC, e
la sindrome di Werner, con mutazione del gene WRN (33).
3.2 Genetica e patogenesi
Nei bambini affetti da CDT il profilo genico è differente da quello
riscontrato negli adulti, anche se non sono stati riscontrati geni specifici
per l’età pediatrica. Nei bambini così come negli adulti, i riarrangiamenti RET/PTC sono le alterazioni geniche più frequentemente riscontrate, con
31
una prevalenza nettamente maggiore (47-65% vs 3-34%) (46, 21). Il
riarrangiamento RET/PTC1 è più frequentemente riscontrato nei tumori
papillari con variante classica ed è stato dimostrato in circa il 65% dei
casi sporadici di CDT diagnosticati nei bambini di maggiore età. Il tipo
di riarrangiamento più frequente nei tumori radio-indotti, soprattutto
quelli diagnosticati 4-8 anni dopo l’esposizione alle radiazioni, è il
RET/PTC3, riscontrato in percentuali anche superiori al 50% dei casi. Questo tipo di riarrangiamento è associato con la variante solida del
tumore papillare e con una maggiore aggressività della malattia (47, 48).
Le mutazioni di Ras non sono state ritrovate nei pazienti pediatrici affetti
da tumore radio-indotto e solo nel 6.5% dei casi di CDT pediatrico,
secondo alcuni studi. Anche la mutazione di BRAF, presente fino al 45%
dei pazienti adulti, nei bambini con CDT la ritroviamo in percentuali
inferiori al 12%, e non sono stati trovati casi dove questa mutazione
coesisteva con quella di RET.
3.3 Presentazione clinica
La maggior parte dei CDT nei bambini si presenta come una massa
asintomatica. Mentre negli adulti la probabilità che un nodulo tiroideo
sia maligno è del 5%, nei giovani pazienti questa probabilità è variabile
tra il 14% e il 61%, mediamente si stima intorno al 26% (49, 50). Le
32
rapidamente, se è di consistenza duro-lignea, se è aderente ai tessuti
circostanti, se concomita una sospetta metastasi linfonodale o se è
presente una storia di irradiazione della regione del testa-collo. Anche la
linfoadenopatia cervicale solitaria può sovente rappresentare l’esordio clinico del CDT nei bambini, dato che al momento della diagnosi fino
all’80% di essi presenta già interessamento linfonodale (51).
3.4 Diagnosi e stadiazione
Una volta individuato un nodulo tiroideo in un giovane paziente,
dovrebbero essere innanzitutto misurate le frazioni libere degli ormoni
tiroidei (FT3 e FT4) e l’ormone tireotropo (TSH), a seguito di un’attenta palpazione ed un’accurata raccolta anamnestica. E’ necessaria anche la misurazione della calcitonina per lo screening del carcinoma midollare
della tiroide, che rappresenta il 3-5% dei casi di carcinoma tiroideo
pediatrico (52). Una scrupolosa ecografia del collo è il passo successivo
ed è fondamentale per distinguere una lesione solida da una lesione
cistica, quantificare il numero e le dimensioni dei noduli presenti e
identificare eventuali adenopatie cervicali, oltre che a guidare
l’agoaspirato. Le lesioni benigne si mostrano generalmente omogenee ed ecogene. La presenza di margini indistinti, ipoecogenicità, aumentata
vascolarizzazione e microcalcificazioni depongono invece per una
33
da sole non sono in grado di porre una diagnosi di certezza di benignità o
malignità. A tal fine l’agoaspirato rappresenta la metodica più accurata per determinare la malignità della di un nodulo tiroideo. Tale metodica
peraltro presenta nei bambini la stessa specificità e sensibilità riscontrata
nei soggetti adulti (54). E’ tuttora dibattuta la dimensione minima del nodulo tiroideo da sottoporre all’agoaspirato; comunque, poiché circa il 30% dei noduli tiroidei diagnosticati nei bambini sono maligni, è
consigliabile sottoporre a tale procedura diagnostica anche i noduli di
piccole dimensioni (0,5-1 cm), a differenza di quelle che sono le recenti
indicazioni nell’adulto. In tal caso è peraltro sempre raccomandato l’agoaspirato eco-guidato soprattutto nei bambini, data la difficoltà ad effettuare la biopsia di noduli piccoli, raramente palpabili (55).
Le recenti linee guida ATA (56) ritengono che in caso di nodulo singolo
o noduli multipli a citologia non diagnostica o indeterminata, nei
bambini è più indicato l’intervento chirurgico, piuttosto che agoaspirati ripetuti.
Per quanto riguarda la scintigrafia tiroidea con lo 123I, le linee guida ATA per il CDT nei bambini consigliano l’utilizzo di questa procedura solo nel caso un nodulo tiroideo sospetto con un TSH soppresso: nel caso il
nodulo risulti iperfunzionante, il paziente dovrebbe essere sottoposto al
trattamento chirurgico, poiché il rischio di malignità associata è di circa
34
La stadiazione più utilizzata per i carcinomi differenziati della tiroide è il
TNM della American Joint Committee on Cancer (AJCC) [Tabella 2], ed
è valida in particolar modo per i carcinomi papillari, di gran lunga più
frequenti.
Tab.2: Sistema di classificazione TNM dell’AJCC per il carcinoma
tiroideo differenziato
Parametro T
-TX: dimensione non stimata
-T0: nessuna evidenza di tumore primario
-T1: dimensioni al di sotto di 2cm, limitato alla ghiandola -T2: dimensioni tra 2 e 4 cm, limitato alla ghiandola
-T3: dimensioni superiori ai 4 cm o con minima estensione extratiroidea
-T4a: qualsiasi dimensione con invasione di tessuti sottocutanei, laringe, trachea, esofago o nervo laringeo ricorrente
-T4b: invasione della fascia prevertebrale, dell’arteria carotide o dei vasi mediastinici
Parametro N
-NX: linfonodi regionali non stimati -N0: nessuna metastasi linfonodale
-N1a: metastasi ai linfonodi pretracheali, paratracheali, prelaringei
-N1b: metastasi ai linfonodi cervicali mono- o bilaterali, o ai mediastinici superiori
Parametro M
-MX: metastasi non stimate
-M0: nessuna metastasi a distanza -M1: presenza di metastasi a distanza
35
3.5 Trattamento iniziale
Come per gli adulti affetti da CDT, anche nei bambini lo scopo del
trattamento iniziale è quello di eradicare il tumore e garantire una
sopravvivenza libera da malattia più lunga possibile. La sopravvivenza a
10 anni è oltre il 90% negli adulti ed è prossima al 100% nei bambini
(58).
Lo standard di trattamento consiste nell’intervento chirurgico, generalmente seguito dalla RRA con 131I. Per prevedere il rischio di
recidiva l’American Thyroid Association (ATA) ha sviluppato una stratificazione del rischio anche per i CDT insorti in età pediatrica,
suddivindendoli in tre gruppi di rischio: basso, intermedio ed alto (59).
Chirurgia: L’intervento chirurgico raccomandato è la tiroidectomia totale o “quasi totale” associato alla rimozione dei linfonodi del compartimento centrale o della regione latero-cervicale, qualora sia
documentato un interessamento dei linfonodi del collo durante la
stadiazione pre-operatoria (60). E' dimostrato come più interventi
chirurgici per malattia ricorrente in bambini inizialmente trattati con la
lobectomia aumentino il rischio di complicanze chirurgiche (61). Le
complicanze chirurgiche più frequenti, eccetto il dolore post-operatorio,
sono l’ipoparatiroidismo transitorio o permanente (5-15% dei casi) e danni alle strutture nervose laringee, che possono causare una paralisi
36
delle corde vocali (6-10%), responsabile a sua volta di abbassamento del
tono della voce, e anche disfagia (62, 63).
Radioablazione con 131I: Nonostante l’incertezza sulla tossicità a breve e
lungo termine e sulla comparsa di eventuali seconde neoplasie, il
trattamento ablativo con il 131I è universalmente accettato anche nei bambini, dato che è stato dimostrato ridurre efficacemente il rischio di
recidiva. Tale trattamento è quindi raccomandato in tutti i pazienti con
evidenza di tessuto tiroideo residuo, con valori dosabili/elevati di Tg
circolante o anomala captazione a livello cervicale così come anche nei
bambini con metastasi polmonari iodo-captanti, nei quali la terapia
radioablativa può portare alla completa remissione delle lesioni, specie
se di piccole dimensioni. L’obiettivo è utilizzare il dosaggio minimo efficace per ablare il residuo tiroideo post-chirurgico, specie per i
pazienti a basso rischio. Il trattamento con 131I non è però indicato nei
pazienti con minima o nessuna captazione a livello del letto tiroideo ed
una Tg stimolata indosabile. A seconda dei centri il dosaggio di
radioiodio da somministrare ai pazienti in età pediatrica viene calcolato
in base al peso corporeo oppure alla superficie corporea. Alcuni giorni
dopo la somministrazione del radioisotopo, meglio dai 4 ai 7 giorni,
viene eseguita una STC post-ablazione per monitorare l’andamento delle
37
Terapia con levotiroxina: Dato che gli eventuali foci residui di CDT rispondono alla stimolazione dell’ormone tireotropo con una crescita tumorale e di conseguenza un aumento della Tg circolante, è molto
importante, a seguito dell’intervento chirurgico, così come nell’adulto, anche nel bambino somministrare la terapia con la l-tiroxina (LT4), al
fine di ottenere una soppressione del TSH. Secondo le recenti linee guida
ATA (65) nei pazienti in età pediatrica con CDT a basso rischio il valore
del TSH deve essere mantenuto tra 0.5 e 1 mIU/L, in quelli a rischio
intermedio i valori del TSH deve essere mantenuto tra 0.1 e 0.5 mIU/L,
infine in quelli ad alto rischio, finchè non è documentata la remissione
clinica di malattia, il valore del TSH deve essere mantenuto al di sotto di
0.1 mIU/L. E’ da sottolineare che una terapia a lungo termine con la
l-tiroxina a dosi oppressive del TSH anche nei bambini, come negli adulti
ha dei rischi di cui bisogna tenere conto. Uno stato di ipertiroidismo
permanente, infatti, benché subclinico, può portare ad una crescita
accelerata, pubertà precoce, demineralizzazione ossea e tachiaritmie (66,
67).
3.6 Sorveglianza e follow-up
Il monitoraggio della Tg sierica e l’ecografia del collo sono le metodiche fondamentali per una corretta sorveglianza e follow-up dei piccoli
38
Monitoraggio della Tg: Il monitoraggio della Tg sierica rappresenta la metodica più sensibile nell’individuare la presenza di malattia tiroidea residua, i suoi valori tendono ad essere più elevati nei bambini e la
sensibilità massima si ottiene dopo la stimolazione con il TSH umano
ricombinante. A seguito dell’intervento chirurgico e della RRA, se riscontriamo valori indosabili di Tg circolante dosati con la metodica
ultrasensibile o dopo la stimolo con il rhTSH, possiamo ragionevolmente
considerare il paziente libero da malattia. Quando invece i valori di Tg
sono dosabili, ma si mantengono bassi e stabili, senza evidenza
ecografica di malattia, parliamo di persistenza biochimica di malattia.
Quando infine i valori di Tg sono dosabili ed in graduale crescita nel
tempo, significa che la malattia è sempre presente ed è attiva, e prima o
poi tornerà a manifestarsi clinicamente. Gli anticorpi anti-tireoglobulina
(AbTg) possono rappresentare un marker surrogato per il CDT. Anche in
questo caso è importante l’andamento dei loro valori nel tempo, dato che un costante aumento può giustificare una malattia ricorrente o
persistente, mentre una loro diminuzione può significare un
miglioramento, sebbene spesso richiedano anni per negativizzarsi del
tutto (68).
Follow-up ecografico: L’ecografia del collo è insieme alla Tg il “gold standard” per il follow-up di questi pazienti. E’ molto efficace infatti nell’identificare e localizzare eventuali metastasi linfonodali in pazienti
39
con malattia residua. E’ raccomandata dopo circa 3 mesi dall’intervento
e successivamente viene eseguita insieme al monitoraggio della Tg ogni
6 o 12 mesi, a seconda della stratificazione del rischio. E’ da sottolineare che poiché i bambini frequentemente presentano linfoadenopatie
latero-cervicali di natura infiammatoria, l’ecografia in questa categoria di pazienti è un esame che richiede molto esperienza ed attenzione allo
scopo di potere distinguere le linfoadenopatie infiammatorie da quelle di
natura metastatica (69).
Follow-up con STC: La STC a scopo diagnostico non viene generalmente più utilizzata nel follow-up dei pazienti nei quali i livelli
della Tg sierica risultano indosabili. E’ invece tuttora raccomandata nei piccoli pazienti con persistenza di anticorpi anti-tireoglobulina, in
particolare quando il loro titolo è elevato e/o in aumento.
Trattamento delle metastasi con 131I: Così come i soggetti adulti, anche i
bambini affetti da CDT con presenza di malattia residua e/o metastasi a
distanza iodo-captanti sono candidati ad uno o più trattamenti con il 131I.
Trattamenti ripetuti possono infatti determinare la remissione della
malattia residua o la stabilità della stessa, con riduzione del rischio di
mortalità (70). Se a seguito dei trattamenti il dosaggio della Tg
suggerisce malattia persistente o in progressione, è indicata una
rivalutazione con SCT e dosaggio della Tg TSH-stimolata. In ogni caso,
40
il paziente ha lesioni iodio-captanti e non ha ricevuto un eccessivo
41
4. Scopo dello studio
Scopo del presente lavoro è stato quello di descrivere le caratteristiche
epidemiologiche, anatomo-patologiche e cliniche di un’ampia casistica
di soggetti affetti da carcinoma differenziato della tiroide diagnosticato
in età pediatrica tra il 1963 ed il 2016 e seguiti nello stesso centro e di
verificare se esistono differenze significative per quanto riguarda sia le
caratteristiche del tumore che lo stato finale di malattia negli stessi
soggetti, suddivisi in due gruppi in base all’età alla diagnosi: il Gruppo I, comprendente i bambini di età inferiore o uguale a 10 anni ed il Gruppo
II, formato dagli adolescenti di età tra gli 11 e i 18 anni, ed in in base
all’anno della diagnosi: il Gruppo A, comprendente i pazienti diagnosticati prima del 1990 ed il Gruppo B, formato dai pazienti
diagnosticati dopo il 1990. Il razionale del presente lavoro risiede nella
necessità di individuare la migliore modalità di trattamento e follow-up
42
5. Pazienti e metodi
5.1 Pazienti
Sono stati studiati retrospettivamente 297 pazienti afferiti presso il
Dipartimento di Endocrinologia di Pisa tra il 1963 e il 2016, 221 (74.4%)
di sesso femminile e 76 (25.6%) di sesso maschile (M:F=1:3), la cui
diagnosi di CDT è stata effettuata prima dei 18 anni. L’età media alla
diagnosi è risultata di 14.3 ± 3 anni, con un range di 5-18 anni. La durata
media dei follow-up, fino al dicembre 2016, è stata di 146.4 ± 134.3
mesi (corrispondenti a 12.2 ± 11.1 anni), con un range dai 2 ai 528 mesi
(44 anni). I pazienti sono stati suddivisi in due gruppi in base all’età alla diagnosi: il gruppo I, costituito da pazienti che hanno ricevuto diagnosi
in età ≤ 10 anni, e il gruppo II, costituito da pazienti che hanno ricevuto diagnosi in età > 10 anni e ≤ 18 anni; inoltre sono stati suddivisi in altri due gruppi in base all’anno della diagnosi: il gruppo A, costituito dai pazienti che hanno ricevuto diagnosi prima del 1990, e il gruppo B,
costituito dai pazienti che hanno ricevuto diagnosi dopo il 1990.
GRUPPO I
Il gruppo I è costituito da 33 pazienti (11.1%), 14 maschi (42.4%) e 19
43
diagnosi è di 8.2 ± 1.4 anni con un range che va da 5 a 10 anni. La durata
media del follow-up è stata di 227.3 ± 165.3 mesi (corrispondenti a 18.9
± 13.7 anni), con un range di 13-468 mesi (1-39 anni).
GRUPPO II
Il gruppo II è costituito da 264 pazienti (88.9%), 62 maschi (23.4%) e
202 (76.6%) femmine, con un rapporto M:F pari a 1:3.2. L’età media alla diagnosi è di 15.1 ± 2.1 anni, con un range che va da 11 a 18 anni. La
durata media del follow-up è stata di 136.1 ± 126.7 mesi (corrispondenti
a 11.3 ± 10.5 anni), con un range di 2-528 mesi (0-44 anni).
GRUPPO A
Il gruppo A è costituito da 63 pazienti (21.2%), 46 femmine e 17 maschi,
con un rapporto M:F pari a 1:2.7. L’età media alla diagnosi è risultata di 13.9 ± 4 anni, con un range che va dai 5 ai 18 anni. La durata media del
follow-up è stata di 344.8 ± 128.6 mesi (circa 29 ± 10 anni), con un
range di 60-528 mesi (4-44 anni).
GRUPPO B
Il gruppo B è costituito da 234 pazienti (78.8%), 175 femmine e 59
maschi, con un rapporto M:F pari a 1:3. L’età media alla diagnosi è risultata di 14.5 ± 2.7 anni, con un range che va dai 5 ai 18 anni. La
44
durata media del follow-up è stata di 94.6 ± 72.5 mesi (circa 8 ± 6 anni),
con un range di 2-348 (0-29 anni).
Tab. 3
TOT
Gruppo I (≤ 10 aa) Gruppo II (> 10 e ≤ 18 aa) Gruppo A (pre-1990) Gruppo B (post-1990)N°
297 33 264 63 234F
74.4% 57.6% 76.6% 73% 74.7%M
25.6% 42.4% 23.4% 27% 25.3%Età
media
alla dg
14.3 ± 3 aa 8.2 ± 1.4 aa 15.1 ± 2.1 aa 13.9 ± 4 aa 14.5 ± 2.7 aa5.2 Terapia iniziale
Chirurgia: Tutti i pazienti sono stati sottoposti ad intervento chirurgico, 205/297 (69%) sono stati operati a Pisa, mentre 92/297 (31%), sono stati
operati in altre sedi italiane, e sono afferiti solo successivamente
all’Endocrinologia di Pisa. L’intervento eseguito è stato la tiroidectomia totale, associata o meno alla linfoadenectomia latero-cervicale e/o del
comparto centrale del collo, a seconda del coinvolgimento evidenziato
alla stadiazione pre-operatoria.
Terapia radiometabolica: A seguito dell’intervento chirurgico i pazienti sono stati sottoposti alla terapia radiometabolica con 131I al fine di ablare
45
il tessuto tiroideo residuo ed eliminare la presenza di possibili foci di
tessuto tumorale residuo, riducendo il rischio di recidiva.
Il numero medio di somministrazioni è stato di 2.1, con un range
variabile tra 1 e 14 somministrazioni ed una mediana di 1.
Trattamento delle metastasi: I pazienti che al primo controllo post-ablazione sono risultati positivi per persistenza di tessuto tiroideo
residuo o per malattia metastatica, sono stati sottoposti a nuove sedute di
terapia radiometabolica con 131I ad alte dosi.
5.3 Terapia con ormoni tiroidei
Dopo il trattamento iniziale i pazienti hanno intrapreso la terapia
sostitutiva con ormoni tiroidei. In particolare, i pazienti assumono
giornalmente la Levotiroxina in dosi personalizzate, generalmente alla
posologia di 1.82 mcg/kg di peso corporeo per la terapia soppressiva e,
successivamente, quando il paziente è stato giudicato guarito, alla
46
5.4 Follow-up
Dopo l’intervento chirurgico e il primo trattamento radiometabolico con 131-I i pazienti sono stati valutati mediante visita, ecografia del collo e
dosaggio degli ormoni tiroidei e del TSH, della tireoglobulina e degli
anticorpi anti-tireoglobulina: il paziente è stato giudicato guarito quando
l’ecografia del collo non metteva in evidenza persistenza locale di malattia o metastasi linfonodali, in associazione a valori indosabili di Tg
e AbTg. Fino al 2011 i pz venivano ulteriormente valutati mediante il
test di stimolo della Tg con TSH umano ricombinante, associato o meno
alla STC diagnostica se in presenza di AbTg positivi; dopo il 2011, con
l’introduzione del dosaggio della Tg con metodica ultrasensibile (TgU), questo test viene eseguito solo nei casi di TgU borderline.
5.5 Metodi di analisi statistica
I metodi utilizzati per l’analisi statistica tra i differenti gruppi di studio
sono il Mann-Whitney test e il test del Chi-quadro.
Un valore di P inferiore a 0.05 veniva considerato statisticamente
47
6. Risultati
6.1 Descrizione generale dei 297 pazienti studiati
Dalla revisione della casistica dei pazienti affetti da carcinoma tiroideo
differenziato afferiti presso il Dipartimento di Endocrinologia di Pisa tra
il 1963 e il 2016, abbiamo evidenziato la presenza di 297 pazienti la cui
diagnosi di CTD è stata effettuata prima dei 18 anni.
6.1.1 Età e sesso
Per quanto riguarda la distribuzione per età, abbiamo trovato due casi
diagnosticati all’età di 5 anni, due casi all’età di 6 anni, tre casi all’età di 7 anni, sette casi all’età di 8 anni, dieci casi all’età di 9 anni, nove casi all’età di 10 anni, diciassette casi all’età di 11 anni, quindici casi all’età di 12 anni, venticinque casi all’età di 13 anni, trentadue casi all’età di 14 anni, ventinove casi all’età di 15 anni, trentanove casi all’età di 16 anni, cinquantatre casi all’età di 17 anni, e cinquantaquattro casi all’età di 18 anni. Risulta evidente come l’incidenza del CTD aumenta con l’età del paziente, avvicinandosi, all’età di 18 anni, a quella dell’adulto.
Inoltre, 221 dei pazienti sono di sesso femminile (74.4%), mentre 76 di
48
l’incidenza è simile nei due sessi mentre è nettamente maggiore nelle femmine dopo questa età, avvicinandosi al rapporto M:F dell’età adulta.
Tab. 4
ETA’ N. PAZIENTI MASCHI FEMMINE
5 2 2 0 6 2 0 2 7 3 1 2 8 7 1 6 9 10 6 4 10 9 4 5 11 17 6 11 12 15 2 13 13 25 5 20 14 32 6 26 15 29 3 26 16 39 10 29 17 53 18 35 18 54 12 42 TOT. 297 76 221 6.1.2 Istotipo tumorale
Per quanto riguarda gli istotipi tumorali, il carcinoma papillare è risultato
il più frequente, essendo stato diagnosticato in 268/297 pazienti (90 %
del totale); l’istotipo follicolare è stato invece diagnosticato in 25/297 pazienti (8.4 %); infine, nei restanti 4/297 pazienti (1.6%) è stata
49 Fig. 3
Per quanto riguarda le varianti dell’istotipo papillare, la più frequente è risultata la variante classica (129/268, 48.1 % dei casi); la seconda
variante più frequente è risultata la variante follicolare (79/268, 29.5 %);
la terza variante è la variante solida, rappresentata nell’11.9 % dei casi. Le altre varianti come quella a cellule alte, a cellule ossifile, la insulare,
la sclerosante diffusa e la trabecolare oppure una variabile combinazione
50 Fig. 4
6.1.3 Esposizione a radiazione esterna
Dei 297 pazienti, 6 hanno una storia di irradiazione nella regione
testa-collo prima dello sviluppo del carcinoma tiroideo. Questi pazienti
rappresentano circa il 2% del totale, e sono quelli la cui diagnosi di CDT
è avvenuta nelle decadi meno recenti, quando ancora non si conoscevano
a pieno le possibili conseguenze a lungo termine della terapia radiante.
Due di questi pazienti avevano subito terapia radiante all’età di 4 mesi per angioma del volto, sviluppando poi il carcinoma tiroideo all’età di 10
e di 15 anni, sebbene una patologia nodulare tiroidea fosse stata
individuata già negli anni precedenti. Un terzo paziente è stato invece
irradiato all’età di 2 anni per patologia del sacco lacrimale, sviluppando poi il carcinoma tiroideo all’età di 15 anni. Un quarto paziente è stato
51
trattato con terapia radiante all’età di 5 anni per patologia tonsillare, sviluppando il carcinoma all’età di 18 anni. Un’altra paziente è stata sottoposta a terapia radiante total body all’età di 8 anni per una leucemia
linfatica acuta, successivamente ha sviluppato il tumore tiroideo. Infine
dell’ultimo paziente non conosciamo il motivo dell’esposizione a terapia radiante, ma dopo il trattamento del carcinoma tiroideo ha sviluppato un
linfoma di Hodgkin, attualmente in remissione.
6.1.4 Familiarità
Analizzando i dati anamnestici di tutti i pazienti, abbiamo ottenuto
informazioni sulla familiarità in 249 pazienti. Di questi, 25/249 (10%)
hanno avuto almeno un parente affetto da carcinoma tiroideo.
6.1.5 Tipo di intervento e complicanze chirurgiche
Rispetto al totale dei pazienti, solo per un paziente mancano
informazioni riguardanti l’intervento chirurgico. Su 296 pazienti, 159 (53.7%) sono stati trattati con tiroidectomia totale senza
linfoadenectomia; in 47/296 pazienti (15.8%) l’intervento è stato di
tiroidectomia totale associato a linfoadenectomia monolaterale; in
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linfoadenectomia bilaterale; in 57/296 pazienti (19.4%) di tiroidectomia
totale associato a linfoadenectomia del comparto centrale del collo.
Per quanto riguarda le complicanze dell’intervento chirurgico, dei 227 pazienti di cui abbiamo informazioni, in 35 (15.4%) è stato riscontrato
un ipoparatiroidismo permanente, mentre la paralisi delle corde vocali è
stata individuata in 10/227 pazienti (4.4%).
6.1.6 Stadiazione in base al sistema TNM
Il TNM è il sistema di stadiazione più utilizzato per i tumori tiroidei. Nel
nostro gruppo dei pazienti, la stadiazione TNM era disponibile per
287/296: 66/287 pazienti (22.9%) avevano un tumore confinato alla
ghiandola tiroide di dimensioni inferiori ai 2 cm (T1), dei quali 55 con
linfonodi negativi (T1N0, 19.1% del totale) e 11 che invece presentavano
già un interessamento dei linfonodi (T1N1, 3.8%); 56/287 pazienti
(19.5%) avevano un tumore sempre confinato all’interno della capsula tiroidea, ma di dimensioni comprese tra i 2 e i 4 cm (T2), dei quali 35
senza interessamento linfonodale (T2N0, 12.1%) e 21 invece con
positività linfonodale (T2N1, 7.4%); 87/287 pazienti (30.3%) avevano
un tumore di dimensioni maggiori di 4 cm o in alcuni casi un tumore che
aveva una minima estensione extratiroidea (T3), dei quali 35 senza