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al lato opposto di questo ampio spettro che per le ragioni più diver- se aveva riunito nell’elogio a o’connell differenti anime politiche, si sarebbero collocati i repubblicani del «national» e, con in testa ledru rollin, quelli riuniti attorno a «la réforme»; accanto ad essi e per moti- vi contrari, per quanto strano possa apparire, figuravano il «Journal des débats», che rifletteva all’epoca posizioni filogovernative, e la «revue des deux mondes».

dal 1843, i repubblicani – dopo aver partecipato come gran parte dell’opinione pubblica francese a creare il mito di o’connell – avevano preso progressivamente le distanze dall’irlandese. un episodio aveva agito da cartina di tornasole dei princìpi politici del liberatore e provo- cato la rottura ideologica con i repubblicani. o’connell aveva restituito al mittente la dichiarazione di sostegno alla causa irlandese, espressa in una data solenne come il 14 luglio 1843, dai repubblicani francesi nel corso di una «dimostrazione democratica […] in favore dell’irlanda»101. per timore di suscitare l’ira del governo britannico, dopo aver letto le dichiarazioni di ledru rollin, che annunciavano che, in caso di scontro armato fra irlanda e inghilterra, i repubblicani francesi avrebbero presta- to il loro aiuto agli irlandesi, o’connell si era affrettato a eliminare ogni possibile dubbio circa eventuali convergenze fra la sua lotta e quella dei repubblicani francesi, ribadendo il suo impegno pacifico e la sua fedeltà nei confronti della monarchia102. Quanto al drappello di repubblicani che intendeva recarsi in irlanda a manifestare il proprio sostegno alla causa di o’connell, sempre annunciato da ledru rollin, egli risponde- va che, lungi dal poter apportare un beneficio alla causa da lui sostenuta,

99 Ibidem, p. 55. 100 Ibidem, p. 54.

101 si trattava della dichiarazione rilasciata, a nome dei repubblicani, da ledru rollin il 15

luglio 1843 e poi pubblicata sul «national» il 16 luglio del 1843.

102 dopo essere stato esiliato a londra dal giugno del 1849, ledru rollin, avrebbe continua-

to a dar fuoco alle polveri anti-inglesi scrivendo un volume dal significativo titolo La décadence de

i repubblicani francesi avrebbero fornito un pretesto ai suoi già nume- rosi detrattori; per questo motivo, dichiarava in modo laconico, la loro visita era «the least of it, premature»103.

a questo scacco, si era aggiunta l’aggravante rappresentata dalla con- danna da parte di o’connell del movimento che egli aveva tenuto a battesimo firmando la People’s Charter. la presa di distanza di o’connell dal cartismo veniva percepita come un tradimento della causa popolare. e la condanna repubblicana di o’connell doveva allora suonare anche come espressione di biasimo nei confronti dei governi francese e britan- nico stretti nell’entente cordiale. da questo momento sia «la réforme» sia il «national» avrebbero ripetutamente deplorato l’irlandese, accu- sandolo di essere, nella migliore delle ipotesi, un uomo politico miope, incapace di vedere che la causa irlandese poteva essere vinta solo strin- gendo un’alleanza internazionale che abbracciasse il movimento cartista e i repubblicani francesi: «o’connell sembra ignorare che l’umanità è più vasta della città, più vasta della patria e che essa porta entrambe in grembo»104. nella peggiore delle ipotesi, o’connell assumeva sulle testate d’indirizzo repubblicano le sembianze di un dittatore e di un traditore del suo popolo: «il meno che si possa dire è che mai un uomo idolatrato da un popolo, avrà più completamente mancato alla missione che il cielo stesso sembrava avergli attribuito»105.

nel caso dei repubblicani francesi, tuttavia, il voltafaccia nei confron- ti del leader irlandese non avrebbe nuociuto al momento irlandese. anzi, per converso, essa finiva per essere la destinataria di un giudizio positivo ancor più netto e benevolo. uno scritto apparso sul «national», dedicato a o’connell, chiariva questo aspetto e metteva in luce il gioco di specchi esistente fra francia e irlanda: «non è ad un uomo e a un oratore monar- chico che rendevamo omaggio: noi non abbiamo visto che una nazione, e nella sua lotta, la lotta di tutte le nazioni che vogliono provvedere a se stesse […]. infelice, oppresso, vittima di una lunga e orribile ingiustizia [il popolo] continua là la battaglia della democrazia contro l’aristocrazia […]. parlando dell’irlanda, è della francia che noi parlavamo»106.

103 colantonio, Daniel O’Connell: un Irlandais au cœur du débat politique français, ii, p. 356. 104 «revue indépendante», 10 settembre 1844, citato in Ibidem, ii, p. 361.

105 «la réforme», 4 settembre 1843, citato in Ibidem, ii, p. 360. il giudizio espresso dai

repubblicani francesi su o’connel convergeva con quello dato da engels. in un articolo pub- blicato sullo «schweizerischer republikaner» di zurigo il 27 giugno del 1843, engels scriveva «se o’connell fosse realmente l’uomo del popolo, se avesse abbastanza coraggio e non temesse egli stesso il popolo, ossia se non fosse un whig dalla lingua bifida ma un democratico coerente, in irlanda non ci sarebbe più da un pezzo un solo soldato inglese, né un ozioso pretaccio pro- testante in un distretto interamente cattolico, né un barone di stirpe normanna nel suo castello»: articolo riprodotto in K. marx – f. engels, Opere. 1843-1844, roma, editori riuniti, 1976, iii, pp. 425-427: 427.

la presa di distanza da o’connell compiuta da repubblicani negli anni Quaranta celava – insieme alla disillusione per la moderazione della sua linea politico-sociale – un secondo e più significativo elemento. nel discredito generale che aveva connotato gli ultimi anni della monarchia di luglio, quando in larghi settori dell’opinione pubblica veniva impo- nendosi l’idea che corruzione e clientelismo fossero gli strumenti di governo, l’opinione repubblicana avrebbe mostrato profonda disaffezio- ne non soltanto verso il governo Guizot, ma anche verso la monarchia di luigi filippo. la condanna di o’connell significava allora anche la sanzione dei mezzi pacifici e legali che il leader irlandese aveva sposato. e viceversa, l’apprezzamento da parte repubblicana dei metodi dichia- ratamente rivoluzionari a cui la Young Ireland aveva deciso di ricorrere, suonava come un campanello di allarme che suggeriva che, in campo repubblicano, il ricorso alla lotta violenta per instaurare la repubblica restava un’ipotesi attuale.

alla morte di o’connell, i repubblicani avrebbero salvato il padre dell’emancipazione cattolica degli anni venti, ma dannato l’uomo che si era ingaggiato nella battaglia per il Repeal, concepita come una sorta di grande truffa ai danni della popolazione irlandese, compiuta con l’unico scopo di continuare ad esercitare su di essa il proprio potere. per questo, con un commento a dir poco tranchant, la «revue indépendante» deru- bricava la scomparsa di o’connell con l’affermazione: «ce n’est qu’un roi de moins»107.

lo stesso lamennais, che, ormai distante dagli ideali de «l’avenir», aveva sposato la causa della rivoluzione, avrebbe nel 1848 preso posizio- ne per colui che poteva, a buon diritto, essere considerate la bête noire di o’connell ovvero John mitchel, il più geniale, sovversivo ed estremista fra i leader della Young Ireland: «assez de mots, des armes maintenant! […] Gloire au martyr! Gloire à John mitchel»108. nelle prime settimane della seconda repubblica, lacordaire avrebbe finito per condannare come un «uomo del passato» colui che nel decennio precedente gli era sembrato incarnare il volto della democrazia del futuro: «soddisfatto della notorietà acquisita e di una principesca rendita, d’intesa con l’alto clero, egli si limitò a intrattenere, con discorsi ingannevoli e speran- ze chimeriche, una vana e sterile agitazione. la morte lo sorprese al

107 «revue indépendante», 25 maggio 1847, citato in Ibidem, ii, p. 371.

108 «le peuple constituant», 6 giugno 1848, citato in Ibidem, ii, p. 382. John mitchel aveva

fatto parte della Young Ireland e dal 1845 era stato uno dei pubblicisti più radicali e brillanti del «nation», organo di stampa del movimento. scontento della linea, a suo giudizio, troppo mode- rata del «nation», mitchel aveva fondato nel 1848 lo «united irishmen», giornale che aveva sposato una linea rivoluzionaria e indipendentista. alla vigilia del fallito tentativo d’insurrezione del 1848, mitchel sarebbe stato incriminato con l’accusa di «seditious libels» e poi condannato a 14 anni di deportazione, cfr. J. mitchel, Giornale di prigionia, a cura di p. adamo, Bergamo, lubrina, 2 voll., 1991; J. Quinn, John Mitchel, dublin, university college dublin press, 2008.

momento in cui le illusioni di cui alimentava il popolo, andavano dissi- pandosi a fronte della realtà inesorabile»109.

nello stesso periodo in cui montava la disaffezione repubblicana nei confronti del «Grande dan», anche il «Journal des débats» e la «revue des deux mondes» davano il via a una polemica nei suoi confronti, che avreb- be aperto una frattura mai più risanatasi fra le sfere dirigenti della monar- chia di luglio e il leader irlandese. in questo caso, come già era stato per lo schieramento repubblicano, per comprendere le motivazioni politiche immediate di questo allontanamento ideale bisognava risalire a un’infelice dichiarazione di o’connell. all’epoca in cui, a seguito della morte acci- dentale del principe ereditario, nel luglio del 1842, la monarchia di luigi filippo si dibatteva intorno alla questione della reggenza, aggravando la crisi di governo e aprendo nuove linee di frattura in parlamento, o’con- nell aveva dichiarato, con una boutade, che un battaglione di irlandesi era pronto a sostenere i diritti del legittimo pretendente al trono enrico v di Borbone. Gli animi filo-orléanisti e filo-governativi da allora in poi lo avrebbero accusato di essere solo un demagogo alla testa di un populace.

insaprito da questo fatto, ma per dare voce a una più generale preoc- cupazione nei confronti del cambiamento politico, il governo giudicava con severità la battaglia per il Repeal e condannava o’connell come un pericoloso sognatore. a esprimere questa linea, che riconnetteva il giudi- zio sull’irlandese a una presa di posizione contro ogni politica di riforma, erano in particolare i contributi di John lemoinne110, per quasi un qua- rantennio uno dei principali redattori della «revue des deux mondes».

in questo caso, però, a differenza di quanto era avvenuto con gli scritti dei repubblicani a farne spese sarebbe stata l’immagine stessa dell’irlanda. se non a pezzi, essa sarebbe uscita comunque gravemente compromessa dal biasimo ingenerato da o’connell. su questo giudizio fondamentalmente negativo pesava la sollevazione della Young Ireland del 1848, che aveva contribuito a gettare in discredito l’esperienza irlandese. dalle colonne della «revue des deux mondes», lemoinne presentava ora la politica britannica in irlanda istituendo una eloquen- te analogia con le posizioni mantenute dall’abolizionismo gradualista francese. l’irlandese, come lo schiavo, andava emancipato gradualmente.

109 «le peuple constituant», 3 aprile 1848, citato in colantonio, Daniel O’Connell: un

Irlandais au cœur du débat politique français, ii, p. 381. sulla progressiva disillusione di lamennais

nei confronti di o’connell, cfr. p. Byrne, Daniel O’Connell vu par Lamennais et par Flora Tristan, in Un fabuleux destin. Flora Tristan. Actes du I Colloque International Flora Tristan, Dijon 3 et 4 Mai

1984, a cura di s. michaud, dijon, eud, 1985, pp. 52-64.

110 [J. lemoinne], Sir Robert Peel et l’Irlande, «revue des deux mondes», 15 giugno 1843,

pp. 1012-1022; [J. lemoinne], L’Église d’Irlande, «revue des deux mondes», 15 luglio 1843, pp. 350-360; J. lemoinne, L’Irlande et le Parlement anglais en 1847, les lois des pauvres, «revue des deux mondes», 15 settembre 1847, pp. 1059-1081.

come un «peuple mineur»111, il popolo irlandese doveva essere preso per mano e guidato a piccoli passi verso la libertà, che lemoinne identi- ficava nell’integrazione senza riserve né eccezioni nella Gran Bretagna. scriveva:

non resta più nulla da fare o da discutere in irlanda, tutto è già stato detto, ora che è stata proclamata la legge marziale. È un paese che non può più essere rigenerato e rinnovato se non con una rivoluzione gouvernamentale, una rivolu- zione che solo l’imperatore di russia potrebbe avere il potere di fare. l’ultima insurrezione è un indice della malattia cronica che divora questo paese. si tratta sempre dello stesso problema, miseria e ricchezza, è sempre la stessa lava, ma si tratta di eruzioni diverse112.

nell’opinione di lemoinne, l’unica in grado di farsi carico del tita- nico compito era la madre-padrona inghilterra. e per dimostrare l’im- possibilità per gli irlandesi di trovare autonomamente una soluzione, egli ricorreva alla moneta di lungo corso dei caratteri nazionali, scrivendo: «per gli irlandesi ci vuole del teatro, un eroe semplice non sarebbe loro andato bene. o’connell conosceva bene questo popolo di bambini cresciuti [de grands enfants], questi napoletani del nord, questi lazzaroni senza sole, leggeri, volubili, commedianti, pigri, accattoni, innamorati della pompa e delle apparenze»113. con parole che tradivano il senso anti-democratico delle sue osservazioni, lemoinne mostrava di ritenere gli irlandesi dei «grands enfants» passibili, ma solo come ‘oggetti’, di una politica di riforme, esattamente come gli schiavi: «è l’inghilterra che eredita l’irlanda da o’connell, è al suo governo che tocca in sorte la tutela di questo popolo infantile [mineur], che non ha più nemmeno la forza di sollevarsi [remuer] da solo. È l’inghilterra che ha in cura il suo corpo e la sua anima»114.

111 J. lemoinne, La Jeune Irlande, «revue des deux mondes», 15 aôut 1848, pp. 566-584. 112 Ibidem, p. 566.

113 J. lemoinne, Études critiques et biographiques, paris, michel lévy frères, 1852, p. 311. 114 Ibidem, p. 313.

dopo il colpo di stato del 2 dicembre 1851, luigi napoleone Bonapar- te, forte dei sette milioni e mezzo di voti espressi dal plebiscito del 20-21 dicembre 1851, emanò un testo costituzionale fortemente improntato alla costituzione napoleonica dell’anno viii. la nuova costituzione, oltre ad accordargli il diritto di restare in carica per dieci anni, concentrava potere esecutivo e potere legislativo nelle mani del presidente della repubblica, lasciando all’assemblea legislativa solo il potere di accettare o respingere le leggi elaborate dal presidente con l’ausilio di un consiglio di stato e di un senato da lui stesso nominato. il 21 novembre 1852, con quella stra- ordinaria capacità di manipolare il consenso popolare che avrebbe conno- tato il fenomeno bonapartista, luigi napoleone chiese al popolo francese di esprimersi nuovamente, tramite plebiscito, sulla decisione assunta col senatoconsulto di ripristinare l’autorità imperiale1. Gli oltre sette milioni di pareri favorevoli usciti dalle urne consentirono, a un anno esatto dal colpo di stato, all’ex presidente della seconda repubblica di assumere il titolo di imperatore «dei francesi» col nome di napoleone iii2.

il ripristino del suffragio universale (fortemente voluto da luigi napoleone, ma da lui svuotato di significato attraverso il sistema delle «candidature ufficiali») e l’uso spregiudicato dei plebisciti sembrarono coniugare, nell’impressione di tocqueville, «i vantaggi del governo assoluto con la forza propria di un governo popolare»3. come notò subi- to marx nel Diciotto Brumaio di Luigi Bonaparte, il bonapartismo segnava

1 cfr. l. Girard, Problèmes politiques et constitutionnels du Second Empire, paris, cdu, 1964;

id., Napoléon III, paris, fayard, 1986; c. cassina, L’istituto plebiscitario in Francia. Appunti per

un profilo storico (1792-1969), in Vox populi? Pratiche plebiscitarie in Francia, Italia, Germania (secoli XVIII-XX), a cura di e. fimiani, Bologna, clueB, 2010, pp. 59-86.

2 f. Bluche, Le Bonapartisme: aux origines de la droite autoritaire (1800-1850), nouvelles

Éditions latines, paris, 1980; d. losurdo, Democrazia e bonapartismo: trionfo e decadenza del suf-

fragio universale, torino, Bollati Boringhieri, 1997; c. cassina, Il bonapartismo o la falsa eccezione. Napoleone III, i francesi e la tradizione illiberale, roma, carocci, 2001; p. milza, Napoléon III, paris,

perrin, 2004; e. di rienzo, Napoleone III, roma, salerno editrice, 2010; f. cardini, Napoleone

III, palermo, sellerio, 2010.

un salto di qualità nell’evoluzione delle dittature in senso moderno: si valeva infatti sia del braccio repressivo del potere, sia di un consenso demagogico e populista creato con il ricorso all’arma del plebiscito4.

accentrando tutti i poteri nelle mani del governo, la nuova costituzione rompeva definitivamente il precario equilibrio fra legislativo ed esecutivo che, nei quasi quattro anni di presidenza di luigi napoleone, aveva pro- vocato il braccio di ferro tra l’assemblea e il presidente e condotto il paese allo stallo. il voto popolare, che luigi napoleone aveva chiamato a ratifi- care tale cambiamento, aveva quindi un chiaro senso anti-parlamentare.

fin dai giorni immediatamente seguenti il 2 dicembre, il governo aveva svelato la sua natura autoritaria e violenta: il massacro dei boule-

vards aveva lasciato sbigottita persino l’opinione pubblica di stampo più

conservatore, in qualche misura incline a giustificare l’atto di forza di Bonaparte. le commissioni miste dipartimentali avevano istruito pro- cessi sommari e nell’arco di breve tempo inviato centinaia di oppositori ai ‘bagni’ di caienna e deportato in algeria o espulso dai confini della francia alcune altre migliaia di persone, fra cui sessantasei ex deputa- ti. le libertà di riunione e di associazione erano state cancellate e, nel febbraio del ’52, era stata varata la più restrittiva regolamentazione della stampa di tutto l’ottocento francese, che prevedeva per i giornali, oltre all’autorizzazione del ministero, il sistema dell’‘avvertimento’: se un arti- colo era spiaciuto al governo, ci si esponeva a ricevere un avvertimento, dopo tre di essi scattava automaticamente la chiusura del giornale.

in questo clima fortemente repressivo, montalembert avrebbe testi- moniato la sua resistenza al secondo impero usando ancora una volta l’arma irlandese. ma in questa peculiare congiuntura politica i suoi scritti avrebbero radicalmente cambiato impostazione, adottando argomenti nuovi e funzionali alla polemica antibonapartista. le opere di monta- lembert dimostravano la persistenza e l’efficacia nella cultura politica francese del momento irlandese: anche nella battaglia contro il principe- presidente l’irlanda rivelava di poter essere impiegata in maniera politica e strumentale.