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Tra povertà e conquista: l’impasse irlandese »

«se volete sapere ciò che possono produrre lo spirito di conquista, gli odi religiosi, combinati con tutti gli abusi dell’aristocrazia, senza alcuno dei suoi vantaggi, venite in irlanda»75: con questa osservazione tocqueville si congedava dalla pagina di diario sulla quale aveva fissato le impressioni che gli aveva suscitato la visita all’asilo di mendicità. il viaggio in irlanda gli aveva confermato quello che qualche anno prima, durante il soggiorno nel Basso canada, gli era sembrato un principio di portata universale: «la più grande e la più irrimediabile sventura per un

70 tocqueville, Voyages en Angleterre et en Irlande, p. 513.

71 a. de tocqueville, La Democrazia in America, a cura di m. tesini, troina, città aperta

edizioni, 2005, 2 voll., i, p. 34.

72 tocqueville, Il pauperismo, p. 122.

73 tocqueville, Voyages en Angleterre et en Irlande, p. 547. 74 Ibidem, p. 549.

popolo è quella di venir conquistato»76. in linea con una stagione storio- grafica che sul problema della conquista stava costruendo la propria fisio- nomia, ma in controtendenza rispetto a essa, che nell’epopea dei vinti aveva rintracciato il lento emergere di una nazione solo all’apparenza sconfitta, tocqueville credeva che la conquista – soprattutto se relativa- mente recente – avesse conseguenze fatali sul destino di un popolo. essa gettava sul conquistato un marchio indelebile, che lo corrompeva, che gli dava abitudini da schiavo quasi impossibili da scuotersi di dosso, fra cui ad esempio quella della menzogna che, come tocqueville annoterà a margine delle suo diario, era da sempre «le vice des malheureux et des esclaves»77. così come le circostanze della nascita influenzavano l’intera vita di un individuo o di un popolo (si pensi alla celebre metafora con cui si apriva il primo capitolo della Democrazia in America sul «point de départ» degli stati uniti), allo stesso modo la conquista protestante dell’irlanda, condotta con il ferro e con il fuoco dai soldati di cromwell e poi compiuta a colpi di confische e Penal Laws dopo la sconfitta delle milizie giacobite, assumeva agli occhi di tocqueville tutto il peso di una seconda nascita del popolo irlandese, a vita nuova ma infinitamente peggiore di quella precedente. e questo nonostante in irlanda, più che altrove, trovasse conferma un principio generale, secondo cui «quando si lascia sussistere le forme della libertà, presto o tardi essa uccide la tirannia»78. Questa a tocqueville sembrava una «vérité générale», ma anche insufficiente. le forme della libertà, il diritto di stampa, di asso- ciazione, di voto, l’habeas corpus che l’inghilterra aveva mantenuto in irlanda, circoscrivendone l’esercizio ai soli protestanti, erano state len- tamente riconquistate dai cattolici, ma non si erano rivelate sufficienti a trasformare il paese, collocato nel cuore dell’impero più potente del mondo, in un paese moderno. per quale ragione? perché la conquista – sosteneva tocqueville – come un cancro moltiplicava i riflessi della violenza originaria in ogni ambito della vita sociale, politica e religiosa, rendendo simili a sterili simulacri quelle stesse libertà che avevano fatto dell’inghilterra una delle nazioni più libere del mondo, e al cui fascino tocqueville, al pari di molti suoi contemporanei, non era indifferente. in una pagina celebre, stesa non casualmente a Kilkenny, tocqueville metteva a confronto l’aristocrazia inglese e quella irlandese per conclu- dere che si trattava di casi eccezionali: la prima aveva dato agli inglesi uno dei migliori governi al mondo, la seconda aveva prodotto in irlanda «uno dei più detestabili che si sia mai immaginato»79. a contribuire al successo dell’aristocrazia inglese avevano concorso il fatto che l’origine

76 cfr. a. de tocqueville, Voyage en Amérique, in Œuvres, i, p. 205. 77 tocqueville, Voyages en Angleterre et en Irlande, p. 1421.

78 Ibidem, p. 583.

del suo dominio «si perde nell’oscurità dei secoli passati»80, la comunanza di lingua, costumi e religione col popolo, che essa superava senza schiac- ciare, e l’interesse a unirsi a esso per opporsi al maggior potere della monarchia. viceversa, a decretare il fallimento di quella irlandese stava una conquista avvenuta «in un’epoca abbastanza recente perché i ricordi e le tracce dell’avvenimento siano ancora presenti a tutte le menti»81, sedimentatasi sul senso di superiorità derivante dal più avanzato stadio di civilizzazione intellettuale e morale dei vincitori sui vinti e inasprito da una frattura religiosa che aveva spinto il nobile non solo a disprezzare il popolo, ma a odiarlo, e indotto invece quest’ultimo non solo a detestare il primo, ma a maledirlo.

tocqueville constatava che l’irlanda, priva di piccoli proprietari, senza capacità di produrre e attirare capitali industriali, era sguarnita anche di quella classe che in inghilterra aveva permesso alla libertà di svilupparsi e al paese di prosperare. in irlanda, la conquista con il suo carico di odio, pregiudizio, fanatismo aveva creato la peggiore aristo- crazia che mai fosse apparsa sulla terra, peggiore persino di quella che aveva funestato la storia siciliana82, che assommava in sé «tutti i difetti e tutte le massime degli oppressori»83. un’aristocrazia indifferente agli obblighi della moral economy, chiusa nelle proprie magioni, immerse nel verde di parchi enormi, che nel mezzo della carestia si circondava di cani più grassi dei mendicanti che, ringhiando e abbaiando, scacciavano per aver osato chiedere un tozzo di pane. Quei cani erano per lui come il simbolo dell’assurdo sistema di distribuzione della proprietà in latifondi, principale causa di sperequazione sociale. un’aristocrazia protestante perpetuamente ostile alla popolazione cattolica e da essa radicalmente separata, miope al punto tale da non riuscire a vedere che essa stessa era inconsapevolmente responsabile di creare proprio ciò che poi dimostra- va di detestare, la nazione cattolica: «come è possibile pensare che nella condizione del paese un siffatto governo non faccia di tutti i cattolici una nazione a parte»84. se l’aristocrazia inglese, pur con i suoi difetti e la sua smodata ammirazione per il potere del denaro, era stata per toc-

80 Ibidem, p. 554. 81 Ibidem, p. 555.

82 non erano poche le analogie e le somiglianze che – nel giudizio di tocqueville –,

avvicinavano la pessima aristocrazia siciliana a quella irlandese: il latifondo incolto; il giogo oppressivo di un’aristocrazia straniera; la presenza di un’aristocrazia locale assente e sfruttatrice ma al tempo stesso svilita e avvilita; la miseria estrema dei contadini; l’assenza di un ceto medio. ed era sembrato a tocqueville che non potesse avere né autonomia né democrazia se non dalla «main sécourable» della francia o dell’inghilterra. al riguardo: cfr. a. de tocqueville, Voyage

en Sicile, in Œuvres, i, pp. 5-26; e d. thermes, Tocqueville e la Sicilia, in Sovranità, Democrazia, Costituzionalismo. atti del convegno di studi in memoria di enzo sciacca (catania, 22-24 feb-

braio 2007), a cura di f. Biondi nalis, milano, Giuffrè, 2008, pp. 255-266.

83 tocqueville, Voyages en Angleterre et en Irlande, p. 556. 84 Ibidem, p. 549.

queville anche veicolo di un’opera di modernizzazione politica e sociale a cui l’inghilterra doveva gran parte della sua fortuna, l’aristocrazia pro- testante e irlandese, mantenutasi in uno stato di perpetua separazione, alimentata dalla presunzione di appartenere a un’altra nazione, sostenuta dalla protervia di chi non aveva nulla da temere perché poteva sem- pre contare sull’appoggio di un’altra nazione, detentrice di privilegi e ricchezze a titolo così esclusivo da scoraggiare il povero dal cimentarsi in qualunque impresa economica e da spingere il ricco a chiudersi in un egoismo sempre più cieco, era divenuta impotente, come sempre accadeva, e non vi è dubbio che tocqueville pensasse in questo caso alla parabola dell’aristocrazia francese, a ogni aristocrazia che si isolava completamente dal popolo85.

la conquista era, insieme alla povertà, il motivo dominante delle note di viaggio di tocqueville. nella pagina di diario del giorno in cui aveva fatto visita prima all’asilo di mendicità e poi al trinity col- lege, egli non avrebbe dimenticato di annotare in tono caustico, che gli edifici dell’antica università irlandese, dei quali aveva rilevato lo splendore, erano stati costruiti sulle terre confiscate ai cattolici: «i padri di coloro che avevamo appena visto voltolarsi nella melma all’ospizio di mendicità»86. la conquista aveva portato con sé le confische, che, sconvolgendo il naturale rapporto fra terra, memoria e antica aristo- crazia cattolica irlandese, avevano contribuito a creare la miscela esplo- siva della situazione sociale e politica e, di fatto, dettato le condizioni dell’impasse irlandese. come thierry e come montalembert anche tocqueville assegnava al tema dei ricordi un ruolo specifico di collante sociale, giudicandoli elemento se non irrinunciabile certo prezioso del patrimonio identitario di individui e popoli87. alla terra sempre si lega- va infatti un sentimento e un capitale di ricordi, che ne facevano «un testimone immortale del passato e una garanzia preziosa dell’esistenza dell’avvenire»88. alla terra, al gusto delle antiche usanze, al rispetto degli antenati e alla memoria del passato era anche legato quel sentimento fondamentale (e a rischio di estinzione) che era il patriottismo nella sua

85 Ibidem, pp. 555-556. cfr. tocqueville, La democrazia in America, ii, p. 70. 86 tocqueville, Voyages en Angleterre et en Irlande, p. 518.

87 «la contea americana ha molte analogie con il circondario in francia. come per quest’ul-

timo ne è stata tracciata infatti arbitrariamente la circoscrizione; essa, inoltre, forma un corpo le cui diverse parti non hanno tra loro legami necessari e al quale non si ricollegano né affezioni, né ricordi, né una comunità di vita»: tocqueville, La democrazia in America, i, p. 79.

88 «la famiglia rappresenta la terra; la terra rappresenta la famiglia: ne perpetua il nome,

l’origine, la gloria, la potenza, le virtù. È un testimone immortale del passato e una garanzia pre- ziosa dell’esistenza dell’avvenire». e ancora: «se togliete ai proprietari terrieri un vivo interesse a conservare la terra in termini di sentimento, patrimonio di ricordi, orgoglio e ambizione, presto o tardi, quasi sicuramente la venderanno»: ibidem, i, p. 56 e p. 57.

forma originaria e meno ragionata89, anche per questa ragione avrebbe riconosciuto nell’aristocrazia protestante, insediatasi su terre che erano lungamente appartenute ad altri, e perennemente assente (l’assentei- smo dei landlords era l’altra spina nel fianco dell’economia irlandese), la peggiore aristocrazia del mondo. i grandi latifondisti protestanti irlan- desi, che spendevano al di fuori del paese tutte le ricchezze depredate in irlanda, altro non erano che l’ideal-tipo di quei cittadini europei, stigmatizzati nella Democrazia in America, completamente indifferenti alle sorti del loro paese e, non a caso definiti ‘coloni’: «vi sono nazioni europee in cui ogni abitante si considera una specie di colono, indiffe- rente alla sorte del luogo che abita»90.

nell’analisi di tocqueville la conquista produceva una polverizzazio- ne sociale sui generis rispetto a quella che attendeva al varco le società democratiche. l’autore che forse più di chiunque altro avrebbe svi- scerato il problema dell’individualismo nella società moderna, il tema dell’assenza dei legami sociali, e ricondotto parte della sua riflessione sulla fine della società aristocratica a una meditazione sull’estinguersi dei legami sociali nella società democratica moderna91, non poteva restare indifferente di fronte alla peculiare declinazione che la frammentazione sociale assumeva nel quadro delle società conquistate. anche l’incepparsi del meccanismo della carità privata, che in irlanda più che altrove avreb- be dovuto essere mantenuto, considerata la portata devastante della sua miseria, andava a giudizio di tocqueville imputato all’odio che la con- quista portava con sé. con una punta d’ironia amara, egli aveva rilevato, dopo aver ascoltato durante il sermone domenicale un ministro del culto protestante rassicurare i fedeli che i fondi raccolti durante la funzione non sarebbero stati impiegati ad alleviare le miserie dei papisti ma solo quelle degli anglicani: «me ne vado pensando che una così circoscritta carità non sarà certo la rovina della congregazione»92.

se l’irlanda era il lato oscuro dell’inghilterra, con quella sua aristocra- zia che negava in tutto e per tutto i pregi che ad essa andavano storica- mente riconosciuti, per tocqueville essa poteva anche rappresentare il rovescio dell’america. oltre oceano tutto aveva concorso a creare una situazione tanto anomala quanto ricca di elementi positivi; in irlanda ogni cosa aveva cospirato contro il corretto funzionamento della società

89 «esiste un amor di patria che ha principalmente la sua fonte in quel sentimento istintivo,

disinteressato e indefinibile, che lega il cuore dell’uomo ai luoghi in cui è nato. Questo amore istintivo si lega al gusto per le antiche usanze, il rispetto degli antenati e la memoria del passato»:

ibidem, i, p. 282.

90 Ibidem, i, p. 108.

91 Ibidem, i, p. 136; sul tema cfr. s. chignola, Fragile cristallo: per la storia del concetto di

società, napoli, editoriale scientifica, 2004, pp. 412-432 e m. Battini, L’ordine della gerarchia,

pp. 120-132.

e della politica. là tocqueville aveva visto il fenomeno di chiese indi- pendenti dallo stato, qui un luogo,

ove la religione non sembra attingere le forze che che nelle passioni che essa dovrebbe combattere e non sussistere che per impedire agli odi di essere dimenticati e agli uomini di stabilire quella fraternità che essa stessa loro inces- santemente predica93.

convinto che la religione dovesse mantenere una posizione centrale nelle società, a maggior ragione in quelle democratiche94, tocqueville si guardava bene dal credere che tale centralità dovesse approdare alla creazione di stati confessionali. lo avrebbe affermato in modo chiaro, forse in dialogo silenzioso con montalembert nel secondo volume della

Democrazia in America, dichiarando:

Quanto alle religioni di stato ho sempre pensato che se a volte esse possono servire momentaneamente gli interessi del potere politico presto o tardi diven- tano sempre fatali alla chiesa. non sono neppure fra coloro che, per risollevare la religione agli occhi del popolo, e mettere in onore lo spiritualismo che essa professa, ritengono giusto accordare indirettamente ai suoi ministri un’influen- za politica che la legge ricusa loro95.

pur nella sincera ammirazione che aveva provato per i preti cattolici irlandesi, esempi viventi di come una fede possa essere più libera e forte se disancorata da pesanti condizionamenti politici ed ecclesiastici, toc- queville, che li aveva seguiti nelle lunghe e faticose giornate a soccorso degli ultimi, restando favorevolmente colpito dalla loro fede operosa, dalla carità sollecita, dalla vicinanza reale che avevano nei confronti del loro gregge, aveva presagito con un certo timore una possibile inversio- ne di ruoli fra chiesa protestante e cattolica. dopo essersi intrattenuto con il vescovo cattolico di Kilkenny, aveva scritto sul diario:

regna nel suo linguaggio un certo tono di trionfo che preannuncia il capo di un partito che arriva al potere dopo essere stato lungamente oppresso. credo sia del tutto sincero nel volere che la chiesa non sia nello stato, ma non so se al fondo non pensi che lo stato starebbe assai bene nella chiesa96.

93 Ibidem, p. 556.

94 cfr. a. antoine, L’impensé de la démocratie. Tocqueville, la citoyenneté et la religion, paris,

fayard, 2003; r. pozzi, Democrazia e religione, in id., Tocqueville e i dilemmi della democrazia, pp. 35-56; p. thibaud, Rousseau-Tocqueville, un dialogue sur la religion, in Tocqueville et l’esprit de la

démocratie, a cura di l. Guellec, paris, presses de science politique, 2005, pp. 319-336; l. Jaume, Le metamorfosi del “religioso” in Tocqueville, «filosofia politica», XXiv (2010), 2, pp. 221-231.

95 tocqueville, La democrazia in America, ii, p. 174. 96 tocqueville, Voyages en Angleterre et en Irlande, p. 538.

montalembert aveva riportato con ammirazione ai lettori de «l’ave- nir» la situazione desiderabile che esisteva in irlanda: una chiesa al tempo stesso separata dallo stato ma investita di un potere realmente teocratico; tutto ciò suonava a tocqueville come una minaccia. con preveggenza, egli paventava per l’irlanda la fine di uno stato confessio- nale, quello protestante, e l’istituzione di un altro stato confessionale, ma cattolico, non più desiderabile di quello che lo aveva preceduto, così come il dispotismo di molti non gli sembrava meno temibile di quello di uno solo.

Quello che montalembert aveva ammirato in irlanda, tocqueville l’aveva trovato nelle libere chiese d’america, fra quei ministri del culto che, tenendosi in disparte dagli affari pubblici fornivano «l’esempio più ammirevole ma non l’unico della loro discrezione»97. tocqueville usava la stessa identica espressione impiegata da montalembert, «esempio ammirevole», per segnalare i vantaggi del fenomeno diametralmente opposto, sebbene dimostrasse su altri punti di condividere invece le tesi di montalembert. ad esempio sottolineava infatti a sua volta i pregi del sistema di remunerazione volontaria del clero e si soffermava a più riprese sui pro e i contro del sistema educativo irlandese98.

con quel realismo che lo contraddistingueva, tocqueville non aveva chiuso gli occhi, al contrario di montalembert, sull’irlanda non cattolica, si era cioè rifiutato di considerare i protestanti di origine inglese e i dissenters di origine scozzese come estranei sul suolo irlan- dese. di conseguenza, finiva per vedere in irlanda una società che non poteva reggersi. anzi, a stento avrebbe ammesso che vi fosse in irlan- da una società tout court, dal momento che, come aveva scritto nella

Democrazia in America, «una società esiste soltanto quando gli uomini

considerano un gran numero di questioni dallo stesso punto di vista; quando hanno le stesse opinioni su un gran numero di argomenti; quando infine gli stessi fatti suscitano in loro le stesse impressioni e gli stessi argomenti»99. l’irlanda, che fin dalla prima impressione gli era parsa come un paese «diviso nella maniera più radicale tra due partiti, che sono nello stesso tempo religiosi e politici»100, era una società priva del calore della carità, ma infiammata dall’odio religioso. un luogo dove anche l’amministrazione della giustizia sembrava essere un’im-

97 tocqueville, La democrazia in America, ii, p. 35: «ho descritto nel mio primo libro come

i preti americani si tenessero in disparte dagli affari pubblici. Questo è senz’altro l’esempio più ammirevole ma non l’unico della loro discrezione».

98 sul tema, s. chabot, Éducation civique, instruction publique et liberté de l’enseignement dans

l’œuvre de Alexis de Tocqueville, in Tocqueville et l’esprit de la démocratie, pp. 241-293.

99 tocqueville, La democrazia in America, i, pp. 449-450; sul tema, cfr. f. mélonio, L’idée

de nation et l’idée de démocratie chez Tocqueville, «littérature et nation», Xi (1991), 7, pp. 5-24.

100 cfr. la già citata lettera di tocqueville alla cugina, contessa di Grancey, 26 luglio 1835,

presa impossibile, in ragione del disprezzo e del rancore che divideva i suoi abitanti e dove pareva una chimera il rispetto dei diritti, quei diritti senza i quali non sussiste un grande popolo e nemmeno la socie- tà101. un paese dove la legge serviva «a distruggere ciò che essa dovreb- be proteggere, la violenza a proteggere ciò che essa cerca altrove di distruggere»102, con la conseguenza che i pilastri sui quali nell’opinione di tocqueville andava fondata una società ben ordinata, il rispetto della legge e il buon funzionamento di tribunali indipendenti dal potere politico, erano pressoché assenti.

più con sincero stupore che con tono di severa condanna, l’irlanda appariva a tocqueville una «singolare mescolanza di religione e di scel- leratezza, di rispetto nella santità del giuramento alla base di ogni società e di disprezzo per tutte le leggi della società»103.

l’impasse che essa fronteggiava era così radicale da spingere il liberale tocqueville verso la tentazione di guardare a uno strumento illiberale come la dittatura al fine di superarlo. egli avrebbe infatti domandato ai suoi interlocutori irlandesi: «non pensate che una dittatura temporanea, esercitata in maniera ferma e illuminata [éclairée] come quella di Bonapar- te dopo il 18 Brumaio, sarebbe il solo mezzo di salvare l’irlanda?»104.

per quanto strano possa sembrare, colui che, nel discorso tenuto nell’aprile del 1842 all’Académie Française (come di rito pronunciato a memoria del predecessore sul relativo seggio: in questo caso, un abba- stanza oscuro funzionario dell’epoca napoleonica), rivolgerà a napoleo- ne la pesante imputazione di aver sottratto ai francesi non solo la libertà, ma anche «il desiderio della libertà»105, avrebbe in un paio di occasioni posto ai suoi interlocutori irlandesi la domanda se per risolvere l’intricata