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3. Quando le cose cambiano: attualità della funzione delle biblioteche

3.1 Conoscere la conoscenza: il contributo delle biblioteche

Di fronte al flusso di informazioni in grado di alimentare incessantemente uno spazio comunicativo oramai saturo di conoscenze registrate dove sembrano avere la meglio frammentazione, decontestualizzazione e disgiunzione, Edgar Morin, riconosce la necessità di individuare un principio fondamentale in grado di orientare i processi educativi del futuro: “conoscere la conoscenza”, secondo la nota formula espressa in più occasioni del sociologo francese, non equivale soltanto ad un possibile e significativo progresso in campo scientifico ed epistemologico,683 ma comporta soprattutto una dinamica di «integrazione di chi conosce nella sua

conoscenza»,684 poiché «nella conoscenza, le attività auto osservatrici devono essere inseparabili dalle attività osservatrici, le autocritiche inseparabili dalle critiche, i processi riflessivi inseparabili dai processi di oggettivazione».685

In base a tali considerazioni, le biblioteche potrebbero così collocarsi su due fronti complementari: in primis, come teorizzato da Jesse Shera, in quanto luogo di osservazione o modello ambientale ideale per studiare e comprendere il comportamento informativo delle persone.686 In questo particolare caso, esse potrebbero rappresentare un setting idoneo per lo studio delle problematiche legate all’information overload: infatti, benché le biblioteche possano essere considerate principalmente un valido ausilio nei processi di ricerca documentaria, da più parti è stata manifestata l’esigenza di sviluppare degli strumenti in grado di fornire un primo orientamento all’interno delle istituzioni bibliotecarie stesse, caratterizzate sovente da un elevato livello di complessità, in quanto vero e proprio crocevia di informazioni provenienti da ogni luogo e codificate in qualsiasi forma.687 Per descrivere la sensazione di disorientamento esperita dall’utenza di fronte alla ricchezza informativa offerta dalle biblioteche, nel corso degli anni ottanta del secolo scorso, la studiosa di scienze bibliografiche Constance Mellon ha inaugurato un innovativo filone di studi incentrato sul problema della cosiddetta “ansia da biblioteca”: secondo l’autrice, la sgradevole sensazione di impotenza che colpisce fino all’85% dei soggetti inesperti che si recano in una biblioteca per soddisfare un proprio bisogno informativo,688 può essere ascritta principalmente a quattro fattori, quali la vastità e la complessità dell’ambiente, la scarsa attitudine dimostrata nel localizzare i documenti, ed infine l’incapacità di individuare una chiara strategia con cui dar inizio ad una ricerca e con cui pianificare le azioni successive.689 Mentre

684 Idem, I sette saperi…, op. cit., p. 31. 685 loc. cit.

686 SHERA, Libraries and the organization…, op. cit., p. 29.

687 Andrea CAPACCIONI, Gabriele DE VERIS, Biblioteche. Una bussola per non perdersi, Roma, Armando, 1996, p. 17.

688 Constance A. MELLON, Library anxiety: a grounded theory and its development, “College & Research Libraries”, 1986, vol. 47, n. 2, p. 160–165 (162).

Heather Carlile ribadisce ulteriormente l’importanza di condizioni quali la dimensione della biblioteca, la complessità dei criteri di organizzazione delle raccolte, e l’eccesso quantitativo di fonti consultabili contemporaneamente, nel favorire le sensazioni di sconforto degli utenti,690 Joel e Mary Rudd, allo scopo di chiarire i meccanismi cognitivi sottesi alla dinamica del sovraccarico informativo, suggeriscono l’osservazione dei comportamenti esibiti spontaneamente proprio dagli utenti delle biblioteche, nel tentativo individuale di ridurre gli effetti indesiderati conseguenti al fenomeno dell’information overload: la necessità di ricorrere a semplici euristiche di pensiero in grado di semplificare il compito di selezione delle fonti, la tendenza a parcellizzare le informazioni in blocchi decontestualizzati o al contrario a ricondurre ad un’unica unità documentaria ciascun oggetto di conoscenza senza cogliere la profondità dei legami tra documenti, la pretesa irrealistica di ottenere informazioni pertinenti e di qualità dedicando alla ricerca una quantità di tempo e di risorse cognitive spesso insufficiente, ed infine la propensione ad acquisire in modo passivo ed informale i contenuti informativi, magari relegando a figure specializzate la gravosa operazione di filtraggio delle fonti, rappresentano soltanto alcune tra le scorciatoie, non sempre funzionali, intraprese dai lettori, che possono essere facilmente analizzate all’interno del contesto bibliotecario.691 Privilegiando nuovamente un modello di

ricerca olistico e realistico, orientato all’osservazione naturalistica del comportamento informativo,692 Reijo Savolainen è riuscito tuttavia a ricondurre a due sole tipologie le modalità maggiormente diffuse di gestione del sovraccarico informativo da parte dei lettori: secondo lo studioso finlandese è infatti possibile riconoscere rispettivamente una strategia di filtraggio, particolarmente centrata sui contenuti veicolati dai documenti, e caratterizzata da tentativi costanti di

690 Heather CARLILE, The implications of library anxiety for academic reference services: a review of the literature, “Australian Academic & Research Libraries”, 2007, vol. 38, n. 2, p. 129-147 (133-

134).

691 Joel RUDD, Mary J. RUDD, Coping with information load: users strategies and implications for librarians, “College & Research Libraries”, 1986, vol. 47, n. 4, p. 315-322 (317-320).

692 Tom D. WILSON, On user studies and information needs, “Journal of Documentation”, 2006, vol. 62, n. 6, p. 658-670 (666).

eliminazione di informazioni ritenute inutili all’interno delle fonti che si è deciso di utilizzare, ed una seconda strategia più incline all’evitamento della complessità ambientale, finalizzata piuttosto alla riduzione quantitativa delle fonti informative a cui i soggetti sono in grado di accedere quotidianamente;693 l’autore sottolinea inoltre che entrambe le strategie difficilmente si manifestano in modo isolato ed univoco, e che pertanto è più probabile attendersi una sorta di combinazione tra le due, seppure in proporzioni di volta in volta variabili.694 Infine, l’ansia da biblioteca ed il suo evidente legame con l’eccesso quantitativo di informazioni, sono stati posti in relazione con variabili di tipo demografico695 e con la presenza di differenze individuali nella capacità di pensiero critico: all’interno di un interessante e recente progetto di ricerca, i dati hanno infatti evidenziato una significativa correlazione tra una scarsa attitudine nelle situazioni di problem-solving e di decision-making (o comunque dove venga richiesto l’utilizzo di un pensiero di tipo analitico e sistematico), e l’emergere di sensazioni di inadeguatezza e frustrazione, in seguito allo svolgimento di una sessione di ricerca e valutazione documentaria.696

Per quanto riguarda la seconda possibilità, di cui si è fatto soltanto breve cenno all’inizio del presente paragrafo, le biblioteche potrebbero, in modo complementare, divenire luogo di apprendimento per l’utenza, accanto ad altre istituzioni, di strategie efficaci per la gestione del sovraccarico informativo odierno: in questo caso l’istituzione bibliotecaria assumerebbe la funzione ben descritta da Christine Bruce di rappresentazione microscopica e controllata delle caratteristiche del mondo dell’informazione, o di contesto facilitato in cui acquisire, attraverso un supporto istituzionale, le modalità per poi affrontare agevolmente ed autonomamente qualsiasi sistema informativo ben oltre i ristretti confini della

693 Reijo SAVOLAINEN, Filtering and withdrawing: strategies for coping with information overload in everyday contexts, “Journal of Information Science”, 2007, vol. 33, n. 5, p. 611-621

(617-618). 694 Ibidem, p. 619.

695 Nahyun KWON, Anthony J. ONWUEGBUZIE, Linda ALEXANDER, Critical thinking disposition and library anxiety: affective domains on the space of information seeking and use in academic libraries, “College & Research Libraries”, 2007, vol. 68, n. 3, p. 268-278 (268).

biblioteca.697 In modo analogo, i già citati Mark Alfino e Linda Pierce indicano le potenzialità formative inscritte nella natura stessa delle biblioteche, che, fornendo un ambiente controllato ma particolarmente ricco di oggetti di conoscenza, permettono agli utenti non soltanto di sperimentare un’evoluzione nella propria capacità di condurre una ricerca informativa all’interno di un contesto complesso, ma anche di sperimentare direttamente un progressivo senso di autoefficacia ed autonomia:698 un aspetto quest’ultimo, che gli autori non tardano a definire come una vera e propria dimensione etica legata all’attività di ricerca bibliografica.699 La medesima attenzione per gli aspetti etici, relativi alle caratteristiche e alle condizioni dei servizi offerti dalle biblioteche, si può cogliere rispettivamente nelle riflessioni di Carmel O’Sullivan, secondo la quale i benefici di un’adeguata alfabetizzazione informativa finiscono col riflettersi in un benessere individuale e sociale in grado di estendersi ben oltre il perimetro di ogni singola biblioteca,700 e nelle considerazioni di Elizabeth Anne Buchanan che riconosce a questo tipo di istituzione, all’interno del regime di sovrabbondanza documentaria offerto dalla società dell’informazione, un ruolo di primo piano nell’opera di demercificazione e democratizzazione dei flussi informativi:701 in tutti i casi appena menzionati, è importante notare la piena consapevolezza delle autrici e degli autori circa le specificità dell’universo comunicativo attuale. Mentre, in accordo con le perplessità espresse da Armando Petrucci, appare legittimo avanzare qualche ipotesi circa l’avvenire della lettura a fronte di una sempre più evidente «dissoluzione dell’ordine del leggere, proprio della cultura scritta occidentale, sia sul piano del repertorio, sia sul piano delle pratiche di uso e di conservazione»,702 affinché gli

697 BRUCE, The seven faces…, op. cit., p. 23-24.

698 ALFINO, PIERCE, The social nature…, op. cit., p. 481. 699 loc. cit.

700 Carmel O’SULLIVAN, Is information literacy relevant in the real world?, “Reference Services Review”, 2002, vol. 30, n. 1, p. 7-14 (12).

701 Elizabeth Anne BUCHANAN, Ethical transformations in a global information age, “Technical Services Quarterly”, 1996, vol. 13, n. 3-4, p. 23-38 (36).

702 Armando PETRUCCI, Leggere per leggere: un avvenire per la lettura, in Storia della lettura nel mondo occidentale, a cura di Guglielmo Cavallo e Roger Chartier, Roma-Bari, Laterza, 2009, p.

individui non siano rapportati a semplici processori di informazioni,703 ed affinché i fenomeni umani di lettura e di produzione dei testi non corrano il rischio di deteriorarsi in un banale ed insignificante rituale,704 ancora una volta le biblioteche sembrano poter esercitare la propria fondamentale opera di mediazione informativa: una funzione che secondo Joan Durrance e Karen Fisher non deve essere affidata soltanto alla buona volontà del singolo professionista, ma che richiede lo sviluppo di un corpus scientifico sempre aggiornato, la cui validità non può essere ricondotta a semplici ed immediate misurazioni quantitative finalizzate al conteggio del numero di transazioni con l’utenza, ma che deve essere garantita piuttosto dallo studio di modelli articolati in grado di cogliere ed interpretare le più minuziose sfumature del comportamento informativo, per un beneficio dei lettori nel lungo periodo.705

703 Hannelore B. RADER, User education and information literacy for the next decade: an international perspective, “Reference Services Review”, 1996, vol. 24, n. 2, p. 71-76 (71).

704 Orrin E. KLAPP, Meaning lag…, op. cit., p. 61.

705 Joan C. DURRANCE, Karen E. FISHER, Determining how libraries and librarians help, “Library Trends”, 2003, vol. 51, n. 4, p. 541-570 (565).

3.2 Una proposta: la biblioteca di pubblica lettura come spazio