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“Percepire la parte di irrealtà in ogni cosa, segno incontestabile che si sta avanzando verso la verità… 446”.

“Gli occhi non vedono niente. Katharina Emmerich ha ragione quando dice di vedere

con il cuore! E se il cuore è la vista dei santi,

come potrebbero non vedere più lontano di noi? L'occhio ha un campo ristretto, vede sempre dall'esterno. Ma poiché il mondo è all'interno del cuore, l'introspezione è l'unico metodo per approdare alla conoscenza. Il campo visivo del

444 Ivi, p. 22. 445 Sillogismi, p. 52. 446 Quaderni, p. 18.

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cuore? Il Mondo, più Dio, più il nulla. Cioè tutto447

“Per scorgere l’essenziale non bisogna esercitare alcun mestiere. Restare tutto il giorno distesi, e gemere…

”.

448

”.

“In nessuna chiacchiera sulla Conoscenza, in nessuna Erkenntistheorie, di cui tanto si sciacquano la bocca i filosofi, tedeschi o no, vi imbatterete nel minimo omaggio alla Fatica in sé, lo stato più adatto a farci penetrare fino al fondo delle cose. Quell’oblio o quell’ingratitudine discredita definitivamente la filosofia449”.

Ciò che merita di essere conosciuto, l’unico sapere per cui vale la pena soffrire è quello che ricerca la visione delle cose quali sono, la visione dell’essenziale. “La mia missione è di vedere le cose quali sono. Tutto il contrario di una missione...450”, scrive Cioran in Confessioni e anatemi. Una missione richiede convinzioni, pregiudizi, scopi: richiede il rifugio di una fede. La conoscenza, secondo Cioran, si colloca invece agli antipodi della missione in quanto si qualifica per il suo porsi allo scoperto, per il suo distruggere “il confortevole rifugio dell’esistenza falsa451”, cioè per la sua portata negativa, per la sua distruzione dei simulacri con cui l’uomo commercia quotidianamente: “Conoscere, volgarmente, è ricredersi su qualcosa; conoscere, in assoluto, è ricredersi su tutto. L'illuminazione rappresenta un passo oltre: è la certezza che non ormai non si sarà più vittime dell'inganno, è un ultimo sguardo sull'illusione452

447

Lacrime, p. 15.

”. Ricredersi, cioè abbandonare le proprie credenze, quelle credenze, quei dogmi che permettono all’esistenza di conservarsi, se non di prosperare. E che permettono all’uomo di prosperare in essa, di avere successo: abbiamo già visto come per Cioran solo il fallimento sia motivo di progresso spirituale, di un progresso in direzione dell’irrealtà. Per colui che trionfa nell’esistenza, per il vincente – o più semplicemente

448 Confessioni, p. 37. 449 Ivi, p. 53.

450 Confessioni, p. 61. 451 Sommario, p. 31. 452 Confessioni, p. 60.

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per l’uomo comune, per il lavoratore – i simulacri che la conoscenza cioraniana fa saltare in aria sono la realtà, fuori da ogni discussione. La vita prospera all’ombra della mistificazione, del pregiudizio, della prospettiva, nel senso propriamente nietzschiano del termine: “Impossibile accedere alla verità tramite opinioni, giacché ogni opinione non è che un punto di vista folle sulla realtà453”. Pur considerando le opinioni preferibili alle convinzioni454, tipiche del credente, del fedele, – del fanatico –, Cioran afferma che per cogliere l’essenziale è necessario estromettersi da tutto, non partecipare all’inganno che perpetua il mondo, negare il culto dell’atto e del lavoro. “Per scorgere l’essenziale non bisogna esercitare alcun mestiere. Restare tutto il giorno distesi, e gemere…455”. Cercare cioè il bianco dei punti di vista: “È libero colui che ha riconosciuto l’inanità di ogni punto di vista, è liberato colui che ne ha tratto le conseguenze456”. Se Cioran è in grado di sfuggire agli equivoci connaturati all’umano, “lo deve a un’osservazione delle cose intatta non solo dall’ideologia ma anche dal semplice gioco delle idee, cioè all’assenza del punto di vista: questo significa, indubbiamente, porsi al di fuori di tutto, negarsi al conforto delle superstizioni umanistiche, condannarsi all’impossibilità d’una qualunque scelta; ma esiste un altro modo di decifrare, descrivere e giudicare, senza falsarlo quell’universo della contaminazione totale che sono la politica e la storia?457” – noi potremmo aggiungere, anzi riassumere, quell’universo della contaminazione totale che è la vita. Ma cosa significa qui propriamente “assenza del punto di vista”? Coincide con l’assenza di prospettiva, intesa nell’accezione nietzschiana? Perché se fosse questo il caso non potremmo accettare tale affermazione. Crediamo, però, che il discrimine sia legato proprio alla differenza che incorre tra i due termini apparentemente sinonimici. Ricordiamo di aver già sottolineato questa scarto terminologico nel capitolo precedente458

453 Squartamento, p. 98.

in merito all’azione frivola e funebre dello spirito: per 'punto di vista' intendevamo propriamente l’operazione metaforizzante messa in opera dallo spirito stesso all’interno del meccanismo del linguaggio, al fine di rendere condivisibile l’esperienza individuale, altrimenti e costitutivamente incomunicabile. È il meccanismo che presiede alla formazione innanzitutto del concetto, in secondo luogo

454

“Opinioni, sì; convinzioni, no. Questo è il punto di partenza dell'orgoglio intellettuale.”: in Confessioni, p. 111.

455 Ivi, p. 37.

456 L’inconveniente, p. 87.

457 M.A. Rigoni, In compagnia di Cioran, cit., pp. 26-27. 458 Cfr. paragrafo 1.3 del presente elaborato.

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della logica e infine dei valori che devono regolare l’esistenza459 e che regolano, al contempo, il gioco delle idee. Per 'prospettiva' intendevamo, invece, il modo, personale e irriducibile, con cui ognuno di noi guarda al mondo come al proprio mondo – appunto dalla sua prospettiva – e che, al limite, può anche esulare dalla comunicazione. Prospettiva che è consapevole di essere tale, che non si arroga diritti di universalità, ma comprende la propria parzialità necessaria, la propria ingiustizia nei confronti del tutto. Il punto di vista di contro, proprio perché metafora, guarda al mondo come se egli riassumesse l’insieme delle prospettive sul mondo, cioè come se fosse la prospettiva sul mondo, l’unica esatta, l’unica giusta, obliando in questo modo la sua verità – ossia la sua parzialità – e imparando “proprio attraverso questa incoscienza, proprio attraverso questo oblio460

459 F. Nietzsche, Su verità e menzogna in senso extramorale, cit., p. 234: “Tutto ciò che distingue l’uomo

dall’animale dipende da questa capacità di sminuire le metafore intuitive in schemi, cioè di risolvere un’immagine in un concetto. Nel campo di quegli schemi è possibile cioè qualcosa che non potrebbe mai riuscire sotto il dominio delle prime impressioni intuitive: costruire un ordine piramidale, suddiviso secondo caste e gradi, creare un nuovo mondo di leggi, di privilegi, di subordinazioni, di delimitazioni, che si contrapponga all’altro mondo intuitivo delle prime impressioni come qualcosa di più solido, di più generale, di più noto, di più umano, e quindi come l’elemento regolatore e imperativo”.

” la verità. Ora, è impossibile che ognuno di noi sfugga alla propria prospettiva in quanto corrispondere ad essa, in qualche maniera, significa incarnare il proprio destino, la propria legge: non è in nostro potere sottrarci, almeno nella visione cioraniana, ad essa. Altrettanto impossibile è compiere un salto all’esterno della metafisica, cioè estromettersi completamente da quel meccanismo di formazione di concetti e di gerarchie assiologiche, in quanto connaturate all’uso della parola. Non è però impossibile – seppur difficile – opporsi ad essa. In Cioran questa resistenza si declina in svariati modi: abbiamo già visto come la lucidità sia, ad esempio, un modo per smascherare gli artifici messi in opera dallo spirito al fine di conservare la vita e di non permettere che si ponga in dubbio la realtà anch’essa metaforica dell’identità personale; vedremo come l’opposizione cioraniana all’astrazione si declinerà in una negazione spasmodica del sistema o come egli inoculi il germe del silenzio all’interno della parola al fine di minacciarla, per non parlare dell’accesso a modi di comunicazione insospettabili e esterni alla gabbia del concetto. Nel caso specifico, invece, Cioran si oppone al gioco delle idee – gioco di guerra, gioco che cela in sé la violenza (ci torneremo fra poco) – cercando appunto, dalla sua prospettiva, l’assenza dei punti di vista, esercitando quella che egli chiama facoltà di indifferenza. Ora sì che possiamo

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concordare con quanto scritto da Mario Andrea Rigoni in Contaminazione totale. Cerchiamo di spiegare cosa, a nostro avviso, sostiene qui Cioran. In un’intervista461 Cioran sostiene che la degenerazione del pensiero sia

“Inevitabile. Perché non appena si concepisce un’idea, le ci si affeziona, si è contenti di averla avuta. È il lato salottiero delle idee. Ma per il pubblico, per la massa, in fondo per tutti un’idea inevitabilmente si anima. Vi si proietta tutto, dato che tutto è affettivo. A Parigi c’è un filosofo rumeno, che si chiama Lupasco, il quale identifica l’affettività con l’Assoluto. Dal momento che c’è l’affettività, e la si proietta nelle idee, ogni idea rischia di diventare passione, e quindi un pericolo. È un processo assolutamente fatale. Non esistono idee completamente neutrale, perfino i logici sono passionali. A questo proposito devo fare una piccola osservazione. Tutti i filosofi che ho conosciuto nella mia vita erano persone profondamente passionali, impulsive ed esecrabili. Da loro ci si aspetterebbe, per l’appunto, una sorta di neutralità. Invece posso affermare […] che tutti erano dei passionali, e segnati dall’affettività. Quindi, se quelli che dovrebbero rimanere in uno spazio ideale o concettuale contaminano l’idea, se scivolano nella passione proprio quelli che dovrebbero esserne distaccati, come vuole che faccia la massa? Che cos’è l’ideologia, in fondo? La congiunzione dell’idea con la passione. Da qui deriva l’intolleranza. Perché l’idea in se stessa non sarebbe pericolosa. Ma non appena vi si aggiunge un po’ di isteria è la fine. Su questo si potrebbe parlare all’infinito, senza approdare a nulla462”.

Il problema dunque è il “lato salottiero delle idee”, è il considerarle come una propria opera, è il proiettarvi l’affettività. Quell’affettività che Cioran, seguendo Lupasco, identifica con l’Assoluto e da cui nessuno, nemmeno coloro che si pretendono tali – cioè i filosofi – è immune. Cioran ribadisce queste affermazioni nel poéme con cui apre il Sommario intitolato Genealogia del fanatismo:

“In se stessa ogni idea è neutra, o dovrebbe esserlo; ma l’uomo la anima, vi proietta i propri ardori e le proprie follie; impura, trasformata in convinzione, essa si inserisce nel tempo, assume forma di evento: il passaggio dalla logica all’epilessia è compiuto… Nascono così le ideologie, le dottrine e le farse cruente463”.

461 Intervista con Léo Gillet, cit.. 462 Apolide, pp. 72-73.

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Ricordiamo cosa sosteneva lo stesso Cioran riguardo alle convinzioni: “Opinioni, sì; convinzioni, no. Questo è il punto di partenza dell'orgoglio intellettuale464”. Le opinioni, infatti, pur non accedendo all’essenziale, come abbiamo sottolineato poco sopra, sono pur sempre preferibili alle convinzioni che intaccano, imputridiscono la presunta purezza originaria di ogni idea. Sono poi le convinzioni, quindi le idee contaminate dagli ardori e dalle follie dell’uomo ad assumere “forma di evento”, ad inserirsi nel tempo, a compiere il passaggio dalla logica (idealizzata, in quanto nemmeno tra i logici è possibile la neutralità assoluta) all’epilessia, alle convulsioni di “una razza che scoppia di ideale465”.

“Idolatri per istinto, noi convertiamo in Incondizionato gli oggetti dei nostri sogni e dei nostri interessi. La storia non è che una sfilata di falsi Assoluti, una successione di templi innalzati a dei pretesti, un avvilimento dello spirito dinanzi all’Improbabile. […] Perda l’uomo la propria facoltà di indifferenza: diverrà virtualmente assassino; trasformi la sua idea in dio: le conseguenze saranno incalcolabili. […] Quando ci si rifiuta di ammettere l’intercambiabilità delle idee, scorre il sangue… Sotto le risoluzioni ferme si leva un pugnale. Gli occhi ardenti preannunciano l’assassinio. Lo spirito esitante, preso da amletismo, non è mai stato dannoso466”.

Eccoci giunti a quella facoltà di indifferenza di cui abbiamo parlato poco sopra: si tratta di ammettere l’intercambiabilità delle idee, la medesima inanità da parte di tutte le idee. L’uomo, idolatra per istinto, invece converte in Assoluto gli oggetti dei propri sogni e dei propri interessi: egli ha da sempre perduto la facoltà di indifferenza, l’ha perduta insieme al Paradiso, luogo, come abbiamo sostenuto nel paragrafo precedente, della scienza che ignora se stessa, dell’eterno presente, dell’assenza della morale: “Che cos’è la Caduta se non la ricerca di una verità e la sicurezza di averla trovata, se non la passione per un dogma, l’insediamento di un dogma? Da ciò deriva il fanatismo, tara capitale che dà all’uomo il gusto dell’efficacia, della profezia, del terrore467

464 Confessioni, p. 111.

”. La Caduta è questa perdita, perdita che rende assassini, e la ricerca e l’insediarsi di una verità esclusiva e indimostrabile; è il dominio del dogma, è la passione per le idee trasformate in déi, personali e terribili, che esigono obbedienza assoluta e incondizionata. “Un

465 Sommario, p. 14. 466 Sommario pp. 13-14. 467 Ivi, pp. 14-15.

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essere che sia posseduto da una convinzione e non cerchi di comunicarla agli altri è un fenomeno estraneo alla terra, dove l’ossessione della salvezza rende la vita irrespirabile468”. Questo è il clima nel mondo della Caduta. “Vi si sottraggono solo gli scettici (o i fannulloni e gli esteti), perché non propongono nulla, perché – veri benefattori dell’umanità – ne distruggono i partiti presi e ne analizzano il delirio469”. La facoltà di indifferenza, l’assenza del punto di vista, il sottrarsi al gioco delle idee e ancor più significativamente a quello delle ideologie significa rifiutarsi alla scelta, evitare di prendere partito in quanto ogni risoluzione ferma nasconde una minaccia di morte e di assoggettamento. “Non aver mai l’occasione di prendere posizione, di decidersi o di definirsi: non c’è voto che io faccia più spesso di questo.470”, scrive Cioran in Storia e utopia. Significa conformarsi alla saggezza crepuscolare, alla superba inutilità dei fannulloni, degli esteti e degli scettici, di coloro che, proprio in quanto non propongono nulla, si adoperano alla dissoluzione dei partiti presi e all’analisi del delirio dell’uomo attivo. Lo scetticismo, il dubbio congenito, quasi un fatum che intacca ogni atto, ogni pensiero – che addirittura giunge a porre in dubbio anche se stesso471 e i reali progressi compiuto nel cammino verso il disincanto – sono una costante nella riflessione e nella vita di Cioran: ce ne occuperemo più nello specifico in un paragrafo seguente. Per ora accontentiamoci di questo elogio dello scetticismo dei grandi crepuscoli:

“È alle epoche di dissolutezza che va il merito di mettere a nudo l’essenza della vita, di rivelarci che tutto è solamente farsa o amarezza – e che nessun evento merita di essere abbellito: esso è necessariamente esecrabile.[…] La «verità» non traspare se non quando gli uomini, dimentichi del delirio costruttivo, si lasciano andare alla dissoluzione delle morali, degli ideali e delle credenze. Conoscere è vedere; non è né sperare né intraprendere472”.

Il ruolo del pensatore nella nostra società, secondo Cioran, deve limitarsi a questa visione, può essere “soltanto quello del testimone. Il pensatore non può avere alcuna influenza sul corso delle cose. Porta una testimonianza. È come il poliziotto che constata

468

Sommario, p. 15.

469 Ibidem. 470 Storia, p. 30.

471 “Senza i dubbi che abbiamo su noi stessi, il nostro scetticismo sarebbe lettera morta, inquietudine

convenzionale, dottrina filosofica.”: in Sillogismi, p. 11.

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un incidente. Questo ha fatto Montaigne, ma il suo messaggio è rimasto privo di effetto sui pensatori473”. Molto interessante questo parallelismo con Montaigne: in effetti Montaigne si è limitato a registrare su se stesso gli effetti di una crisi generale, a guardare il mondo dal proprio punto di vista. Montaigne rappresenta un momento di distacco con tutto il naturalismo precedente ed è l’emblema dell’assunzione della crisi (a differenza di Descartes, che mira a reagire alla crisi). Montaigne non teorizza in quanto non crede nella veracità di una soluzione o nella conclusività della stessa. Una situazione di distacco, di declino, un momento di rottura e una crisi: il parallelismo con la crisi prolungata a cui assistiamo noi moderni è evidente. La volontà di rifarsi solo a se stessi, di rifiutare il pensiero tecnico, astraente, impersonale e di attribuire valore alle proprie verità proprio in quanto vive, in quanto espressione di una soggettività accomunano Cioran e Montaigne, lo scettico con cui la Francia ha cominciato e il grande epigono con cui la Francia, almeno quella del nostro secolo, finisce. Al contempo il distacco, la convinzione di non poter in alcun modo inserirsi o modificare gli avvenimenti, di non poter evitare la catastrofe, di dover limitarsi a redigere il verbale di quell’incidente che è l’uomo sono altri elementi che accomunano queste due grandi personalità del pensiero. Comprendere che il ruolo del pensatore è solo quello del testimone, che estraniarsi dal gioco delle idee significa liberare le idee dalla coltre di affettività che inevitabilmente noi proiettiamo in loro, significa comprendere il meccanismo del fanatismo. Non proiettare nelle nostre idee la nostra frenesia, le nostre speranze o le nostre aspirazioni: questo vuol dire vedere, questo vuol dire conoscere. Vuol dire vedere il delirio, comprenderlo come tale, smettere di essere ingannati.

“Conoscere veramente vuol dire conoscere l’essenziale, penetrarvi con lo sguardo, non con l’analisi o la parola. Questo animale ciarliero, chiassoso, tonitruante, che esulta nel baccano (il rumore è la conseguenza diretta del peccato originale), dovrebbe essere ridotto al mutismo, giacché mai si avvicinerà alle sorgenti inviolate della vita se patteggerà ancora con le parole. E fino a che non sarà emancipato da un sapere metafisicamente superficiale, persevererà in quella contraffazione dell’esistenza nella quale manca di basi, di consistenza, e nella quale niente di lui è in equilibrio474”.

Come abbiamo visto, l’organo della conoscenza è la vista: la vista in quanto non contaminata da quell’appetito di analisi di cui abbiamo parlato nel precedente capitolo –

473 Apolide, p. 117. 474 La caduta, pp. 22-23.

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quindi in quanto immune dalla scienza – e neppure dalla parola – dall’apparato che inserisce una distanza tra noi e noi stessi, o meglio che ci attribuisce un supplemento di essere che ci distanzia dall’immediato, soggiogandoci alle finzioni dell’albero della conoscenza:

“Finzioni: giacché non appena consideriamo un atto buono o cattivo, esso non fa più parte della nostra sostanza, bensì di quell’essere aggiuntivo che ci è stato concesso dal sapere, causa del nostro slittamento fuori dell’immediato, fuori del vissuto. Qualificare,

nominare gli atti significa cedere alla mania di esprimere opinioni; ora, come ha detto un

saggio, le opinioni sono « tumori » che distruggono l’integrità della nostra natura e della natura stessa. Se potessimo astenerci dall’esprimerne, entreremmo nella vera innocenza e, bruciando le tappe a ritroso, attraverso una regressione salutare rinasceremmo sotto l’albero della vita. Invischiati nelle nostre valutazioni, e più disposti a fare a meno dell’acqua e del pane che del bene e del male, come recuperare le nostre origini, come avere ancora legami diretti con l’essere?475”.

Ma la vista di cui parla Cioran non è la vista esteriore: è la vista del cuore. Riprendiamo uno degli aforismi da noi scelti come epigrafe:

“Gli occhi non vedono niente. Katharina Emmerich ha ragione quando dice di vedere

con il cuore! E se il cuore è la vista dei santi, come potrebbero non vedere più

lontano di noi? L'occhio ha un campo ristretto, vede sempre dall'esterno. Ma poiché il mondo è all'interno del cuore, l'introspezione è l'unico metodo per approdare alla conoscenza. Il campo visivo del cuore? Il Mondo, più Dio, più il nulla. Cioè tutto476”.

Gli occhi hanno un campo ristretto, vedono sempre dall’esterno: “la [loro] funzione […] non è quella di vedere, ma di piangere; e per vedere realmente dobbiamo chiuderli: questa è la condizione dell’estasi, della sola visione rivelatrice, mentre la percezione si esaurisce nell’orrore del déjà vu, di un irreparabile risaputo477

475 Ivi, p. 24.

”. Il mondo è nel cuore e l’introspezione è l’unico metodo per approdare alla conoscenza del tutto, dell’essenziale. Il campo visivo del cuore, quindi il campo visivo dell’introspezione, è onnicomprensivo, si spinge oltre Dio, nel Nulla che lo supera. In questo senso si tratta di una rivelazione estatica: ricordiamo, infatti, come per estasi Cioran intendesse il superamento di quell’estremo limite che è Dio per approdare alla visione rivelatrice del dominio del Nulla. Ma in che maniera, per un’umanità a cui l’estasi è preclusa, si può approdare alla visione essenziale? In altri termini come si declina l’introspezione, la vista del cuore?

476 Lacrime, p. 15.

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