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Lettere, catechismi e relazioni sullo stato naturale, economico e agrario delle province abruzzes

11) Se si conoscono li prati artificiali e con quale successo

Le notizie di risposta alle domande suindicate, discusse tra personalità competenti, appartengono a mani e grafie diverse. Spalmate tra le cc. 74r-76v del Fasc. 13.7, si rivelano senz’altro utili per l’Autore nello stilare la relazione sullo Stato naturale della provincia

aquilana.

Le informazioni che ne derivano trattano vari argomenti e spaziano dalla natura delle pietre presenti in montagna all’elenco delle erbe selvatiche. Viene segnalata inoltre l’esistenza di marmi bianchi sulla montagna di S. Silvestro e di minerali sui monti di Antrodoco, di erbe aromatiche, di angelica e di valeriana silvestre sul Gran Sasso e sulla Majella, di formaggio a Lucoli e San Demetrio, Sulmona e Casteldisangro, Roccadimezzo e Leonessa.

Si riferisce dell’esistenza di acque medicinali in Antrodoco, acque che abbondano di gas epatico e vi si osserva anche qualche porzione di terra calcarea e sale neutro che si rivela efficace nelle ostruzioni e nei mali cutanei.

Lunga la sequenza delle erbe aromatiche e medicinali di cui sono piene le campagne e i monti: l’angelica odorosa, la cariofillata, la valeriana silvestre, la salvia montana, la menta, il timo, l’origano, il serpillo, l’issopo, e ancora: il silio montano, il cimino, lo zafferano, l’asclepiade, la genziana, la centaurea, l’altea, la veronica, l’eufrasia, l’aristologia lunga e rotonda, l’alchimilla, la peonia, la bettonica, la bistorta, l’elleboro bianco e nero, la brionia, il ciclamino o pan porcino, la regolisia nella provincia di Rieti e Latina, la sassifragia di più specie, e infinite altre erbe volgari. Tra le erbe da tintura sono segnalate la robbia e il guado.

Viene poi specificato che le malattie dominanti nelle città e nei paesi montuosi sono per lo più quelle sporadiche che nascono dall’incostanza dell’atmosfera, mentre tra le più frequenti si riscontrano i reumatismi, le angine tonsillari, le tossi e qualche febbre biliosa sempre accompagnata da verminazione; di rimando nei luoghi ove le acque ristagnano e si coltivano e macerano i campi, regnano febbri periodiche.

I mali epidemici sono piuttosto rari nelle città, ma i cronici sono frequentissimi, e specialmente le ostruzioni, le tisichezze tubercolari e i mali nervini. Le acque che si bevono sono limpide, ma un po’ crude e pesanti.

Queste le indicazioni di massima fornite dagli interlocutori galantiani, indicazioni raccolte dal molisano come base d’appoggio per l’elaborazione delle Relazioni finali.

Si rivelano a questo punto importanti anche le due lettere del marchese Giacinto

Dragonetti, uno dei maggiori interlocutori di Galanti.

Si tratta di lettere composte nel 1789, quindi in un periodo anteriore alla stesura delle Relazioni al re.

La prima delle due lettere è scritta appunto all’Aquila e nell’incipit, dopo aver elargito le dovute scuse per il ritardo nella risposta, Dragonetti dichiara che avrebbe inviato a Galanti un foglio dettagliato contenente le risposte da parte di vari amici abruzzesi ai 13 quesiti da lui posti nel questionario. Nel frattempo il marchese si premura di rispondere ad altre informazioni dettagliate su possedimenti feudali ed ecclesiastici, senza tacere della presenza di fabbriche di carta nella zona di Sulmona e dell’esistenza di “pesce antico” nel lago di Fucino:

[13r] […] Le fabbriche di carta in questa Provincia sono molte. Nel Lago di Vetoio feudo del Conte Angelini dell’Aquila se ne trova una distante un miglio incirca dalla città. Due se ne trovano in Tempera lungi dalla città tre miglia. In Solmona, e in Celano ne stanno delle altre. La qualità della carta sarebbe ottima se si lavorasse con diligenza; e con buoni materiali. Le acque sono limpidissime. Della quantità non saprei darvene contezza, perché dipende dal potere dell’affittuario più o meno ricco da antecipar denaro. So benissimo che da Tempera se ne va moltissima nelle Provincie di Chieti, e Teramo, e adesso comincia a scarseggiarsene perché si manda fuori. Le qualità dei pesci del Fucino sono generalmente pesce antico [13v] quel pesce più minuto che si prende colle reti più anguste di buchi. Vien detto pesce antico secondo Monsignor Corsignani nella Regia Marsicana, perché nei primi tempi che si pescava si adoperavano le reti coi buchi piccioli e si prendeva il solo picciolo pesce, ma poi che si ritrovavano altre maniere di pescare. Si cominciarono a prendere gli altri pesci, e quello piccolo perché si prendeva anticamente si chiamò antico. Questo pesce è buono più per fritto che per altro. Oggetto di commercio non è altro che fresco si porta in gran quantità nello Stato Ecclesiastico, ed anche in Roma, e per la provincia dell’Aquila. Nell’està si pescano delle buone tinghe, e anche delle scardea pesce assai spinoso. Si trova

anche qualche trota che viene dai fiumi che imboccano nel Fucino.13

Nella seconda lettera che occupa le cc. 14r-15v del Fasc. 13.2, Dragonetti risponde al primo punto del questionario di Galanti, che chiede informazioni sulla localizzazione, natura e pregio dei marmi e delle pietre:

[14r] Quanto al primo articolo nella Majella, vi sono dei marmi, e dell’agata veduta da più persone, ma di che qualità siano i marmi, e i nomi di essi non lo saprei dire. Le erbe poi che produce detta montagna sono eccellenti, e specialmente quelle con cui si compone la famosa acqua del tedesco del numero di 90 specie. Fra le altre erbe vi è l’uva orsina famoso rimedio litontitrico. Non solo nella Majella vi sono miniere di marmo ma anche nell’altre parti di Abbruzzo. A Lucoli nella villa detta Casamaina lungi dall’Aquila circa sette miglia trovasi una cava di marmo, di cui generalmente sono adornate tutte le Chiese dell’Aquila, e specialmente l’altare maggiore di S. Berardino lavorato non ha gran tempo del valore di circa ducati 4000. Nella vallata lungo l’Aterno nel tenimento di S. Maria del Monte vi è anche una cava di marmo, la quale per mancanza di strade carreggiabili non viene in alcuna maniera curata. In Cucullo ve n’è un’altra, ed è assai bello. In Alfidene si lavorano marmi a Lumachelle (1).

La lettera prosegue con l’elenco delle attività commerciali maggiormente in uso nelle tre province abruzzesi, corredato di numerosi dettagli e informazioni ben precise, a partire dalla produzione di “aleatico”, vitigno italiano sinonimo di aglianico, introdotto dal marchese Quinzi nelle vicinanze dell’Aquila, o dell’ “uva moscadella” e di miele (chiamato da Dragonetti “mele”) che abbonda maggiormente nella provincia di Chieti piuttosto che in quella di Teramo:

[14v] [...] La qualità del mele è ordinaria perché non si ha l’avvertenza di piantare quelle erbe di cui si pascolano le api e fanno buon mele come sono rosmarino, salvia, timo, rose e roselli. Il dazio doganale impedisce quest’industria in quelle provincie. Nella provincia poi dell’Aquila in ogni parte se ne fa qualche poco, ma non in abbondanza da ponerlo in comercio. In questa provincia forse è migliore di quello delle due altre provincie, perché le colline in questa abbondano di timo che fa ottimo mele e specialmente se si cava a

canestro. Il mele che si fa in Paterno, S. Pelino, Le Forme, Castel nuovo, Trasacco ed altri paesi della Diocesi de’ Marsi, è il migliore di tutti.

Non mancano riferimenti all’industria della seta (decaduta in Abruzzo a causa di dazi e diritti proibitivi che avevano causato ritardi e rallentamenti nella piantagione dei gelsi), a quella dello zafferano, industria sviluppata in gran parte nella provincia dell’Aquila e alla lavorazione del ferro nella zona di Castel di Sangro e del rame ad Agnone e a Pacentro.

Dei pascoli i migliori vengono riconosciuti nei monti del contado dell’Aquila e de’ Marsi, soprattutto nella zona del monte Golino, di Castelnuovo e Celano, mentre quelli di Leonessa si rivelano i migliori nella produzione di un eccellente formaggio.

Dragonetti riferisce infine dell’uso di seghe ad acqua e di seghe a braccio per la lavorazione di tavole con la legna delle selve di querce, frassini, tiglie e aceri, che abbondano nei boschi abruzzesi. Ci si avvia così verso l’explicit di una lettera che fornisce anche interessanti note di costume, a completare quello che è il quadro generale di una indagine statistica che sfocia anche in dati di natura socio-antropologici:

[...] L’indole degli Abruzzesi è docile, sono laboriosi, frugali ed attivi. Sono industriosi, e colla buona educazione riescono nelle arti, e nelle scienze. Rispetto alle fattezze delle donne queste variano secondo i climi, nei luoghi montuosi sono di un bel colorito, ne’ luoghi bassi, sono per lo più pallide. La loro statura è proporzionata. Le donne di villa per lo più si occupano nei lavori di campagna, e in alcuni paesi zappano e mietono ugualmente che gli uomini. Le donne di città attendono in primo luogo ai lavori di casa cioè all’ago, ai merletti di varie sorte, e le occupazioni variano secondo i paesi. Badano pure all’economia domestica, e rilevano i loro mariti dalle fatiche. Riguardo ai costumi questi variano secondo il temperamento, e secondo i climi (3).

Ritornano nelle suddette parole i motivi già presenti nelle descrizioni che Galanti aveva dedicato all’Italia e ai caratteri dei suoi abitanti nel primo tomo della Nuova descrizione

storica e geografica dell’Italia del 1782 e nel secondo tomo dal titolo Della descrizione storica e geografica dell’Italia del 1791. Nelle citate opere il molisano, convinto che le “arti”

riuscissero ad accrescere il consumo dei prodotti del suolo e fossero di notevole aiuto all’agricoltura, si era prodigato nella descrizione minuziosa delle industrie e delle manifatture

dei vari stati, a partire dalle miniere di ferro del Regno di Sardegna per finire alle cave di marmo di Carrara e alla produzione del riso, della seta, dei “pannilani”, della maiolica e della porcellana. Il commercio si confermava così uno degli strumenti principali con i quali la borghesia continuava la sua scalata sociale nel secolo riformatore, e si manifestava nelle sue caratteristiche di floridezza e vivacità nei territori nei quali i feudi erano assenti, come la Repubblica veneta, o meno gravosi come in Lombardia, in Sicilia e in Sardegna, stati che godevano di “manifatture copiose e floride”.14

Ma il commercio non era l’unico elemento sul quale l’occhio vigile e attento del molisano si era venuto a posare perché, come già si è rilevato, numerose risultano nelle carte anche le annotazioni di carattere sociologico e antropologico, frutto della particolare sensibilità di un autore attento alla descrizione di credenze popolari, abitudini e stili di vita, riconosciuti spesso nel clichè della semplicità dei costumi della classe popolare delle contadine, in opposizione alla libertà delle donne “di condizione” di frequentare contesti sociali quali teatri, danze e balli.15

Da qui il confronto tra le città del centro Italia e quelle del Meridione, tra le città dello Stato Pontificio e quelle della Toscana che si distinguono per l’eleganza e la sontuosità degli edifici pubblici e privati, modellati su quelli della capitale e la simmetria delle piazze, in netto contrasto con il disordine e il cattivo stato di conservazione delle città del Regno di Napoli.

Ecco come tutti gli elementi vengono ad intrecciarsi e a ricostruire quella rete di relazioni creata tra Galanti e i suoi interlocutori e come prende nuovamente corpo la critica del lusso e la polemica moralistica che scaturisce dal severo giudizio del Nostro sulle donne che escono da sole, si incipriano, frequentano i teatri, risultato della corruzione dei costumi di un secolo, motivo già precedentemente affrontato nelle Osservazioni intorno a’ romanzi del 1781.

14 M. MAFRICI, Galanti e l’Italia tra tardo Settecento e inizi Ottocento, in Un illuminista ritrovato, cit., pp.

261-297.

Par. 2.2 - I Documenti sullo Stato naturale della Provincia aquilana: la Lettera del

marchese Dragonetti contenente Informazioni sul Lago Fucino del 28/03/1788

(Fasc. 13.7) e la Lettera di Vincenzo Minicucci a Galanti con notizie relative alla

flora e fauna del lago Fucino di Avezzano datata 06/04/1789 (Fasc. 13.7)

Qui di seguito alcune informazioni desunte dalle carte del Fasc. 13.3 che forniscono una dettagliata descrizione dello Stato naturale della Provincia aquilana:

Titolo: Descrizione dell’Aquilano. Cap. I. Stato naturale

[25v]16 Le montagne dell’Aquilano formano tre catene: la prima lungo i confini

dello Stato Pontificio che comincia da Rocca de’ vivi presso Sora e si propaga fino ad Accumoli stendendosi poi dentro lo Stato Pontificio. Le altre due corrono per tutto il tratto della provincia verso oriente e vanno a terminare a Casteldisangro, Roccaraso, Opi, Pescasseroli. In queste catene restano molte valli e pianure, le sole che siano atte a coltura. Queste pianure sono il 1 piano di Casteldisangro, 2 di Cinque miglia 3 di Sulmona, 4 del Fucino, 5 di Aquila, 6 di Monte Reale, 7 di Leonessa. Quello di Castel di Sangro è picciolo e di mediocre fertilità, quello di Cinquemiglia è sterile.

Sono in particolar modo le carte 26v e 27r a specificare che il territorio aquilano era assai soggetto a terremoti, alludendo nella fattispecie al terremoto del 1703, conosciuto con il nome di “Grande Terremoto”, che distrusse buona parte della città e che fu certamente tra i più brutali nella storia abruzzese.17

Un cenno viene fatto anche all’aumento demografico della popolazione dovuto all’abbandono delle ville lì dove le arti davano poco profitto. Tra i territori più fertili si annoverava Sulmona (colpita anch’essa nel 1706 da un violento terremoto), che godeva di qualche commercio grazie alle nuove strade e alla vicinanza dei mercati di Popoli, mentre Pescina e Celano avevano buoni territori e ricavavano grande vantaggio dalla pesca del

16Cfr. FG, Busta n. 13, Fasc. 13.3, cc. 25v e segg.

17 Un altro disastroso terremoto si era avuto tre secoli prima nella notte tra il 4 e il 5 di dicembre del 1456. Cfr.

L. MAMMARELLA, Terremoti in Abruzzo ed alcuni sommotimenti o frane dall’epoca romana al 1915, Cerchio, A. Polla, 1990.

Fucino. La ripresa demografica, sociale ed economica avvenne solo a metà Settecento grazie anche alla presenza di fiere e mercati attivi tra Foggia, Lanciano, Sulmona, Barcellona e Siviglia.

A tal proposito è la Lettera del marchese Dragonetti18contenente Informazioni sul Lago Fucino del 28/03/1788 (Fasc. 13.7) ad illuminare sull’importanza della pesca nella zona del

lago, attività che già di per sé formava un oggetto considerevole di commercio, perché non solo procurava una cospicua rendita annuale, ma arrivava anche in Romagna e in Terra di Lavoro oltre che nelle altre tre Province abruzzesi:

[10r] … il solo Pesce forma un oggetto considerevole di commercio mostrandosene l’annuo fruttato dalle persone intesasi [10v] di que’ luoghi fino a 36., e 40. Questi calcolando i prodotti che si soggettano a dazio nelle così dette Stanghe, o sia Dogane, dove si paga, e paga, aggiustamenti al Contestabile Colonna, al Duca Cesarini, alla Regia Badia della Scurcola ed anche il pesce, che si sottrae in mille guisa all’imposizione. Questo pesce va in Romagna, in Terra di Lavoro, e nelle nostre tre Provincie di Abruzzo, ed altrove. Le specie diverse di uccellami, che vivono, e frequentano il Lago, e de’ quali si fa grande stragge mi si dice ascendere a qualche centinajo, ed esservene di colori, e piume sorprendenti, e questi i margini del Lago ne’ più rigidi inverni son gelati e la caccia si riduce nelle Polle, dove l’acqua rimane sempre aperta, se ne uccidono migliaja con pochi tiri. Delle Folleche, e de’ Barbi si fa smercio anche dopo averli disseccati al fumo, e salati leggermente. […]

Il Fasc. 13.7 da cui è tratta la lettera di Dragonetti contiene 111 carte di formato e di mani diverse. In alto vi si legge: vol.1 – Abruzzo Aquilano e alle cc. 1r-2r viene riportato come titolo: Luoghi, che formano le Università componentino l’intera Provincia dell’Aquila. Alle cc. 2v-63v il Catalogo di tutte le Terre, e villaggi abitati che compongono il Contado

Aquilano e la Tabella – Delli Baroni, e corti della Provincia dell’Aquila secondo lo Stato presente. Le cc. 7v-8r, alle quali seguono quattro carte numerate cc. 11r-12v, sovrapposte alle

altre del fascicolo, recano una scrittura ornata, ma piuttosto disomogenea e di difficile interpretazione.

Altre informazioni dettagliate sulla qualità e natura diversa degli uccelli e dei pesci del Lago Fucino è possibile desumerle dalla seconda Lettera di Vincenzo Minicucci a Galanti con

notizie relative alla flora e fauna del lago Fucino di Avezzano, datata 06/04/1789 e

appartenente sempre al Fasc. 13.7. Si tratta di una copia di una lettera in grafia elegante che contiene un elenco delle diverse tipologie acquatiche e volatili del suddetto lago.

Minicucci innanzitutto dichiara di attendere da Napoli la relazione dell’Emissario da presentare al sovrano e sostiene che il pesce sia l’oggetto di commercio più importante della Provincia, illustrando il piano che prevede che i due padroni del lago, Cesarini19 e Colonna

l’affittino a circa 4mila ducati annui per ciascuno:

[29r] L’oggetto poi di Commercio, che fa questo Lago; riguardo agl’Uccelli non è di grande importanza, ma considerevole quello del Pesce, e assicuratevi, che prima che il Lago era ristretto, che si prendea più pesce, passavano i prodotti di tutte le Stanche a 36 mila docati annui; eccovi il piano; i due Padroni del Lago Cesarini, e Colonna, l’affittano circa 4 mila docati: annui per ciascuno, vi è il guadagno dell’affittuario di palmi 1500: in circa, si usa che un terzo della pesca va per l’affittuario, e due terzi è de Pescatori, ed eccovi già 16000 docati ritratti da tutti questi, i furti, che fanno poi i Pescatori, le mancerie sono infinite, e si possono sicuramente situare per un altro pajo di migliaja di docati: ed eccovi in unum 18. mila docali: della sola Stanca di Cesarini; altrettanti, e più ancora [29v] se ne ritrae nella Stanca di Colonna perché è ricca, e più abbondante di pesca…20

Segue a questo punto un elenco degli uccelli acquatici e dei pesci che popolano il Lago Fucino. Di notizie sullo Stato dell’Aquila sono piene anche le carte del Fasc. 13.3, che reca come titolo Descrizione dell’Aquilano e del chietino.

Tra le città più celebri dell’aquilano vengono menzionate Sulmona, Pescina e Civitaducale, la quale, a dire di Minicucci, potrebbe diventare più importante se si aprisse alla

19 La famiglia romana dei Cesarini ebbe grande influenza come feudataria di vasti territori nel Lazio e nelle

Marche dal XV alla fine del XVI secolo. Come altre famiglie di Roma, anche i Cesarini rivendicavano la discendenza da una famiglia della Roma antica, dalla Gens Iulia, poiché a partire dal XV secolo alcuni suoi membri ricoprirono cariche lucrose nel governo dello Stato della Chiesa. Il più importante personaggio della famiglia fu senz’altro il cardinale Giuliano Cesarini. Il primo dei Cesarini ad aver acquistato delle proprietà immobiliari fu il fratello minore del cardinale, monsignor Giorgio Cesarini, protonotario apostolico e procuratore del cardinal Bessarione, il quale nel 1454 acquistò parte del territorio di Ardea da Antonio Colonna.

20 Per un maggiore approfondimento cfr. il FG, Busta n. 13, Fasc. 13.7, cc. 29r-31v; Vedi anche Appendice D,

comunicazione con Roma e con l’Aquila e se mettesse a profitto le sue acque minerali, e poi Tagliacozzo, Accumoli, Leonessa, Capestrano e Cantalice.

Galanti fa inoltre menzione dei marmi detti a lumachelle (notizia probabilmente desunta dalle lettere di Dragonetti a cui si è già fatto cenno), che si producono in Alfedena e a Scontrone, e delle miniere di ferro del Monte Turchio tra Lecce e Antrodoco.

Sono le cc. 27v-29r a riportare notizie sullo Stato naturale e politico dell’Aquila. Nella

c. 27r21 ricorre un esplicito riferimento a due importanti autori abruzzesi dell’epoca: Mario di Calascio,22 originario di Calascio in Abruzzo Citra, autore di opere di sacra erudizione e

Antonio dell’Aquila, uomo dotto impegnato nello studio delle Sacre Scritture dal 1646 al 1671.

Dalle annotazioni al margine destro del foglio si desumono informazioni sull’agricoltura, sul clima e sullo stato naturale e politico dell’aquilano.

Galanti non omette di asserire che tra i luoghi più agiati dell’aquilano si annoverano Ripoli e Cagnano e che l’agricoltura riesce male perché non è conosciuta l’arte della bonifica con concimi, mentre l’industria principale della provincia è sicuramente quella delle pecore, oltre alla produzione di olio a Capestrano e ad Ofena, nella valle di Sulmona, in quella dei Marsi e a Balzano, mentre a Paterno, a Pelino e in altri luoghi della diocesi dei Marsi si raccoglie il miele migliore dell’Abruzzo. La pastorizia è di gran lunga preferita dalle

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