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con quali contratti si coltivano le Terre, e se queste si posseggono

Lettere, catechismi e relazioni sullo stato naturale, economico e agrario delle province abruzzes

I. con quali contratti si coltivano le Terre, e se queste si posseggono

in proprietà, o pure vanno soggette a dritti di servitù attiva. Se vi sono demanj; II. se vi sono arti, e manifatture, e dove. III. Quali sono le città principali della Provincia, e quali i Luoghi più cospicui. Con ciò s’intendono que’ Luoghi che sono più popolati, più facoltosi, e più attivi per arti e per commercio, e per industria, e quali siano quelli più industriosi, e di quali generi. IV. Quale sia il carattere morale degli Abruzzesi. V. Come nel generale si governano li comuni, come generalmente si sodisfano li pesi Fiscali, a quanto puote ascendere l’oncia di Beni, ed il Testatico,43 e se vi siano luoghi che le once ed il Testatico faccino eccesso.

42 Cfr. FG, Busta n.13, Fasc. 13.7, cc. 42-45r, in Appendice D, pp. 453-458.

43 Si trattava di un’imposta pubblica gravante sulle persone facenti parte di una comunità, comune o feudo, in

base alla quale ogni individuo, senza distinzione di sesso o di età, era tenuto a versare un’imposta annua calcolata in base alla popolazione e non al reddito, uguale per ogni cittadino. Il testatico veniva stabilito quindi sul numero delle “teste” e da esso erano esenti i nobili e il clero.

L’autore di questa descrizione è sconosciuto, le aggiunte marginali, invece, sono di mano di Galanti. La Breve descrizione si rivela assai utile per comprendere l’organizzazione agraria dei paesi appartenenti a L’Aquila e da qui le condizioni economiche dell’intera provincia abruzzese. I riferimenti più cospicui vanno al sistema di coltivazione del territorio aquilano che per due terzi si coltiva, come già è stato riferito, con “conduzione”, ossia con “colonia partitaria”, e per un terzo in enfiteusi; fatto questo che è da collegarsi da un lato all’appartenenza delle terre ai luoghi pii e dall’altro al fatto che i secolari non accondiscendono facilmente all’enfiteusi.

Galanti fa il suo ingresso nella provincia aquilana dopo aver visitato il chietino, il giorno 27 giugno del 1791, raggiungendo poi nel mese di luglio anche la zona di Rocca di Mezzo, Sulmona, Avezzano, Piscina, Scanno, e tornando indietro fino a Roccaraso, Castel di Sangro, Venafro, Calvi, Isernia, Terra di Lavoro, Capua, fino a giungere a Casoria.

Quando si parla di Abruzzo aquilano si fa riferimento all’Abruzzo Ulteriore II che coincide con la zona della montagna aquilana e differisce notevolmente dalla fascia costiera, determinando le caratteristiche di un’area dominata dall’industria armentizia fino al secolo XVIII e da una classe di piccoli notabili che intorno al 1774 organizzano e conducono un’azione di “ricompra” o riscatto pecuniario dal dominio feudale.

L’attività agricola delle zone montuose fino ad oltre i 1400 m. nella regione degli Altipiani viene praticata per sopperire al fabbisogno locale e rappresenta il volano della formazione di una classe di benestanti e borghesi protesi ad acquisire una buona cultura in centri di studio come Napoli, Montecassino, Bologna o Roma e ad esercitare anche le professioni liberali.

Nascono centri come Tocco da Casauria, Bolognano, San Valentino, Caramanico, Mannoppello nel pescarese, Guardiagrele nel chietino e da ultimo Pescocostanzo nell’aquilano, patria di architetti, scultori e artisti. La stessa formazione della struttura cittadina dell’Aquila si rivela diversa rispetto alle caratteristiche tipiche delle altre città; una diversità che non riguarda solo le vaste dimensioni del territorio in cui sorge, ma anche l’assetto urbanistico, politico e sociale del nucleo cittadino iniziale.44

44 A. DE MATTEIS, L’Aquila e il contado. Demografia e fiscalità (secoli XV-XVIII), Napoli, Giannini, copyr.

L’Aquila viene a configurarsi nella sua particolarità di città connotata dall’isolamento delle comunità di contadini di Amiterno e di Forcona all’inizio della sua costituzione in città demaniale, dalla loro ribellione alle angherie dei feudatari locali e dalla necessità da parte del Governo centrale di coordinare la forza-lavoro sparsa nei confini del suo vasto territorio.45 Accadrà così che la testimonianza più significativa di una civiltà borghese della montagna basata su patrimonio edilizio e grandi chiese medievali e rinascimentali caratterizzerà questi luoghi in età moderna fino alla svolta dell’età contemporanea, ma saranno però sicuramente la parentesi del 1799 e il decennio napoleonico a determinare un miglioramento nelle principali vie di comunicazione che portano al restauro della “Via degli Abruzzi” o “Napoleonica”, sia nel tratto di montagna che nella Piana del Pescara.46

Dalla metà del Settecento si inizia inoltre a sviluppare in questi paesi anche una tradizione autoctona di ricerche storiche e naturalistiche sulla realtà locale che diviene fonte di autocoscienza identitaria per le popolazioni locali e che vede confluire la cultura aquilana attorno all’opera a più mani dal titolo Corografia storica degli Abruzzi dell’arcivescovo Anton Ludovico Antinori (1704-1778), a cui seguono le opere di Giuseppe Liberatore di Castel di Sangro47 sulla natura e sul clima del Piano delle Cinquemiglia del 1789, di Vincenzo

Giuliani48 sul territorio degli Altipiani del 1793 (edita solo nel 1993) e di Ignazio Di Pietro su

Sulmona del 1804.49

45 EAD., pp. 4-10. Cfr. anche P. GASPARINETTI, La «via degli Abruzzi», cit.

46 Nel 1842 sarà realizzato nella Valle dell’Aventino il tracciato moderno che da Palena a Lama dei Peligni taglia

dritto a mezza costa il fianco della Majella che viene detto perciò “tagliata” e la borghesia abruzzese entrerà a pieno titolo nel fervido mondo dell’intellettualità napoletana. Basti ricordare tra i nomi più illustri: Giuseppe De Thomasis (1767-1830) di Montenerodomo, demanialista e costituzionalista del Regno che ebbe rapporti con l’ambiente fiorentino del Vieusseux; Ottavio Colecchi (1773-1847), filosofo e matematico di Pescocostanzo, primo interprete del pensiero di Kant e fondatore dell’hegelismo napoletano; Luigi Chiaverini (1777-1834), biologo e psicologo di Palena, ma educato a Pescocostanzo; Benedetto Vulpes (1783-1855), patologo e clinico di Pescocostanzo e molti altri. Cfr. www.parcomajella.it/uomo_storia_borghesia.asp.

47 Giuseppe Liberatore (1756-1842), fu autore di un volume sul Piano delle Cinquemiglia dal titolo

Ragionamento topografico-istorico-fisico-ietro sul Piano delle Cinque miglia. Breve disamina della strada di minor dispendio, e nel verno di minor periglio pe’ Viandanti, onde internarsi negli Abruzzi da Roccaraso a Solmona, in Napoli, Presso Vincenzo Manfredi, 1789. Fu autore anche di diversi manoscritti inediti, in parte

dispersi in materiali di vario genere, a carattere storico-archeologico.

48 Vincenzo Giuliani (Vieste 1733-1799), storico e archeologo che visse alcuni anni della sua vita a Roccaraso. 49 I. DI PIETRO, Memorie storiche della città di Solmona, in Napoli, nella stamperia di Andrea Raimondi, 1804.

Ai paesi della Maiella si interesseranno anche studiosi stranieri come Richard Keppel Craven nel 1837 ed Edward Lear nel 1846.

In ambito aquilano si determina inoltre un prevalere della filologia, dell’erudizione e dell’antiquaria (anche attraverso le opere del Giovenazzi50 e del Gualtieri) sulle scienze politiche e sociali che ruotano intorno al circolo dei Dragonetti.51

Di interesse il Saggio itinerario nazionale pel paese de’ Peligni pubblicato nel 1792 da Michele Torcia,52 l’opera di descrizione sulla flora della Maiella del botanico napoletano di

origine chietina Michele Tenore,53 il Dizionario geografico ragionato del Regno di Napoli in

13 volumi pubblicato dal 1797 al 1805 di Lorenzo Giustiniani54 e Il Regno delle Due Sicilie descritto e illustrato di Filippo Cirelli del 1853 che trattano della montagna e dei suoi paesi,

oltre all’Atlante Geografico del Regno di Napoli del 1804-1808 che fornisce una prima attendibile immagine cartografica del massiccio montuoso della Maiella. Nella Descrizione

geografica, tomo 3, libro X, nel paragrafo sulle Notizie generali sulla storia dell’Abruzzo e sopra i confini del Regno, Galanti così si esprime in merito al territorio aquilano:

Nel 1641 fu eretto nell’Aquila il tribunale dell’Udienza, e così si fece nuova divisone dell’Abruzzo. I monti Appennini divisero in due province la parte opposta a sinistra della Pescara; ma la vallata di Sulmona col paese convicino fu aggiunta

50 Vito Maria Giovenazzi (Castellaneta, 20 febbraio 1727 – Roma, 26 giugno 1805) è stato un abate, archeologo

e filologo italiano.

51 R. COLAPIETRA, Abruzzo citeriore, Abruzzo ulteriore, Molise, in Storia del Mezzogiorno, 6, Le Province del

Mezzogiorno, a cura di Giuseppe Galasso e Rosario Romeo, Napoli, Edizioni del Sole, 1987, pp. 155-157.

52 Si tratta di Michele Torcia, letterato e filosofo calabrese afferente alla schiera degli allievi del Genovesi, il

quale, dopo aver studiato presso il collegio dei Gesuiti di Catanzaro, si distinse per il suo attivismo culturale. Diventato Segretario di legazione in Olanda nel 1703, fu poi a Londra e in Francia e fece ritorno a Napoli nel 1770. Legato al Tanucci, grazie al quale riuscì ad ottenere nel 1774 l’incarico di bibliotecario della Real Casa del Salvatore, partecipò vivamente alla polemica contro la capitale che fu al centro dell’interesse dei riformatori soprattutto negli anni successivi alla carestia del 1763-1764. Tra le sue opere più importanti: Elogio di

Metastasio poeta cesareo, 1772; Scoperte di alcune antichità fatte ne’ suoi viaggi d’Abruzzo, Napoli, [s.e.],

1792; Saggio itinerario nazionale pel paese de’ Peligni, Napoli, [s.e.], 1793.

53Michele Tenore (Napoli, 5 maggio 1780 – Napoli, 19 luglio 1861), botanico italiano di origine abruzzese,

studiò medicina presso l' Università di Napoli dove si laureò nel 1800. Fu uno dei realizzatori dell'Orto Botanico di Napoli che fu istituito nel dicembre del 1807, accanto al Real Albergo dei Poveri, e del quale divenne direttore nel 1810. Nel 1811 succedette a Vincenzo Petagna alla Cattedra di Botanica di Napoli. Fu autore della Flora

Napolitana, opera monumentale pubblicata in fascicoli nel periodo compreso tra il 1810 e il 1838, che

rappresenta una delle prime ricognizioni floristiche in Italia meridionale in cui furono descritte 400 nuove specie e vennero trattate oltre 3400 entità di piante vascolari. La Flora Napolitana costituisce, ancora oggi, una risorsa importante per studiosi di botanica e in particolare per coloro che si occupano della flora dell’Italia meridionale.

54 Lorenzo Giustiniani (Napoli, 1761 - Napoli, 1824), fu docente di critica d'arte presso l’Università partenopea.

Il suo nome è legato al Dizionario geografico-ragionato del Regno di Napoli, opera monumentale per la stesura della quale attraversò tutte le "terre" del Regno, studiandone la geografia e la storia. Nel 1818 aprì un filone di ricerca inedito, studiando la storia della Biblioteca di Napoli.

all’Aquilano. Ciò si fece per lo ramo della giustizia, poiché nel ramo dell’economia si ritenne l’antica divisione.55

L’esigenza di creare un sistema difensivo all’intera provincia abruzzese muove l’erezione di una cinta muraria per delimitare l’area della città fin dal sorgere agli inizi del I sec. d. C., mentre l’attività agricola e commerciale delle popolazioni rimaste nelle terre e nei villaggi del contado rappresentava il volano di una zona che fungeva da mercato per il territorio, grazie anche alla presenza di granai e depositi di generi alimentari e non.56

Una volta raggiunta la specializzazione in campo mercantile e artigianale, l’Aquila cominciò ad espandersi non solo quantitativamente, ma anche qualitativamente e da quel momento l’Universitas aquilana intus sarà nelle mani di uomini capaci e direttivi che assumeranno il regimento della nuova città. Da allora il territorio godrà di una rapida crescita, grazie anche alla notevole estensione dell'area del contado concessa dal sovrano con diploma datato 28 settembre 1294,57 nel quale si affermava che la nuova città denominata Aquila

avrebbe fatto parte perpetua del demanio regio e quindi non sarebbe mai stata soggetta a feudo.

Questo punto è molto importante per comprendere la storia della città e del suo territorio nel lungo periodo. La condizione di città demaniale accelera notevolmente lo sviluppo dell’Aquila, tanto da far affermare al Faraglia nella sua opera sulla storia dei Comuni nell’Italia meridionale:

Le terre demaniali…dipendendo dal re erano più favorite e meno angariate, con molte e grandi franchigie, non soggette al capriccio dei Signori…I fatti provano che le terre di demanio regio ebbero ricchezza e vennero in fiore. Aquila, non infeudata mai, fu reputata una delle più importanti città d’Italia […]58Il comune che va distinto sopra gli altri, non solo d’Abruzzo, ma del Regno, è l’Aquila,

55 Galanti allude al fatto che ai suoi tempi i tribunali della giustizia dividevano l’Abruzzo in tre province, mentre

la Camera della Sommaria lo considerava diviso in due. Cfr. G. M. GALANTI, Della Descrizione, cit., p. 462.

56 G. M. MONTI, La fondazione di Aquila e il relativo diploma, vol. I, in Convegno Storico Abruzzese-Molisano,

25-29 marzo 1931. Atti e Memorie, Casalbordino, N. De Arcangelis, 1933, pp. 249 e segg.

57 A. CHIAPPINI, Fondazione, distruzione e riedificazione de l’Aquila capitale degli Abruzzi, in «Miscellanea di

scritti vari in memoria di Alfonso Gallo», Firenze, Leo S. Olschki, 1956, pp. 255-278. Secondo il Chiappini che esamina le cronache aquilane anteriori al sec. XVI, il fondatore dell’Aquila fu Corrado IV con diploma del 1254 e Carlo I d’Angiò ne fu il costruttore dopo la distruzione operata da Manfredi. Cfr. Diploma datato Aquila 28 settembre 1294 (Codice diplomatico aquilano, membr., II, c.1, in A.C.A., segn. V-35, c. 104, edito da G. M. MONTI, La fondazione di Aquila, cit., pp. 249 e segg.).

l’unica città nostra che aveva usi e reggimenti più conformi a quelli delle città d’Italia di mezzo o della Cispadana…che sopra tutte le altre del Regno [Aquila] viveva a modo di comune e, salva la devozione al re, rappresentato dal capitano, godeva di liberissime istituzioni.59

L’Antinori fa menzione della presenza di un giudice annuale presso l’Aquila già nel 1254,60 ma senz’altro l’aspetto più peculiare della situazione amministrativa cittadina era

l’esistenza di sindaci e di massari che gestivano il demanio per localia, riunendosi nel

consilium maxariorum che si trovava a costituire la prima magistratura pubblica del governo

della città.61 Con la seconda costituzione nel 1354 viene creato un consiglio dei sessantotto

che ottiene la creazione di un magistrato da scegliersi tra le principali arti o maestranze maggiormente in fiore, con piena autorità nel governo cittadino; il governo del comune era invece costituito da cinque membri selezionati tra i rappresentanti delle arti letterarie, mercantili, pellettiere, metallurgiche, nobili e militari.

È da quel momento che il potere pubblico aquilano finisce nelle mani delle classi cittadine più abbienti e soprattutto del ceto industriale e mercantile e che il magistrato dei cinque di Aquila, il cosiddetto Camerlengo, diventa espressione di una vera e propria costituzione democratica, mentre il distacco tra campagna e città conduce al disfacimento del Comune e le classi cittadine dedite alle attività mercantili e industriali diventano le vere detentrici del potere, riducendo in subordinazione il contado rispetto alla città.62

In origine il contado dell’Aquila era costituito dalla somma dei territori dei castelli, terre e ville, disseminati lungo il territorio che aveva costituito primieramente i due contadi di Amiterno e di Forcona. Dell’unione territoriale fra le città e il contado o distretto ne forniscono testimonianza i documenti della Cancelleria angioina,63 da cui risulta che oltre alla

59Ivi, pp. 105-112.

60 È quanto risulta da uno strumento notarile di quell’epoca. Cfr. A. L. ANTINORI, Annali degli Abruzzi

dall’epoca preromana sino all’anno 1717 dell’era volgare, manoscritto conservato presso la Biblioteca

Provinciale di Aquila, vol. 9°, a. 1241-1270, p. 118.

61 A. DE MATTEIS, L’Aquila e il contado, cit., p. 9. Il sindaco era il rappresentante del popolo di ciascun

castrum di cui era formata l’Università aquilana, comprendente sia i castra intus che quelli extra. Il Camerario o

Camerlengo era anche il custode del denaro dell’università ed era assistito, per l’esazione, dai conestabuli e, per l’amministrazione, dai massari, mentre la difesa era garantita dai custodes arcium.

62 EAD., p. 10. Cfr. anche A. PANELLA, Pagine di storia aquilana. La crisi del regime comunale, Aquila,

Vecchioni, 1925, pp. 99 e segg. e R. COLAPIETRA, Gli ultimi anni delle libertà comunali aquilane (1521- 1529), Napoli, ESI, 1963.

63 È possibile leggere gli estremi della terra Aquilae nella bolla con cui Alessandro IV trasferì nella nuova città

quota della imposizione per ciascuna terra, o aggruppamento di terre, espressa in once, si rileva anche il totale della taxatio ammontante a 562 once d’oro.

La città-stato dell’Aquila, rispetto alle altre città del Regno godeva, dunque, di una libertà particolare il cui culmine economico viene raggiunto già dal secolo XV, quando la città diventa monopolio di una borghesia agraria e mercantile che trae la propria sicurezza economica e il proprio prestigio sociale da un’attività organizzata protetta dai sovrani angioini, ma anche dagli aragonesi che concedono agli Aquilani l’uso dei pascoli demaniali della Puglia, dove i ricchi proprietari della città e del contado mandavano a svernare le proprie greggi.

Tra il sec. XV e il sec. XVI all’Aquila predomina l’industria armentizia degli ovini grazie all’ambiente naturale delle montagne; da essa proliferano l’industria dei tessuti di lana e della tintura come espressione di quell’arte della lana che apparteneva ad una delle cinque arti maggiori rappresentate nel governo del Comune aquilano.64 L’economia aquilana traeva un

altro cespite di guadagno anche dalla lavorazione e dal commercio delle pelli, dal momento che l’industria del cuoio era fiorente in città oltre ad essere regolamentata da un vero e proprio statuto facente capo all’arte delle pelli, da cui scaturiva anche l’industria artigianale delle calzature fiorente agli inizi del Settecento. Il fondamento dell’economia aquilana era senz’altro costituito dall’agricoltura, oltre che dall’allevamento del bestiame, tanto che il commercio dello zafferano, prodotto piuttosto raro, aveva acquistato notevole importanza richiamando forestieri e commercianti da tutte le parti d’Italia. Non da meno l’industria tessile della seta trovava nel mercato aquilano il giusto centro raccoglitore per la produzione di materie prime del contado. A questa produzione locale era affiancata anche l'industria dei metalli, alimentata dalla lavorazione del ferro, dell’argento, dell’oro e del rame, materie prime di importazione. Man mano che cresceva il benessere economico e la floridezza delle finanze

d’Angiò (del 17 dicembre 1269) che riguarda la sovvenzione generale imposta dal re ad Aquila e al suo contado ad enunciare le terre consociate fiscalmente con Aquila. Si tratta di un documento che permette non solo di ricostruire l’originario contado aquilano, ma che costituisce anche un valido punto di partenza per poterne seguire la sua evoluzione territoriale. Tale imposizione fiscale stabilita dalla Corte non tassava la città e il contado separatamente, ma il castrum intus ed extra se esso non aveva mai edificato e quindi non occupava il

locale intus e, infine, solo il castrum intus se esso risultava essere spopolato e «diruto» all’esterno. Cfr. Ivi, pp.

11-12.

64 Cfr. F. VISCA, Gli antichi statuti della magnifica arte della lana, in «B.A.S.P., Bollettino della Società di

storia patria Anton Ludovico Antinori negli Abruzzi», a. 5, 1893, 9, pp. 1-101. La città dell’Aquila a partire dal 1487 produceva un quantitativo fisso di panni di lana ogni anno per il valore di 2000 ducati, pari alla metà della cifra dovuta dall’Aquila e dal contado per i pagamenti fiscali ordinari. Cfr. anche P. GASPARINETTI, Le arti al

civiche, si accentuava anche il divario fra città e campagna, dovuto soprattutto alla struttura dell’Aquila, costituita da due corpi: la “città” e il “contado”. Si trattava di una bipartizione che con il passare del tempo vede la città emergere grazie alla presenza di un ceto urbano detentore del potere civico, e il contado arretrare nel potere, a causa anche del diploma di incorporazione dei castelli emanato da Carlo II che ne aveva legittimato l’inferiorità.

Le imposte indirette sul consumo e sulla produzione emanate nel 1481 contribuiranno ad accentuare la tensione tra i due corpi civici e la resistenza dell’Aquila nel non voler applicare il nuovo sistema fiscale dimostrerà di quanta autonomia essa godesse a differenza delle altre terre del Regno. Successivamente il disaccordo tra città e contado favorirà la scissione territoriale e l’infeudamento del contado ad opera di Filiberto d’Orange nel 1529.65

C’è da dire che l’ “identità sfuggente” dell’Abruzzo e soprattutto di una città autonoma come l’Aquila è stata nei secoli sempre oggetto d’attenzione da parte del potere centrale.

La bellicosa feudalità abruzzese fu tenuta a freno da Ferdinando il Cattolico che per assicurarsi una pacifica subordinazione dei territori e dei suoi signori aveva concesso nel 1506 la città d’Atri ad Andrea Matteo Acquaviva, mentre Marino Caracciolo si era impossessato del marchesato di Bucchianico e del feudo di Santo Buono, destinato a divenire uno dei maggiori feudi nel Seicento. Caramanico e i casali della Rocca e di Salle, Torino di Sangro e Agnone furono invece assegnati a Prospero Colonna, venendosi così a consolidare la presenza

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