• Non ci sono risultati.

La considerazione per gli animali nell’epoca dei Lumi Dall’illuminismo a

3. La questione animale nella filosofia moderna Filosofia dei secoli XVI-XIX

3.2 La considerazione per gli animali nell’epoca dei Lumi Dall’illuminismo a

A partire dal ‘700, il dibattito sulla questione animale si lega ad una molteplicità di tematiche che vanno da questioni di tipo metafisico (concernenti, ad esempio, l’immortalità dell’anima), ad altre di carattere etologico (relative al comportamento, alle funzioni intellettive, alla socialità degli animali)154, ad altre ancora di tipo più strettamente etico (attinenti a problemi quali la giustizia e la responsabilità umana)155.

Nel suo stadio iniziale, infatti, il moderno dibattito sui diritti animali nel mondo occidentale risale al Settecento, «a quella fase di straordinaria temperie politica e socio-economica prodotta dall’Illuminismo e dall’industrializzazione. Il processo di secolarizzazione, l’affermazione dei diritti individuali, l’emergere del modello familiare di tipo borghese, i primi movimenti per l’emancipazione femminile e, negli Stati Uniti, per l’abolizione della schiavitù, portatori di rivendicazioni che talora si sovrapponevano a quelle dei difensori dei diritti degli animali, così come l’applicazione dei meccanismi di razionalizzazione produttiva allo sfruttamento animale furono tutti elementi che già allora stimolarono l’ingresso della questione animale nella discussione pubblica»156.

Nel quadro appena abbozzato, dunque, l’incontro di una crescente sensibilità per i problemi di tipo sociale (connessi alla rivendicazione di trattamenti più adeguati per tutte le categorie considerate “deboli”) e di nuove consapevolezze di matrice etologica, «portano a considerare quale dato fondamentale per l’accoglimento di una creatura entro la sfera morale,

154 Il termine etologia (dal greco ethos e logos, intesi come «carattere o costume» e

«studio») indica la moderna disciplina scientifica che studia l'espressione comportamentale degli animali (compreso l'uomo), seguendo gli stessi criteri con i quali viene condotta la ricerca in altri campi della biologia. Il termine racchiude nella maggior parte delle lingue europee l'originaria espressione tedesca vergleichende Verhaltensforschung («ricerca comparata sul comportamento»), utilizzata da Konrad Lorenz, considerato padre fondatore della disciplina.

155 Cfr. BATTAGLIA, Etica e diritti degli animali cit., p. 13. 156

G. GUAZZALOCA, L’«animale politico»: uno sguardo interdisciplinare alla relazione

42

non tanto la sua capacità di ragionare, quanto la sua capacità di soffrire»157 . E’ allora in questo contesto ideale, ricco di fermenti innovativi e rivoluzionari, che si compiono i primi passi verso un’evoluzione del pensiero filosofico che porterà gli animali ad essere considerati, non più come insensibili automi158 nei confronti dei quali appare irragionevole ritenere di avere doveri, né più, solamente, come oggetto di doveri indiretti159

(per finalità pedagogiche), ma come possibili soggetti dotati in sé di un valore e quindi meritevoli di tutela diretta.

A partire dall’epoca dell’utilitarismo e della filosofia dei Lumi, quando gli animali cominciarono ad essere «soggetti della filosofia e della morale»160, la chiusura verso la sensibilità animale è stata progressivamente sconfessata da una parte del pensiero filosofico capace di evolversi oltre l’antropocentrismo comprendendo che questo non coincide con la condizione umana: infatti, «anche se l’uomo crea l’etica, come ogni altro sistema di valori (tra i quali il sistema normativo), tali “creazioni” non sono necessariamente antropocentrate, e nulla effettivamente osta all’estensione della considerazione morale anche ad altri soggetti per promuovere una visione in cui integrità umana e integrità naturale si richiamano reciprocamente»161.

Alcuni dei filosofi dell’epoca (tra cui, come vedremo, Bentham) avevano intuito il legame esistente fra il cammino della «liberazione umana» e quello della «liberazione animale». L’eventualità di includere gli animali non umani fra i soggetti titolari di diritti scaturì infatti come conseguenza indiretta dell’enunciazione dell’uguaglianza di tutti gli esseri umani, fondata sui diritti naturali di ciascuno. Proprio per questo, e come vedremo, oggi, «molti teorici dell’animalismo si richiamano alla schiavitù dei neri o alla secolare condizione di inferiorità giuridica delle donne per affermare che

157 BASINI, La tutela penale degli animali cit., pp. 6-7. 158

Cfr. supra, cap. I, par. 3.1.

159 Cfr. supra, cap. I, par. 2.3.

160 L. KALOF, Looking at Animals in Human History, London: Reaktion Books, 2007,

p. 97.

161

43

l’expanding circle - il cerchio della considerazione morale, sociale, giuridica - è uno dei tratti qualificanti del patrimonio politico della “modernità occidentale”; a loro avviso tale “cerchio” dovrebbe allargarsi162

fino a includere perlomeno una parte delle specie animali»163

.

La posizione assunta da Cartesio fu aspramente criticata; l’Illuminismo mise in discussione il meccanicismo delegittimando di riflesso il concetto di «animale-macchina» grazie alle argomentazioni di autori come Denis Diderot il quale, redigendo la voce «Anima delle bestie» dell’Enciclopedia, scrive:

« [...] se Dio può fare una macchina che per la sola disposizione delle sue parti esegue tutte le azioni sorprendenti che ammiriamo in un cane o in una scimmia, può formare altre macchine che imiteranno alla perfezione tutte le azioni degli uomini […]. Non vedo come i cartesiani possano schivare questa conseguenza»164.

A queste parole fa eco Voltaire che, alla voce «Bestie» del suo Dizionario

filosofico, attacca coloro che negano il fatto che gli animali posseggano

un’anima, soffrano, abbiano memoria e giudizio. Infatti: «come si possono negare l’intelligenza e il sentimento ad un cane che, avendo perduto il padrone, lo cerca inquieto dappertutto, chiamandolo con guaiti di dolore, e che, dopo averlo ritrovato, gli manifesta tutta la sua gioia con salti, mugolii e leccate?»165

.

Eppure, scrive il filosofo:

«Dei barbari agguantano questo cane, che nel senso dell’amicizia supera in modo così straordinario l’uomo, lo inchiodano su una tavola, e lo sezionano vivo per mostrarti le vene mesenteriche. Scopri in lui gli stessi organi della sensibilità che sono in te. Rispondimi, meccanicista: la natura ha dotato quest’animale di tutti gli impulsi del sentimento perché non senta? Ha forse dei nervi perché resti impassibile?»166.

162

P. SINGER, The Expanding Circle. Ethics, Evolution, and Moral Progress, Princeton: Princeton UP, 2011.

163 GUAZZALOCA, La relazione umani-animali cit., p. 292.

164 Si deve la citazione a: BARRECA, Animali umani e animali non umani cit., p. 298. 165

GRANITO, Filosofi per gli animali cit., p. 224.

166 VOLTAIRE, Dizionario filosofico, Milano: Garzanti, 1991, p. 57. L’effetto della

concezione dell’animale-macchina, come abbiamo detto, servì quale giustificazione per la pratica della vivisezione. È questa la famosa domanda provocatoriamente rivolta da Voltaire al vivisettore che tortura il cane, nella più assoluta indifferenza.

44

Gli accenni e i riferimenti alla questione animale e al vegetarianismo si manifestano nelle opere di Voltaire solo a partire dal 1762, quando il filosofo ha già compiuto sessantotto anni. Brevi e sparsi in opere completamente diverse fra loro per stile e oggetto, i passaggi che Voltaire dedica a tali questioni sono però sufficientemente espliciti per ritenere il filosofo illuminista come il primo pensatore moderno a interessarsi organicamente della questione animalista e vegetariana.

Dopo il 1762, invece, gli accenni al tema dell’astinenza dal mangiar carne e dalla crudeltà nei confronti degli animali si fanno sempre più ricorrenti all’interno della sua vasta bibliografia, tanto che nel suo Trattato sulla

tolleranza (1763) scrive:

«Si può dedurre ciò che si è sempre pensato dall’antichità fino ai giorni nostri, e che tutti gli uomini di buon senso pensano, ossia che gli animali sono dotati di una certa intelligenza. Dio non stringe un patto con gli alberi e con le pietre, che sono privi di sensibilità, ma ne stringe uno con gli animali, che egli stesso si è degnato di dotare di un sentimento spesso più squisito del nostro, e di alcune idee necessariamente legate a questa sensibilità. Ed è per questa ragione che egli non vuole che si commetta la barbarie di nutrirsi del loro sangue, perché il sangue è sorgente di vita e, dunque, del sentimento»167.

E ancora: «Gli animali hanno le nostre stesse facoltà. Strutturati come noi, ricevono come noi la vita, e altrettanto la danno. Hanno impulsi e lo comunicano. Hanno sensi e sensazioni, idee e memoria»168.

Negli animali, dunque, possiamo riconoscere le stesse capacità (sensitive) e le stesse emozioni che possiamo ritrovare in noi stessi; egli considera, per ciò stesso, come sia necessario prender coscienza dei loro problemi e farsi in qualche modo carico delle loro sofferenze e del loro destino.

La difesa dei diritti degli animali trova una giustificazione teorica anche nel giusnaturalismo di Rousseau, il quale, nella Prefazione all’Origine della

disuguaglianza, sostiene che anche gli animali partecipano alla legge

167

VOLTAIRE, Trattato sulla tolleranza, 1763.

168

45

naturale. Com’è noto, il giusnaturalismo moderno ha avuto origine nel XVII secolo con la pubblicazione, nel 1625, del De iure belli ac pacis di Grozio, nel quale il filosofo teorizza l’esistenza di un diritto naturale fondato sulla ragione, e quindi universale. Rousseau modifica parzialmente il giusnaturalismo groziano, in quanto lo fonda non sulla ragione, ma sul sentimento, su un «impulso interiore della pietà»169

. Alla legge di natura partecipano a pieno titolo anche gli animali, pure se non sono in grado di conoscerla, in quanto:

«essendo in qualche modo simili alla nostra natura per la sensibilità di cui sono dotati, si penserà che anch’essi debbano partecipare al diritto naturale, e che l’uomo abbia dei doveri verso di loro. Infatti sembra che, se sono obbligato a non fare alcun male al mio simile, non è tanto perché esso è un essere ragionevole quanto perché è un essere sensibile, qualità che, essendo comune all’uomo e alla bestia, deve dare a questa almeno il diritto di non essere maltrattata inutilmente da quello»170.

Ritenendo che uomini e bestie differiscano solo per grado, ma non per

natura, Voltaire si rivela assai vicino alla posizione di Hume. Il cammino filosofico alternativo all’antropocentrismo può dirsi avviato,

dunque, con la “morale della simpatia”171 (il cui principale esponente è appunto Hume), elaborata alla metà del ‘700, la quale basandosi sul dato empirico sostiene che gli animali nel compiere le azioni quotidiane appaiono guidati da un certo grado di razionalità che, pur differendo da quella degli umani, è da riconoscersi come ragione e non mero istinto; anche gli animali, infatti, indirizzano le proprie azioni per evitare il dolore ed ottenere la gioia172.

169 GRANITO, Filosofi per gli animali cit., p. 225. 170

Ibid. (La citazione all’Origine della disuguaglianza di Rousseau si deve all’opera

citata).

171 Cfr. D. HUME, Della ragione degli animali, in T. REGAN, P. SINGER (a cura di),

“Diritti animali, obblighi umani”, trad. it. P. GARAVELLI, Torino: EGA, 1987, p. 73.

172

Sul punto si vedano: D. HUME, Trattato sulla natura umana, in E. LECALDANO (a cura di), “Opere filosofiche: 1”, trad. it. A. CARLINI, E. MISTRETTA, Roma-Bari: Laterza, 2008, pp. 39 ss.; RESCIGNO, Gli esseri animali quali “res senzienti” cit., pp. 682-683; Id., I diritti animali nella prospettiva contemporanea: l’antispecismo giuridico e

46

È così che «il fondamento delle valutazioni morali diviene per Hume, in tale prospettiva empirica, la simpatia, vale a dire, la capacità di partecipare alle gioie, ai patimenti morali e alle sofferenze di “altri esseri”, umani o non umani che siano. Divengono così, nella sua prospettiva, morali tutte le azioni che procurino gioia e benessere, e immorali quelle atte a provocare sofferenze e dolore»173

; ciò, si badi, indipendentemente dal fatto che queste ultime incidano su una creatura umana, dal momento che, e con tutta evidenza, esse tutte sono in grado di provare dolore. Questo modo di ragionare costituisce uno dei fondamenti del cosiddetto animalismo

compassionevole174, tanto diffuso nel mondo anglosassone; ad opinione di Basini, questa “morale della simpatia” «ha il pregio [...] di relativizzare ogni antropocentrismo assoluto, ma presenta tuttavia il difetto di non fornire alcun fondamento certo cui ancorare l’esistenza di pretesi doveri nei confronti degli animali proprio perché giocata, in ultima analisi, nel regno, relativissimo e soggettivo, del “sentito” »175.

È indubbio che l’empirismo humeano ha segnato una vera e propria svolta nel modo di pensare il rapporto tra natura umana e natura animale. Tale rapporto nel pensiero di David Hume assume le caratteristiche della contiguità e della continuità: e si noti che ciò avviene più di un secolo prima di Darwin.

Il che non significa che per Hume uomini e animali si equivalgono: le differenze sono sempre forti, ma si tratta in buona sostanza di differenze piuttosto quantitative che non qualitative. Come sancisce Castignone176

, alcuni passi del suo Treatise of Human Nature «mi sembra dimostrino senza possibilità di dubbio il mio assunto: e cioè che la posizione “animalista” di Hume è una ricaduta, un effetto indiretto della sua prospettiva filosofica in

diritto. Una prospettiva comparata. Volume 2”, Roma: Roma Tre - Press, 2020, pp. 833-

834.

173 BASINI, La tutela penale degli animali cit., pp. 7-8.

174 F. RESCIGNO, Dall’antropocentrismo all’affermazione dei diritti animali: un cammino

ancora da completare, in “Silvae” - Rivista tecnico-scientifica ambientale dell’Arma dei

Carabinieri, a. V, n. 11, gennaio-aprile 2009, p.29.

175 BASINI, La tutela penale degli animali cit., p. 8. 176

S. CASTIGNONE, Natura umana e natura animale nella filosofia di David Hume, in “Materiali per una storia della cultura giuridica”, a. XXXII, n. 2, 2002, pp. 401-410.

47

generale»177: il che non vuole affatto sminuire l’importanza del pensiero humeano sugli animali, ma solo collocarlo in maniera corretta nella sua concezione generale. Per quanto riguarda il trattamento da riservare agli animali, Hume insiste che «occorre trattarli con gentilezza e umanità»178

. Egli d’altra parte non sostiene, come farà un animalista contemporaneo,

Peter Singer, che «tutti gli animali (uomo compreso) sono uguali»179

: secondo Hume, si assomigliano, è vero, ma occorre tener conto della

superiorità umana in quanto a conoscenza ed intelligenza.

Un ruolo intermedio tra la visione cartesiana e quella dei filosofi “animalisti” di quest’epoca viene assunta invece da Kant180. Nella prospettiva della sua concezione dei doveri indiretti181, gli interessi degli animali in realtà non vengono presi in considerazione direttamente, sulla base dell'assunto che la morale è propria dell'uomo, unico titolare e destinatario di diritti e doveri, in quanto essere dotato di ragione oltre che di sensibilità. Nel suo scritto, Dei Doveri verso gli animali e gli spiriti182, afferma che gli animali non hanno consapevolezza di sé e sono semplicemente dei mezzi per uno scopo. Secondo Kant183, e prima ancora Tommaso d'Aquino184, la sofferenza animale assume, dunque, rilievo soltanto in maniera indiretta: il dovere di non far soffrire gli animali esiste, ma dipende dal dovere primario e diretto che ciascuno di noi ha verso gli altri uomini di non offendere la loro sensibilità con spettacoli crudeli, i quali possono indurire gli animi e spingere le persone a diventare crudeli anche

177

Ivi, p. 403.

178 Ibid.

179 Cfr. P. SINGER, Tutti gli animali sono uguali, in T. REGAN, P. SINGER (a cura di),

“Diritti animali, obblighi umani”cit. La traduzione riportata in Diritti animali, obblighi

umani è tratta da S. CASTIGLIONE (a cura di), I diritti degli animali: prospettive bioetiche e giuridiche, Bologna: Il Mulino, 1985.

180 Cfr. supra, cap. I, par. 2.3.

181 I. KANT, Dei Doveri verso gli animali e gli spiriti, in Lezioni di etica cit., pp. 273 ss. 182 Ibid.

183

Sulla posizione di Kant in merito si veda: BASAGLIA, La ricezione dell’argomento

kantiano per i doveri indiretti relativi agli animali cit.; L. BENVENUTI, Per una introduzione al diritto degli animali, in “Ricerche giuridiche”, a. 4, n. 1, 2015, p. 32;

MUSSO, I delitti contro il sentimento per gli animali cit., pp. 14-15.

184

48

nei confronti dei loro simili. La condanna dei trattamenti crudeli nei loro confronti, dunque, non è frutto del riconoscimento di diritti in capo ad essi, ma è un ammonimento ad evitare comportamenti crudeli, onde non ripeterli nei confronti di esseri umani:

« [...] l'uomo deve mostrare bontà di cuore già verso gli animali, perché chi usa essere crudele verso di essi è altrettanto insensibile verso gli uomini. Si può conoscere il cuore di un uomo già dal modo in cui egli tratta le bestie»185.

Tale concezione è efficacemente sintetizzata nella massima «saevitia in

bruta est tirocinium crudelitatis in homines», che evidenzia come la crudeltà

nei confronti degli animali non sia errata in sé, ma in quanto insegnamento di crudeltà per gli umani nei confronti degli altri esseri umani, perché induce chi assiste all’insensibilità e al disprezzo per il dolore altrui. Tale approccio rappresenterà il punto di partenza per l’affacciarsi sul piano giuridico delle prime norme penali poste a tutela degli animali.

La teoria kantiana, quindi, «non prevede che agli animali non umani, in quanto non dotati di ragione e autonomia morale, venga attribuito uno statuto morale e una dignità morale; ciononostante Kant non li esclude dalla sua teoria morale»186. Gli esseri umani hanno obblighi morali esclusivamente verso gli altri esseri umani e verso se stessi. Ciò, però, non significa che il comportamento umano nei confronti degli animali sia irrilevante dal punto di vista morale.

Come vedremo successivamente, il dibattito contemporaneo di etica animale si occupa principalmente del problema della giustificazione degli obblighi umani nei confronti degli animali e della questione dello statuto morale degli animali non umani, dal quale tali obblighi deriverebbero. La maggior parte delle autrici e degli autori che prendono parte al dibattito sostengono che una severa e coerente etica animale sia possibile solo attribuendo agli

185 KANT, Dei Doveri verso gli animali cit., p. 273. 186

BASAGLIA, La ricezione dell’argomento kantiano per i doveri indiretti relativi agli

49

animali uno statuto morale e una diretta - per il bene dell’animale stesso - considerazione morale187. Viceversa, alcune autrici e alcuni autori hanno già messo in evidenza come nella discussione sull’etica animale gli argomenti kantiani vengano generalmente malintesi e minimizzati188

, sostenendo come l’argomento kantiano per i doveri indiretti relativi agli animali renda possibile la giustificazione di norme di etica animale molto severe. Difatti, anche Basaglia, discostandosi dall’opinione maggiormente diffusa nel dibattito contemporaneo, è del parere che Kant abbia proposto degli argomenti molto convincenti, sulla base dei quali è possibile sviluppare un’etica animale coerente e ben fondata, non essendo veramente necessaria l’inclusione diretta degli animali non umani nella comunità morale attraverso l’attribuzione agli stessi di uno status morale189.

Si riallaccia direttamente alla “morale della simpatia”, e compie un ulteriore passo sulla strada del riconoscimento di doveri diretti a favore degli animali, la “teoria dell’utilità” di Jeremy Bentham, uno dei più noti filosofi politici dell’epoca. Egli, in un anno significativo per la storia dell’umanità, il 1789, scrisse l’opera Introduction to the Principles of Morals and Legislation, all’interno della quale avrebbe difeso i diritti degli animali con argomentazioni simili a quelle di altri filosofi dell’epoca, ma con un diverso fondamento teorico: l’utilitarismo, del quale il filosofo può essere considerato il fondatore. “Teoria dell’utilità” che «va oltre l’illuminismo razionalistico e astratto sostituendo al criterio della ragione [di pertinenza

187 Cfr. T. REGAN, The Case for Animal Rights, in T. REGAN, P. SINGER (a cura di),

“Animal Rights and Human Obligations”, Englewood Cliffs (NJ): Prentice Hall, 1989, pp. 105-114; S. R. L. CLARK, Ethical Problems in Animal Welfare (1989), in “Animals and

Their Moral Standing”, London: Routledge, 1997, pp. 112-120; M. ROWLANDS, Animals like us, London-New York: Verso, 2002, pp. 58-66 e 88 ss.; G. L. FRANCIONE, Animals as Persons: Essays on the Abolition of Animal Exploitation, New York: Columbia University Press, 2008, pp. 62-66; SINGER, Liberazione animale cit., pp. 20-21.

188 Cfr. L. DENIS, Kant’s Conception of Duties regarding Animals: Reconstruction and

Reconsideration, in “History of Philosophy Quarterly”, vol. 17, n. 4, 2000, pp. 405-406 e

417-418; P. KAIN, Duties Regarding Animals, in L. DENIS (a cura di), “Kant's

Metaphysics of Morals: A Critical Guide”, Cambridge: Cambridge University Press, 2010,

p. 232.

189 Cfr. BASAGLIA, La ricezione dell’argomento kantiano per i doveri indiretti relativi

50

della “morale della simpatia”] quello più concreto dell’utilità, per cui il fine principale della morale, ma anche del diritto, deve essere quello di cercare di procurare la massima felicità190

possibile al maggior numero di uomini, o, al contrario, cercare di evitare al maggior numero di uomini possibile191

ogni sofferenza ingiustificata»192.

Il filosofo fa una classificazione dei piaceri ed indica i criteri per misurarli: il valore di un piacere dipende «dall’intensità, dalla durata, dalla certezza, dalla prossimità, dalla capacità di produrre altri piaceri, dall’assenza di conseguenze dolorose e dall’estensione, cioè dalla sua attitudine ad estendersi al maggior numero di persone possibile»193. Saggio è colui che sa rinunciare ad un piacere immediato in vista di uno futuro di maggiore portata. Ma, nel calcolare la felicità che può derivare da un comportamento, bisogna tener conto non solo delle aspettative degli esseri umani, bensì

Documenti correlati